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Reati contro il patrimonio

Danneggiamento: che cos'è il reato previsto dall’art. 635 c.p.

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Danneggiamento: che cos'è il reato previsto dall’art. 635 c.p.

Ti sei mai chiesto quali siano le conseguenze giuridiche di un gesto apparentemente banale, come graffiare un'auto parcheggiata o rompere una finestra?

Queste condotte, spesso sottovalutate, possono rientrare nel reato di danneggiamento, previsto dall'art. 635 c.p.

In questo articolo, analizzeremo nel dettaglio cosa prevede il codice penale, quali comportamenti costituiscono reato e le conseguenze giuridiche, fino a un approfondimento sulle recenti riforme legislative e sulla giurisprudenza.


Che cos'è il danneggiamento previsto dall’art. 635 c.p.?

Il reato di danneggiamento, previsto dall’art. 635 c.p., si configura quando una persona, con dolo, causa un danno a cose mobili o immobili appartenenti ad altri.

La condotta può consistere nel distruggere, deteriorare, disperdere o rendere inutilizzabile il bene, compromettendone l’integrità o la funzionalità.

La norma mira a tutelare sia la proprietà privata che l’integrità dei beni pubblici, garantendo così un equilibrio tra interessi individuali e collettivi.

Le modalità attraverso cui si realizza il danneggiamento possono essere molteplici.

Distruggere significa annientare l’essenza stessa della cosa, come avviene, ad esempio, nella frantumazione di un vetro.

Disperdere comporta invece la perdita della cosa, rendendo difficoltoso o impossibile il recupero, come accade nel caso di chi libera in mare aperto i pesci di un acquario.

Deteriorare implica alterare un bene in modo tale da comprometterne il valore o la funzionalità, come nel caso di un’auto rigata lungo la carrozzeria.

Infine, rendere inservibile consiste nel modificare temporaneamente il bene, privandolo della sua capacità di essere utilizzato secondo la destinazione naturale.


Il danno arrecato: la soglia di rilevanza penale

Perché possa configurarsi il reato di danneggiamento, non basta che il bene subisca una semplice alterazione; è necessario che la condotta illecita determini una concreta e significativa compromissione della sua funzionalità o del suo valore economico. Questo principio, più volte ribadito dalla giurisprudenza, sottolinea come non ogni mutamento delle condizioni del bene costituisca reato, ma solo quelli che incidono in modo apprezzabile sulla sua integrità strutturale o sul suo utilizzo.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 48615/2019, ha chiarito che il reato non può ritenersi integrato qualora l’alterazione sia superficiale o facilmente reversibile, come potrebbe essere una lieve abrasione o uno scolorimento. Diverso è il caso in cui l’intervento necessario per riportare il bene al suo stato originario risulti complesso o oneroso.

Un esempio illuminante è offerto dalla Cass. Pen., Sez. II, n. 4481/2011, che ha escluso la configurabilità del reato nel caso in cui due perni metallici fossero stati conficcati in un lastrico solare. Secondo i giudici, tale intervento non aveva compromesso né la funzionalità strutturale del lastrico né la sua utilizzabilità. Allo stesso modo, la Cass. Pen., Sez. II, n. 25882/2008 ha escluso il reato nella fattispecie relativa alla recinzione di alberi con filo spinato per consentire il passaggio di animali. In questo caso, l'installazione del filo spinato non aveva prodotto alcuna alterazione funzionale o strutturale delle piante.

Queste decisioni evidenziano un orientamento consolidato: perché vi sia danneggiamento, è indispensabile che il danno vada oltre il semplice deterioramento superficiale e si traduca in un’alterazione tale da ridurre in modo significativo il valore o l’utilizzo del bene. La valutazione del danno, quindi, non può prescindere dall’analisi concreta della situazione e deve essere sempre riferita all’oggetto specifico e al contesto in cui esso viene utilizzato.


L’elemento soggettivo: Il dolo generico

Il reato di danneggiamento, sotto il profilo soggettivo, si caratterizza per la presenza del dolo generico.

Ciò comporta che l’autore della condotta debba agire con piena consapevolezza e volontà di arrecare un danno a un bene altrui, senza che sia necessario un intento specifico o una motivazione ulteriore.

In altre parole, ciò che rileva è la volontarietà dell’azione, non il fine che l’agente si propone.

Ad esempio, se una persona, presa dall'ira, lancia un oggetto contro un'automobile e ne danneggia la carrozzeria, risponde del reato di danneggiamento, indipendentemente dal fatto che il suo scopo principale non fosse colpire il veicolo ma sfogare la rabbia.

La giurisprudenza ha precisato che il dolo generico si configura anche quando il danno è accettato come conseguenza inevitabile dell’azione. In tal senso, la Cassazione ha chiarito che la mera consapevolezza delle conseguenze dannose dell’atto è sufficiente per configurare l’elemento soggettivo del reato, senza che sia necessario dimostrare l’intenzione di arrecare danno in modo diretto (Cass. Pen., Sez. II, n. 39910/2017).


Danneggiamento semplice e aggravato: la depenalizzazione del 2016

Con il decreto legislativo n. 7/2016 è stata introdotta una significativa distinzione tra danneggiamento semplice e aggravato.

Il danneggiamento semplice è stato depenalizzato e trasformato in un illecito amministrativo, applicabile nei casi in cui non siano presenti particolari circostanze aggravanti.

Contrariamente, il danneggiamento aggravato, che si verifica ad esempio quando il fatto è commesso su beni pubblici, destinati a pubblico servizio o utilizzando mezzi pericolosi per la pubblica incolumità, come il fuoco, continua a essere considerato un reato. La riforma aveva l’obiettivo di alleggerire il sistema giudiziario nei casi meno gravi, mantenendo però un trattamento rigoroso per le condotte più dannose o pericolose.




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