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Truffa: la mancanza di querela non impedisce l'estradizione verso l'estero


Sentenze della Corte di Cassazione in relazione al reato di truffa

La massima

La mancanza di querela non impedisce l'estradizione verso l'estero per il reato di truffa in base alla Convenzione europea di estradizione, che non prevede, tra le condizioni richieste perché vi si faccia luogo, il controllo sui presupposti per la procedibilità del reato secondo la legislazione delle Parti contraenti (Cassazione penale, sez. VI, 22/01/2020, n. 7975).


 

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La sentenza integrale

Cassazione penale, sez. VI, 22/01/2020, n. 7975

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 15 maggio 2019 la Corte di appello di Venezia ha dichiarato la sussistenza delle condizioni per l'estradizione processuale verso la Confederazione Svizzera del cittadino italiano S.N. in conseguenza degli ordini di arresto internazionale emessi dal Procuratore pubblico del cantone Ticino il 26 ottobre 2018 ed il 27 novembre 2018, limitatamente ai reati di appropriazione indebita e truffa ai danni di M.A. (art. 138 c.p. svizzero, comma 2 e art. 146 c.p. svizzero) e di riciclaggio aggravato (ex art. 305-bis c.p., comma 2, cit.), ritenendo insussistenti, di contro, le condizioni per provvedere sulla consegna in relazione agli ulteriori reati ascrittigli nella richiesta.


Con la medesima pronunzia, inoltre, la Corte d'appello ha applicato all'estradando le misure cautelari dell'obbligo di presentazione alla P.G. e del divieto di espatrio con il ritiro del passaporto e degli altri documenti validi per l'espatrio.


2. Avverso la su indicata decisione ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello, deducendo vizi di inosservanza o erronea applicazione dell'art. 704 c.p.p., comma 3, e l'assenza di motivazione con riferimento alle ragioni del rigetto della richiesta, avanzata dal P.G. in sede di requisitoria, di applicazione della diversa misura coercitiva della custodia cautelare in carcere, attesa la richiesta in tal senso formulata dallo stesso Ministro della Giustizia in data 5 febbraio 2019.


3. Nell'interesse di S.N. ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia, deducendo otto motivi di doglianza il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente indicato.


3.1. Con il primo motivo si lamenta la violazione dell'art. 12, comma 2, lett. a), della Convenzione Europea di estradizione del 13 dicembre 1957, con riferimento alla mancata trasmissione della copia conforme ovvero dell'originale dei mandati di arresto internazionale emessi il 26 ottobre ed il 27 novembre 2018 dalla Procura del Canton Ticino, posta in relazione alla prospettata inconsistenza e indeterminatezza dei fatti contestati a sostegno della richiesta di consegna.


3.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione dell'art. 26, comma 3 e 6, comma 1, lett. a), della su citata Convenzione, per avere lo Stato richiedente apposto una specifica dichiarazione di riserva in deroga alla condizione di reciprocità fra Stati firmatari della Convenzione, sulla base della regola della non estradabilità dei cittadini svizzeri, salvo il loro espresso consenso, con la conseguenza che la Svizzera non potrebbe, a sua volta, pretendere l'estradizione di un cittadino italiano.


3.3. Con il terzo motivo si contesta la violazione dell'art. 13 c.p., comma 2, e art. 2, comma 1, della su citata Convenzione Europea, sotto il profilo della ritenuta sussistenza del requisito della doppia incriminabilità sia per il delitto di riciclaggio - dalla Corte distrettuale riqualificato nell'ipotesi di autoriciclaggio di cui all'art. 648-ter c.p. - sia per i delitti di appropriazione indebita e truffa, non avendo costituito oggetto di valutazione la causa di non punibilità prevista dall'art. 648-ter c.p., comma 4 per il delitto di autoriciclaggio (atteso che nella relazione integrativa del 1 marzo 2019 il Procuratore elvetico ha evidenziato che una parte della somma nella disponibilità dell'estradando è stata da lui utilizzata per fini personali), nè l'assenza di allegazioni riguardo all'assolvimento della condizione di procedibilità a querela di parte per i delitti di appropriazione indebita e truffa.


3.4. Con il quarto motivo si lamenta la violazione dell'art. 7, comma 2, della richiamata Convenzione, muovendo dall'assunto che per nessuno dei reati contestati nei su menzionati mandati di arresto potrebbe ritenersi sussistente la giurisdizione dello Stato richiedente: lo stesso P.M. elvetico, infatti, ha ipotizzato, nel mandato di arresto del 27 novembre 2018, che i fondi sarebbero stati "fatti sparire" in non meglio precisati conti accesi fra l'Italia, Singapore e gli U.S.A., mentre la società riconducibile all'estradando, ove la persona offesa M.A. avrebbe riversato delle somme di danaro per il loro investimento, ha la sua sede in Singapore e nel territorio svizzero non è stato rinvenuto alcun fondo appartenente all'estradando.


3.5. Con il quinto motivo si lamenta la violazione dell'art. 709 c.p.p., comma 1, e art. 19 della Convenzione Europea di estradizione, non avendo la Corte d'appello tenuto conto, ai fini della necessaria sospensione della consegna dell'estradando, del fatto che egli deve essere giudicato in Italia perchè sottoposto a due procedimenti penali per truffa dinanzi alle Autorità giudiziarie di Padova e di Pavia.


3.6. Con il sesto motivo si deducono violazioni di legge e vizi della motivazione relativamente al vaglio dalla Corte d'appello operato circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ai sensi dell'art. 705 c.p.p., comma 1, e dell'art. 12 della richiamata Convenzione, atteso che la sentenza impugnata si è limitata alla presa d'atto dell'esistenza del titolo processuale - ossia dei richiamati mandati di arresto - senza considerare il fatto che in essi non vengono evocate le fonti di prova concretamente poste alla base della ricostruzione ivi delineata dal P.M. elvetico, ma elementi solo genericamente riferiti a denunce di investitori italiani ovvero ad una non meglio specificata documentazione relativa all'investimento di somme di denaro attraverso strumenti finanziari che l'estradando avrebbe utilizzato in Singapore attraverso una società (la "NSMFO Investments") che era stata posta in liquidazione dalle autorità di Singapore a seguito di una richiesta avanzata da un investitore italiano, ciò che aveva reso necessario - per risolvere le problematiche legate alla liquidazione della società e al blocco del relativo conto corrente bancario - far fronte (con il denaro proveniente dal M., in quanto socio al 10/0 della predetta società) ad un rilevante impegno economico per rientrare nell'amministrazione della stessa, soddisfare qualsiasi pretesa e consentirle dunque una nuova operatività.


3.7. Con il settimo motivo si deduce la violazione dell'art. 705 c.p.p., comma 2, lett. a), avendo la Corte d'appello erroneamente valutato la denunciata sussistenza della causa ostativa legata ad atti persecutori o discriminatori in ragione del fatto che il Procuratore del Canton Ticino, con due missive del 4 dicembre 2018 e del 2 gennaio 2019, avrebbe invitato l'estradando a presentarsi in Svizzera per chiarimenti, senza però informarlo dell'emissione dei due precedenti mandati di arresto internazionale, così violando i suoi diritti di difesa; circostanza di fatto, questa, da valutare unitamente alle risultanze di una dichiarazione, in atti versata, resa da persona ( K.P.) secondo cui il Procuratore del Canton Ticino avrebbe personalmente sollecitato gli investitori a sporgere querela nei confronti dello S..


3.8. Con l'ottavo motivo, infine, si deduce la violazione dell'art. 705 c.p.p., comma 2, lett. c-bis), in ragione dell'erronea valutazione dalla Corte d'appello operata circa l'esistenza di patologie mediche il cui trattamento terapeutico, se interrotto, potrebbe avere anche gravi ricadute sullo stato di salute dell'estradando.


4. Con successivo ricorso del 9 settembre 2019 il difensore di S.N., premesso di avere già depositato un primo atto d'impugnazione in data 16 agosto 2019 e di avere nelle more acquisito ulteriori documenti a sostegno dell'insussistenza del requisito dei gravi indizi di colpevolezza, ha nuovamente depositato il precedente atto integrandolo con i nuovi elementi acquisiti, di cui si è riservato di depositare l'originale.


5. Con memoria depositata nella Cancelleria di questa Suprema Corte in data 16 gennaio 2020, il difensore dell'estradando ha svolto, con il corredo di ulteriore documentazione ivi richiamata, una serie di argomentazioni a sostegno sia della fondatezza dell'ottavo motivo di doglianza enucleato nel proprio ricorso, che della infondatezza dei motivi di ricorso del P.G., osservando segnatamente: a) che la persona richiesta in consegna è attualmente sottoposta alla misura cautelare degli arresti domiciliari nell'ambito di un procedimento penale instaurato dinanzi alla procura della Repubblica presso il Tribunale di Padova per reati strettamente collegati a quelli oggetto della domanda estradizionale; b) che proprio le gravi condizioni di salute in cui versa l'estradando - le stesse già rappresentate dinanzi alla Corte distrettuale - ne hanno determinato la sottoposizione alla misura della detenzione domiciliare in conseguenza di un provvedimento adottato dal Tribunale del riesame di Venezia, che oltre ad aver escluso la sussistenza del pericolo di fuga, ne ha al contempo riconosciuto una sorta di incompatibilità con la misura carceraria.


In via subordinata si propone: a) eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 704, comma 3, cit., in relazione all'art. 13 Cost., comma 2, art. 27 Cost., comma 3, art. 32 Cost., comma 1 e art. 111 Cost., commi 1 e 2, là dove non prevede che il giudice penale, sussistendo gravi motivi di salute per la persona richiesta in consegna, possa applicare una misura cautelare diversa da quella custodiale in caso di sentenza favorevole all'estradizione, atteso che la formulazione della disposizione codicistica preclude qualsiasi possibilità di valutazione discrezionale all'Autorità giudiziaria, cui si richiede di disporre la più grave delle misure cautelari sulla base di un atto non motivato; b) eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 704, comma 3, cit., in relazione agli artt. 13,111 e 113 Cost., nella parte in cui non prevede che il giudice penale possa applicare una misura cautelare diversa da quella custodiale in caso di sentenza favorevole all'estradizione, qualora dinanzi alle autorità italiane penda un procedimento penale connesso a quello per cui è stata richiesta l'estradizione, e nel cui ambito sia stata emessa una misura cautelare meno afflittiva, con la successiva sospensione della consegna ai sensi dell'art. 709 c.p.p., comma 1, e art. 19 della Convenzione Europea di estradizione.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso del P.G. è infondato e deve essere pertanto rigettato, poichè non tiene conto del quadro di principi" da questa Suprema Corte stabiliti in ordine alle condizioni ed ai presupposti giustificativi dell'adozione della misura cautelare ex art. 704 c.p.p. (cfr. Sez. 6, n. 47527 del 13/11/2007, Cocimirca, Rv. 238127).


Da tali principii discende che, in tema di estradizione per l'estero, una volta che l'estradando sia stato rimesso in libertà per il venir meno delle esigenze cautelari, è necessaria una specifica richiesta del Ministro della Giustizia per giustificare l'adozione della misura cautelare ex art. 704 c.p.p., con il logico corollario della inidoneità a tal fine della richiesta ministeriale originariamente formulata con la trasmissione della domanda estradizionale.


Nel caso di specie, come posto in rilievo dalla stessa decisione impugnata, l'estradando è stato inizialmente sottoposto ad arresto provvisorio a fini estradizionali in data 27 febbraio 2019 e, subito dopo, con provvedimento presidenziale del 28 febbraio 2019, ne è stata ordinata la liberazione se non detenuto per altra causa, non essendo stata ritenuta necessaria l'emissione di alcuna misura cautelare, in difetto di una richiesta proveniente dal P.G. e sulla base di una conforme conclusione assunta dal Ministero.


Nel regime delineato dal codice di rito, invero, la detenzione dell'estradando non consegue necessariamente all'avvio del procedimento estradizionale, sicchè una volta che egli si trovi in stato di libertà (o perchè mai siano stati esercitati i poteri di cui all'art. 714 c.p.p., o perchè, una volta esercitati siffatti poteri, la persona sia stata rimessa in libertà dall'autorità giudiziaria per il venir meno delle esigenze cautelari) solo una specifica richiesta da parte del Ministro della giustizia potrà giustificare la privazione dello status libertatis attraverso la successiva emissione di una misura cautelare ai sensi dell'art. 704, comma 3, cit., non essendo possibile provvedere in proposito ex officio (Sez. 6, n. 47527 del 13/11/2007, Cocimirca, cit.; Sez. 6, n. 40040 del 2 novembre 2010, Malaj).


Occorre inoltre ribadire che l'emanazione della sentenza favorevole all'estradizione non determina di per sè il ripristino della custodia cautelare, nè alcuna altra automatica conseguenza sulla libertà personale, ma consente soltanto al Ministro della giustizia di richiedere la custodia in carcere ai sensi dell'art. 704 c.p.p., comma 3, cit. (Sez. 6, n. 40097 del 25/10/2001, Mbanaso, Rv. 220298).


Diversa, di contro, deve ritenersi l'ipotesi in cui lo stato di custodia cautelare sia proseguito ininterrottamente fino alla decisione favorevole sulla domanda di estradizione, poichè in tale evenienza procedimentale sì verifica una sorta di "conversione" della custodia nei termini indicati dall'art. 704 c.p.p., comma 3, cit., la cui attuazione è sottesa al disposto della norma or ora richiamata, che richiede invece la duplice richiesta nel (solo) caso in cui la persona da estradare si trovi in libertà (cfr., in motivazione, Sez. 6, n. 47527 del 13/11/2007, Cocimirca, cit.).


2. Parimenti infondato deve ritenersi, per le ragioni qui di seguito esposte e precisate, il ricorso proposto nell'interesse dell'estradando, le cui eccezioni di illegittimità costituzionale in ordine all'art. 704 c.p.p., comma 3, devono preliminarmente ritenersi, alla stregua delle considerazioni or ora illustrate, non rilevanti nel caso di specie.


3. Palesemente infondato deve ritenersi il primo profilo di doglianza prospettato nel ricorso dello S., avendo questa Suprema Corte (da ultimo, v. Sez. 6, n. 41836 del 30/09/2014, Rivis, Rv. 260453; Sez. 6, n. 48414 del 09/10/2008, Dalli Cardillo, Rv. 242425) enunciato da tempo il principio secondo cui l'autenticità dei titoli giustificativi della domanda è garantita, come avvenuto nel caso in esame, dal carattere ufficiale e pubblico della richiesta proveniente dallo Stato estero, alla quale sono state allegate le copie degli atti giudiziari d'interesse per la procedura estradizionale. Sul punto, del resto, la stessa Corte di merito ha correttamente osservato che l'invio della documentazione allegata a sostegno della domanda di estradizione si è verificato per via diplomatica, ossia tramite l'Ambasciata di Svizzera, ciò che rende oggettivamente incontestabile che si tratti di documenti aventi la provenienza indicata e conformi agli originali detenuti presso gli uffici giudiziari dello Stato richiedente.


4. Parimenti infondata, inoltre, deve ritenersi la seconda doglianza dal ricorrente prospettata, avendo la Corte distrettuale fatto buon governo del principio al riguardo stabilito da questa Corte (Sez. 6, n. 34870 del 11/06/2007, Sanfilippo, Rv. 237648), secondo cui la facoltà di rifiuto dell'estradizione derivante dalla "clausola di reciprocità" prevista dall'art. 26, par. 3, della Convenzione Europea di estradizione del 13 dicembre 1957, secondo cui "una Parte contraente che abbia formulato una riserva in merito ad una disposizione della Convenzione non potrà pretendere che un'altra parte applichi tale disposizione se non nella misura in cui essa stessa l'abbia accettata", essendo attinente alla dimensione politica della cooperazione tra Stati, può essere esercitata esclusivamente dall'autorità politica, cioè dal Ministro della Giustizia, non dall'autorità giudiziaria.


5. Analoghe considerazioni devono svolgersi in ordine alla terza ragione di doglianza, che la Corte distrettuale, per vero, ha già esaminato e correttamente disatteso uniformandosi ai principii in questa Sede stabiliti, là dove ha richiamato l'insegnamento secondo cui, ai fini della concedibilità dell'estradizione per l'estero, perchè sia soddisfatto il requisito della doppia incriminabilità di cui all'art. 2 della Convenzione Europea di estradizione del 1957 e all'art. 13 c.p., comma 2, non è necessario che lo schema astratto della norma incriminatrice estera trovi il suo esatto corrispondente in una norma dell'ordinamento italiano, ma è sufficiente che lo stesso "fatto" sia previsto come reato da entrambi gli ordinamenti, a nulla rilevando l'eventuale diversità, oltre che del trattamento sanzionatorio, anche del titolo e di tutti gli elementi richiesti per la configurazione del reato (ex multis v., da ultimo, Sez. 6, n. 26718 del 07/05/2019, Sulim Mikhail, Rv. 276379).


Entro tale prospettiva si è rettamente collocata la Corte distrettuale, osservando, sulla base della documentazione disponibile, che i reati di appropriazione indebita, truffa, riciclaggio e, finanche, di autoriciclaggio (avendo essa ritenuto quest'ultima figura di reato maggiormente rispondente alla rappresentata vicenda storico-fattuale) costituiscono reati come tali previsti anche dall'ordinamento interno, con l'opportuna precisazione, quanto all'ultima delle or ora menzionate fattispecie incriminatrici, che l'ordinamento italiano, come verificatosi nel caso in esame, deve contemplare come reato, al momento della decisione sulla domanda, il fatto per il quale la consegna è richiesta, non dovendosi ritenere necessaria la rilevanza penale del medesimo alla data della sua commissione (Sez. 6, n. 14941 del 26/02/2018, Yarrington, Rv. 272765).


Manifestamente infondato deve altresì ritenersi, al riguardo, il connesso profilo di doglianza secondo cui non avrebbe costituito oggetto di valutazione la causa di non punibilità prevista dall'art. 648-ter c.p., comma 4 per il delitto di autoriciclaggio, sull'assunto che nella sua relazione integrativa del 1 marzo 2019 il Procuratore elvetico aveva posto in evidenza che una parte della somma nella disponibilità dell'estradando era stata da lui utilizzata per fini personali.


L'evocata ipotesi di non punibilità, invero, può ritenersi integrata soltanto nel caso in cui l'agente utilizzi o goda dei beni provento del delitto presupposto in modo diretto e senza compiere su di essi alcuna operazione atta ad ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa (Sez. 2, n. 13795 del 07/03/2019, Sanna, Rv. 275528), laddove della effettiva sussistenza di tali condizioni il ricorrente non ha offerto alcuna dirimente giustificazione, ove si consideri che nello stesso atto di informazione complementare su richiamato, per come evidenziato nella motivazione della impugnata sentenza, lo stesso Procuratore pubblico del Ticino ha precisato che l'estradando non ha mai fornito alcun chiarimento sul modo in cui ha impiegato i fondi messigli a disposizione dai vari denuncianti tramite bonifici bancari provenienti da conti aperti presso istituti di credito sulla piazza di Lugano.


Della gran parte della rilevante somma di denaro affidata all'estradando perchè venisse investita il Procuratore pubblico, inoltre, fa precisa menzione nel richiamato atto complementare, ponendo in rilievo il fatto che, in assenza di un sufficiente paper trait, non è stato ancora possibile accertarne le forme e le modalità di utilizzazione.


Deve al riguardo soggiungersi, poi, che il principio di doppia incriminazione, per il quale è necessario che il fatto per cui si domanda l'estradizione costituisca illecito tanto nello Stato richiedente quanto nello Stato richiesto, non comporta che tale fatto, oltre che previsto come reato dalla legge italiana e dalla legge straniera, risulti punibile in concreto in entrambi gli Stati, perchè la norma di cui all'art. 13 c.p., comma 2, impone soltanto la garanzia del controllo di compatibilità dei due ordinamenti statali e non accorda rilevanza ad eventuali cause di estinzione del reato e della pena, come pure alla prescrizione del reato nello Stato richiesto, salvo contrarie disposizioni delle convenzioni internazionali (arg. ex Sez. 5, n. 24423 del 26/05/2006, Fabbrocino, Rv. 234421).


Palesemente infondato deve ritenersi il connesso profilo di doglianza attinente all'evocata omissione della verifica in merito alla sussistenza della condizione di procedibilità per i reati oggetto del petitum estradizionale, atteso che, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, l'eventuale mancanza di querela non impedisce l'estradizione verso l'estero per il reato di truffa in base alla convenzione Europea di estradizione, la quale non prevede, fra le condizioni richieste perchè vi si faccia luogo, il controllo sui presupposti per la procedibilità del reato secondo la legislazione delle Parti contraenti (Sez. 6, n. 15271 del 08/04/2010, dep. 2010, Josif, Rv. 246665).


Sono infatti escluse dagli elementi oggetto di verifica a fini estradizionali le evenienze legate all'accertamento delle condizioni di procedibilità (ex multis v. Sez. 6, n. 1850 del 12/04/2000, Gartz, Rv. 220753).


6. Infondate devono ritenersi le ragioni di doglianza dal ricorrente enucleate nel quarto e nel quinto motivo di ricorso, ove si consideri: a) che, ai sensi dell'art. 7, par. 2, della Convenzione Europea di estradizione, il fatto che il reato motivante la domanda sia stato commesso fuori del territorio della Parte richiedente ne consente il rifiuto soltanto se la legislazione della Parte richiesta non autorizza il perseguimento di un reato dello stesso genere commesso fuori del suo territorio o non autorizza l'estradizione per il reato oggetto della domanda; b) che nel caso in esame, di contro, gli atti posti dallo Stato richiedente a sostegno della domanda estradizionale non solo fanno riferimento alla commissione di reati anche nel territorio svizzero, così evidentemente radicandovi, rebus sic stantibus, la sua giurisdizione, ma ipotizzano, al contempo, una serie di condotte delittuose per le quali lo stesso ordinamento italiano, ex art. 9 c.p., consente a determinate condizioni la perseguibilità, in tal guisa escludendo la configurabilità della su indicata causa ostativa; c) che in ordine ai procedimenti penali pendenti in Italia nei confronti dell'estradando per reati di truffa (v., in narrativa, il par. 3.5) viene in rilievo, come è noto, l'ipotesi di rifiuto facoltativo di cui all'art. 7, par. 1, della richiamata Convenzione Europea, la cui eventuale opposizione, per come stabilito da questa Suprema Corte (Sez. 6, n. 9119 del 25/01/2012, Topi, Rv. 252040, Sez. 6, n. 53176 del 15/11/2018, Calvio, Rv. 274582), non è di competenza dell'Autorità giudiziaria, ma rientra nelle attribuzioni esclusive del Ministro della Giustizia (v. Corte Cost., n. 58 del 1997); d) che la pendenza nel territorio dello Stato di un procedimento penale nei confronti della persona della quale sia richiesta la consegna non è di ostacolo alla delibazione favorevole dell'autorità giudiziaria italiana, ma può comportare la sospensione dell'esecuzione, che è di competenza del Ministro della Giustizia e non dell'Autorità giudiziaria (arg. ex Sez. 6, n. 33173 del 04/07/2019, Ascione, Rv. 276478).


Nel corso della fase di garanzia giurisdizionale, invero, l'Autorità giudiziaria è solo chiamata a risolvere la questione di diritto concernente la legale possibilità dell'estradizione passiva, esulando dalle sue attribuzioni ogni valutazione di opportunità nonchè la possibilità di subordinare la concessione dell'estradizione a condizioni, nell'ipotesi in cui l'estradando deve essere giudicato nel territorio del nostro Stato per fatti diversi da quelli oggetto della domanda di estradizione (Sez. 6, n. 9273 del 25/01/2001, Kecap, Rv. 218430). Rientra, infatti, nella esclusiva sfera di competenza del Ministro della Giustizia ed attiene alla fase esecutiva dell'estradizione la facoltà, per scelta politico-amministrativa, di rimandare la consegna o di procedere alla consegna temporanea allo Stato richiedente della persona da estradare, concordandone termini e modalità (ex art. 19 Convenzione cit.).


Solo la pendenza in Italia di un procedimento penale per lo stesso fatto oggetto della richiesta di estradizione vieta di adottare una pronuncia di estradabilità (cfr. Corte Cost., sent. n. 58 del 3 marzo 1997).


A carico dell'estradando, tuttavia, come posto in rilievo dalla Corte territoriale, non è emerso alcun elemento di certezza, allo stato, riguardo alla pendenza in Italia di un procedimento penale per gli stessi fatti per i quali procede l'Autorità giudiziaria svizzera.


7. Parimenti infondate devono ritenersi le doglianze oggetto del sesto motivo di ricorso, là dove si censura la genericità del contenuto della documentazione estradizionale senza considerare che, in tema di estradizione per l'estero secondo il regime di consegna disciplinato dalla Convenzione Europea del 13 dicembre 1957, l'Autorità giudiziaria italiana è tenuta ad accertare, con una sommaria delibazione, che la documentazione allegata alla domanda sia in concreto idonea ad evocare, nella prospettiva del sistema processuale dello Stato richiedente, l'esistenza di elementi a carico dell'estradando (da ultimo, v. Sez. 6, n. 16287 del 19/04/2011, Xhatolli, Rv. 249648; Sez. 6, n. 9758 del 30/01/2014, Bulgaru, Rv. 258810).


Di tali regole ha fatto corretta applicazione la Corte d'appello, che nel valutare la sussistenza del requisito della gravità indiziaria ha richiamato il contenuto degli ordini di arresto adottati dal Procuratore pubblico del Cantone Ticino il 26 ottobre ed il 27 novembre 2018, nonchè di una nota informativa complementare del 1 marzo 2019, dai quali è possibile trarre - secondo la descrizione che la stessa sentenza impugnata partitamente ne ha offerto - una puntuale illustrazione delle condotte delittuose all'estradando addebitate nel corso delle indagini a suo carico avviate dall'Autorità richiedente, delle relative persone offese allo stato individuate e delle risultanze investigative, di fonte sia orale che documentale, sinora emerse riguardo alla commissione dei fatti di truffa, appropriazione indebita e riciclaggio aggravato di denaro oggetto del petitum estradizionale.


Entro tale prospettiva, inoltre, la sentenza impugnata ha preso in esame gli elementi a discarico desumibili dalle allegazioni documentali dell'estradando e ne ha congruamente apprezzato l'incidenza rispetto alla consistenza delle ipotesi di reato oggetto dei correlativi temi d'accusa, ritenendola non dirimente ai fini della dimostrazione, secondo le necessarie connotazioni di evidenza e incontrovertibilità, dell'innocenza dell'estradando. Va a tal riguardo ribadito, infatti, che nella procedura estradizionale le eventuali prove di innocenza dell'estradando possono rilevare, se non conosciute dall'Autorità giudiziaria dello Stato richiedente e portate per la prima volta a conoscenza del Giudice italiano, purchè esse - proprio per la natura sommaria del vaglio delibativo al riguardo affidato allo Stato richiesto - risultino manifeste ed incontrovertibili (cfr. Sez. 6, n. 36550 del 01/07/2003, Tumino, Rv. 227043).


8. Inesistenti devono ritenersi i presupposti giustificativi addotti a sostegno dell'evocata sussistenza della causa ostativa legata ad atti persecutori o discriminatori che, in tesi, deriverebbero da condotte che la parte pubblica avrebbe assunto in sede processuale (v., in narrativa, il par. 3.7): in tema di estradizione per l'estero, invero, il divieto di pronuncia favorevole che l'art. 705 c.p.p., comma 2, lett. c), stabilisce per i casi in cui vi sia motivo di ritenere che l'estradando verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori ovvero a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona, opera esclusivamente nelle ipotesi, nel caso di specie non ravvisabili, in cui la allarmante situazione prospettata sia riferibile ad una scelta normativa o di fatto dello Stato richiedente, a prescindere da contingenze estranee ad orientamenti istituzionali e rispetto alle quali sia comunque possibile attivare una tutela legale (cfr. Sez. 6, n. 4977 del 15/12/2015, dep. 2016, Onikauri, Rv. 265899).


Occorrono, in tal senso, alla stregua del disposto convenzionale di cui all'art. 3, par. 2, "motivi seri" a sostegno della censura di un fumus persecutionis, la cui evidenza deve essere comprovata non da mere congetture, ma dalla allegazione di elementi idonei, non confondibili con situazioni o comportamenti processuali la cui tutela può essere dall'estradando attivata con gli ordinari strumenti di difesa utilizzabili nell'ambito del procedimento instaurato dinanzi alle competenti Autorità dello Stato richiesto, e all'esito del necessario contraddittorio con le parti interessate.


9. Infondata deve ritenersi, infine, l'ultima ragione di doglianza dal ricorrente prospettata, atteso che il pregiudizio legato alla configurabilità della nuova causa di rifiuto prevista dall'art. 705 c.p.p., comma 2, lett. c-bis), sì come introdottavi dalla L. 3 ottobre 2017, n. 149, art. 4, sussiste non in presenza di una qualsiasi ripercussione negativa per la salute dell'estradando, ma solo nell'ipotesi in cui dall'estradizione possano derivare conseguenze di eccezionale gravità, cioè effetti patologici importanti ed oggettivamente riscontrabili, il cui trattamento terapeutico non possa essere validamente assicurato dai presidi sanitari dello Stato richiedente (Sez. 6, n. 1354 del 27/11/2018, dep. 2019, Fioretti, Rv. 274837): evenienze, queste, non ricollegabili, sì come dalla Corte distrettuale correttamente osservato, al tipo di patologie emergenti dalla documentazione prodotta dal ricorrente, ove si fa riferimento ad una condizione di esaurimento nervoso da stress ovvero a sofferenze psicopatologiche di lieve intensità in termini di disturbi d'ansia o dell'umore, dunque ad una condizione di sofferenza non oggettivamente inquadrabile nei termini di un pericolo per la salute di eccezionale gravità od intensità, il cui trattamento nell'ambito di un percorso, dal ricorrente già intrapreso, di disintossicazione per una dipendenza da uso di sostanze psicostimolanti ben può essere proseguito ed assicurato, con le opportune modalità e precauzioni del caso, dinanzi alle autorità sanitarie del Paese richiedente.


10. Al rigetto del ricorso proposto nell'interesse dello S., conclusivamente, consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


La Cancelleria provvederà all'espletamento degli incombenti ex art. 203 disp. att. c.p.p..


P.Q.M.

Rigetta il ricorso di S.N. che condanna al pagamento delle spese processuali. Rigetta il ricorso del P.G. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 203 disp. att. c.p.p..


Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2020.


Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2020



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