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Truffa: si consuma quando l'autore della condotta fraudolenta ottiene l'ingiusto profitto


Sentenze della Corte di Cassazione in relazione al reato di truffa

La massima

Il delitto di truffa si consuma nel momento in cui l'autore della condotta fraudolenta ottiene l'ingiusto profitto della propria attività criminosa. (Fattispecie di truffa ai danni dell'INPS, in cui la Corte, in motivazione, ha evidenziato che il momento consumativo del reato è quello in cui l'imputato ha incassato il denaro e non quello in cui l'ente indotto in errore ha deliberato i mandati di pagamento - Cassazione penale, sez. II, 07/05/2019, n. 27833).

 

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La sentenza integrale

Cassazione penale, sez. II, 07/05/2019, n. 27833

RITENUTO IN FATTO

1. La CORTE di APPELLO di Catanzaro con sentenza resa il 29 giugno 2017, parzialmente riformando la sentenza del Tribunale di Cosenza del 15 luglio 2016 appellata da diversi imputati, per quel che qui rileva ha confermato la responsabilità di D.M.D. in ordine al reato di truffa aggravata in danno dell'Inps contestato al capo 25 della rubrica e la responsabilità di P.C. in ordine ai reati di truffa aggravata in danno dell'Inps e falsi contestati ai capi 74, 75 e 76.


2. Propone ricorso D.M. deducendo:


2.1 violazione dell'art. 158 c.p., comma 1 e art. 640 c.p., poichè nel capo di imputazione il reato risulta contestato come consumato il (OMISSIS), facendo riferimento al momento in cui l'imputato ebbe ad incassare le somme indebitamente erogate dall'INPS. Deduce, tuttavia, il ricorrente che la truffa si sarebbe consumata non con la materiale apprensione da parte dell'imputato delle somme, ma nel momento precedente in cui l'ente pubblico, dopo essere stato fuorviato dall'azione fraudolenta dell'imputato, ha formalmente riconosciuto il diritto a pretendere le dette somme. Rileva infatti il ricorrente che la truffa si consuma nel momento in cui l'agente consegue l'illecito profitto, espressione che si riferisce a qualsiasi utilità, incremento o vantaggio patrimoniale e quindi può essere ravvisato anche nel diritto indebitamente riconosciuto.


Nel caso in esame poichè alla data del 26 giugno 2010 l'Inps comunicava all'imputato la liquidazione e gli accantonamenti degli importi specificati nel capo di imputazione, deve ritenersi che il diritto di credito sia stato indebitamente riconosciuto all'imputato attraverso provvedimenti amministrativi ancora più risalenti, sebbene il giudizio non abbia consentito di accertarne le relative date. Ne consegue che ai fini del computo della prescrizione avrebbe dovuto farsi riferimento alla data di questi provvedimenti e certamente il reato contestato dovrà ritenersi estinto alla data del (OMISSIS), in pendenza del giudizio di legittimità.


2.2 violazione dell'art. 3 Cost. e art. 597 c.p.p., comma 3 poichè la corte di appello ha ridimensionato la pena precedentemente inflitta all'imputato, avendo provveduto a dichiarare non luogo a procedere nei suoi confronti in ordine a due reati dichiarati estinti. Tuttavia, nel rideterminare la pena, ha aggravato quella di due mesi di reclusione già determinata quale aumento in continuazione dal tribunale in relazione al reato contestato al capo numero 25. Il ricorrente lamenta che nei confronti dell'imputato non si è provveduto alla mera elisione delle pene applicata in primo grado in relazione ai reati caduti in prescrizione ma si è provveduto ad una ridefinizione ex novo del trattamento sanzionatorio, con violazione del divieto di reformatio in peius sul punto.


2.3 violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità in riferimento alla acquisizione della comunicazione notizia di reato predisposta il 26 marzo 2014 dalla Guardia di Finanza di Sibari, quale organo di P.G. delegato all'espletamento delle indagini. Il giudice di appello ha infatti condiviso l'operato del tribunale che ha utilizzato tale documento per la decisione conclusiva, e non ha rilevato la nullità assoluta e insanabile della sentenza che ha fondato il giudizio di condanna sulla base di materiale probatorio inutilizzabile, senza il preventivo consenso alla acquisizione prestato dalle parti processuali. La difesa rileva che tale consenso era stato prestato prima del mutamento dell'organo giudicante e non autorizzava il nuovo giudice ad utilizzare la suddetta C.N. R., in assenza di un nuovo consenso.


2.4 Mancata assunzione di una prova decisiva in quanto il giudice di appello ha respinto la richiesta di riapertura dell'istruttoria dibattimentale per disporre perizia grafica, sostenendo che la prova del prelievo delle somme oggetto di imputazione da parte dell'imputato si fonda sulla quietanza rilasciata in favore di D.M.D., identificato con carta di identità, mentre, secondo il icorrente, la mancanza di opportuni accertamenti grafici non consente di escludere che un soggetto ignoto si sia presentato in luogo dell'imputato, spendendo la sua identità e utilizzando i suoi documenti per incassare somme a suo nome.


2.5 Vizio di motivazione poichè la menzionata quietanza di pagamento consiste in un documento che non è stato rinvenuto negli atti processuali. In particolare i giudici di merito hanno ritenuto utilizzabile una tabella riepilogativa presente nella Comunicazione notizia di reato della Guardia di Finanza in cui si fa riferimento ad una quietanza a firma dell'imputato che non è in atti.


3. L'imputata P.C. con ricorso sottoscritto dal suo difensore di fiducia eccepisce:


3.1 Nullità della sentenza per mancanza assoluta di motivazione versandosi nella ipotesi di una motivazione stereotipata priva di personalizzazione che non essi esplicita il percorso argomentativo del giudice.


3.2 Nullità della sentenza per omessa decisione in merito alla istanza difensiva di espletare una perizia calligrafica volta ad accertare le responsabilità dell'imputata.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono entrambi inammissibili.


2.Per ragioni di logica esposizione sembra opportuno esaminare le diverse censure proposte nell'interesse del D.M. secondo un ordine diverso da quello esposto nel ricorso.


2.1 L'eccezione processuale di cui al paragrafo 2.3 relativa alla dedotta inutilizzabilità della comunicazione notizia di reato del 26/3/2014 redatta dalla Guardia di Finanza è manifestamente infondata.


La corte ha motivatamente respinto l'eccezione, affermando che l'esito delle indagini di P.G. compendiate nella comunicazione notizia di reato è stato ritualmente acquisito tramite l'esame del teste maresciallo A., che ne ha riferito nel pieno contraddittorio delle parti, e che, comunque, il documento era stato già acquisito con il consenso delle parti dinanzi ad altro giudice.


Il tribunale ha ritenuto la comunicazione notizia di reato utilizzabile, poichè la revoca espressa dai difensori in merito al già prestato consenso all'acquisizione della detta C.N.R., in occasione della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale dinanzi ad altro giudice, è stata ritenuta priva di effetto, poichè il mutamento del giudicante impone la prestazione del consenso in merito alle prove assunte a dibattimento e si rivolge quindi alle prove costituende, e non alle prove già costituite e acquisite agli atti. Trattandosi di documento già acquisito al dibattimento una volta espresso il consenso della difesa, lo stesso è entrato a far parte del fascicolo del dibattimento.


Tale argomentazione risulta in linea con i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui non viola il principio di immutabilità del giudice e non costituisce, pertanto, causa di nullità della sentenza l'assunzione di prove documentali ad opera di un giudice diverso da quello che ne ha disposto l'acquisizione, atteso che dette prove, in quanto precostituite, non necessitano di un formale provvedimento di rinnovazione del dibattimento e di loro acquisizione. (Sez. 1, n. 44413 del 19/04/2017 - dep. 26/09/2017, Ahmad, Rv. 27123401).


2.2 La censura relativa alla mancata assunzione della perizia, di cui al paragrafo 2.4, è inammissibile poichè la corte ha motivatamente argomentato circa la non necessità di tale accertamento, sul rilievo che la riscossione delle somme indebitamente erogate dall'Inps da parte dell'imputato risulta provata dalla quietanza di pagamento del 17 luglio 2010, nella quale sono indicati sia le generalità che gli estremi del suo documento di identità. Nè appare verosimile l'assunto del tutto congetturale ed esposto solo nei motivi di ricorso secondo cui un terzo soggetto avrebbe potuto presentarsi ad incassare le dette somme fornendo un documento di identità falsificato e sostituendosi all'odierno imputato, in quanto tale ricostruzione non è stata introdotta in giudizio neppure dall'imputato.


2.3 Il motivo di ricorso proposto al paragrafo 2.1, relativo alla data di consumazione del reato di truffa e alla conseguente intervenuta estinzione del reato per prescrizione, è inammissibile poichè non è stato dedotto con i motivi di appello e involgendo questioni di fatto non può essere sollevato per la prima volta nel giudizio di legittimità.


Lo stesso, peraltro, è manifestamente infondato poichè il reato di truffa si consuma nel momento in cui l'autore della condotta fraudolenta ottiene l'ingiusto profitto e cioè quando incassa il denaro e non come vorrebbe la difesa nel momento in cui l'ente indotto in errore ha deliberato i mandati di pagamento (Sez. 2, n. 12795 del 09/03/2011 - dep. 29/03/2011, Beleniuc, Rv. 24986101).


2.4 La censura relativa al trattamento sanzionatorio è manifestamente infondata poichè correttamente la corte di appello, avendo dichiarato estinto il reato più grave di falso, su cui era stata determinata la pena base, ha ricalcolato la stessa facendo riferimento al reato di truffa e ha comunque determinato la sanzione finale in misura inferiore a quella complessivamente inflitta dal Tribunale in relazione ai due reati avvinti per continuazione. Non ricorre pertanto nel caso in esame nessuna ipotesi di reformatio in peius poichè la pena finale alla quale l'imputato è stato condannato risulta rideterminata nel rispetto dei criteri di legge e comunque adeguatamente ridotta rispetto a quella applicata dal tribunale.


2.5 La doglianza in merito al mancato rinvenimento agli atti della carta di identità dell'imputato è inammissibile poichè non è stata sollevata con l'atto di gravame e comunque è manifestamente infondata poichè non è necessario per dimostrare che l'imputato aveva riscosso la somma liquidata dall'INPS, che agli atti sia presente una copia del documento presentato in occasione dell'incasso, essendo sufficiente che nella ricevuta di quietanza siano riportati gli estremi del documento da lui presentato.


2.6 Quanto alla dedotta prescrizione, che sarebbe maturata nelle more del giudizio di cassazione, occorre ricordare che secondo costante giurisprudenza di questa Corte, l'inammissibilità del ricorso conseguente alla manifesta infondatezza dei motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p., ivi compreso l'eventuale decorso del termine di prescrizione nelle more del procedimento di legittimità (sez.2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni; sez.4, n. 18641 del 20/01/2004, Tricorni; Sez.U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca).


3. Il ricorso proposto nell'interesse di P.C. è inammissibile poichè non indica i capi o punti della decisione ai quali si riferisce l'impugnazione, nè specifica le argomentazioni della sentenza impugnata, le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono il supposto vizio motivazionale, sicchè non rispetta i parametri formali di cui all'art. 581 c.p.p..


Ed infatti è pacifico che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione. (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 25384901;Sez.5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco rv 255568; Sez.2, n. 19951 del 15/05/2008, Lo Piccolo, rv 240109; Sez. 1, n. 4521 del 20/01/2005, Orrù, rv 230751).


4. Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), ciascuno al versamento della somma, che ritiene equa, di Euro duemila a favore della Cassa delle Ammende.


P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuno a favore della Cassa delle Ammende.


Così deciso in Roma, il 7 maggio 2019.


Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2019

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