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Truffa: condannato avvocato che presentava false rendicontazioni per consulenze mai effettuate


Sentenze della Corte di Cassazione in relazione al reato di truffa

La massima

In tema di truffa, la prova dell'elemento soggettivo, costituito dal dolo generico, diretto o indiretto, può desumersi dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive dell'azione criminosa, attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto, in modo da evidenziarne la cosciente volontà e rappresentazione degli elementi oggettivi del reato, quali l'inganno, il profitto ed il danno, anche se preveduti come conseguenze possibili della propria condotta, di cui si sia assunto il rischio di verificazione. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione impugnata che aveva affermato la responsabilità dell'imputato per il reato di truffa aggravata in danno di ente pubblico, per aver chiesto ed ottenuto, mediante la presentazione di false rendicontazioni, corrispettivi per attività di consulenza legale, in realtà mai eseguita o eseguita in termini temporali diversi da quelli rendicontati - Cassazione penale , sez. V , 09/09/2020 , n. 30726).


 

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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. V , 09/09/2020 , n. 30726

FATTO E DIRITTO

1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Trento, in parziale riforma della sentenza con cui il tribunale di Trento, in data 19.6.2017, aveva condannato, tra gli altri, C.S., G.F., D.A. e a B.A.P., ciascuno alla pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento dei danni derivanti da reato in favore delle costituite parti civili, in relazione ai reati in materia di truffa aggravata, ex art. 640 c.p., comma 2, n. 1), di falso ideologico e di turbata libertà degli incanti, loro in rubrica rispettivamente ascritti, assolveva la D. e la a B. dal delitto ex art. 479, c.p., di cui al capo n. 7), perchè il fatto non costituisce reato, rideterminando la pena inflitta ad a B.A.P. in mesi dieci giorni quindici di reclusione e la pena inflitta a D.A., in ordine al reato di cui all'art. 353, c.p., in mesi nove di reclusione ed Euro 300,00 di multa, con revoca delle statuizioni civili nei confronti di D.A., confermando nel resto la sentenza impugnata


2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiedono l'annullamento, hanno proposto ricorso per cassazione i predetti imputati, con autonomi atti di impugnazione.


Nelle more è intervenuta, altresì, remissione della querela sporta il 12.3.2019 nei confronti di C.S. dai legali rappresentanti e liquidatori dell'associazione "(OMISSIS)", con revoca della relativa costituzione di parte civile, in conseguenza dell'accettazione della indicata remissione da parte dell'imputato.


2.1 Iniziando ad esaminare la posizione di G.F., va premesso che quest'ultimo è stato riconosciuto responsabile del delitto di cui all'art. 479 c.p., per avere firmato, secondo l'assunto accusatorio, quattro proposte di contratto o proposte di estensione contrattuale retrodatate per consulenza legale, rivolte all'avv. C.S., del Foro di Bolzano, nella sua qualità di presidente dell'associazione "(OMISSIS)", costituita dall'Università degli Studi di Trento - (OMISSIS) e dalla "(OMISSIS)", che si avvaleva di consulenti legali esterni, sulla base di rapporti disciplinati da contratti di diritto privato con retribuzione "a cd. giornata/uomo".


Otto i motivi di ricorso articolati nell'interesse del G., da uno dei due difensori di fiducia, avv. Maria Cristina Osele, del Foro di Trento.


Con il primo si deduce l'erronea qualificazione in termini di organismo di diritto pubblico dell'associazione "(OMISSIS)", in quanto la corte di appello di Trento ha forzato i requisiti previsti dal D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 3, comma 1, n. 26, come condizioni tassative affinchè un organismo, costituito anche nelle forme societarie proprie del diritto privato, possa considerarsi avente natura pubblicistica.


Tali requisiti sono quelli richiamati costantemente dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, in sede di interpretazione dell'ipotesi di truffa aggravata di cui all'art. 640 c.p., comma 2, n. 1, secondo cui anche gli enti a formale struttura privatistica devono qualificarsi come "pubblici", in presenza dei seguenti requisiti, indicati dal legislatore al D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 3: a) la personalità giuridica; b) l'istituzione dell'ente per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale; c) il finanziamento della attività in modo maggioritario da parte dello Stato, degli enti pubblici territoriali o di altri organismi di diritto pubblico, oppure la sottoposizione della gestione al controllo di questi ultimi o la designazione da parte dello Stato, degli enti pubblici territoriali o di altri organismi di diritto pubblico, di più della metà dei membri dell'organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza.


In particolare, nel qualificare l'associazione di cui si discute come ente pubblico, la corte di appello di Trento ha omesso di considerare: 1) che la "(OMISSIS)" non è stata costituita sulla base di un atto autoritativo dei poteri pubblici (legge o sentenza), in violazione della L. n. 70 del 1975, art. 4, che istituisce il principio della riserva di legge per la creazione di nuovi enti pubblici, laddove alla base della costituzione della suddetta associazione vi è un semplice atto notarile, essendo, inoltre, irrilevante, al riguardo, la previsione di cui alla L. P. n. 27 del 2010, art. 82, che prevedeva la possibilità per la Provincia Autonoma di Trento e di Bolzano di sostenere programmi di attività della (OMISSIS), in quanto la presenza di un finanziamento pubblico erogato con regolarità non implica il riconoscimento della natura pubblicistica dell'associazione che ne beneficia; 2) che la "(OMISSIS)" non perseguiva bisogni di interesse generale, ma svolgeva una tipica attività imprenditoriale privata, incentivando la collaborazione tra la ricerca di base e le aziende, ovvero un interesse specifico industriale e commerciale. In particolare l'associazione non era un ente strumentale della PAT." (Provincia Autonoma di Trento e di Bolzano); svolgeva attività di impresa ex art. 2082 c.c., con metodo economico, facendo della promozione dei prototipi e di altre attività, implicanti rischio d'impresa e l'adozione di logiche imprenditoriali, come la generazione ed il cofinanziamento di start-up, la propria attività prevalente; in qualsiasi momento poteva sciogliersi; la convenzione stipulata con la PAT e la L.P. n. 27 del 2010, art. 81, comma 3,, non erano idonei a modificare l'oggetto e le finalità dell'associazione, mentre è del tutto irrilevante che la "(OMISSIS)" si sia avvalsa di procedure ad evidenza pubblica per l'affidamento di contratti, trattandosi di una forma di autovincolo che non modifica la natura dell'ente, e che sia stata qualificata dalla PAT come strumento per il sistema provinciale della ricerca STAR, ai sensi della L.P. n. 14 del 2005, art. 4, posto che il comma 2 di tale articolo prevede che concorrono a perseguire le finalità di cui al comma 1, le imprese ed altri soggetti pubblici e privati; 3) che, sotto il profilo della personalità giuridica, la (OMISSIS) è un'associazione di diritto privato istituita, come si legge nell'art. 1 del suo statuto, ai sensi dell'art. 14 c.c. e ss.; 3) che l'associazione non ha percepito finanziamenti dai soci fondatori, ma solo dalla PAT, destinati ad una costante contrazione in favore di finanziamenti privati; che la PAT non avrebbe coperto i disavanzi di bilancio; che la (OMISSIS) sosteneva spese per le sponsorizzazioni, vietate per gli enti pubblici; che la PAT non esercitava un controllo sulla gestione, affidato organi interni, come il Consiglio dei partners.


In questo contesto, rileva il ricorrente, nessun rilievo assume la sentenza della Corte di conti di Trento n. 39/del 2018, valorizzata dalla corte territoriale, in quanto, da un lato, si tratta di sentenza non passata in giudicato, dall'altro, pur riconoscendo la sussistenza delle falsificazioni oggetto dell'odierno giudizio, ha condannato il G. solo per colpa grave e non per dolo;


Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta qualifica di pubblico ufficiale del G., che la corte territoriale fa discendere dalla sua qualità di presidente di un organismo di natura pubblicistica, laddove ciò che rileva non è la natura dell'ente, comunque nel caso in esame di diritto privato, ma piuttosto le funzioni effettivamente svolte dall'imputato, non avendo la corte territoriale indicato le ragioni per cui l'imputato debba essere qualificato alla stregua di pubblico ufficiale.


In questa prospettiva la corte di appello di Trento ha commesso due errori rilevanti, da un lato citando un precedente del tutto inconferente relativo al presidente della società A. s.p.a., trattandosi di soggetto ritenuto incaricato di pubblico servizio e non pubblico ufficiale, dall'altro omettendo di considerare che le proposte di contratto o la proroga del contratto ad un legale per assistenza stragiudiziale, non sono connesse e strumentali al presunto servizio di interesse pubblico (ricerca) svolto dalla (OMISSIS).


Con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla natura di atti pubblici degli atti di cui si assume la falsificazione, difettando in capo all'associazione poteri deliberativi, autoritativi o certificativi, come affermato dalla giurisprudenza nel caso di società in house ovvero all'assenza di rilevanza penale delle proposte contrattuali (atto di sottomissione del 30.4.2013 e atto di conferimento dell'1.9.2013, presenti in copia con la firma del solo G. ed in originale, con la firma del solo C.; proroga tecnica del 25.2.2014 e proroga del 30.5.2014, presenti in copia con la sola firma del G., ma senza la firma del C., al quale, con riferimento a tali atti, non è contestato alcunchè), che, in quanto tali, essendo sempre modificabili dall'autore o dal loro destinatario, non sono idonee a creare un pubblico affidamento e non hanno rilevanza Penale ex art. 479 c.p..


Del resto, rileva il ricorrente, con riferimento ad altri contratti retrodatati, firmati dal direttore della (OMISSIS), Traverso, e dall'avv. F., altro consulente esterno dell'associazione, è stata formulata richiesta di archiviazione, proprio sul presupposto della irrilevanza della proposta contrattuale.


Anzi, come si osserva con il settimo motivo di ricorso, lo stesso pubblico ministero per i medesimi fatti, a distanza di due anni dall'inizio delle indagini, aveva contestato al G. il delitto di cui all'art. 323 c.p., instaurando un nuovo procedimento a suo carico, salvo poi chiedere l'archiviazione, rivelando che la nuova imputazione era finalizzata ad instaurare il contraddittorio sulla nuova ipotesi di reato, per l'ipotesi che il giudice avesse affermato come non sussistente la falsità, con ciò dimostrando, ad avviso del ricorrente, che la stessa Accusa nutriva fondati dubbi sulla possibilità di ricondurre i fatti in contestazione al paradigma normativo di cui all'art. 479 c.p..


Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione sulla irrilevanza penale degli atti della cui falsificazione si discute, trattandosi di copie non autenticate, in relazione alle quali non è stata dimostrata la conformità delle copie agli originali, non rinvenuti, circostanza che ha precluso una completa disamina grafologica sulla riconducibilità o meno delle firme al G., firme, che, peraltro, non sono autenticate.


Con il quinto motivo di ricorso vengono denunciati i vizi di violazione di legge e carenza di motivazione, con riferimento al dolo del reato, la cui sussistenza viene provate attraverso delle mere presunzioni, laddove la corte territoriale, da un lato, ha omesso di considerare che si tratta di atti confezionati e architettati da altri ( D., a B., Cinardi), senza alcun coinvolgimento del ricorrente e che la corte dei conti di Trento, nella già menzionata sentenza, aveva condannato l'imputato per colpa grave, dall'altro non ha attribuito alcuna rilevanza all'errore scusabile in cui può essere caduto il G. circa la sua qualità di pubblico ufficiale e la natura pubblica degli atti, dovuto dalla assenza di un complessivo e pacifico orientamento giurisprudenziale cui quest'ultimo potesse conformarsi.


Con il sesto motivo di ricorso l'imputato deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza attenuante di cui all'art. 114 c.p., di cui, a suo avviso, ricorrono i presupposti.


Con l'ottavo motivo di impugnazione, il ricorrente lamenta omessa motivazione in ordine ai sei nuovi motivi di appello articolati dalla difesa dell'imputato con atto del 9.11.2018, contrassegnati dai numeri da 18 a 23.


2.2. Nel ricorso a firma dell'avv. C., del Foro di Milano, presentato sempre nell'interesse del G., vengono articolati tre motivi di ricorso.


Con il primo si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla natura pubblica degli atti di cui si discute, che, ad avviso del ricorrente, la corte territoriale desume, con inaccettabile automatismo, dalla asserita natura pubblicistica dell'ente, laddove essi devono considerarsi semplici scritture private, rientranti nello svolgimento di un rapporto analogo a quello di lavoro subordinato, la cui natura privatistica è indiscutibile


Con il secondo motivo si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza del dolo, che va, invece, escluso, ai sensi dell'art. 47 c.p., u.c., per errore colposo su elemento normativo della fattispecie (id est la qualifica pubblicistica dei documenti di cui all'imputazione), essendo il G., professore di informatica, privo di cognizioni giuridiche particolari, fermamente convinto di sottoscrivere semplici contratti privatistici.


Anche ove tale errore fosse ritenuto rilevante ex art. 5 c.p., esso avrebbe piena efficacia scusante, poichè plurime pronunce giurisdizionali, ivi compresi due decreti di archiviazione chiesti dalla stessa Procura della Repubblica di Trento, hanno attribuito efficacia privatistica ai contratti lavoristici stipulati da enti pubblici, ingenerando in tal modo insuperabile incertezza sulla nozione di atto pubblico rilevante ai sensi dell'art. 479 c.p..


Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento alla ritenuta sussistenza del dolo, desunto non in maniera rigorosa, come prescrive la giurisprudenza di legittimità, ma in re ipsa vale a dire dalla semplice sottoscrizione dei contratti oggetto di contestazione, utilizzando delle presunzioni di carattere meramente logico probabilistico, laddove la condotta dell'imputato, a tutto voler concedere, va definita in termini di colpa.


2.3. C.S., condannato per i delitti di falso ideologico di cui ai capi B) e C) dell'imputazione e per il delitto di truffa in danno di ente pubblico, di cui al capo n. 1 (12 episodi), nel ricorso a firma degli avv., del Foro di Bolzano, e E.o, del Foro di Padova, deduce quattordici motivi di ricorso.


Con il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso si deduce violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento alla ritenuta natura pubblicistica della menzionata "(OMISSIS)", presupposto indispensabile per affermare la sussistenza del reato di falsità ideologica, di cui ai capi B) e C) dell'imputazione e della circostanza aggravante ex art. 640 c.p., comma 2, n. 1), relativa al delitto di truffa, di cui al capo n. 1).


Osserva il ricorrente che la "(OMISSIS)" non è un ente pubblico economico a ordinamento provinciale, nè uno degli enti strumentali della PAT, ma semplicemente un'associazione non riconosciuta di diritto privato, destinataria ex lege di contributi pubblici, come si evince dalla circostanza che gli stessi soci fondatori la menzionano nei propri siti internet istituzionali nell'elenco degli enti di diritto privato e che i suoi scopi e metodi non sono stati fissati dalla legge provinciale, come affermato dalla corte territoriale, ma solo dall'atto costitutivo del 10.12.2010 e dallo Statuto.


Inoltre la corte territoriale ha errato nel fare riferimento alla L. 18 aprile 2016, n. 50, art. 3, comma 1, lett. d), che prevede la nozione di organismo di diritto pubblico alla quale sarebbe conforme la menzionata associazione, in quanto in realtà, la suddetta disposizione normativa fissa tale nozione solo ai fini dell'applicazione del cd. Codice degli appalti, cioè del testo in cui è contenuta.


Nè a sostegno della natura pubblicistica dell'ente può condividersi il riferimento operato dalla corte territoriale alla già indicata sentenza della corte dei conti di Trento, in cui l'affermazione sulla natura pubblicistica della (OMISSIS) si fonda sul semplice richiamo alle argomentazioni svolte in sede penale dal giudice di primo grado e non su di un'autonoma e specifica valutazione, in realtà non richiesta, in quanto il soggetto che si assumeva danneggiato non era la menzionata associazione, ma direttamente la Provincia Autonoma di Trento.


Con il quarto motivo di ricorso l'imputato denuncia l'illogicità della motivazione per il travisamento creativo del contenuto delle comunicazioni e-mail inviate dall'avv. C. al Dott. D., della deposizione del maresciallo F. e dell'informativa della Guardia di finanza del 31.8.2015, acquisita in giudizio, in quanto, osserva il ricorrente, da nessuno degli elementi di fatto ora indicati è possibile desumere quanto affermato dalla corte territoriale, vale a dire che il C. si avvalse della compiacenza del D., responsabile dell'ufficio legale di (OMISSIS), demandando alla più completa discrezionalità di quest'ultimo la compilazione del prospetto della rendicontazione di attività in realtà mai svolte o comunque non svolte nei termini temporali, qualitativi e quantitativi indicati.


Anzi, la corte territoriale ha omesso di considerare alcune voci contenute negli allegati alle mail del C., che dimostrano come quest'ultimo si rivolgesse al D. non per chiedergli di riempire arbitrariamente i rendiconti allegati alle mail, ma di controllarli ed eventualmente integrarli, nel contraddittorio con l'avvocato, alla luce dei dati di cui era in possesso.


Con il quinto motivo di impugnazione il ricorrente lamenta illogicità della motivazione sotto il profilo del travisamento, per eliminazione, del risultato di prova costituito dal contenuto dei contratti di prestazione tra (OMISSIS) e l'avv. C., che, sulla base dei suddetti contratti, non era tenuto, diversamente da quanto affermato dalla corte territoriale, ad indicare le attività compiute ed il tempo loro dedicato.


Con il sesto motivo di ricorso l'imputato eccepisce violazione di legge con riferimento al disposto dell'art. 640, c.p., difettando gli elementi costitutivi degli artifici e raggiri e dell'induzione in errore del soggetto passivo, in quanto il C., nelle mail indirizzate al D., cui erano allegati i rendiconti di cui si assume la falsificazione, aveva sempre chiesto di eseguire i controlli ed eventualmente integrarli, sicchè, nella presente vicenda, non essendo stata carpita nessuna fiducia con artifizi e raggiri, in quanto una reazione da parte del soggetto passivo era senz'altro possibile e doverosa, al cospetto degli inviti a controllare dell'avv. C., non è configurabile un'induzione in errore ascrivibile a quest'ultimo.


Con il settimo motivo di ricorso l'imputato denuncia il difetto di adeguata motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo del delitto di truffa.


Con l'ottavo ed il nono motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione di legge processuale, con riferimento all'art. 521 c.p.p., e vizio di motivazione, in quanto la corte territoriale, da un lato ha modificato i capi B) e C) dell'imputazione, qualificando l'originaria contestazione di contributo materiale nella falsificazione degli atti attribuita al G., in concorso morale, dall'altro, una volta operata questa diversa qualificazione, ha omesso di dimostrare in cosa sarebbe consistito il contributo morale del C. ai reati materialmente commessi dal coimputato.


Con il decimo motivo di ricorso l'imputato eccepisce mancanza di motivazione in ordine ai rilievi formulati nell'atto di appello al fine di escludere il contributo concorsuale dell'avv. C. nel delitto di cui al capo B), con particolare riferimento al mancato rinvenimento di alcun atto di sottomissione recante la contestuale presenza della firma dell'avv. C. accanto a quella del prof. G.; al segnalato diverso valore giuridico dell'atto contenente la sola firma del G., conservato negli archivi della (OMISSIS), e di quello con apposta la sola firma del C., rinvenuto nell'abitazione del D., privo di qualsiasi efficacia di atto pubblico; alla circostanza che l'atto di sottomissione che si ipotizza falso del 30.4.2013, contiene una clausola finale sfavorevole agli interessi dell'imputato, sicchè appare evidente che tale atto fu redatto unicamente ed unilateralmente nell'interesse della (OMISSIS). Con l'undicesimo motivo di ricorso l'imputato eccepisce mancanza di motivazione in ordine ai rilievi formulati nell'atto di appello al fine di escludere il contributo concorsuale dell'avv. C. nel delitto di cui al capo B), con particolare riferimento all'assenza di data accanto alla firma apposta dall'avv. C., per accettazione dell'incarico, al relativo atto pubblico di conferimento, che recava la data apparente dell'1.9.2013 ed alla non contestualità, ictu oculi percepibile, tra la data di formazione del documento, l'1.9.2013, e il momento temporale nel quale l'avv. C. vi appose la propria sottoscrizione.


Con il dodicesimo motivo di ricorso l'imputato eccepisce l'illogicità della motivazione nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto che il C. fosse stato consapevole che i falsi realizzati costituivano lo strumento per procrastinare un rapporto che risultava prorogato in modo illecito senza fare ricorso a gare o proroghe tempestive prima della scadenza.


Con il tredicesimo motivo di ricorso l'imputato lamenta vizio di motivazione con riferimento al mancato riconoscimento in suo favore delle circostanze attenuanti generiche, in quanto motivato dalla sua complicità con il D., ritenuta sussistente, come si è detto, sulla base di un vero e proprio travisamento della prova.


Con il quattordicesimo motivo di ricorso, l'imputato lamenta la contraddittorietà della motivazione nell'aver ritenuto sussistenti entrambe le circostanze aggravanti di cui all'art. 61 c.p., n. 9 e n. 11, tra di loro incompatibili, in quanto la ricorrenza dell'una esclude l'altra e viceversa.


2.4. Dodici sono i motivi di ricorso proposti nell'interesse di a B.A.P., in relazione ai reati di falso ideologico e turbativa d'asta in contestazione.


Con il primo motivo di ricorso l'imputata deduce vizio di motivazione per non avere considerato, la corte territoriale, il ruolo svoto e le mansioni esercitate dall'imputata all'interno della (OMISSIS), posto che quest'ultima svolgeva un'attività pratica, di minima importanza, relegata a mansioni tipiche di una segretaria, laddove solo i suoi superiori erano dotati delle necessarie competenze in grado di renderli edotti della finalità degli atti posti in essere e della natura giuridica pubblica dell'ente.


Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente deduce vizio di motivazione in ordine alla natura giuridica dell'associazione (OMISSIS), che va considerata un ente di diritto privato


Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente deduce vizio di motivazione con riferimento alla percezione della natura giuridica di (OMISSIS) in capo alla a B., rilevante ai fini dell'errore scriminante, essendo l'imputata convinta, in ragione delle mansioni svolte, che le condotte contestate fossero lecite, in quanto eseguite nell'ambito di un rapporto di lavoro privato, non avendo la corte territoriale chiarito in base a quali elementi sia possibile affermare che la a B. abbia avuto la sicura rappresentazione della rilevanza pubblica dell'attività svolta da (OMISSIS).


Con il quarto motivo di ricorso l'imputata deduce vizio di motivazione con riferimento alle due ipotesi di falso ideologico di cui ai numeri 4) e 5) dell'imputazione, con particolare riferimento alla sussistenza del dolo. Si tratta di due atti pubblici recanti l'apparente data del 25 febbraio 2014 e del 30 maggio 2014, sottoscritti da G., con cui viene prorogato il conferimento dei servizi legali resi dall'avv. C..


La ricorrente contesta l'insufficienza della motivazione nella parte in cui pretende di desumere la prova dell'esistenza dell'elemento psicologico del reato in capo alla a B., alla quale è contestata la predisposizione dell'atto in uno con il suo dirigente D., da non meglio specificate comunicazioni via mail intercorse tra il D. ed il C., che non coinvolgono l'imputata, la quale ha agito solo in esecuzione delle disposizioni impartite dal suo superiore D..


Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente deduce vizio di motivazione, in quanto la corte territoriale, del tutto illogicamente, non ha parificato la sua posizione a quella di Ci.Fr., che, pur trovandosi nelle medesime condizioni della a B., sotto il profilo del ruolo ricoperto nella (OMISSIS), delle mansioni espletate e della rappresentazione che aveva della natura privatistica dell'ente, ed avendo agito, in relazione ad altri due atti retrodatati, seguendo le disposizioni del D. circa la data da apporre, è stata destinataria di un provvedimento di archiviazione da parte del giudice per le indagini preliminari


Con il sesto motivo di ricorso la ricorrente deduce vizio di motivazione con riferimento all'elemento oggettivo dei reati di falso in addebito, in quanto agli atti predisposti dalla a B. non può attribuirsi alcuna rilevanza giuridica, trattandosi di mere bozze, aventi natura interlocutoria, di tipo endoprocedimentale, laddove l'atto assume rilevanza giuridica solo quando, non più modificabile, viene sottoscritto o dal presidente G. o dall'avv. C., in altri termini quando la descritta formazione progressiva si completa.


Con il settimo motivo di ricorso la ricorrente deduce vizio di motivazione con riferimento alla omessa indicazione delle ragioni che consentono di ritenere applicabile nel caso in esame la previsione dell'art. 353 c.p., posto che, da un lato, con riferimento alla procedura attivata dalla (OMISSIS) per l'affidamento di servizi di consulenza legale in materia di appalti e contrattualistica pubblici, diritto societario e diritto del lavoro, conclusasi in favore del C., difetta il presupposto di una gara pubblica indetta da una Pubblica Amministrazione con le forme dei pubblici incanti o della licitazione privata, dall'altro le tassative modalità della condotta rappresentate da collusione o dall'utilizzazione di mezzi fraudolenti.


Con l'ottavo motivo di ricorso la ricorrente deduce vizio di motivazione in ordine all'effettivo ruolo svolto dalla a B. ed alla sussistenza dell'elemento psicologico del delitto ex art. 353 c.p., in quanto l'imputata, contrariamente a quanto affermato dalla corte territoriale, non rivestiva il ruolo di responsabile del procedimento ex D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 10 del codice degli appalti, ma ai sensi della L.P. n. 23 del 1992, art. 7, con meri compiti amministrativi ed istruttori, e, pur facendo parte, con la collega Jimenez, della commissione di valutazione presieduta dalla D., ha sempre operato, trattandosi della prima esperienza di questo tipo, nella assoluta completa buona fede che le operazioni fossero legittime.


Con il nono motivo di ricorso la ricorrente deduce vizio di motivazione, con riferimento alla mancata indicazione delle condotte poste in essere dalla a B. idonee a determinare l'effettivo turbamento della gara, posto che quelle menzionate nel capo d'imputazione non risultano sussistenti alla luce dei risultati dell'istruttoria dibattimentale.


Con particolare riferimento all'accusa di avere comunicato al D., estraneo alla commissione, i punteggi (peraltro provvisori ancora da valutare in via collegiale), che intendeva attribuire dal punto di vista del merito non economico ai concorrenti offerenti, rileva la ricorrente che per la posizione ricoperta dal D.B. e per precisa indicazione della D., le informazioni in parola erano accessibili al D.B. stesso accedendo al sistema di archiviazione Dropbox, senza tacere che, essendo il D. responsabile del contratto, la a B. era convinta in buona fede che quest'ultimo potesse e dovesse avere contezza di ogni dato, senza tacere che è stato dimostrato come, a differenza della D. e della J., la a B. non modificò la propria valutazione, mantenendo inalterati i propri punteggi, circostanza ritenuta immotivatamente dalla corte territoriale irrilevante.


Con il decimo motivo di ricorso la ricorrente deduce vizio di motivazione, essendo del tutto carente il percorso argomentativo della corte territoriale nel delineare il consapevole contributo causale alla condotta altrui fornito dalla a B..


Con l'undicesimo motivo di ricorso la ricorrente deduce vizio di motivazione, per il mancato rispetto del canone di giudizio di cui all'art. 533 c.p.p., comma 1, non essendo stata raggiunta in maniera incontrovertibile la certezza sulla responsabilità dell'imputata.


Con il dodicesimo motivo di ricorso la ricorrente deduce vizio di motivazione, in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza attenuante di cui all'art. 114 c.p..


2.5. Tre sono i motivi di ricorso articolati nell'interesse di D.A., in relazione all'intervenuta condanna per il solo reato ex art. 353 c.p., di cui al capo 6).


Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento sia alla ritenuta natura pubblicistica della (OMISSIS), sia alla circostanza che l'imputata, al pari della a B., in ragione delle modalità di costituzione e svolgimento del suo rapporto di lavoro con la suddetta associazione, era convinta in assoluta buona fede di operare all'interno di un ente di natura privatistica, sicchè, in applicazione del canone dell'al di là di ogni ragionevole dubbio, ai sensi dell'art. 530 c.p.p., comma 2, si imponeva e si impone una pronuncia assolutoria.


Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione di legge e vizi di motivazione, non potendosi affermare con assoluta certezza la sussistenza di un'attività imputabile alla D. in termini di collusioni o altri mezzi fraudolenti, con la conseguenza che, anche in questo caso, in applicazione del canone dell'al di là di ogni ragionevole dubbio, ai sensi dell'art. 530 c.p.p., comma 2, si imponeva e si impone una pronuncia assolutoria.


Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione di legge e vizi di motivazione, sempre con riferimento al criterio dell'al di là di ogni ragionevole dubbio, in ordine alla dimostrazione dell'elemento soggettivo del reato.


3. I ricorsi non possono essere accolti, essendo inficiati da evidenti profili di inammissibilità.


Ed invero, come si vedrà nel prosieguo della trattazione, alcuni rilievi difensivi appaiono manifestamente infondati.


Altri non tengono nel dovuto conto il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale anche a seguito della modifica apportata all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito.


In questa sede di legittimità, infatti, è preclusa una mera rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289; Cass., Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Cass., Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099).


Va, infine, ribadito un ulteriore orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, non sufficientemente meditato dai ricorrenti, secondo cui è inammissibile, ai sensi del combinato disposto dell'art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), il ricorso fondato su motivi che, riproponendo acriticamente le stesse ragioni già discusse e ritenute motivatamente infondate dal giudice del gravame, devono considerarsi non specifici, ed anzi, meramente apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso.


La mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di mancanza di specificità, conducente, a norma dell'art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all'inammissibilità (cfr., ex plurimis, Cass., sez. 5, del 27.1.2005, n. 11933, Rv. 231708; Cass., sez. 5, 12.12.1996, n. 3608, Rv. 207389;., Cass., Sez. 5, n. 28011 del 15.2.2013, Rv. 255568; Cass., Sez. 2, n. 42046 del 17.7.2019, Rv. 277710).


Sicchè deve ritenersi inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (cfr. Cass., Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Rv. 260608).


Infine va rilevato che nell'esaminare i motivi di ricorso si procederà ad una lettura integrata delle sentenze di primo e di secondo grado, da considerare un prodotto unico, in quanto la decisione della corte territoriale e quella del giudice per le indagini preliminari hanno utilizzato criteri omogenei di valutazione e seguito un apparato logico argomentativo uniforme. Ciò consente di integrare le argomentazioni della corte di appello con quelle adottate dalla motivazione della sentenza di primo grado ed eventuali carenze della seconda decisione in ordine alle censure contenute nell'atto d'impugnazione sono superabili mediante il richiamo agli argomenti adottati dalla prima sentenza. (cfr. Cass., Sez. 3, 1.2.2002, n. 10163, Rv. 221116).


Si è, dunque, in presenza, nel caso in esame, di una cd. "doppia conforme", configurabile, per l'appunto, quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (cfr. Cass., Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218).


4. Ciò posto manifestamente infondato appare il rilievo (comune a tutti i ricorrenti) volto a contestare la natura pubblica della (OMISSIS), nel cui ambito sono state realizzate le fattispecie penali di cui si discute.


Al riguardo appare sufficiente ribadire principi da tempo sedimentati nella giurisprudenza di legittimità, puntualmente richiamati dai giudici di merito, proprio in sede di interpretazione del disposto dell'art. 640 c.p., comma 2, n. 1, che, con riferimento al delitto di truffa, prevede, come circostanza aggravante, la commissione del fatto in danno dello Stato o di un altro ente pubblico.


Si è, infatti, ripetutamente affermato, al riguardo, che, ai fini dell'applicazione della circostanza aggravante di cui all'art. 640 c.p., comma 2, n. 1, anche gli enti a formale struttura privatistica devono qualificarsi come "pubblici", in presenza dei seguenti requisiti, indicati dal legislatore al D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 3: a) la personalità giuridica; b) l'istituzione dell'ente per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale; c) il finanziamento della attività in modo maggioritario da parte dello Stato, degli enti pubblici territoriali o di altri organismi di diritto pubblico, oppure la sottoposizione della gestione al controllo di questi ultimi o la designazione da parte dello Stato, degli enti pubblici territoriali o di altri organismi di diritto pubblico, di più della metà dei membri dell'organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 29709 del 19/04/2017, Rv. 270665; Cass., Sez. 2, n. 53074 del 04/10/2016, Rv. 268955; Cass., Sez. 2, n. 28085 del 17/06/2015, Rv. 264233).


Applicando questi principi alla fattispecie in esame non appare revocabile in dubbio la natura pubblicistica della (OMISSIS), che presenta tutte gli indici rivelatori di tale natura.


Si tratta, invero, di una associazione di diritto privato, come evidenziato nel ricorso del G., sorta per iniziativa di due enti di sicura natura pubblicistica, operanti nel settore della formazione e della ricerca, che hanno sottoscritto il relativo atto costitutivo del 10.12.2010, l'Università di Trento-Dipartimento di Ingegneria e Scienza dell'Informazione ((OMISSIS)) e la Fondazione (OMISSIS), con dotazioni esclusivamente pubbliche provenienti dalla Provincia di Trento, che, come rileva la corte territoriale, non smentita sul punto dai ricorrenti, ne garantisce il "patrimonio e la finanza".


Le finalità perseguite dalla (OMISSIS) rispondono ad esigenze di interesse generale, in coerenza con gli scopi propri degli enti che ne sono stati i creatori, al di fuori di ogni logica di tipo industriale o commerciale finalizzata al perseguimento di obiettivi di natura imprenditoriale o con scopo di lucro, tipici di chi opera in un regime concorrenziale.


Ed infatti, come ben evidenziano i giudici di merito, è la legge provinciale n. 14 del 2005, non a caso istitutiva della citata Fondazione (OMISSIS), a prevedere scopi e metodi dell'attività di (OMISSIS).


"L'art. 21 bis di tale legge, introdotto dalla L.P. n. 27 del 2010, art. 82 (legge finanziaria provinciale del 20110) recita: "Per rafforzare la cooperazione dei soggetti operanti nel campo delle tecnologie, dell'informazione e della comunicazione, con riferimento alla ricerca, all'innovazione e all'alta formazione e comunque per finalità d'interesse generale non economico, la Provincia può sostenere programmi di attività - anche partecipando ai soggetti che ne attuano la realizzazione - dell'iniziativa (OMISSIS), selezionata dall'Istituto Europeo di tecnologia ed innovazione istituito dal regolamento (CE) n. 294/2008 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell'11 marzo 2008, mediante convenzione stipulata con enti o organismi costituiti da soggetti pubblici aderenti all'iniziativa".


In altri termini la natura pubblicistica dell'ente di cui si discute è intimamente connessa, come evidenziato con limpido argomentare da entrambi i giudici di merito, dalla incontestabile circostanza che la (OMISSIS) rappresentava l'organismo di riferimento nel settore della formazione, della ricerca e dell'innovazione tecnologica della Provincia di Trento, che, attraverso i progetti messi in campo dalla sua "creatura", perseguiva un ulteriore e specifico interesse generale, rappresentato dalla promozione e dallo sviluppo socio-economico del suo territorio di riferimento.


La imprescindibile connessione tra attività della (OMISSIS) e gli scopi di interesse generale perseguiti dalla Provincia di Trento trova stringente e definitiva conferma nella circostanza, sottolineata da entrambi i giudici di merito, dello "stretto coordinamento fra le risorse messe a disposizione per (OMISSIS) e quelle del bilancio della Provincia".


Come rileva, infatti, il tribunale è esclusivamente pubblica la dotazione finanziaria e patrimoniale non solo dei due enti fondatori, ma anche della stessa (OMISSIS), che "è sorta e si mantiene esclusivamente con denaro pubblico stanziato dalla Provincia autonoma di Trento, nell'ambito della legislazione finanziaria provinciale e delle Convenzioni (originaria e aggiuntive) della PAT con (OMISSIS)".


Infine non va taciuto che (OMISSIS) era amministrata da un consiglio direttivo i cui membri erano nominati dagli enti pubblici fondatori ed era sottoposta a vigilanza da parte della Provincia autonoma di Trento, che non a caso, quando le criticità di gestione divennero insostenibili, si determinò, come rileva la corte territoriale, "a chiudere quell'esperienza e a indicare il passaggio ad un nuovo soggetto e a nominare idonee figure per la fase di liquidazione di (OMISSIS)" (cfr. pp. 45-51 della sentenza di appello; pp. 4-7 della sentenza di primo grado).


A fronte di tale limpido argomentare le censure difensive non solo non colgono nel segno, ma si presentano come una mera reiterazione di questioni già proposte, sin dal giudizio di primo grado, e disattese dai giudici di merito con il cui omogeneo e coerente percorso argomentativo sul punto i ricorrenti, in realtà, non si confrontano.


5. Dalla natura pubblicistica della (OMISSIS), derivano conseguenze di non poco momento in tema di qualificazione giuridica delle fattispecie per cui si procede.


Va, innanzitutto, ribadita la qualità di pubblico ufficiale del G., strettamente connessa al suo ruolo di Presidente della (OMISSIS). Ciò non significa, ovviamente, recuperare la concezione soggettiva delle qualifiche pubblicistiche (secondo la quale il pubblico ufficiale e l'incaricato di un pubblico servizio derivano la loro qualità dal carattere pubblico dell'ente per il quale svolgono la loro attività), respinta dall'art. 357 c.p., dopo la novella del 1990.


Ma ricostruire la nozione di pubblico ufficiale, partendo dalla dimensione pubblica della funzione amministrativa esercitata, che, secondo la previsione dell'art. 357 c.p., comma 2, è tale quando "è disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi".


In questa prospettiva la giurisprudenza di legittimità ha da tempo individuato taluni indicatori della natura pubblica dell'attività svolta, ravvisandoli, per l'appunto, nella costituzione dell'ente e nella nomina dei relativi organi ad opera di un ente territoriale ovvero dal parziale finanziamento dell'ente da parte dello Stato, della Provincia e della Regione (cfr. Cass., Sez. 6, 10.10.1997, Balistieri).


Come è stato, altresì, rilevato dalla giurisprudenza di legittimità in tempi risalenti, la qualità di pubblico ufficiale deriva dal carattere pubblicistico dell'intera funzione devoluta dalla legge ad un soggetto in relazione ad un determinato rapporto e non dalla natura giuridica dei singoli atti che da lui vengono compiuti. Infatti anche nel compimento di attività soggette al diritto privato l'agente può perseguire finalità pubbliche, che, secondo la legge possono essere realizzate più agevolmente mediante l'impiego di strumenti negoziali. In siffatte ipotesi quantomeno la scelta del contraente viene effettuata nell'esercizio di poteri pubblici, giacchè in nessun caso la pubblica amministrazione o l'ente investito di una pubblica funzione può prescindere dalla valutazione di un interesse pubblico. Così, ad esempio, è stata riconosciuta la qualità di pubblico ufficiale al funzionario che abbia formato e manifestato la volontà della pubblica amministrazione all'esito di una procedura conclusasi con la deliberazione di acquisto di beni immobili, a nulla rilevando che nella fase successiva a tale deliberazione, riguardante la stipula dei relativi contratti, le parti operino in posizioni di parità (cfr. Cass., Sez. 6, n. 8161 del 24/04/1998, Rv. 213895).


Quanto al requisito della formazione della volontà della pubblica amministrazione, che con la manifestazione della suddetta volontà costituisce, come appare evidente dall'uso della disgiunzione "o" nel disposto dell'art. 357 c.p., comma 2, una delle condizioni che rendono pubblica la funzione amministrativa agli effetti della legge penale (cfr. Cass., Sez. U., n. 7958 del 27/03/1992, Rv. 191171), può convenirsi con la migliore dottrina che è pubblico ufficiale ogni soggetto che interviene nel processo di formazione della volontà della pubblica amministrazione, si tratti di atto a contenuto vincolato o discrezionale.


Anche sul punto la giurisprudenza di legittimità, con orientamento costante, ha da tempo chiarito che è pubblico ufficiale non solo il soggetto che concorre a formare la volontà dello Stato o degli altri enti pubblici, ma anche chi è chiamato a svolgere mansioni aventi carattere accessorio o sussidiario ai fini istituzionali tipici degli enti pubblici, in quanto, anche in questo caso, si verifica, attraverso l'attività svolta, una partecipazione, sia pure in misura ridotta, alla formazione della volontà dell'ente pubblico. Ne consegue che, per rivestire la qualifica di pubblico ufficiale, non è indispensabile svolgere un'attività che abbia efficacia diretta nei confronti dei terzi, poichè ogni atto preparatorio, accessorio o istruttorio, anche se di natura tecnica, che produca nell'ambito del procedimento i suoi effetti, comporta in ogni caso l'attuazione completa e connaturale dei fini dell'ente pubblico e non può essere isolato dall'intero contesto delle funzioni pubbliche (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 6, n. 5575 del 19/03/1998, Rv. 210611; Cass., Sez. 6, n. 21088 del 10/02/2004, Rv. 228871; Cass., Sez. 6, n. 22707 del 11/04/2014, Rv. 260274; Cass., Sez. 6, n. 43820 del 23/09/2014, Rv. 260710).


Con riferimento, poi, alla manifestazione di volontà dell'ente pubblico, non è revocabile in dubbio che essa non è circoscritta alla sola funzione di rappresentanza, ma comprende ogni potere di agire nei confronti dell'esterno in nome e per conto dell'ente stesso, in modo da produrre effetti giuridici che ricadono direttamente sull'amministrazione.


Così, ad esempio, rivestono la qualità di pubblici ufficiali i componenti della commissione amministratrice di un'azienda municipalizzata, in quanto deputati in base alle norme di diritto pubblico alla formazione e manifestazione della volontà dell'azienda stessa, la quale ha carattere di ente pubblico, per la natura pubblica dell'ente locale da cui deriva la propria origine, per la disciplina di amministrazione e vigilanza dello stesso, nonchè per il fine pubblico che persegue e per la forma di gestione finanziaria, ove è previsto il versamento degli utili al Comune e - in caso di deficit - la reintegrazione del bilancio con i mezzi della finanza pubblica facenti capo a detto ente territoriale (cfr. Cass., Sez. 6, n. 20953 del 17/02/2003, Rv. 226055).


Come pure è stata riconosciuta la natura di pubblico ufficiale al presidente di un ente pubblico economico, in virtù del potere di rappresentanza conferitogli al fine di svolgere tutta l'attività inerente alle gare di appalto per la realizzazione delle opere pubbliche, la formazione dei relativi contratti e la consegna delle opere nella disponibilità della pubblica amministrazione (cfr. Cass., Sez. 6, n. 6575 del 12/10/1999, Rv. 217549).


Appare, pertanto, evidente la natura di pubblici ufficiali del G.; della a B. e della D..


Il primo, in quanto legittimato alla formazione ed alla manifestazione della volontà della (OMISSIS), come dimostrato in modo inequivocabile non solo dalla sua funzione di governo dell'ente pubblico, ma anche dalla circostanza incontestata che a lui competeva il perfezionamento della volontà dell'ente ai fini del conferimento dei servizi legali, attraverso la procedura di aggiudicazione degli incarichi contrattuali aventi ad oggetto attività poste in essere da liberi professionisti esterni, come l'avv. C., in favore della (OMISSIS).


La D. e la a B., in ragione della loro partecipazione, in qualità di dipendenti della (OMISSIS), addette all'ufficio legale, al procedimento interno, destinato, da un lato (capi n. 4 e n. 5 dell'imputazione), a prorogare i termini di efficacia dell'atto di conferimento di servizi legali, apparentemente datato 1.9.2013, in favore dell'avv. C. (la a B.), dall'altro (capo n. 6), a concludersi con il conferimento dell'incarico professionale al suddetto professionista (la D. e la a B.).


Manifestamente infondato, oltre che sorretto da argomenti di natura fattuale, appare, poi, il rilievo dei difensori dei predetti ricorrenti in tema di errore o di ignoranza sulla qualifica rivestita e sulla natura pubblica dell'ente, posto che, per costante giurisprudenza della Suprema Corte il dubbio di un soggetto investito di una pubblica funzione sulla sua effettiva qualità di pubblico ufficiale non giova a discriminarlo, perchè tale dubbio si risolve in un'inammissibile ignoranza della legge.


Principio, si badi bene, addirittura affermato già negli anni ‘80 (cfr. Cass., Sez. 6, n. 8333 del 10/03/1980, Rv. 145783; Cass., Sez. 6, 3.3.1988, n. 9604) e ribadito in un recente e condivisibile arresto, secondo cui la definizione di pubblico ufficiale e quella di incaricato di pubblico servizio, di cui rispettivamente agli artt. 357 e 358 c.p., richiamano con rinvio ricettizio le norme extrapenali che determinano la natura pubblica della funzione o del servizio e pertanto il contenuto di quelle definizioni, così ampiamente inteso, acquista natura di norma penale non solo perchè i predetti articoli sono inseriti nel codice penale, ma soprattutto perchè la qualità del soggetto ivi contemplata deve intendersi richiamata in ogni precetto di natura penale che prevede la figura di pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio quale soggetto attivo o passivo del reato; ne consegue che l'errore sulla qualità di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, che derivi da ignoranza o falsa interpretazione della legge, non vale a scusare l'agente, risolvendosi in errore sulla legge penale (cfr. Cass., Sez. 6, n. 9473 del 13/01/2017, Rv. 269131).


6. Passando ad esaminare le tre fattispecie di reato per cui si procede, appare del tutto lineare il percorso argomentativo seguito dai giudici di merito nel delineare la configurabilità del delitto di cui all'art. 110 c.p., art. 81 c.p., comma 2 e art. 640 c.p., comma 2, n. 1), essendo stato dimostrato che il C., con la fondamentale collaborazione del coimputato D., responsabile dell'ufficio legale di (OMISSIS) (successivamente deceduto) ha "chiesto ed ottenuto, mediante la presentazione di false rendicontazioni, corrispettivi per attività di consulenza legale a (OMISSIS), in realtà mai eseguite o eseguite in termini temporali, qualitativi diversi da quelli rendicontati", come analiticamente indicato nei relativi capi di imputazione.


Nel rispondere alle censure difensive sul punto la corte territoriale ha correttamente evidenziato come il C., lungi dall'aver invitato il D. a controllare, rettificare o integrare i rendiconti, come sostenuto dalla difesa dell'imputato, ha chiesto al responsabile dell'ufficio legale di riempirli "discrezionalmente con un certo numero di ore e/o con l'indicazione di attività in realtà mai svolte o comunque non svolte nei termini temporali".


Aggiungendo come "l'importo massimo degli onorari da corrispondere all'avv. C., fissato da (OMISSIS), non significa che la liquidazione in concreto dell'attività svolta fosse sganciata dalla quantità e qualità del servizio consulenza, posto che in tutti gli atti di conferimento incarico di cui è processo era espressamente previsto a carico del consulente l'obbligo di rendicontazione dell'attività svolta, nonchè un massimale di ore da svolgere", per cui "l'imputato era...obbligato ad allegare alla singola fattura una rendicontazione indicante il tipo di attività svolta per (OMISSIS) (incontro, colloquio telefonico, attività di studio e di approfondimento) e il numero di ore impiegate per svolgerla, con pagamento per le prestazioni effettivamente eseguite...subordinato alla verifica del rapporto dettagliato dei servizi erogati che dovrà essere allegato alla fattura".


Gli artifizi e raggiri vanno, pertanto, desunti, come già rilevato dal giudice di primo grado, "dall'espansione dei tempi delle attività e dalla richiesta di pagamento di attività non svolte nei tempi indicati ovvero, come osservato dal giudice di secondo grado, mai svolte.


Sicchè, concludeva la corte territoriale, in maniera ineccepibile, "il danno per l'ente ed il profitto per l'imputato sono quindi costituiti dal valore economico dell'ammontare delle prestazioni non effettuate dall'imputato "nei termini convenuti "e, ciononostante, regolarmente retribuite da (OMISSIS)".


Evidente, dunque, l'inammissibilità dei rilievi difensivi articolati dal C. sul punto (quarto e quinto motivo di ricorso), perchè di natura fattuale e meramente ripetitivi di doglianze già motivatamente disattese.


Manifestamente infondate appaiono poi le censure articolate con il sesto ed il settimo motivo di ricorso.


Ed invero, da un lato, va ribadito il costante ed un uniforme orientamento della giurisprudenza di legittimità, affermatosi sin dal 1988, secondo cui ai fini della sussistenza del delitto di truffa, non ha rilievo la mancanza di diligenza da parte della persona offesa, dal momento che tale circostanza non esclude l'idoneità del mezzo, risolvendosi in una mera deficienza di attenzione spesso determinata dalla fiducia ottenuta con artifici e raggiri (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 51538 del 20/11/2019, Rv. 278230; Cass., Sez. 2, n. 42941 del 25/09/2014, Rv. 260476; Cass., Sez. 6, n. 17202 del 03/12/1988, Rv. 182775).


In questo contesto giurisprudenziale opportunamente la corte territoriale evidenziava un calzante precedente, che vieppiù si attaglia al caso concreto, in cui si sottolinea l'irrilevanza del comportamento del soggetto passivo del reato.


Si è, infatti, affermato che, ai fini della sussistenza del delitto di truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche, fattispecie alla quale è assimilabile l'ipotesi di truffa in danno di ente pubblico contestata al C., non ha rilievo la mancanza di diligenza da parte dell'ente erogatore nell'eseguire adeguati controlli in ordine alla veridicità dei dati forniti dal richiedente il contributo pubblico, in quanto tale circostanza non esclude l'idoneità del mezzo truffaldino, risolvendosi in una mancanza di attenzione determinata dalla fiducia ottenuta proprio con gli artifici ed i raggiri.


In motivazione, la Corte ha aggiunto che la responsabilità penale è collegata al fatto dell'agente ed è indipendente dalla eventuale cooperazione, più o meno colposa, della vittima negligente (cfr. Cass., Sez. 2, n. 52316 del 27/09/2016, Rv. 268960).


Dall'altro, vanno svolte alcune considerazioni generali sulla prova del dolo, che varranno anche con riferimento alle doglianze prospettate con riferimento alle altre fattispecie di reato per cui è intervenuta sentenza di condanna nei confronti del C. e degli altri ricorrenti, trattandosi di questione essenziale sul piano processuale.


Punto di partenza è la considerazione che il principio della libertà di convincimento del giudice, in ordine alla verità dei fatti e nella valutazione di qualsiasi elemento di prova realmente emerso dal procedimento, non soffre distinzioni rispetto alla natura materiale o psicologica dei fatti medesimi.


L'elemento soggettivo del reato, dunque, deve essere desunto, sul piano della concretezza processuale, cioè della prova, principalmente (quando manchino le ammissioni) dalle azioni che, estrinsecando le intenzioni, sono sintomatiche della volontà in tal modo esteriorizzata (cfr. Cass., Sez. 1, n. 4851 del 13/10/1987, Rv. 178193).


Pertanto, premesso che l'elemento soggettivo del delitto di truffa è costituito dal dolo generico, diretto o indiretto, avente ad oggetto gli elementi costitutivi del reato (quali l'inganno, il profitto, il danno), anche se preveduti dall'agente come conseguenze possibili, anzichè certe della propria condotta, e tuttavia accettati nel loro verificarsi, con conseguente assunzione del relativo rischio (cfr. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 24645 del 21/03/2012, Rv. 252824), l'individuazione dell'elemento soggettivo non può prescindere dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive che definiscono l'azione criminosa, dalle quali, con processo logico deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto.


Ne consegue che l'accertamento del dolo nel delitto di truffa (come in qualsiasi altro reato) consiste nella considerazione e nella valutazione delle circostanze e delle modalità della condotta che evidenziano la cosciente volontà dell'agente e sono indicative dell'esistenza di una rappresentazione del fatto (cfr., sia pure con riferimento ad altro reato, ma concordi sul modus procedendi in tema di prova del dolo, in cui questo Collegio si riconosce, Cass., Sez. 6, n. 10289 del 22/01/2014, Rv. 259336; Cass., Sez. 6, n. 448 del 05/12/2002, Rv. 223321).


Orbene a questi criteri si sono puntualmente attenuti i giudici di merito, che hanno desunto la prova del dolo generico in capo al C. proprio considerando e valutando specificamente le circostanze e le modalità della condotta del reo (cfr. p. 56 della sentenza di secondo grado; pp. 12 e seguenti della sentenza del tribunale).


Va, infine, rilevato che, trattandosi di reato perseguibile d'ufficio, ai sensi dell'art. 640 c.p., comma 3, del tutto irrilevante, ai fini della procedibilità, risulta l'intervenuta remissione della querela da parte del difensore di fiducia e procuratore speciale della Associazione (OMISSIS) in liquidazione (ritualmente accettata dal C.), che ha determinato la revoca della costituzione di parte civile (cfr. memoria difensiva, depositata con allegati il 31.7.2020).


7. Con riferimento ai diversi episodi di falso ideologico in atto pubblico, contestati a G., C. e ad a B., va innanzitutto precisato il contenuto degli atti di cui è stata ritenuta la falsità, oggetto delle imputazioni dal n. 2) al n. 5) e delle contestazioni suppletive di cui ai capi B) e C).


Si tratta, in particolare, dell'incarico di consulenza legale denominato "atto di sottomissione" di data apparente 30.4.2013, n. 0348, di cui ai capi n. 2) e B) dell'imputazione; dell'incarico di consulenza legale denominato "atto di conferimento incarico per servizi di consulenza legale" di data apparente 1.9.2013, n. 0349, di cui ai capi n. 3) e C) dell'imputazione; di due proroghe tecniche del suddetto atto di conferimento di incarico, una recante la data apparente del 25.2.2014, di cui al capo n. 4) dell'imputazione, l'altra, di data apparente del 30.5.2014, di cui al capo n. 5) dell'imputazione.


Orbene, come rilevato correttamente dalla corte territoriale, con motivazione esaustiva e dotata di intrinseca coerenza logica, l'istruttoria dibattimentale ha consentito di accertare che "gli atti pubblici indicati nelle suddette imputazioni sono stati formati materialmente e sottoscritti in epoca diversa e successiva rispetto alla data riportata in apparenza sopra di essi", grazie ad un'analisi tecnica delle "proprietà dei file word e pdf contenenti i predetti documenti", su cui ha riferito il teste F..


Si tratta di atti che hanno costituito, come rileva il giudice di appello, "la copertura contrattuale del lavoro di consulenza legale svolto dall'avv. C. per la conseguente liquidazione dei compensi in suo favore, confezionati materialmente su disposizione del D.B., come ammesso dalla stessa a B..


Tali documenti erano funzionali ad assicurare un indebito vantaggio all'avv. C., perchè utilizzati, come ben spiega il tribunale, "per la prosecuzione del rapporto" di consulenza "e per l'emissione delle fatture e degli impegni di spesa", nonchè "per l'effettiva liquidazione" delle somme erogate in favore del suddetto C. (cfr. p. 20 della sentenza di primo grado).


La falsificazione della data (che, giova rammentare, non viene contestata) serviva, infatti, come è stato dimostrato, a far risultare, contrariamente al vero, che le procedure e le valutazioni preparatorie al conferimento dell'incarico e legittimanti la proroga del medesimo incarico fossero state effettuate prima dello svolgimento dell'attività e che i servizi fossero stati resi e, dunque, dovessero essere remunerati, sulla base di un incarico contrattuale valido, efficace e regolarmente prorogato prima della scadenza, in modo da garantire al C. una posizione di fatto quasi esclusiva nel conferimento degli incarichi di consulenza legale, non sottoponendolo al puntuale rispetto delle regole fissate dalla (OMISSIS) per l'aggiudicazione a terzi esterni di tale servizio.


Dunque "la formazione postuma degli atti, lungi dal rappresentare un fatto ignoto all'avv. C., costituiva lo strumento per procrastinare un rapporto che in modo illecito risultava prorogato (per come prospettato, la proroga sarebbe stata anticipata oralmente), senza fare ricorso a gare o a proroga tempestiva prima della scadenza" (cfr. p. 58 della sentenza oggetto di ricorso).


Un ultimo punto, sul quale si sofferma la corte territoriale, va evidenziato: il mancato rinvenimento dei documenti in questione in forma originale integrale non incide sulla sussistenza del reato di falso ideologico in atto pubblico, perchè gli organi investigativi hanno rinvenuto tutti i documenti informatici, con la firma del G., "nell'archivio informatico di (OMISSIS) in una cartella dropbox", a supporto della procedura amministrativa di liquidazione delle fatture del C., la cui firma per accettazione era necessaria dal punto di vista formale per poter ottenere la liquidazione dei compensi.


Sicchè nessun dubbio, sotto il profilo probatorio, può sussistere sulla creazione e sulla avvenuta sottoscrizione dei menzionati documenti da parte non solo del G., ma anche del C. (che, per tale ragione, si è visto contestare nei capi B) e C) il concorso nel falso ideologico commesso da D. e G.), in quanto, da un lato, l'originale dell'atto di sottomissione con data apparente del 30.4.2013, n. 0348 è stato rinvenuto, a firma del solo C., nell'abitazione del D. ed entrambi gli atti di cui ai capi B) e C), sottoscritti dal G. dopo l'11.10.2013, sono stati inviati via mail al C. per la firma, dall'altro, proprio sulla base di questi atti, che necessitavano formalmente di una sua firma per accettazione come si è detto, il legale aveva presentato fatture per le attività svolte, che gli erano state effettivamente liquidate.


Tali essendo le motivate conclusioni dei giudici di merito, non sussistono dubbi sulla sussistenza dell"elemento oggettivo del reato, con particolare riferimento alla natura di atto pubblico dei documenti in precedenza indicati.


Anche in questo caso non si può fare a meno di rilevare come la giurisprudenza di legittimità abbia da tempo risalente chiarito, con giurisprudenza uniforme e costante nel corso degli anni, come anche nell'atto dispositivo - che consiste in una manifestazione di volontà e non nella rappresentazione o descrizione di un fatto - sia configurabile la falsità ideologica in relazione alla parte descrittiva o narrativa in esso contenuta e, più precisamente, in relazione all'attestazione, non conforme a verità, dell'esistenza di una determinata situazione di fatto costituente il presupposto indispensabile per il compimento dell'atto (cfr. Cass., Sez. U., n. 1827 del 03/02/1995, Rv. 200117; Cass., Sez. 5, n. 5397 del 14/10/2004, Rv. 230683; Cass., Sez. 5, n. 176 del 10/11/2005, Rv. 233119; Cass., Sez. 5, n. 24301 del 19/03/2015, Rv. 263909).


Proprio in applicazione di questi principi è stata affermata, ad esempio, la responsabilità per il delitto di falso ideologico in atto pubblico del pubblico amministratore che abbia redatto le delibere e conseguenti ordini di pagamento, che si basavano su lavori in effetti non realizzati e sulla circostanza che gli autorizzati ad effettuare questi lavori non fossero stati ancora pagati, presupposti di fatto rivelatisi inesistenti (cfr. Cass., Sez. 5, n. 5079 del 04/02/1987, Rv. 175776).


D'altro canto, premesso che, per la corretta individuazione della nozione di atto pubblico, ai fini della configurabilità del reato di falso ideologico di cui all'art. 479 c.p., non ha rilevanza la distinzione tra atti per uso interno ed atti destinati a spiegare efficacia nei confronti del pubblico, perchè anche i primi possono avere valenza probatoria in relazione all'attività compiuta dal pubblico ufficiale, attività che si pone come necessario passaggio di un più complesso ed articolato "iter" amministrativo, costituisce atto pubblico e, quindi, tutelato come tale, qualunque documento proveniente da un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni e destinato ad inserirsi con contributo di conoscenza o di determinazione in un procedimento che si svolge nell'ambito delle attribuzioni di un ente pubblico (cfr. Cass., Sez. 5, n. 7295 del 14/05/1997, Rv. 208599; Cass., Sez. 5, n. 6872 del 17/03/1999, Rv. 213600), come, per l'appunto, quello finalizzato alla scelta del soggetto cui affidare compiti di consulenza esterna, articolatosi nella pluralità di atti preparatori di natura determinativa innanzi indicati, ciascuno dotato di efficacia causale autonoma nella definizione dell'iter amministrativo, conclusosi con l'atto di conferimento dell'incarico all'avv. C. ovvero di proroga della durata dell'incarico medesimo, di indiscutibile natura pubblica (cfr. Cass., Sez. 6, n. 1742 del 11/12/2018, Rv. 274843).


Ciò conformemente ad un tetragono e risalente orientamento della giurisprudenza di legittimità, che ricomprende nella categoria degli atti pubblici gli atti interni, se ed in quanto destinati ad assumere giuridica rilevanza nell'ambito del procedimento amministrativo che mette capo all'emanazione del provvedimento finale, ivi compresi anche i pareri, come pure gli atti definiti preparatori, in quanto dotati di autonomia funzionale rispetto all'atto finale, emesso da altro pubblico ufficiale (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 5, n. 6872 del 17/03/1999, Rv. 213600; Cass., Sez. 6, 6, n. 9927 del 10/07/1995, Rv. 202871; Cass., Sez. U., n. 7299 del 30/06/1984, Rv. 165604; Cass., Sez. 6, n. 622 del 16/02/1994, Rv. 199130).


Sulla natura di atti pubblici dei documenti innanzi indicati, dunque, non sussistono dubbi.


Quanto alla prova dell'elemento soggettivo del reato valgono le medesime considerazioni svolte a proposito del delitto ex art. 640 c.p., comma 2, n. 1).


Si osserva, al riguardo che, come affermato dalla Corte di Cassazione con giurisprudenza da tempo prevalente, in tema di falsità documentali, ai fini dell'integrazione del delitto di falsità, materiale o ideologica, in atto pubblico, l'elemento soggettivo richiesto è il dolo generico, il quale, tuttavia, non può essere considerato in "re ipsa", in quanto deve essere rigorosamente provato, dovendosi escludere il reato quando risulti che il falso deriva da una semplice leggerezza ovvero da una negligenza dell'agente, poichè il sistema vigente non incrimina il falso documentale colposo (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 3, n. 30862 del 14/05/2015, Rv. 264328).


Ai fini dell'elemento soggettivo, dunque, è sufficiente il dolo generico, consistente nella rappresentazione e nella volontà dell'"immutatio veri", mentre non è richiesto l'"animus nocendi" nè l'"animus decipiendi", con la conseguenza che il delitto sussiste sia quando la falsità sia compiuta senza l'intenzione di nuocere, sia quando la sua commissione sia accompagnata dalla convinzione di non produrre alcun danno (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 5, n. 17929 del 20/01/2020, Rv. 279214; Cass., Sez. 5, n. 35548 del 21/05/2013, Rv. 257040; Cass., Sez. 5, n. 41172 del 09/07/2014, Rv. 260683; Cass., Sez. 5 n. 12547 del 08/11/2018, Rv. 276505).


Orbene i giudici di merito hanno desunto la sussistenza del dolo generico delle singole ipotesi di falsità ideologica in contestazione, proprio considerando e valutando le circostanze e le modalità delle condotte degli imputati, sintomatiche della loro cosciente volontà e dell'esistenza di una rappresentazione del fatto, insita nella consapevole creazione (ammessa dalla a B., peraltro) e sottoscrizione di documenti posteriori alla data in essa indicati e collocati in un disegno unitario volto a favorire l'avv. C. nell'attribuzione del servizio di consulenza legale in favore dell'ente pubblico a forma associativa (cfr. pp. 57-58; 68-69; 70; 72 della sentenza di appello; pp. 16, 17-18; 18 e ss. della sentenza di primo grado)


8. Con riguardo al delitto di turbativa d'asta contestato nel capo n. 6) dell'imputazione a D.A. e ad a B.A.P., va premesso che, come affermato dall'orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, il reato di turbata libertà degli incanti è configurabile in ogni situazione nella quale l'ente pubblico proceda all'individuazione del contraente mediante una gara, quale che sia il "nomen iuris" conferito alla procedura ed anche in assenza di formalità (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 6, n. 29581 del 24/05/2011 Rv. 250732), dunque non solo nelle ipotesi di pubblici incanti o di licitazioni provate, contemplate nell'art. 353 c.p., comma 1.


Ciò posto appare sufficiente osservare come per l'integrazione dell'elemento oggettivo della fattispecie in parola, sia sufficiente, come rilevato dalla corte territoriale, anche un semplice turbamento della gara, vale a dire una deviazione del suo svolgimento secondo le regole prestabilite.


Come affermato costantemente dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, l'evento naturalistico del reato di turbata libertà degli incanti può essere costituito, oltre che dall'impedimento della gara, anche da un suo turbamento, situazione che può verificarsi quando la condotta fraudolenta o collusiva abbia anche soltanto influito sulla regolare procedura della gara medesima, essendo irrilevante che si produca un'effettiva alterazione dei suoi risultati.


Tale condotta, pertanto, può anche consistere in uno "sviamento" del regolare svolgimento della gara tale da determinarne uno sviluppo anomalo (cfr. Cass., Sez. 2, n. 43408 del 23/06/2016, Rv. 267967; Cass., Sez. 6, n. 41365 del 27/09/2013, Rv. 256276).


Sotto il profilo delle modalità della condotta, da tempo risalente la giurisprudenza di legittimità ha, inoltre, chiarito, con orientamento mantenutosi costante negli anni, che nel reato di turbata libertà degli incanti, la "collusione" va intesa come ogni accordo clandestino diretto ad influire sul normale svolgimento delle offerte, mentre il "mezzo fraudolento" consiste in qualsiasi artificio, inganno o menzogna concretamente idoneo a conseguire l'evento del reato, che si configura non soltanto in un danno immediato ed effettivo, ma anche in un danno mediato e potenziale, dato che la fattispecie si qualifica come reato di pericolo (cfr. Cass., Sez. 6, n. 12298 del 16/01/2012, Rv. 252555; Cass., Sez. 6, n. 26809 del 07/04/2011, Rv. 250469; Cass., Sez. 6, n. 40831 del 08/06/2010; Rv. 248788; Cass., Sez. 6, n. 37337 del 10/07/2003, Rv. 227320).


In questo solco interpretativo si inserisce la puntuale affermazione secondo cui le persone preposte alla gara per conto dell'ente pubblico hanno il dovere giuridico di impedire che l'esito della gara sia turbato, con la conseguenza che esse sono responsabili a titolo di concorso, sotto un profilo di causalità omissiva, nei casi in cui, pur informate di tali condotte, non si attivino per evitare che la procedura venga indebitamente attuata e portata a termine (cfr. Cass., Sez. 6, n. 48538 del 27/11/2003, Rv. 227723).


Orbene la decisione dei giudici di merito risulta assolutamente conforme ai principi ora richiamati, essendo chiaramente emerso dall'istruttoria dibattimentale come le due imputate, nella loro qualità di componenti della commissione giudicatrice della gara pubblica indetta per l'affidamento dei servizi di consulenza legale in favore della (OMISSIS), hanno costantemente informato, anche via mail, dell'andamento dei lavori della commissione, il D., al quale, come ammesso dalla stessa a B., erano stati comunicati i punteggi provvisori "nella giornata-serata del 26 febbraio 2015, a poche ore dalla riunione che si sarebbe tenuta il giorno successivo in prima mattinata".


In tal modo il D., pur essendo formalmente estraneo alla commissione giudicatrice, sulla base di un evidente accordo collusivo, era messo nella condizione di decidere come attribuire i punteggi e di controllare l'operato dei commissari, interferendo nel loro operato (si pensi all'esortazione rivolta via mail alla D. di convincere la terza componente, J., ad attestarsi sulle loro posizioni), nonchè di modificare "in limine della seduta pubblica i punteggi già attribuiti singolarmente agli studi legali T. e C. che avevano presentato le relative offerte in modo da favorire il secondo".


Correttamente la corte territoriale evidenzia che, ove anche si volesse considerare la comunicazione dei punteggi al D. e l'inserimento dei dati relativi allo svolgimento della gara nella cartella condivisa Dropbox, una prassi, essa in quanto tale si presentava come "un modo di sviamento della procedura amministrativa da parte della commissione esaminatrice", che avrebbe dovuto "operare in modo che dovesse essere esclusa ogni interferenza nel regolare svolgimento della procedura stessa".


Sicchè, come osserva il giudice di secondo grado, appare del tutto irrilevante che la a B. "non abbia modificato il proprio punteggio finale all'interno del lavoro della commissione".


Sotto il profilo dell'elemento soggettivo del reato, che si presenta in termini di dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di turbare il corretto svolgimento della gara, non è revocabile in dubbio che esso si desuma dalle concrete circostanze e modalità del fatto, che, come messo in luce dai giudici di merito, rivelano un previo concerto tra i concorrenti, ciascuno dei quali ha agito per una finalità unitaria, con la consapevolezza del ruolo svolto dagli altri e con la volontà di agire in comune (cfr. Cass., Sez. 6, n. 37337 del 10/07/2003; Rv. 227321).


9. Come si è visto l'inammissibilità dei ricorsi è determinata dalla circostanza che la maggior parte delle questioni di diritto poste sono manifestamente infondate, perchè risolte da tempo dalla giurisprudenza di legittimità, con orientamenti costanti e sedimentati nel tempo, non tenuti in conto dai ricorrenti.


Ciò posto, va fornita una risposta riepilogativa ai singoli motivi di ricorso degli imputati, innanzitutto alla luce dei principi di diritto innanzi evidenziati.


9.1. Partendo dai ricorsi presentati nell'interesse di G.F., vanno considerati manifestamente infondati il primo, il secondo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo di impugnazione del ricorso a firma dell'avv. Osele, nonchè il primo, il secondo ed il terzo motivo di impugnazione del ricorso a firma dell'avv. Baccaredda Boy.


Generico e di natura meramente fattuale appare il settimo motivo del ricorso a firma dell'avv. Osele.


Mentre manifestamente infondato, generico ed attinente al merito del trattamento sanzionatorio appare il sesto motivo del ricorso del suddetto difensore.


La corte territoriale, infatti, ha correttamente individuato nella gravità del reato in addebito, desunta dalle modalità dei fatti, unitamente alla mancanza di elementi concreti da valutare a favore del reo, l'ostacolo alla concessione delle invocate circostanze ex art. 62 bis c.p., facendo, pertanto, corretto uso dei criteri fissati dall'art. 133 c.p., conformemente all'orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, che giustifica il diniego delle attenuanti generiche anche solo sulla base della gravità della condotta (cfr., ex plurimis, Cass., sez. IV, 28/05/2013, n. 24172; Cass., sez. III, 23/04/2013, n. 23055, rv. 256172).


Allo stesso tempo il giudice di secondo grado ha correttamente escluso il riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 114 c.p., rilevando che, in considerazione della sua posizione di presidente della (OMISSIS), la cui opera era indispensabile e determinante ai fini della realizzazione delle condotte illecite in contestazione, al G. non può riconoscersi un ruolo di minima importanza nell'esecuzione del reato, che contraddistingue tale circostanza.


Ed invero ai fini della integrazione della circostanza attenuante della minima partecipazione, di cui all'art. 114 c.p., come affermato dall'orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, non è sufficiente una minore efficacia causale dell'attività prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri, in quanto è necessario che il contributo dato si sia concretizzato nell'assunzione di un ruolo di rilevanza del tutto marginale, ossia di efficacia causale così lieve rispetto all'evento da risultare trascurabile nell'economia generale dell'"iter" criminoso (cfr. ex plurimis, Cass., sez. 2, del 18/12/2012, n. 835, rv. 254051).


Tale, in tutta evidenza, non è stato il contributo del G..


Generico, infine, è l'ottavo motivo di impugnazione, prospettato dall'avv. Osele, alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino a lamentare l'omessa valutazione, da parte del giudice dell'appello, delle censure articolate con il relativo atto di gravame, rinviando genericamente ad esse, senza indicarne specificamente il contenuto, al fine di consentire l'autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l'atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (cfr., ex plurimis, Cass., sez. III, 4.11.2014, n. 35964, rv. 264879).


9.2. Passando al ricorso di C.S., sono manifestamente infondati, per le ragioni già esposte, il primo, il secondo, il terzo, il sesto ed il settimo motivo di impugnazione, nonchè, trattandosi di rilievi meramente fattuali e generici, il quarto ed il quinto motivo di impugnazione.


Manifestamente infondati e di natura meramente fattuale devono ritenersi l'ottavo ed il nono motivo di ricorso.


Ancora una volta infatti il ricorrente non si confronta con orientamenti giurisprudenziali sedimentati nel tempo della Suprema Corte, che, sin dal 1994 ha affermato il principio secondo cui, allorquando all'imputato sia stato contestato di essere stato l'autore materiale del fatto, non v'è mutamento della contestazione se il giudice, poi, lo ritenga responsabile a titolo di concorso morale. Tale modifica, infatti, non comporta una trasformazione essenziale del fatto addebitato, nè può provocare menomazione del diritto di difesa, poichè l'accusa di partecipazione materiale al reato necessariamente implica, a differenza di quanto avverrebbe nell'ipotesi inversa, la contestazione di un concorso morale nella commissione del reato (cfr. Cass., Sez. 1, n. 3791 del 16/02/1994, Rv. 198715; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 1258 del 21/01/1998, Rv. 210231; Cass., Sez. 5, n. 42691 del 03/06/2005, Rv. 232836; Cass., Sez. 1, n. 42993 del 25/09/2008, Rv. 241825; Cass., Sez. 2, n. 12207 del 17/03/2015, Rv. 263017).


Evidente, poi, che il contributo morale dell'avv. C. è costituito dall'avere condiviso e rafforzato il proposito criminoso, volto, come si è detto, a favorirlo attraverso la predisposizione dei documenti falsi, necessari per ottenere gli emolumenti, che gli sono stati effettivamente corrisposti.


Inammissibili, perchè generiche ed, in realtà, fondate su di una lettura alternativa del materiale probatorio, appaiono le doglianze articolate nel decimo, undicesimo e dodicesimo motivo di ricorso, in relazione ai quali va ribadito il seguente principio, da tempo affermato nella giurisprudenza di legittimità.


Secondo il disposto dell'art. 597 c.p.p., comma 1, l'appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione nel procedimento (limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti). Pertanto il giudice d'appello deve tenere presente, dandovi risposta in motivazione, quali sono state le doglianze dell'appellante in ordine ai punti o ai capi investiti dal gravame, ma non è tenuto ad indagare su tutte le argomentazioni elencate in sostegno dell'appello quando esse siano incompatibili con le spiegazioni svolte nella motivazione, poichè in tal modo quelle argomentazioni si intendono assorbite e respinte dalle spiegazioni fornite dal giudice di secondo grado (cfr. Cass., Sez. 1, n. 1778 del 21/12/1992, Rv. 194804).


Orbene, nel caso in esame, la ricostruzione sulla sussistenza degli elementi costitutivi delle fattispecie penali contestata al C., costituisce, assorbendole in sè, esaustiva risposta alle questioni di cui il ricorrente lamenta la mancata considerazione da parte del giudice di appello.


Manifestamente infondato, generico ed attinente al merito del trattamento sanzionatorio appare il tredicesimo motivo di ricorso, in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Al riguardo si rinvia alle considerazioni già svolte affrontando la posizione del G., posto che, anche in questo caso, il rigetto si fonda sulla gravità delle condotte poste in essere dal reo.


Manifestamente infondata e generica si palesa la denuncia di contraddittorietà della motivazione della corte territoriale, contenuta nel quattordicesimo motivo di ricorso.


Non appare revocabile in dubbio la configurabilità della circostanza aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 11, in quanto le condotte criminose di cui si discute sono state poste in essere dal C., abusando, vale a dire sfruttando indebitamente superando i limiti ad esso intrinseci, il rapporto di prestazione d'opera che si era instaurato tra lui e la (OMISSIS).


Per il ricorrente ciò sarebbe in insanabile contrasto con l'affermazione della corte di appello, finalizzata a sostenere la configurabilità anche della circostanza aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 9, secondo cui il C. ha approfittato della posizione di responsabile dell'ufficio legale della (OMISSIS), Debiase per potere realizzare il suo disegno criminoso. Tuttavia, alcuna contraddizione è dato di rinvenire in tale assunto, perchè, fu proprio l'abuso della propria funzione palesemente realizzato dal Debiase a consentire, nell'ambito del rapporto professionale creato con il C., la consumazione dei delitti in precedenza indicati, il cui scopo, come si è più volte detto, era proprio favorire indebitamente il professionista resosi aggiudicatario del servizio.


9.3. Con riferimento al ricorso presentato nell'interesse di a B.A.P., devono ritenersi manifestamente infondati, per le ragioni già esposte, il primo, il secondo, il terzo, il quarto, il sesto, il settimo, l'ottavo e il nono motivo di impugnazione, senza tacere che l'ottavo ed il nono presentano anche censure di ordine fattuale.


Rilievi meramente fattuali e generici, contrassegnano, invece il quinto, il decimo e l'undicesimo motivo di ricorso.


Manifestamente infondato, generico ed attinente al merito del trattamento sanzionatorio appare il dodicesimo tredicesimo motivo di ricorso, in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza attenuante di cui all'art. 114 c.p..


Al riguardo si rinvia alle considerazioni già svolte affrontando la posizione del G., posto che, anche in questo caso, il rigetto si fonda sulla gravità delle condotte poste in essere dall'imputata.


Infine, a prescindere dalla circostanza se la a B. fosse o meno responsabile del procedimento, si osserva che la ricorrente invoca apoditticamente l'applicazione in suo favore della circostanza attenuante di cui all'art. 114 c.p., senza indicare in che termini il contributo della a B. alla commissione dei reati in contestazione, in qualità di materiale autrice dei documenti retrodatati e di "informatrice" del Debiase sull'andamento dei lavori della commissione di gara, possa ritenersi di efficacia causale così lieve rispetto all'evento, da risultare trascurabile nell'economia generale dell'"iter" criminoso.


9.4. Manifestamente infondati e generici, per le ragioni già esposte, vanno considerati il primo, il secondo ed il terzo motivo di impugnazione del ricorso presentato nell'interesse di D.A..


10. Alla dichiarazione di inammissibilità, segue la condanna di ciascun ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro tremila a favore della Cassa delle Ammende, tenuto conto della circostanza che l'evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere questi ultimi immuni da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000), nonchè, il solo G.F., al pagamento delle spese processuali sostenute nel grado dalla parte civile Associazione (OMISSIS) in liquidazione, che si liquidano in complessivi Euro 2000,00, oltre accessori di legge.


P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna G.F. al pagamento delle spese processuali sostenute nel grado dalla parte civile Associazione (OMISSIS) in liquidazione, che si liquidano in complessivi Euro 2000,00, oltre accessori di legge.


Così deciso in Roma, il 9 settembre 2020.


Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2020

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