Reati stradali
Con l’approvazione della riforma del Codice della Strada il 20 novembre 2024, il legislatore italiano ha scelto un approccio tanto muscolare quanto ideologico, che mescola il desiderio di controllo sociale con una spettacolarizzazione normativa di dubbia efficacia.
Le nuove misure, incentrate su un inasprimento delle sanzioni e un’estensione dei poteri repressivi, rivelano un’impronta moralizzatrice che, se da un lato appare in linea con la crescente richiesta di sicurezza, dall’altro rischia di trasformare il sistema in un impianto punitivo fine a sé stesso.
La riforma poggia sull’assunto che pene più dure scoraggino comportamenti pericolosi, ma chiunque si occupi di giustizia sa benissimo che non è così.
È noto, infatti, che la deterrenza è una lama a doppio taglio: se non vi sono controlli sistematici, essa si rivela solo una minaccia inconsistente.
Ed è proprio qui che la riforma si mostra nella sua fragilità, il nostro sistema di vigilanza stradale è storicamente carente: le strade sono sorvegliate da organici ridotti, strumenti obsoleti e procedure farraginose.
Così, il legislatore si rifugia nella drammatizzazione normativa: sanzioni da migliaia di euro, arresti per chi guida ubriaco, e il tanto discusso "ergastolo della patente", che suona più come un titolo di giornale che una reale misura di giustizia.
Analizziamo le principali novità introdotte dalla riforma.
Uno degli interventi più incisivi riguarda la guida in stato di ebbrezza, già oggetto di un severo controllo nelle normative precedenti.
La riforma innalza ulteriormente la soglia delle pene:
Tasso alcolemico tra 0,5 e 0,8 g/l: multa da 573 a 2.170 euro e sospensione della patente da 3 a 6 mesi.
Tasso alcolemico tra 0,8 e 1,5 g/l: arresto fino a 6 mesi, multa da 800 a 3.200 euro e sospensione della patente da 6 mesi a un anno.
Tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l: arresto da 6 mesi a un anno, multa da 1.500 a 6.000 euro e sospensione della patente fino a due anni.
A ciò si aggiunge l’obbligo per i recidivi di installare il dispositivo alcolock, un meccanismo che impedisce l’avviamento del veicolo in caso di rilevamento di alcol nel respiro.
Questa misura, benché tecnologicamente innovativa, sembra ignorare la reale portata del problema: l’effettiva capacità di effettuare controlli etilometrici sul territorio è minima, rendendo il dispositivo più una minaccia teorica che una reale prevenzione.
La novità forse più controversa è l’introduzione della sospensione immediata della patente per chi risulta positivo ai test salivari per sostanze stupefacenti.
Non è necessario dimostrare che il conducente fosse effettivamente in uno stato di alterazione psicofisica al momento della guida: la presenza della sostanza basta per attivare il procedimento sanzionatorio.
Questo approccio introduce una sorta di presunzione di colpevolezza che confligge con il principio di proporzionalità della pena.
La positività a una traccia di THC o cocaina potrebbe essere dovuta a un’assunzione avvenuta giorni prima, senza alcun effetto residuo. Di fatto, si amplia il confine del penalmente rilevante in un modo che rischia di criminalizzare situazioni marginali.
Con la riforma viene introdotto l’ergastolo della patente, una misura draconiana che prevede la revoca definitiva del permesso di guida nei casi più gravi, ed in particolare:
Guida sotto l’effetto di alcol o droghe con conseguenze mortali o lesioni gravissime.
Fuga dal luogo di un incidente con omissione di soccorso.
Questa sanzione, per quanto eclatante, appare più simbolica che realmente applicabile.
È difficile immaginare come si possa garantire il rispetto della revoca per chi, in molti casi, continuerà a guidare senza patente. La misura rischia così di diventare l’ennesimo vessillo del populismo penale, incapace di tradursi in un’effettiva riduzione della pericolosità stradale.
L’uso del cellulare alla guida, spesso citato come causa principale di incidenti stradali, è oggetto di un inasprimento sanzionatorio. Le multe arrivano fino a 1.400 euro nei casi di recidiva, con sospensione della patente fino a tre mesi e decurtazione di 8-10 punti.
L’obiettivo, sulla carta, è colpire la distrazione tecnologica, ma il legislatore sembra ignorare che il problema non si risolve con la mera repressione.
Le distrazioni alla guida sono spesso frutto di carenze infrastrutturali (segnaletica confusa, percorsi non intuitivi) o di dinamiche psicologiche complesse. La punizione non è sufficiente se non accompagnata da interventi educativi e preventivi che coinvolgano il conducente fin dalla formazione.
Non mancano novità che ampliano il perimetro della rilevanza penale, tra queste spicca la sanzione per l’abbandono di animali che provoca un incidente stradale, con pene fino a 7 anni di reclusione.
Per quanto la norma possa apparire un segnale di civiltà, sorge il dubbio che il legislatore stia usando il diritto penale come strumento pedagogico, caricandolo di funzioni che vanno oltre il suo scopo naturale.
La riforma del Codice della Strada, con il suo apparato di norme severe e talvolta draconiane, sembra affetta da una sindrome di ansia repressiva.
Il legislatore, incapace di affrontare i problemi strutturali della sicurezza stradale – come la carenza di controlli, la formazione inadeguata e l’insufficienza delle infrastrutture – ha preferito rifugiarsi in una drammatizzazione normativa che rischia di essere inefficace.
Le pene sono più dure, ma la loro applicazione resta incerta. Le norme sono più rigide, ma la loro proporzionalità è discutibile. In definitiva, la riforma sembra una risposta emotiva a un problema complesso, un gesto di forza che, senza un serio impegno sul piano pratico, rischia di rimanere una mera declamazione.
Per rendere davvero più sicure le strade italiane, sarebbe stato necessario un approccio più razionale e meno spettacolare, capace di coniugare prevenzione, educazione e interventi strutturali.
Ma, ancora una volta, il legislatore ha preferito scegliere il clamore del martello al silenzioso lavoro del bisturi.