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Reati contro il patrimonio

La Cassazione sul confine tra bancarotta fraudolenta e autoriciclaggio: le condotte distrattive non bastano, necessario un quid pluris

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Avv. Salvatore del Giudice - Avvocato penalista Napoli

La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sezione V Penale, n. 20152 del 12 aprile 2024, torna sul tema dei confini applicativi tra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e quello di autoriciclaggio, ai sensi dell’articolo 648-ter.1 del codice penale.

La decisione si colloca all’interno di un articolato procedimento giudiziario, scaturito dal fallimento della società Aspera S.p.A., dichiarato dal Tribunale di Genova nel 2019.

Il caso

La vicenda trae origine dall’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari di Genova che aveva applicato la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti del legale rappresentante della A. S.p.A., imputato per condotte di bancarotta fraudolenta e autoriciclaggio.

Tali condotte riguardavano il trasferimento di somme dal patrimonio della società fallita a favore di altre società riconducibili all’indagato.

In sede di riesame, il Tribunale di Genova aveva annullato la misura limitatamente ai reati di autoriciclaggio, rilevando una sovrapposizione tra le condotte distrattive contestate come bancarotta e quelle imputate come autoriciclaggio.

La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Genova ha impugnato l’ordinanza del riesame, sostenendo che le condotte di trasferimento delle somme avessero una natura autonoma e ulteriore rispetto a quelle distrattive, configurando dunque il reato di autoriciclaggio.


La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del pubblico ministero, confermando l’orientamento del Tribunale del riesame.

In primo luogo, ha ribadito che la struttura del reato di autoriciclaggio presuppone una distinzione temporale e funzionale tra il reato presupposto – in questo caso, la bancarotta fraudolenta – e le condotte di reimpiego, sostituzione o trasferimento del profitto illecito.

Quest’ultimo deve essere connotato da un quid pluris, ovvero da un elemento ulteriore rispetto alla mera distrazione delle risorse patrimoniali.

Secondo la Corte, il trasferimento delle somme dalla società fallita alle società beneficiarie, pur accompagnato da artifici contabili, non integrava il reato di autoriciclaggio, in quanto si risolveva nella medesima operazione depauperativa che costituisce l’essenza della bancarotta fraudolenta.

Non era emersa, infatti, alcuna attività ulteriore volta a ostacolare concretamente l’individuazione della provenienza delittuosa del denaro.


Quid pluris e autonomia della condotta


La Corte ha richiamato la consolidata giurisprudenza secondo cui per integrare il reato di autoriciclaggio è necessario un quid pluris rispetto alla distrazione originaria.

In particolare, deve trattarsi di condotte che alterino la tracciabilità del profitto illecito, ad esempio mediante il reimpiego in attività economiche o finanziarie complesse che ne occultino l’origine.

Nel caso di specie, il mero trasferimento di somme alle società beneficiarie non soddisfaceva tali requisiti, in quanto non comportava una effettiva difficoltà nell’individuazione della provenienza delittuosa.


Le implicazioni

Questa pronuncia sottolinea l’importanza di distinguere con precisione tra le fattispecie penali di bancarotta fraudolenta e autoriciclaggio, evitando sovrapposizioni che rischierebbero di violare il principio di ne bis in idem.

Per configurare l’autoriciclaggio non basta il semplice trasferimento o utilizzo del profitto illecito; occorre dimostrare un elemento ulteriore che ostacoli la tracciabilità del denaro o dei beni derivanti dal reato presupposto.

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