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Truffa: sussiste nel caso di vendita di prodotti di borsa senza informazioni su rischio investimento


Sentenze della Corte di Cassazione in relazione al reato di truffa

La massima

In caso di truffa compiuta da un promotore finanziario mediante la vendita di prodotti di borsa senza fornire le necessarie informazioni circa tipologia e grado di rischio dell'investimento, il reato si consuma, non nel momento in cui il medesimo percepisce le provvigioni, bensì in quello, ove successivo, in cui sono accreditate sul conto corrente della vittima le somme, conseguenti all'investimento, depauperate dalle perdite (Cassazione penale, sez. II, 03/03/2021, n. 22957).


 

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La sentenza integrale

Cassazione penale, sez. II, 03/03/2021, n. 22957

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con sentenza in data 24 settembre 2018, la corte di appello di Roma, concessa a B.C. la non menzione della condanna confermava la pronuncia del tribunale di Cassino datata 18 gennaio 2016 che aveva condannato la stessa alle pene di legge perché ritenuta colpevole del delitto di truffa.


1.2 Avverso detta sentenza proponevano ricorso per cassazione i difensori dell'imputata, avv.ti D. e S., deducendo con distinti motivi:

- violazione di legge e difetto di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) per avere la sentenza impugnata omesso di dichiarare la tardività della querela non potendo il termine previsto dalla legge essere dilatato a vantaggio della persona offesa prorogandolo oltre la conoscenza di tutti gli elementi del fatto-reato; nel caso in esame, già nei mesi di (OMISSIS), i coniugi A. avevano fatto accesso al proprio conto on line ed appreso anche dal direttore dell'agenzia bancaria che il loro investimento aveva subito consistenti perdite; da tali date dovevano pertanto farsi decorrere i 90 giorni per la proposizione dell'atto con conseguente tardività della condizione di procedibilità;

- violazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b) per avere la sentenza impugnata omesso di dichiarare l'estinzione del reato per prescrizione posto che il reato doveva ritenersi consumato al momento dell'indebito accreditamento della provvigione alla imputata, verificatosi il (OMISSIS) quando veniva effettuato l'investimento nei titoli; difatti, a tale data si era conseguito l'ingiusto profitto ed al proposito doveva farsi applicazione della disciplina in tema di consumazione della truffa contrattuale;

- violazione di legge e mancanza di motivazione per avere la sentenza impugnata omesso di concedere all'imputata le circostanze attenuanti generiche e determinato il trattamento sanzionatorio in misura superiore al minimo in assenza di adeguata motivazione.


CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1 Tutti i motivi appaiono manifestamente infondati ovvero reiterativi di questioni già devolute alla corte di appello e da questa adeguatamente affrontate e risolte, ed il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.

Invero, quanto al primo motivo, la corte di appello ha già adeguatamente spiegato con le osservazioni formulate a pagina 6 della motivazione che il termine per la proposizione della condizione di procedibilità decorre certamente dalla piena conoscenza del fatto e quindi dalla sua consumazione. Nel caso in esame, solo con l'accredito della somma depauperata dall'investimento operato dalla ricorrente all'insaputa delle persone offese queste venivano a conoscenza sia di avere subito un preciso danno economico sia dell'entità del medesimo. In tali casi, infatti, il danno e la conoscenza di essa vanno certamente collegati al riscatto delle quote dei fondi di investimento ovvero alla scadenza dell'investimento ove si tratti di operazione a termine poiché solo a tale data l'investitore vittima della truffa viene a conoscenza precisa del danno patito e della sua entità.

Ne deriva affermare che essendo state accreditate le somme il 7 dicembre del 2011 la querela del 5 marzo 2012 non può ritenersi tardiva.


2.2 Tale ricostruzione esclude qualsiasi fondatezza anche alla doglianza in punto omessa declaratoria di prescrizione; al proposito, infatti, occorre rammentare come seguendo un orientamento delle Sezioni Unite questa Corte di cassazione abbia collegato il momento consumativo della truffa sia al conseguimento del profitto ingiusto che alla realizzazione della deminutio patrinmonil in danno della vittima; con la conseguenza che ove il profitto sia stato percepito prima della realizzazione del danno è a quest'ultimo momento che bisogna guardare ai fini del perfezionamento della fattispecie di reato e della consumazione. Al proposito occorre ricordare come le Sezioni Unite (Sez. U, n. 18 del 21/06/2000, Rv. 216429) hanno affermato in particolare che poiché la truffa è reato istantaneo e di danno, che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell'autore abbia fatto seguito la "deminutio patrimoni", del soggetto passivo, nell'ipotesi di truffa contrattuale il reato si consuma non già quando il soggetto passivo assume, per effetto di artifici o raggiri, l'obbligazione della "datio" di un bene economico, ma nel momento in cui si realizza l'effettivo conseguimento del bene da parte dell'agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato. Ne consegue che, qualora l'oggetto materiale del reato sia costituito da titoli di credito, il momento della sua consumazione è quello dell'acquisizione da parte dell'autore del reato, della relativa valuta, attraverso la loro riscossione o utilizzazione, poiché solo per mezzo di queste si concreta il vantaggio patrimoniale dell'agente e nel contempo diviene definitiva la potenziale lesione del patrimonio della parte offesa.

Il principio della necessaria compresenza degli elementi del profitto ingiusto in capo all'agente e del danno nei confronti della vittima ai fini della consumazione della fattispecie di cui all'art. 640 c.p., risulta confermato da successivi interventi; invero si è affermato che il delitto di truffa, nella forma cosiddetta contrattuale, è reato istantaneo e di danno la cui consumazione coincide con la perdita definitiva del bene, in cui si sostanzia il danno del raggirato ed il conseguimento dell'ingiusto profitto da parte dell'agente (Sez. 2, n. 20025 del 13/04/2011, Rv. 250358). Più recentemente si è stabilito che la truffa è reato istantaneo e di danno che si perfeziona nel momento e nel luogo in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell'autore fa seguito la "deminutio patrimonii" del soggetto passivo (Sez. 2, n. 17322 del 18/01/2019, Rv. 276420).

In applicazione di tali principi deve affermarsi che nella ipotesi di truffa portata a termine da promotori finanziari attraverso la vendita di prodotti di borsa senza alcuna informazione dei rischi, quando il promotore abbia omesso di indicare la tipologia dell'investimento ed il grado del rischio, il reato di truffa si consuma non al solo momento della percezione da parte del promotore della provvigione bensì a quello, ove successivo, dell'accredito delle somme sui conti correnti delle vittime, depauperate dalle perdite.

Ne consegue affermare che, nel caso di specie, correttamente il momento consumativo veniva individuato nel (OMISSIS) poiché solo a quella data si verificava la perdita finanziaria delle persone offese che si vedevano riaccreditata una somma assai inferiore a quella investita così che il termine di prescrizione, pure a volere ridurre il periodo di sospensione, non risulta decorso alla data della sentenza di appello mentre, la manifesta infondatezza del ricorso preclude comunque la maturazione successiva alla sua proposizione.

Quanto alle ulteriori doglianze la negazione delle attenuanti generiche è fondata su motivazione esente dalle lamentate censure facendosi riferimento all'assenza di elementi positivi mentre la determinazione della pena non incorre anch'essa in alcuna violazione essendo stata fissata in misura prossima ai minimi assoluti.

In conclusione, l'impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 3; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 2.000,00.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.


Così deciso in Roma, il 3 marzo 2021.


Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2021

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