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Diffamazione: il giornalista di cronaca giudiziaria deve verificare l'esito del procedimento penale


Corte di Cassazione

La massima

In tema di diffamazione a mezzo stampa, ai fini del corretto esercizio del diritto di cronaca, il giornalista che riporti una notizia tratta da un procedimento penale, in particolare se risalente nel tempo, è tenuto a verificarne gli esiti giudiziali, onde accertare se la stessa si sia poi rivelata priva di fondamento, tanto da comportare l'assoluzione dell'accusato (Cassazione penale sez. V - 05/05/2021, n. 21703).

Fonte: CED Cass. pen. 2021



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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 18 settembre 2019, la Corte di appello di Catanzaro, in riforma della sentenza del Tribunale di Cosenza, assolveva I.M.T. dal delitto di diffamazione ascrittole, per avere pubblicato sul sito "(OMISSIS)" una frase che offendeva la reputazione di V.R. affermando come egli fosse un "imprenditore calabrese il cui business, secondo la dichiarazione di tre collaboratori di giustizia, sarebbe strettamente legato agli interessi delle ‘ndrine ", perchè il fatto non sussiste, trovando, la frase pubblicata, giustificazione nell'esercizio del diritto di cronaca e di critica, fondato sugli atti giudiziari da cui la notizia, delle accuse riportate, era stata tratta.


1.1. La Corte di merito, in accoglimento dei motivi di appello formulati dall'imputata, aveva, infatti, osservato che:


- nell'articolo redatto dall'appellante erano state riportare le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, senza travisarne l'effettivo contenuto, ed il dovere di completezza informativa era stato assolto riferendo del proscioglimento del prevenuto per intervenuta prescrizione di alcuni reati, esito che non costituiva una smentita del riferito portato dichiarativo;


- le dichiarazioni dei collaboranti erano state poi utilizzate nella redazione di una proposta di misura di prevenzione patrimoniale, con rilevanza pertanto autonoma rispetto al procedimento penale in cui erano state inserite;


- il contesto che aveva determinato la redazione e la pubblicazione dell'articolo era poi di interesse pubblico, posto che riguardava l'affidamento della gestione di una discarica ad una società riconducibile al V..


2. Propone ricorso la parte civile, V.R., a mezzo del suo difensore, articolando le proprie censure in due motivi.


2.1. Con il primo deduce il vizio di motivazione in relazione alla avvenuta riforma della sentenza di condanna senza la necessaria motivazione rafforzata.


Si doveva infatti considerare che tutte le vicende giudiziarie del V. si erano risolte con pronunce pienamente liberatorie. In particolare, la Corte di cassazione aveva annullato, nel 2011, la condanna del V. ed il giudice del rinvio aveva dichiarato la prescrizione dei delitti. Giudizio che era stato nuovamente impugnato per giungere all'assoluzione piena, da parte della Suprema Corte.


E si trattava di sentenze divenute definitive, l'ultima nel 2013, in epoca antecedente al 2015, quando era stato pubblicato l'articolo in questione.


E, sulle vicende relative a procedimenti giudiziari, la Suprema corte aveva affermato come dovesse procedersi ad un rigoroso accertamento anche dei successivi passaggi procedimentali (Cass. n. 5356/1999 e 15986/2005).


2.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge ed in particolare degli artt. 51 e 595 c.p..


La condotta offensiva della reputazione del V. non poteva dirsi scriminata neppure in relazione all'invocata esimente putativa considerando che l'esito finale del giudizio a carico del V. aveva avuto ampia risonanza mediatica (Cass. 45672/2013 e Rv. 196413 e 190990, n. 36838/2016. 13491/2015).


Nè sussisteva l'ipotesi di deroga al divieto dettato dall'art. 596 c.p., comma 3, n. 2, considerando che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia erano state smentite dall'esito assolutorio del processo (Cass. n. 11018/1999).


3. Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto Luigi Birritteri, ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.


4. Il difensore dell'imputata ha inviato memoria con la quale ha chiesto l'inammissibilità o il rigetto del ricorso non avendo il ricorrente prodotto i citati provvedimenti giudiziari e non avendo affrontato le specifiche argomentazioni della Corte di merito sia in ordine alla valenza della sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione sia in riferimento all'utilizzo delle accuse riportate nell'articolo nella richiesta della misura di prevenzione reale avanzata nei confronti del V..


CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso merita accoglimento.


1. Deve innanzitutto ricordarsi come, anche in caso di integrale riforma di una sentenza, del primo giudice, di condanna, il giudice dell'appello, nell'assolvere l'imputato, deve rendere una "motivazione rafforzata", che consiste nel predisporre un percorso argomentativo che, dando congruo conto delle ragioni che avevano condotto il primo giudice a concludere per la penale responsabilità, conferisca al diverso esito decisionale una forza persuasiva superiore (Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, Rv. 278056; Sez. 3, n. 6880 del 26/10/2016, dep. 14/02/2017, Rv. 269523).


Nell'unica pronuncia che pare divergere da tale consolidato orientamento (Sez. 5, n. 29261 del 24/02/2017, Rv. 270868) si sottolinea, invero, solo il diverso approccio con il quale deve affrontarsi l'intervenuta riforma di una sentenza di condanna rispetto alla di una sentenza di assoluzione, ricordando come "mentre per l'affermazione della responsabilità penale è necessario l'accertamento di tutti gli elementi dell'illecito, per la sua esclusione è sufficiente anche il venir meno di uno solo di essi", non escludendo, pertanto, affatto, che, sul punto ritenuto decisivo dal giudice dell'appello per riformare la sentenza di condanna, lo stesso debba rendere una motivazione che abbia una maggiore forza persuasiva di quella argomentata dal primo giudice.


2. E, sul punto - sulla maggiore persuasività della pronuncia di riforma rispetto alla, opposta, decisione del Tribunale - la sentenza impugnata appare del tutto carente.


Non solo infatti non si era approfondito il reale contenuto della sentenza di prescrizione pronunciata nei confronti della persona offesa, per dedurne che la stessa non aveva costituito una concreta smentita alle convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (le cui propalazioni erano state in sunto riportate nell'articolo pubblicato dall'imputata), ma si era anche del tutto omesso di considerare che la medesima non era divenuta definitiva, venendo, difatti, da questa Corte annullata con il definitivo, pieno, proscioglimento del V. (invero considerando la natura dell'atto, che costituiva il presupposto della residua imputazione di falso, che, peraltro, non è neppure dato sapere se fosse derivata dalle accuse dei collaboranti).


Un esito giudiziale definitivo che era stato raggiunto ben due anni prima della diffusione del pezzo giornalistico incriminato e che, anche per la notorietà del V., non doveva essere certo di difficile accertamento.


Si deve, infatti, ricordare come l'autore di un pezzo giornalistico che riporti una notizia tratta da un procedimento penale debba, particolarmente quando la stessa risalga nel tempo, verificare gli esiti giudiziali dell'accusa mossa, onde accertare se la notizia stessa si sia rivelata poi priva di fondamento tanto da comportare l'assoluzione dell'accusato, solo così dimostrando di avere compiuto quei controlli che costituiscono un indispensabile requisito del corretto esercizio del diritto di cronaca e di critica.


3. Nè, invero, appare persuasiva la motivazione di riforma della condanna di prime cure quando ricorda come le dichiarazioni dei citati collaboratori di giustizia fossero state poste a fondamento anche di una richiesta di misura di prevenzione patrimoniale visto che non si è dato conto alcuno del successivo vaglio giudiziario di tal atto di impulso di parte, che, pur, per il tempo trascorso, dovrebbe esserci stato, con la conferma o la smentita della tesi dell'accusa, tanto più considerando che la medesima era già caduta nel, diverso ma parallelo, giudizio di merito.


4. La sentenza impugnata va pertanto annullata con rinvio, residuando le sole statuizioni civili, al giudice civile competente per valore in grado di appello ai sensi dell'art. 622 c.p.p..


P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.


Spese al definitivo.


Così deciso in Roma, il 5 maggio 2021.


Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2021

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