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Reati contro il patrimonio

Un ombrello, 5 euro e un pianerottolo: la Cassazione si interroga sulla nozione di furto in abitazione (Cass. Pen. n. 1691/2024)

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Avv. Salvatore del Giudice - Avvocato penalista Napoli

Un'illustrazione elegante e simbolica che rappresenta una causa legale di furto in condominio. La scena mostra un piccolo ombrello appoggiato.

La sentenza n. 1691 del 2 dicembre 2024, pronunciata dalla Corte Suprema di Cassazione, Sezione V Penale, dimostra ancora una volta come anche i casi apparentemente minori possano sollevare questioni giuridiche di grande interesse.

Questa volta, sotto la lente della Suprema Corte, sono finiti un ombrello a scatto, cinque euro e il pianerottolo di un condominio.


Il caso

L'imputato, condannato in primo grado per furto aggravato e furto in abitazione, si era appellato sostenendo l'insufficienza delle prove e l'inapplicabilità dell'art. 624-bis c.p., affermando che il pianerottolo non fosse una pertinenza di privata dimora.

La Corte d'Appello aveva dichiarato improcedibile il reato di furto aggravato per difetto di querela, confermando però la condanna per il furto in abitazione e riducendo la pena a un anno, due mesi e sei giorni di reclusione, oltre a una multa di 274 euro.

La scena del crimine, quasi grottesca, si sviluppava intorno alla ringhiera del pianerottolo, dove l'ombrello a scatto attendeva ignaro il suo destino, e a un giubbotto appeso fuori dalla porta, contenente la modica somma di cinque euro.

Un bottino forse modesto, ma sufficiente a innescare un procedimento giudiziario.


La decisione della Corte

La Suprema Corte, respingendo il ricorso, ha chiarito alcuni punti fondamentali, dimostrando come il diritto possa trovare spunti di riflessione anche nelle situazioni più ordinarie.

La Corte ha ribadito che il pianerottolo condominiale, pur non esclusivamente destinato a una singola abitazione, è una pertinenza di privata dimora. Come dire: il pianerottolo è il confine invisibile ma sacro che protegge la privacy domestica. La sua natura strumentale e complementare lo rende parte integrante della vita privata.

Il furto di beni collocati in spazi immediatamente adiacenti all'abitazione ha un impatto simbolico e pratico più rilevante rispetto al furto semplice. Un ombrello sottratto dal pianerottolo non è solo un furto materiale, ma un'intrusione nella sfera privata, un affronto al microcosmo domestico.

Anche se il portone fosse stato spalancato come l'ingresso di una festa, ciò non avrebbe modificato la natura giuridica del pianerottolo. La Cassazione ha precisato che non basta un accesso aperto per svuotare il luogo della sua qualificazione di pertinenza di privata dimora. In altre parole, non è il portone aperto a spalancare le porte all'impunità.


Conclusioni

La sentenza ci ricorda che la giustizia non si misura dal mero valore economico della questione, ma dalla portata simbolica e concreta dell'atto.

Anche un ombrello, nella sua ordinaria quotidianità, può diventare il catalizzatore di una riflessione più ampia sulla tutela della sfera privata.

Inoltre, il caso sottoposto all'attenzione della Corte sottolinea l'importanza della proporzionalità delle pene.

Il furto in abitazione non è punito più severamente solo per la natura del bene sottratto, ma per il rischio concreto di violazione della sicurezza e della privacy domestica.


Sentenza integrale

Cassazione penale sez. V, 02/12/2024, (ud. 02/12/2024, dep. 14/01/2025), n.1691

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 5.4.2024 la Corte di Appello di Ca.Ga., in parziale riforma della pronuncia emessa in primo grado nei confronti di Gaetano Ca.Ga., che lo aveva dichiarato colpevole dei reati di furto aggravato e di furto in abitazione, aggravato, ha dichiarato non doversi procedere in ordine al primo per difetto di querela e, ritenute le attenuanti generiche e l'attenuante dì cui all'art. 62 n. 4 cod. pen., ha rideterminato la pena in ordine al reato di furto in abitazione in anni uno, mesi due e giorni sei di reclusione e di Euro 274 di multa.


All'imputato è in particolare contestato ed ascritto il reato di furto in abitazione realizzato attraverso l'introduzione nell'area delle scale condominiali e accesso al pianerottolo del secondo piano dell'edificio ed avente ad oggetto un ombrello a scatto, che si trovava sulla ringhiera antistante la porta dell'abitazione della persona offesa, e la somma di 5 euro, che si trovava nella tasca dei giubbotti appesi fuori dalla porta di casa.


2. Avverso la suindicata sentenza, ricorre per cassazione l'imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo tre motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.


2.1. Col primo motivo deduce l'erronea applicazione dell'art. 192 del codice di rito e la mancanza di motivazione. La Corte di merito ha ritenuto sufficiente ai fini dell'affermazione della responsabilità del Ca.Ga. la circostanza della sua presenza all'interno dello stabile unitamente a quella della "constatazione della sottrazione in pari data dell'ombrello e di Euro 5 da parte Di.Gi.". Né il giudice di primo grado né quello di secondo grado considerano le immagini della videosorveglianza che se, da una parte, acclarano la presenza dell'imputato, dall'altro, escludono che lo stesso si fosse appropriato di alcunché. Come si evince dalle fotografie allegate il predetto non ha messo in atto alcun movimento furtivo ma si è limitato a stazionare innanzi alla porta d'ingresso. Nè si scorge che lo stesso al momento in cui discende le scale tiene in mano l'ombrello di cui al capo di imputazione. Incerta è rimasta peraltro anche la presenza dei 5 Euro all'interno del giubbotto posto che il denaro non apparteneva alla persona offesa, bensì ai figli della stessa che non hanno mai deposto sul punto.


2.2. Col secondo motivo deduce l'erronea applicazione dell'art. 624-bis e la mancanza di motivazione. Sostiene la Corte dì merito che il pianerottolo di un edificio costituisce certamente la pertinenza di un luogo dì privata dimora e, citando pertanto alcune sentenze della Corte di cassazione, ritiene sussistente nel caso di specie il furto in abitazione. Essa omette tuttavia di confrontarsi con le circostanze del fatto palesemente indicate nell'atto di appello, ove si segnalava come il portone d'ingresso fosse perennemente aperto di guisa che chiunque potesse accedervi, nel senso che alcuno potesse vietare la presenza di intrusi. Difetta pertanto nel caso di specie il domicilio oggetto di tutela dalla norma di cui all'art. 624-bis che presuppone un rapporto tra la persona e il luogo generalmente chiuso in cui si svolge la sua vita privata in modo anche da sottrarre chi lo occupa alle ingerenze esterne e da garantirgli quindi la riservatezza, e tale tutela sussiste anche quando la persona è assente nel domicilio. Ne consegue che non può considerarsi furto in abitazione quello commesso su cose poste all'interno di un pianerottolo di un edificio a cui ingresso tutti possono accedere.


2.3. Col terzo motivo deduce l'erronea applicazione dell'art. 597, commi 3 e 4, del codice di rito e violazione del divieto di "reformatio in peius". Il reato per il quale vi è stata declaratoria di improcedibilità, ovvero quello di furto aggravato, era stato ritenuto più grave dal giudice di primo grado, che in relazione ad esso aveva quantificato la pena base in anni tre di reclusione, aumentandola di mesi sei per la ritenuta continuazione con il reato di furto in appartamento, e riducendola per il rito abbreviato alla pena finale di anni due, mesi quattro di reclusione ed Euro 800 di multa. Venuto meno il reato di furto la Corte di merito ha calcolato la pena base per il reato di furto in abitazione in anni quattro di reclusione, così di fatto violando il principio del divieto di "reformatio in peius", posto che la pena base in primo grado era stata determinata in anni tre di reclusione.


3. Il ricorso è stato trattato - ai sensi dell'art. 23, comma 8, del d. I. n. 137 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, che continua ad applicarsi, in virtù del comma secondo dell'art. 94 del D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall'art. 11, comma 7, D.L. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito con modificazioni dalla L. del 23.2.2024 n. 18, per le impugnazioni proposte sino al 30.6.2024 - senza l'intervento delle parti che hanno così concluso per iscritto:


il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso;


il difensore dell'imputato ha insistito nell'accoglimento del ricorso, contro-deducendo ai rilievi svolti dal P.G.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è nel suo complesso infondato.


1.1. Il primo motivo è proprio inammissibile, deducendo, genericamente, senza neppure allegare i fotogrammi in questione, per un verso, che dalle immagini estratte dal sistema di videosorveglianza non emergerebbe che l'imputato si sia appropriato dei beni di cui all'imputazione - un ombrello a scatto e cinque Euro che si trovavano rispettivamente, il primo, appeso alla ringhiera antistante alla porta dell'abitazione della persona offesa e, il denaro, nelle tasche del giubbotto appeso fuori dalla porta di casa - e, per altro verso, apoditticamente, che i videogrammi attesterebbe unicamente lo stazionamento del Ca.Ga. davanti alla porta di ingresso della persona offesa, non notandosi l'imputato tenere in mano l'ombrello nel momento in cui discendeva le scale.


Né tanto meno si allega la informativa di notizia di reato su cui pure i giudici di merito fondano l'affermazione di responsabilità dell'imputato, per sua scelta giudicato col rito abbreviato.


Il motivo è anche versato in fatto, promuovendo la valutazione di circostanze fattuali la cui valutazione è inibita in sede di legittimità, a fronte peraltro della congruità delle pronunce di merito che univocamente affermano che dagli atti -ovvero dalle dichiarazioni della persona offesa e dalla C.N.R. con relativi allegati ivi compresi i fotogrammi in questione - emerge con sufficiente certezza la colpevolezza dell'imputato. D'altronde, la stessa prospettazione del ricorso ammette che l'imputato fu scorto proprio sul pianerottolo antistante l'abitazione della vittima, ove si trovavano i beni sottratti; beni le cui dimensioni ridotte ben ne consentivano, peraltro, l'occultamento.


Né, per altro verso, come giustamente rileva il P.G. nella requisitoria scritta, risultano spiegate - nemmeno in ricorso - le eventuali diverse ragioni della presenza nell'edificio dell'imputato.


1.2. Manifestamente infondato è il secondo motivo con cui si deduce violazione di legge e mancanza di motivazione in relazione alla configurabilità del reato di furto in abitazione, contestando la natura di pertinenza di luogo di privata dimora del pianerottolo, e ciò peraltro anche sulla base dell'indimostrato assunto dell'accesso sempre libero al palazzo.


Come ha già avuto modo di affermare questa Corte, la norma di cui all'art. 624-bis cod. pen. - che punisce chi si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto, mediante introduzione in un edificio o in un altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa - intende tutelare non solo la privata dimora in sé, ma, come si evince testualmente dalla sua formulazione - in particolare dalla disgiuntiva "o" -anche i luoghi costituenti 'pertinenza' di essa (d'altronde, se essa avesse inteso circoscrivere la tutela alla sola privata dimora sarebbe stata del tutto ultronea la previsione specifica relativa alla pertinenza, che ove avesse presentato i requisiti della privata dimora sarebbe rientrata già nel concetto appunto di privata dimora e non sarebbe quindi stata necessaria l'aggiunta ad essa relativa tenuto conto che si è in ambito penale e non civilistico).


La nozione di pertinenza, valevole ai fini dell'art. 624-bis c.p., non coincide con quella civilistica, non richiedendo essa l'uso esclusivo del bene da parte di un solo proprietario. Piuttosto, essa si fonda sul rapporto di strumentalità e complementarietà funzionale esistente rispetto al bene principale, ai fini del quale è necessario che il bene accessorio arrechi una "utilità" al bene principale (come appunto nella fattispecie dell'edificio condominiale, ove il pianerottolo condominiale assolve a tale funzione essendo strumentale e complementare alle abitazioni dello stabile in cui insiste); essa deve essere, piuttosto, accostata alla nozione di appartenenza, di cui all'art. 614 cod. pen., sicché elemento caratterizzante è, come detto, quello della strumentalità, anche non continuativa e non esclusiva, del bene alle esigenze di vita domestica del proprietario (cfr., tra tante, sul tema, Sez. 5, n. 1278 del 31/10/2018, dep. 11/01/2019, Rv. 274389-01, secondo cui integra il reato previsto dall'art. 624-bis cod. pen. la condotta di chi si impossessa di una bicicletta introducendosi nell'androne di un edificio destinato ad abitazioni, in quanto detto luogo costituisce pertinenza di privata dimora; nonché, Sez. 4, n. 4215 del 10/01/2013, Rv. 255080 - 01, secondo cui integra il reato di furto in abitazione la sottrazione illecita di beni mobili posti all'interno di aree condominiali, anche quando le stesse non siano nella disponibilità esclusiva dei singoli condomini - nella fattispecie questa Corte non ha ritenuto ostativa alla configurazione del reato di cui all'art. 624-bis cod. pen. la circostanza che sull'area condominiale destinata a parcheggio, all'interno della quale era stato consumato il furto, insisteva una servitù pubblica di passaggio pedonale).


Il furto di un bene sito nella pertinenza ha in sé maggiore offensività rispetto al furto semplice - equiparata ex lege a quella del furto in privata dimora senza che ciò si risolva, a differenza di quanto assume il ricorrente, in una lesione del principio di proporzione della pena la cui forbice edittale consente il suo adeguamento al caso concreto - perché si tratta di luogo in cui si svolgono pur sempre atti della vita privata, che, sebbene non costituenti atti di vita intima e familiare propri dell'abitazione, sono comunque una estrinsecazione della sfera privata, domestica (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 4215, cit.); ed il caso di specie ne è una pregnante dimostrazione, avendo la persona offesa posto sul pianerottolo, nella zona immediatamente adiacente alla propria abitazione, beni personali - quali dei giubbotti e un ombrello - il cui utilizzo implica l'effettuazione di atti propri della sfera privata, domestica, della persona.


La ratio della norma è infatti da rinvenire nell'esigenza di rafforzamento della tutela dei luoghi di privata dimora attraverso l'estensione della stessa a quei luoghi privati in cui si svolgono atti della vita privata che siano in stretta correlazione con una privata dimora; in altri termini, attraverso tale estensione si realizza in definitiva un rafforzamento della stessa privata dimora, che è ulteriormente presidiata attraverso la tutela estesa anche alle sue propaggini.


Ciò perché le esigenze di tutela della sicurezza individuale che il legislatore ha voluto tutelare unitamente a quelle patrimoniali ben ricorrono anche nelle ipotesi di beni pertinenziali all'abitazione o ad una privata dimora poiché le pertinenze, anche avendo riguardo alla disposizione espressa dall'art. 817 cod. civ., sono luoghi strumentali del bene principale volte a soddisfare anch'esse esigenze di vita domestica del proprietario (Sez. 5, n. 8421 del 16/12/2019, dep. 2020, Leovino, Rv. 278311-01).


In sostanza, come questa Corte ha più volte sottolineato, ed ha opportunamente ricordato anche il P.G. nella requisitoria scritta, l'esigenza di punire con maggiore severità la particolare pericolosità manifestata da chi, al fine di commettere un furto, non esita ad introdursi in un luogo di abitazione, con la concreta possibilità di trovarsi innanzi al soggetto passivo, sussiste anche quando il reato sia commesso in una immediata pertinenza dell'abitazione: come tale destinata allo svolgimento di attività strettamente complementari e strumentalmente connesse a quelle abitative (cfr., tra le altre, Sez. 4, n. 50105 del 05/12/2023, Santin, Rv. 285470 - 01; Sez. 5, n. 27326 del 28/04/2021, Colucci, n.m.).


Non depone diversamente la pronunzia delle Sezioni Unite citata in ricorso (n. 31345 del 23/03/2017), che ha come tema centrale quello della applicabilità dell'art. 624-bis cod. pen. ai luoghi di svolgimento di attività lavorativa e professionale e che anzi nella ricostruzione effettuata evidenzia proprio l'ampliamento della tutela operato dall'art. 624-bis cod. pen. rispetto alla previsione dell'art. 625, comma 1, n. 1 cod. pen. (che prevedeva l'introduzione o il trattenimento "in un edificio o in altro luogo destinato ad abitazione").


Restano esclusi, secondo la pronuncia delle Sezioni Unite, i luoghi a libero accesso, come però non è il pianerottolo e in generale non sono le aree comuni di edifici adibiti a civile abitazione.


Sicché a nulla potrebbe rilevare la indimostrata circostanza - francamente poco credibile - che l'ingresso al palazzo fosse completamente libero, non essendosi peraltro neppure posto in dubbio che lo stesso fosse munito di un portone principale di ingresso.


Trattasi, in definitiva, di luogo - pianerottolo condominiale - che, sebbene non riconducibile alla nozione di privata dimora in senso stretto, si qualifica per esserne una "estensione" che presenta i tratti fondamentali di essa, costituiti dalla non apertura al pubblico, dalla non accessibilità a terzi intrusi senza il consenso, anche implicito, del titolare - che ha comunque il potere di impedire l'accesso a chi non gradito.


1.3. Quanto al terzo motivo, deve osservarsi che non può ritenersi violato il principio del divieto di reformatio in peius invocato dal ricorrente.


Infatti, la Corte di merito, nel determinare la pena a seguito della declaratoria di improcedibilità del reato di furto pluriaggravato - che il primo giudice aveva correttamente ritenuto più grave ai finì della individuazione della pena base per la ravvisata continuazione col reato di furto in abitazione dal momento che per il furto pluriaggravato è prevista, all'ultimo comma dell'art. 625 cod. pen., la pena massima di anni dieci di reclusione e della multa di Euro 1.549, che è superiore a quella massima fissata per il furto in abitazione in anni sette di reclusione ed in Euro 1500 di multa, applicabile ratione temporis nel caso di specie - si è attenuta al minimo edittale del residuo reato di furto in abitazione (4 anni di reclusione), di cui era comunque dovuto il rispetto, pena l'applicazione di una pena illegale in quanto inferiore al minimo edittale (cfr. sez. 4, n. 9176 del 31/01/2024, Rv. 285873 - 01 per il caso del giudizio di rinvio a seguito di annullamento della condanna per il reato più grave ritenuto in continuazione che ha affermato che nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento della condanna per il reato più grave ritenuto in continuazione, il giudice, nel determinare la pena per il reato satellite, non è vincolato alla quantificazione già effettuata in termini di aumento ex art. 81, comma secondo, cod. pen., ma, per il divieto di "reformatio in peius", non può irrogare una pena più grave, per specie e quantità, di quella base stabilita nel provvedimento di condanna annullato, purché superiore al minimo edittale previsto per tale reato satellite, configurandosi altrimenti un'ipotesi dì pena illegale). Laddove, peraltro, nel caso di specie, il primo giudice, pur avendo correttamente individuato, come detto, nel reato dì furto pluriaggravato il reato più grave - che sì individua comparando le pene stabilite nel massimo e non nel minimo - non aveva tuttavia fissato la pena base in anni quattro di reclusione, costituente la pena minima prevista per il reato satellite di furto in abitazione, come avrebbe - già - dovuto fare in virtù del principio pacifico secondo cui, in tema dì concorso dì reati puniti con sanzioni omogenee, sia nel genere che nella specie, per i quali sia riconosciuto il vincolo della continuazione, l'individuazione del concreto trattamento sanzionatorio per il reato ritenuto dal giudice più grave non può comportare l'irrogazione dì una pena inferiore nel minimo a quella prevista per uno dei reati satellite da individuarsi con riferimento al reato ritenuto dal giudice in rapporto alle singole circostanze, svolto l'eventuale giudizio di bilanciamento (così Sez. U, n. 25939 del 28/02/2013, Ciabotti, Rv. 255348-01 e, nel solco di questa, Sez. 3, n. 6828 del 17/12/2014, dep. 2015, Seck, Rv. 262528-01; Sez. 3, n. 18099 del 15/11/2019, dep. 2020, Niang, Rv. 279275; Sez. 5, n. 854 del 18/11/2022, dep. 2023, Glaouì, Rv. 28418401 che, in applicazione del principio, ha ritenuto immune da censure la decisione che, nell'individuare la pena per il reato satellite, aveva preso in considerazione, non già il reato di cui all'art. 416-bis cod. pen., punito con la reclusione minima di anni dieci, bensì la fattispecie aggravata di cui al comma quarto della citata disposizione, per cui è fissata la reclusione minima di anni dodici).


Ad ogni buon conto, la pena irrogata in concreto, di anni uno, mesi due e giorni sei di reclusione e dì Euro 274 dì multa, è notevolmente più bassa dì quella della sentenza dì primo grado (pari a due anni e quattro mesi di reclusione e 800 Euro di multa) ed in un caso siffatto anche dì ciò sì deve tener conto.


Il motivo è nel suo complesso infondato, non essendo ravvisabile per tutto quanto esposto la dedotta violazione del principio della reformatio in peius.


2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva il rigetto del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese.


Così deciso il 2 dicembre 2024.


Depositata in Cancelleria il 14 gennaio 2025.



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