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Truffa: in caso di falso contratto assicurativo rinnovabile, la prescrizione decorre dal rinnovo


Sentenze della Corte di Cassazione in relazione al reato di truffa

La massima

Nell'ipotesi di truffa realizzata inducendo la vittima a sottoscrivere un falso contratto assicurativo a fini di investimento, con possibilità di rinnovo del rapporto contrattuale alla scadenza, costituisce atto di disposizione patrimoniale, causativo del profitto ingiusto, con correlativo danno per la persona offesa, non solo il versamento del premio assicurativo, ma anche la decisione del deceptus di destinare le somme già investite, incrementate dell'eventuale guadagno, al rinnovo della polizza, invece di chiederne la restituzione. (In applicazione del principio, la Corte ha individuato il dies a quo del termine di prescrizione nella data di rinnovo contrattuale - Cassazione penale , sez. II , 12/04/2022 , n. 24277).

 

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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. II , 12/04/2022 , n. 24277

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d'appello di Torino, con la sentenza impugnata in questa sede, confermava la condanna alle pene di giustizia pronunciata nei confronti di G.P.C. dal G.u.p. del Tribunale di Cuneo, in data 14 giugno 2018, per i delitti di truffa aggravata continuata e autoriciclaggio.


2. Propone ricorso per cassazione la difesa dell'imputato deducendo, con il primo motivo, violazione della legge penale, in relazione all'art. 640 c.p., in riferimento all'individuazione dell'elemento degli artifici e raggiri e della loro idoneità decettiva; la Corte territoriale avevo omesso di valutare la notoria complessità delle operazioni contrattuali riguardanti investimenti di tipo assicurativo, a fronte dell'evidente inidoneità della documentazione sottoposta dall'imputato e dal correo ai clienti che avrebbero dovuto sospettare dell'anomala modalità di conclusione dei contratti.


2.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge, in relazione agli artt. 157 e 640 c.p., con riguardo all'individuazione del momento consumativo delle singole truffe e, conseguentemente, del termine di prescrizione dei reati contestati; la sentenza impugnata aveva qualificato le condotte messe in atto dall'imputato quale fattispecie di truffe a consumazione prolungata, per effetto dell'inziale stipulazione dei contratti con artifici riconducibili all'uso di polizze false, con i successivi rinnovi periodici delle stesse polizze, mentre assumeva rilievo unicamente il momento della corresponsione delle somme da investire all'atto dell'originaria stipulazione, restando irrilevanti le successive condotte finalizzate a mantenere la disponibilità delle somme investite; il che implicava l'intervenuta prescrizione dei reati, come già analiticamente indicato nella memoria depositata nel giudizio di appello.


2.2. Con il terzo motivo si deduce vizio della motivazione per contraddittorietà, nella parte in cui la Corte dopo aver affermato di condividere la qualificazione dei delitti di truffa operata dal giudice di primo grado, quale ipotesi di truffa a consumazione prolungata, aveva affermato che i fatti contestati integravano autonome fattispecie di truffa, consumate compiutamente in occasione dei singoli rinnovi, così escludendo in modo evidentemente contraddittorio l'intervenuta prescrizione degli episodi più risalenti.


2.3. Con il quarto motivo si deduce l'inosservanza di norme processuali previste a pena di nullità, in relazione all'art. 522 c.p.p., per l'omessa contestazione del fatto nuovo relativo al rinnovo della polizza indicata nel capo B) dell'imputazione, avvenuto nell'anno 2016, non potendo ritenersi sufficiente che il fatto storico fosse desumibile dal tenore dell'imputazione.


2.4. Con il quinto motivo si deduce violazione di legge, in relazione all'art. 648 ter.1 c.p. e al D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 117, con riguardo alla valutazione dell'idoneità della condotta tipica nell'ostacolare l'individuazione della provenienza delittuosa delle somme provento delle truffe; l'utilizzazione del conto "separato" destinato all'incasso delle polizze (secondo il disposto del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 117), per far confluire nuovamente nel patrimonio dell'agenzia le somme di illecita provenienza, era del tutto inidoneo a costituire ostacolo all'individuazione della provenienza di quelle somme, poiché secondo le disposizione regolamentari e interne ogni controllo eseguito su quel conto - dove per legge devono confluire esclusivamente i premi pagati all'intermediario assicurativo e le somme destinate ai risarcimenti o ai pagamenti dovuti dalle imprese di assicurazione, se regolati per il tramite dell'intermediario - avrebbe fatto immediatamente emergere l'esistenza di assegni versati che non facevano riferimento a pagamento di polizze da parte di clienti, ma ad operazioni provenienti dal conto aperto dall'imputato per raccogliere le somme fraudolentemente ottenute dai clienti ingannati; allo stesso modo il controllo dei prelevi eseguiti, per il pagamento delle provvigioni, avrebbe immediatamente consentito di rilevare la discrepanza tra le provvigioni effettivamente maturate e i prelievi eseguiti a quel titolo.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è solo parzialmente fondato, nei termini di seguito precisati.


1.1. Il primo motivo di ricorso è reiterativo dell'identica censura posta a base dell'atto di appello, che la Corte territoriale ha affrontato e risolto (pag. 20) mettendo in luce che l'eventuale difetto di diligenza delle persone offese non elideva il carattere fraudolento delle condotte poste in essere dal ricorrente mediante la predisposizione e consegna di fasulle "polizze" assicurative a giustificazione dell'affidamento di somme di denaro da parte degli ignari clienti, che riponevano un' "incondizionata fiducia" nel G. e nel correo M., in ragione della pluriennale conoscenza e non erano dotati di "specifiche cognizioni tecniche" che avrebbero potuto metterli in guardia sull'anomala conclusione dei contratti assicurativi proposti a fini di investimento, per di più a fronte di reiterate rassicurazioni ricevute dagli agenti assicurativi.


Si è in presenza di motivazione coerente con l'insegnamento della giurisprudenza della Corte, a mente del quale il profilo dell'induzione in errore non è escluso dall'eventuale mancanza di diligenza o di prudenza da parte della persona offesa, nella misura in cui essa risulti determinata dalla fiducia che l'agente ha saputo conquistarsi presso la controparte contrattuale (Sez. 2, n. 23940 del 15/07/2020, Rosati, Rv. 279490 - 0).


1.2. Il secondo ed il terzo motivo, che riguardano entrambi il profilo dell'accertamento delle epoche di consumazione delle contestate truffe, nella prospettiva sia della violazione di legge che del vizio motivazionale, sono infondati.


La questione decisiva è quella della interpretazione delle polizze, dei rinnovi contrattuali riguardanti la durata dei rapporti assicurativi e delle condizioni a cui era subordinata la rinnovazione.


Dalla ricostruzione delle vicende negoziali, come restituita pacificamente dalle sentenze di merito (la sentenza impugnata a pagg. 22-23: quella di primo grado a pag. 5) e non contestata in fatto dal ricorrente, risulta che egli, oltre a ricevere le somme di denaro, indicate nelle polizze che consegnava all'atto dell'instaurazione del rapporto, ed eventuali successivi versamenti sempre destinati, nella fraudolenta rappresentazione del ricorrente, ad incrementare l'ammontare dei capitali affidati all'impresa assicuratrice, alla scadenza dei periodi contrattuali non restituiva le somme investite ma, attraverso ulteriori condotte decettive, induceva i clienti a non richiedere la restituzione del capitale investito (e dei supposti utili realizzati attraverso quella forma d'investimento), ma a prolungare il rapporto contrattuale secondo le pattuizioni che prevedevano la facoltà del rinnovo della polizza (v. la sentenza di primo grado, sempre a pag.5).


Le caratteristiche del rapporto, pertanto, fanno emergere come il dato dell'atto di disposizione, che ha determinato il profitto ingiusto con il correlativo danno per le persone offese, non possa essere ridotto ai soli momenti in cui venivano effettuati i versamenti delle somme di denaro; l'atto di disposizione non era solo quello dei versamenti delle somme corrispondenti al premio assicurativo, ma anche quello, a conclusione dell'originario periodo contrattuale, della scelta di mantenere le somme già investite - in luogo del loro incasso con l'eventuale guadagno realizzato - con il nuovo impiego per rinnovare l'accordo contrattuale e dare luogo ad un nuovo investimento (per l'affermazione della rilevanza delle condotte aventi ad oggetto la rinegoziazione di condizioni contrattuali integranti la nozione di atti di disposizione Sez. 2, n. 29853 del 23/06/2016, Prattichizzo, Rv. 268074 - 0, nella motivazione, p. 1.2.1.: "l'attività decettiva succitata (artifizi e raggiri successiva alla conclusione del contratto) non si limita solo a "tranquillizzare" il creditore che preme per essere pagato, ma si concretizza anche in ulteriori attività giuridiche come ad es. il ritiro dei titoli di credito non andati a buon fine con altri, o la completa rinegoziazione del pagamento. Ora, è evidente che, tale ulteriore attività giuridica, ove sia indotta dall'agente con artifizi e raggiri, configura il reato di truffa proprio perché l'agente induce la vittima a compiere un'attività giuridica che non avrebbe compiuto senza quella condotta decettiva").


E' dunque errata la prospettiva in cui si pone il ricorrente, quando ritiene che le condotte successive all'originaria stipulazione "eventualmente poste in essere dall'intermediario, sia pure al fine di mantenere la disponibilità dell'utilità economica mediante la conservazione dell'apparenza di un valido contratto, quando non comportino più un effettivo esborso di ulteriori somme da parte della persona offesa non costituiscono azione tipica penalmente rilevante, ma meri post-fatti non punibili" (pag. 20 del ricorso); l'atto di disposizione che tipizza la condotta di reato - per come si legge d'altronde nel testo delle imputazioni - era esattamente l'"omessa richiesta di restituzione" della somma già versata, che veniva contestata come misura dell'ingiusto profitto. L'interpretazione dell'elemento della fattispecie trova l'autorevole avallo nella giurisprudenza delle Sezioni unite della Corte, che ha fissato la relativa nozione indicandola "in un atto volontario, causativo di un ingiusto profitto altrui a proprio danno e determinato dall'errore indotto da una condotta artificiosa. Ne consegue che lo stesso non deve necessariamente qualificarsi in termini di atto negoziale, ovvero di atto giuridico in senso stretto, ma può essere integrato anche da un permesso o assenso, dalla mera tolleranza o da una "traditio", da un atto materiale o da un fatto omissivo, dovendosi ritenere sufficiente la sua idoneità a produrre un danno" (Sez. Unite, n. 155 del 29/09/2011, dep. 2012, Rossi, Rv. 251499 - 01; nello stesso senso Sez. 2, n. 37133 del 2/10/2020, Quintieri, n. m.; Sez. 2, n. 6939 del 1/10/2020, Baricevic, n. m.).


Così delineate le caratteristiche della condotta e del momento realizzativo dell'evento, va esclusa la denunciata violazione di legge in quanto è corretta l'individuazione dell'epoca di consumazione delle truffe contestate che non coincide con il momento del materiale versamento delle somme indicate nelle polizze, anche attraverso successivi versamenti, ma nei momenti temporali successivi in cui mediante le condotte fraudolente descritte (e che gli agenti avevano già deliberato e programmato nell'ottica della realizzazione del profitto) i clienti del G. anziché porre termine al rapporto negoziale, si determinavano a non richiedere la restituzione dei capitali investiti rinnovando la durata delle polizze. L'unitarietà delle fraudolente operazioni realizzate in danno delle singole persone offese (come ricostruita dal giudice di primo grado nel considerare assorbite in un'unica figura di reato le originarie contestazioni separate relative l'una ai versamenti eseguiti, l'altra ai rinnovi contrattuali delle medesime polizze), conduce correttamente a ravvisare nelle fattispecie in esame l'ipotesi della truffa a consumazione prolungata attuata mediante una pluralità di condotte d'inganno che consentivano di conseguire prima la materiale disponibilità delle somme ricevute dai clienti e, successivamente, il prolungarsi del rapporto contrattuale da cui discendeva il venir men dell'obbligo di restituire le somme investite. In questi termini la doglianza relativa al maturato termine di prescrizione dei reati contestati è anch'essa infondata, poiché per tutti i contratti stipulati le epoche di rinnovazione sono comprese tra l'anno 2015 e l'anno 2016, il che comporta che il termine massimo di prescrizione dei reati non è ancora maturato.


Quanto al terzo motivo, che lamenta la contraddittorietà della motivazione con riguardo alla denunciata questione riguardante l'epoca di consumazione del reato e le conseguenze in punto di prescrizione, lo stesso va dichiarato inammissibile, alla stregua dell'insegnamento di legittimità secondo il quale " in tema di ricorso per cassazione, i vizi di motivazione indicati dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), non sono mai denunciabili con riferimento alle questioni di diritto, non solo quando la soluzione adottata dal giudice sia giuridicamente corretta, ma anche nel caso contrario, essendo, in tale ipotesi, necessario dedurre come motivo di ricorso l'intervenuta violazione di legge" (Sez. Unite, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 - 05).


1.3. E' invece fondato il quarto motivo di ricorso per ciò che concerne il reato contestato al capo B).


La condotta descritta nella relativa imputazione fa riferimento alla sola corresponsione originaria delle somme versate al ricorrente dietro il consueto fraudolento rilascio della polizza; nessuna condotta relativa ad attività di rinnovo è descritta e contestata né può valere, come affermato dalla sentenza impugnata, che dagli atti di causa fosse emersa la vicenda del rinnovo della polizza anche per tale contratto; si trattava, evidentemente, di un fatto storico diverso da quello descritto nell'imputazione, che doveva essere contestato nelle forme previste dall'art. 516 c.p.p..


In ragione di ciò, il reato di cui al capo B) per cui è stata riconosciuta la responsabilità del ricorrente, consumato in data 5 aprile 2012, alla data del 5 ottobre 2019 in epoca anteriore alla pronuncia in grado di appello era estinto per intervenuta prescrizione, il che impone l'annullamento della sentenza impugnata sul punto.


1.4. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile, poiché formulato per motivi non consentiti.


Pur denunciando la violazione di legge quanto all'individuazione dell'elemento dell'idoneità delle condotta posta in essere dall'imputato nell'ostacolare l'individuazione della provenienza delittuosa delle somme provento delle truffe consumate, il motivo consiste in una rilettura degli elementi di fatto posti a base delle decisioni di merito, nella prospettiva di una più favorevole ricostruzione per l'imputato, tale da escludere che l'istituzione di un rapporto di conto corrente (ove l'imputato faceva confluire le somme ricevute dai clienti indotti in errore) destinato a far transitare i proventi delittuosi per il successivo versamento sul conto separato ex D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 117 costituisse modalità idonea a render più difficoltosa l'individuazione della provenienza di quelle somme.


La sentenza impugnata ha ampiamente motivato sul punto (pagg. 27-30), indicando le fonti di prova e i dati fattuali che dimostravano come l'istituzione di un conto sconosciuto ai dipendenti dell'agenzia del ricorrente e destinato in via esclusiva al versamento delle somme provento delle truffe, rappresentava condotta in grado astrattamente di rendere più difficoltoso l'accertamento circa la provenienza di quelle somme che, attraverso assegni emessi a favore dell'agenzia (e quindi con le modalità che caratterizzavano i pagamenti delle polizze lecitamente stipulate i cui corrispettivi venivano versati sul conto separato), finivano per confluire nel conto istituzionalmente deputato a raccogliere i premi assicurativi così confondendosi con le entrate di natura lecita. I rilievi mossi dal ricorrente, invece, ai affidano a profili di accertamento in fatto sulle modalità dei controlli che la società assicuratrice avrebbe potuto effettuare sulle somme versate sul conto separato intestato all'agenzia, che in questa sede non possono formare oggetto di apprezzamento; oltre a ciò, se pur quei rilievi dessero conto della possibilità di disvelamento della provenienza illecita, ciò non risulta ostativo al riconoscimento dell'attitudine del mezzo adottato dal ricorrente nell'ostacolare l'individuazione della provenienza delittuosa (poiché per realizzare la condotta di riciclaggio e autoriciclaggio non è necessario che sia efficacemente impedita la tracciabilità del percorso dei beni provento di reato, ma è sufficiente anche che essa sia solo ostacolata: Sez. 2, n. 26208 del 09/03/2015, Steinhauslin, Rv. 264369 - 01).


2. Per effetto dell'annullamento della sentenza impugnata, nei termini su indicati, va rideterminata la pena complessiva da infliggere (che il Tribunale aveva computato in anni 6 di reclusione ed Euro 10.500 di multa), tenendo conto dell'aumento di pena fissato dalla sentenza di primo grado, per il delitto di cui al capo B), in mesi 4 ed Euro 500 di multa; la pena complessiva risulta quindi pari a anni 5 e mesi 8 di reclusone ed Euro 10.000 di multa, da ridursi per il rito abbreviato alla pena finale di anni 3 mesi 9 e giorni 10 di reclusione ed Euro 6666 di multa.


L'imputato va inoltre condannato al pagamento delle spese sostenute nel grado dalle costituite parti civili Unipol Sai Ass.ni, H.V. in proprio e quale erede di S.F., S.R. e S.H. quali eredi di S.F. nella misura indicata in dispositivo.


P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo B) perché estinto per prescrizione, e per l'effetto, ridetermina la pena nei confronti di G.P.C. in anni tre, mesi nove, giorni dieci di reclusione ed Euro 6.666,00 di multa.


Rigetta nel resto il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al pagamento delle spese sostenute nel grado dalle costituite parti civili Unipol Sai Ass.ni che liquida in Euro 3.510,00 oltre accessori di legge; H.V. in proprio e quale erede di S.F. che liquida in Euro 3.510,00 oltre accessori di legge; S.R. e S.H. quali eredi di S.F. che liquida in complessi Euro 3.393,00 oltre accessori di legge.


Così deciso in Roma, il 12 aprile 2022.


Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2022

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