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Abuso d'ufficio: necessaria l'ingiustizia del danno anche quando è violato l'obbligo di astensione


Corte di Cassazione

La massima

In tema di abuso di ufficio, è necessaria l'ingiustizia del vantaggio patrimoniale procurato o del danno arrecato anche nel caso di violazione dell'obbligo di astensione. (Fattispecie relativa all'omessa astensione di un sindaco che aveva preso parte alla delibera di giunta di riconoscimento di un debito fuori bilancio in favore di un'impresa, dalla quale era stato convenuto in giudizio, ai sensi dell' art. 191 t.u.e.l. , per il soddisfacimento di un credito derivante dall'effettiva esecuzione di lavori pubblici, risultati utili per il comune.



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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. VI , 06/02/2020 , n. 12075

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Cagliari, ha confermato la condanna inflitta dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di quella città ad S.A., con sentenza del 30 novembre 2016, per il delitto di abuso d'ufficio, tuttavia limitatamente ad una sola delle condotte illecite a lui addebitate: ovvero quella di aver omesso di astenersi dal prendere parte alla deliberazione con la quale il Consiglio comunale del Comune di Carloforte aveva riconosciuto la legittimità di un debito fuori bilancio in favore della ditta "Rocce antiche s.r.l.", pur in presenza di un proprio interesse, essendo stato egli convenuto in giudizio da quella società per il relativo pagamento, in un processo a quel momento in corso dinanzi al Tribunale civile di Cagliari - sez. dist. di Carbonia.


1.1. Tale debito nasceva dall'irregolare affidamento all'anzidetta società di lavori di sistemazione del verde pubblico da parte di quel Comune, di cui S. era allora sindaco. Proprio in ragione di tale irregolarità, la società lo aveva citato in giudizio, quale soggetto personalmente obbligato al pagamento del corrispettivo, ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 191, (Testo unico degli enti locali, d'ora in avanti T.u.e.I.). In pendenza di tale processo, tuttavia, il Comune, verificato l'effettivo svolgimento dei lavori, ritenutane l'utilità per l'ente ed accertatone, mediante perizia, l'importo, aveva deciso di riconoscere il relativo debito.


1.2. In primo grado, S. era stato giudicato responsabile anche per le attività relative all'irregolare affidamento di quelle opere. La Corte di appello, invece, lo ha ritenuto estraneo a tali condotte, ma colpevole di non essersi astenuto al momento di riconoscere l'anzidetto debito, tacendo agli altri membri del Consiglio comunale il suo contenzioso in corso con la società e, dunque, il suo conflitto d'interessi, ed ottenendo, in tal modo, l'ingiusto vantaggio patrimoniale consistente nel rimanere egli sollevato dalla relativa obbligazione personale, per effetto dell'iscrizione del debito al bilancio dell'ente.


Hanno osservato quei giudici che, in tale situazione, la violazione del dovere di astensione è sufficiente ad integrare il reato, pur quando sia ininfluente sull'esito della decisione ed indipendentemente dalla conformità o meno di questa all'interesse pubblico. Nello specifico, poi, considerando l'àmbito ristretto e la posizione di vertice rivestita dallo S. all'interno di quella amministrazione, la semplice sua partecipazione a quella seduta sarebbe stata suscettibile di condizionare il voto degli altri partecipanti.


Sussisterebbe, inoltre, il requisito della c.d. "doppia ingiustizia", consistente nella violazione del dovere di astensione, previsto dall'art. 78, T.u.e.I., e nell'indebito vantaggio patrimoniale conseguito per effetto di quella delibera.


2. S. impugna tale sentenza, con atto del proprio difensore e procuratore speciale, sulla base di quattro motivi.


2.1. Con il primo, deduce la violazione dell'art. 323 c.p., contestando l'ingiustizia del vantaggio da lui conseguito.


Il riconoscimento di quel debito fuori bilancio - si sostiene - era un atto dovuto, in base al disposto dell'art. 194, comma 1, lett. e), T.U.E.L., in quanto derivante da acquisizione di beni e servizi che avevano determinato utilità ed arricchimento per l'ente pubblico. La relativa delibera del Consiglio comunale era, dunque, legittima e, di conseguenza, non può reputarsi ingiusto il vantaggio indirettamente a lui derivato attraverso di essa.


Peraltro, considerando che la delibera è stata adottata con otto voti favorevoli - tra cui il suo - e due contrari, risulta evidente che quell'assise avrebbe adottato la medesima decisione, pur se egli si fosse astenuto.


I giudici di appello avrebbero, dunque, errato nell'individuare l'evento da valutare in termini di ingiustizia o meno e, comunque, avrebbero omesso di rispondere al relativo motivo d'appello.


2.2. Con il secondo motivo si denuncia il vizio della motivazione in ordine all'ingiustizia del vantaggio, poichè sarebbe inconciliabile con l'estraneità di esso ricorrente all'irregolare affidamento di quei lavori, riconosciuta dalla stessa sentenza.


2.3. Insufficiente sarebbe la motivazione - si assume con il terzo motivo anche con riferimento all'elemento psicologico del dolo intenzionale, che la Corte di merito ha erroneamente ravvisato nella volontarietà dell'occultamento all'assemblea del conflitto d'interessi in atto. Tale coefficiente psicologico, infatti, deve riferirsi all'evento del reato, che non è rappresentato dalla violazione del dovere di astensione, bensì dal conseguimento del vantaggio, nella consapevolezza dell'ingiustizia di esso: situazione in cui non versava esso ricorrente, trattandosi di lavori effettivamente eseguiti e con procedura, sì irregolare, ma alla quale egli era rimasto estraneo.


2.4. L'ultima doglianza attiene al difetto di motivazione in ordine alla liquidazione del danno al Comune di Carloforte, costituitosi parte civile nel processo, contestandosi l'esistenza di un danno da questo patito in conseguenza di una condotta di esso ricorrente, per le ragioni già evidenziate, ovvero: estraneità all'irregolare affidamento di quei lavori ed alle conseguenti anomalie contabili; natura di atto dovuto del riconoscimento di quel debito.


Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La sentenza impugnata dev'essere annullata, perchè viziata da erronea applicazione della legge penale.


2. L'art. 323 c.p., nella formulazione introdotta dalla L. 16 luglio 1997, n. 234, innovando rispetto alla disciplina previgente, ha costruito il delitto di abuso d'ufficio come reato di evento a forma vincolata.


La violazione delle norme di legge o di regolamento, oppure - per quel che qui interessa - l'inosservanza del dovere di astensione in presenza di un interesse proprio o di un familiare rappresentano le modalità attraverso le quali l'abuso del pubblico funzionario può realizzarsi: le forme di manifestazione, ossia, della condotta. Ma, perchè il reato possa ritenersi integrato, occorre altresì che, da quei comportamenti, derivi un ingiusto vantaggio patrimoniale per lo stesso agente o per altri, oppure un danno per questi ultimi, esso pure ingiusto ma anche di natura non patrimoniale. In assenza di tale evento, le anzidette condotte, quantunque non consentite dalle norme extra-penali che regolano la funzione od il servizio pubblici, non rilevano agli effetti penali, quanto meno ai fini dell'art. 323, cit..


Il principio, anche con specifico riferimento alla violazione del dovere di astensione, è stato più volte ribadito dal giudice di legittimità e non v'è ragione di discostarsene, in presenza di un testo normativo del tutto lineare (Sez. 6, n. 14457 del 15/03/2013, De Martin Topranin, Rv. 255324; Sez. 6, n. 47978 del 27/10/2009, Calzolari, Rv. 245447; Sez. 6, n. 26324 del 26/04/2007, Borrelli, Rv. 236857; Sez. 6, n. 11415 del 21/02/2003, Gianazza, Rv. 224070; Sez. 6, n. 17628 del 12/02/2003, Pinto, Rv. 224683).


3. Nel caso specifico, la Corte di appello di Cagliari ha disatteso tale regola giuridica, poichè è pervenuta ad un giudizio di colpevolezza dell'imputato esclusivamente in ragione dell'accertata - ed indiscutibile - violazione del dovere, su di lui gravante, di astenersi dal prendere parte alla deliberazione di riconoscimento del debito fuori bilancio in favore della società che, proprio per ottenere il pagamento del relativo credito, lo aveva convenuto in giudizio, in un processo a quel momento in corso.


Sotto il profilo dell'evento del reato, infatti, la sentenza impugnata, si è limitata ad osservare che l'imputato avrebbe conseguito un ingiusto vantaggio patrimoniale, "quale effetto dell'iscrizione fuori bilancio (...) del debito che lo stesso era stato chiamato a sostenere in proprio", senza aggiungere altro (pag. 24).


4. Così opinando, tuttavia, la Corte non ha approfondito, come invece sarebbe stato necessario fare, i temi della ingiustizia del vantaggio conseguito dall'imputato, per effetto del riconoscimento del debito da parte del Consiglio comunale, ed altresì della natura patrimoniale di esso, necessaria per la sussistenza del reato.


4.1. Quanto al primo aspetto, va osservato che S. era stato citato in giudizio dalla "Rocce antiche s.r.l.", ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 191, ovvero quale amministratore personalmente responsabile per i debiti contratti dall'ente pubblico in violazione delle regole per l'assunzione di impegni e per l'effettuazione di spese, previste dai primi tre commi di quell'articolo di legge; il successivo comma 4, infatti, stablisce che, in tale evenienza, il relativo rapporto obbligatorio grava sull'amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura: in altri termini, su colui che ha agito per conto dell'Ente, impegnandolo verso il terzo fornitore.


Se così è, non può allora essere insignificante la circostanza per cui secondo quanto riconosciuto dalla stessa Corte di appello, che ha mandato assolto l'imputato per questa parte - il ricorrente è rimasto estraneo all'affidamento di quei lavori alla predetta società: ragione per cui egli non sarebbe stato il soggetto personalmente tenuto all'adempimento della relativa obbligazione, a norma del citato art. 191.


A questo aggiungasi che, stando ai fatti sì come accertati e descritti in sentenza, il debito verso la "Rocce antiche" era sicuramente suscettibile di riconoscimento, a norma dell'art. 194, comma 1, lett. e), T.u.e.l., avendo la stessa effettuato i lavori commessile ed essendo da questi derivati per il Comune utilità ed arricchimento.


Se è vero, allora, che l'accertamento sull'esistenza o meno dell'obbligazione personale dello S. verso la società spettava esclusivamente al giudice civile, e dunque che, al momento della delibera del Consiglio comunale, essa era ancora sub judice, non di meno deve rilevarsi come il vantaggio da costui conseguito per effetto di tale delibera (con cui l'Ente si faceva carico del debito, sgravandone il singolo amministratore o funzionario responsabile) non si presentava sicuramente ingiusto, cioè non spettantegli.


4.2. Ma l'aspetto decisivo, ai fini del giudizio assolutorio, è ancora un altro.


Quand'anche si voglia ritenere, invero, che, indipendentemente dalla fondatezza o meno della domanda giudiziale rivolta nei suoi confronti, un individuo, per il sol fatto di essere illegittimamente sollevato dal dovervi far fronte, consegua un vantaggio ingiusto, è comunque indiscutibile che quest'ultimo abbia natura non patrimoniale.


Il vantaggio patrimoniale, infatti, deve determinare di per sè un beneficio economicamente apprezzabile, nel senso che deve avere un connotato di intrinseca patrimonialità oppure deve derivare dalla creazione di una condizione più favorevole sotto il profilo economico, non potendosi considerare sufficiente il determinarsi di una situazione solo indirettamente o potenzialmente valutabile economicamente (Sez. 6, n. 39259 del 20/09/2005, Della Monica, Rv. 232582). Tale requisito, cioè, dev'essere riferito al complesso dei rapporti giuridici a carattere patrimoniale e sussiste quando determini un accrescimento della situazione giuridica soggettiva del beneficiario dell'atto (Sez. 3, n. 4140 del 13/12/2017, Giugliano, Rv. 272113; Sez. 6, n. 12370 del 30/01/2013, Baccherini, Rv. 256004; Sez. 6, n. 37531 del 14/06/2007, Serione, Rv. 238028).


5. Nell'ipotesi in scrutinio, in conclusione, il vantaggio ottenuto dall'imputato non aveva carattere patrimoniale, come invece richiede l'art. 323 c.p.. Il reato a lui addebitato, pertanto, non si è perfezionato.


S'impone, allora, una pronuncia assolutoria, con conseguente annullamento della sentenza impugnata nonchè di quella di primo grado, in quanto conforme per questo capo.


P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nonchè quella emessa dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Cagliari in data 30.11.2016 perchè il fatto non sussiste.


Si dà atto che il presente provvedimento, redatto dal Consigliere ROSATI Martino, viene sottoscritto dal solo Presidente del Collegio, per impedimento dell'estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).


Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2020.


Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2020

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