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Reati contro il patrimonio

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Insolvenza fraudolenta

L'insolvenza fraudolenta è un reato contro il patrimonio previsto e punito dall'articolo 641 del codice penale.

Questo reato, spesso associato a casi di inadempimento contrattuale, assume rilievo penale quando l'agente dissimula il proprio stato di insolvenza con il preciso proposito di non adempiere.

Di seguito, approfondiremo la struttura del reato, le differenze rispetto alla truffa, e analizzeremo alcuni recenti casi giurisprudenziali per offrire una panoramica chiara e dettagliata.


Elemento oggettivo

Il reato di insolvenza fraudolenta si configura quando il soggetto agente contrae un’obbligazione, con la consapevolezza e l’intenzione di non adempiervi, nascondendo il proprio stato di insolvenza.

Questa condotta, che si traduce in un inganno ai danni del creditore, assume rilevanza penale per la combinazione di elementi che superano il semplice inadempimento contrattuale. Non si tratta, infatti, di un mancato pagamento casuale o determinato da una sopravvenuta difficoltà economica, ma di un comportamento preordinato a trarre in inganno la controparte.

Affinché il reato risulti integrato, è necessario che il soggetto agente abbia stipulato un contratto o assunto un impegno economico nascondendo consapevolmente il proprio stato di insolvenza. Questo stato, che rende impossibile adempiere agli obblighi contrattuali, deve essere deliberatamente dissimulato, sia attraverso un silenzio consapevole che tramite false rassicurazioni.

La giurisprudenza ha sottolineato come il semplice inadempimento di per sé non costituisca reato: il diritto civile, infatti, prevede rimedi specifici per tutelare il creditore nei casi di mancato pagamento. Tuttavia, quando l’inadempimento si combina con un comportamento intenzionale e ingannevole, come il celare una condizione economica compromessa, la condotta assume rilevanza penale.

Un caso emblematico che chiarisce il ruolo del silenzio e delle false rassicurazioni è rappresentato dalla sentenza della Cassazione penale, sez. II, n. 35037 del 20 novembre 2020.

In quella decisione, i giudici hanno stabilito che la condotta fraudolenta può manifestarsi non solo attraverso dichiarazioni false, ma anche mediante omissioni significative, come il mancato avvertimento sulla propria incapacità economica al momento di stipulare un contratto. Nascondere intenzionalmente la propria situazione economica, dunque, equivale a indurre in errore la controparte, portandola a concludere un accordo che altrimenti non sarebbe stato stipulato.


Elemento soggettivo

La linea di demarcazione tra un semplice inadempimento contrattuale e l’insolvenza fraudolenta risiede nel dolo specifico, ovvero nell’intenzione preordinata di non adempiere.

La Cassazione ha più volte ribadito che questo proposito deve essere presente già al momento della stipula dell’accordo.

La prova del dolo può emergere non solo da dichiarazioni dirette, ma anche da una serie di comportamenti successivi che rivelano l’intento fraudolento, come la mancanza di comunicazione con il creditore, il rifiuto di rispondere ai solleciti o il trasferimento di beni per evitare il pignoramento.

In un caso affrontato dalla Suprema Corte (Cassazione penale, sez. II, sent. n. 39.980 del 22 maggio 2009) è stato ritenuto determinante il fatto che l’imputato, subito dopo aver contratto un’obbligazione, avesse trasferito tutti i suoi beni a un terzo, impedendo così al creditore di soddisfare il proprio credito.

Particolarmente interessante è il ruolo che il silenzio può assumere nell’integrazione del reato. Sebbene il diritto contrattuale non imponga in ogni caso un obbligo di dichiarare la propria situazione economica, nascondere intenzionalmente uno stato di insolvenza, soprattutto in contesti in cui la controparte si aspetta una piena solvibilità, rappresenta una condotta fraudolenta. La Cassazione ha riconosciuto che anche l’assenza di comunicazione può essere considerata un comportamento ingannevole, soprattutto se combinata con altre azioni che rafforzano la falsa impressione di affidabilità economica.


Differenze con il reato di truffa

La differenza tra l’insolvenza fraudolenta e la truffa è un altro aspetto spesso dibattuto in giurisprudenza.

Mentre nella truffa l’inganno si realizza attraverso artifici e raggiri, nell’insolvenza fraudolenta il fulcro del reato risiede nella dissimulazione della propria incapacità economica.

Un caso emblematico è quello dei transiti autostradali senza pagamento. La Cassazione, nella sentenza n. 26289 del 18 maggio 2007, ha chiarito che il comportamento di chi utilizza corsie riservate ai possessori di Viacard senza avere la tessera non integra il reato di insolvenza fraudolenta, bensì quello di truffa, poiché è caratterizzato da un artificio – l’utilizzo improprio del varco – volto a eludere il pagamento.


Casistica

La giurisprudenza ha affrontato numerosi casi che offrono spunti utili per comprendere l’applicazione pratica del reato di insolvenza fraudolenta:

Contratti di fornitura: Nella sentenza Cassazione penale, sez. II, sent. n. 6847 del 21 gennaio 2015, il mancato pagamento di forniture di beni è stato qualificato come insolvenza fraudolenta poiché il debitore aveva deliberatamente nascosto la propria incapacità economica già al momento della stipula del contratto.

Servizi alberghieri: La sentenza Cassazione penale, sez. II, sent. n. 8893 del 3 febbraio 2017 ha qualificato come insolvenza fraudolenta il comportamento di un cliente che, pur sapendo di non poter pagare, ha continuato a fruire dei servizi dell’hotel senza avvisare della propria condizione.

Mancato pagamento del carburante: In un caso trattato dal Tribunale di Perugia nel 2018, un soggetto aveva effettuato il pieno presso un distributore automatico, allontanandosi senza saldare il conto. La corte ha ritenuto che, in assenza di dichiarazioni fraudolente o comportamenti ingannevoli preordinati, non potesse configurarsi il reato di insolvenza fraudolenta.


La procedibilità

Il reato di insolvenza fraudolenta è perseguibile a querela della parte offesa.


Le sanzioni penali

Le sanzioni previste includono la reclusione fino a due anni e una multa, con la possibilità di applicare pene accessorie nei casi più gravi. Va sottolineato che l'adempimento dell'obbligazione avvenuto prima della condanna estingue il reato.

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