RITENUTO IN FATTO
1. Fe.Ka. e To.Ro. sono stati tratti a giudizio per rispondere dei reati di atti persecutori (contestato al capo A), danneggiamento (contestato al capo B) e deturpamento di cose altrui (contestato al capo C), tutti commessi ai danni di Ca.Ma. e Ot.Gi..
2. Celebrato il giudizio di primo grado, il Tribunale di Torino, accogliendo integralmente la prospettazione accusatoria, condannava entrambi gli imputati alla pena di anni due e mesi sei di reclusione ciascuno e al risarcimento dei danni subiti dalle parti offese, costituitesi parti civili, liquidando contestualmente una provvisionale esecutiva determinata in euro 25.000 in favore della Ca.Ma. e in euro 10.000 in favore di Ot.Gi.
3. Investita delle impugnazioni proposte dalla Ca.Ma. e dall'Ot.Gi., la Corte territoriale, con la sentenza impugnata, in parziale riforma della condanna pronunciata in primo grado, ha assolto entrambi gli imputati dai reati contestati ai capi B) e C), confermando, invece, la loro condanna per il reato di cui all'art. 612-bis cod. pen., contestato al capo A).
4. Avverso tale decisione ricorrono gli imputati, articolando quattro motivi di censura.
4.1. I primi due deducono la manifesta illogicità della motivazione (il primo) e la violazione di legge (in relazione all'art. 612-bis cod. pen., il secondo) in riferimento alla sussistenza dei fatti in contestazione e, in particolare, dell'evento in ipotesi conseguente alle condotte asseritamente poste in essere, nonché la relativa qualificazione nei termini prospettati nel capo d'imputazione.
La difesa premette che l'imputazione, nella sua originaria formulazione, contemplava una serie di condotte, tra le quali spiccavano quelle enunciate ai capi B) e C) che, secondo l'editto accusatorio, avrebbero rappresentato la pretesa escalation persecutoria, in ipotesi protrattasi sino al 2019.
Ebbene, la stessa Corte d'appello, dopo aver dato atto che le persone offese avrebbero indubbiamente patito i fatti contestati nei predetti capi d'imputazione, ha poi ritenuto non provata la responsabilità degli imputati, sul rilievo di una sostanziale labilità degli elementi indizianti. Per cui dai plurimi fatti in contestazione, andrebbero sicuramente espunti questi due episodi.
Ciò premesso, i ricorrenti censurano in primo luogo il giudizio di attendibilità espresso con riferimento alle dichiarazioni della Ca.Ma., la quale, nelle conversazioni prodotte, avrebbe radicalmente smentito la versione resa nel corso del suo esame dibattimentale. Una sostanziale revisione che non potrebbe trovare la sua spiegazione in un'asserita manipolazione della stessa Ca.Ma. ad opera degli imputati. Se manipolazione vi fu, sostiene la difesa, questa sarebbe riconducibile alle stesse persone offese; tant'è che la stessa Ca.Ma. sarebbe tornata nuovamente alla sua iniziale versione dopo aver ottenuto la somma di 10.000 euro da parte dell'Ot.Gi.
D'altronde, né la Fe.Ka., né il To.Ro. avevano alcun motivo di ostilità nei confronti della coppia Ca.Ma. - Ot.Gi., essendo provato in atti che fu la stessa Fe.Ka. a decidere di interrompere il rapporto coniugale con l'ex marito (Ot.Gi.).
Ciò premesso, la difesa censura analiticamente i singoli elementi di prova valutati dalla Corte e posti a sostegno del conseguente giudizio di responsabilità. In particolare:
- le telefonate minatorie anonime ricevute dalle persone offese dal marzo all'aprile 2018 non sarebbero state considerate in primo grado, per cui, in assenza di specifico motivo d'impugnazione proposto dal Pubblico Ministero, non potrebbero formare oggetto di valutazione in grado di appello;
- la redazione e la spedizione delle lettere minatorie del giugno 2017 sarebbero state ricondotte, alla Fe.Ka., sulla scorta della mera confutazione delle sue dichiarazioni e, al To.Ro., alla luce delle condotte ingiuriose tenute in altra occasione. Le argomentazioni, quindi, da un canto sarebbero meramente congetturali e prive di un necessario riscontro fattuale, dall'altro, non terrebbero conto che gli imputati, all'epoca, non avevano alcuna ragione di contrasto con le persone offese;
- le minacce del 31 luglio 2017 non potrebbero essere considerate espressione di una condotta persecutoria in quanto semplice reazione ad un ingiustificabile atteggiamento dello stesso Ot.Gi. nei confronti del figlio;
- le frasi pubblicate sulla piattaforma Facebook, da un canto, sarebbero intrinsecamente prive di qualsiasi connotazione minacciosa, dall'altro, sarebbero anch'esse una reazione alle contumelie profferite dalle persone offese attraverso lo stesso mezzo;
- l'incontro avvenuto innanzi al supermercato Esselunga, del giugno 2018 (nel corso del quale il To.Ro. avrebbe indirizzato tre sputi all'indirizzo dell'Ot.Gi.) ebbe luogo dopo che lo stesso era stato pesantemente offeso nel corso di un incontro di chiarificazione tra le parti;
- la pubblicazione della foto e dell'utenza della Ca.Ma. sul sito scambisti per caso sarebbe stata ricondotta agli imputati sulla base dell'individuazione di un semplice interesse alla realizzazione del fatto, elemento logicamente insufficiente alla luce della costante giurisprudenza di legittimità.
Quanto, in ultimo, alla sussistenza dell'evento lesivo (l'asserito stato d'ansia patito da entrambe le persone offese), da un canto, non troverebbe alcun riscontro per l'Ot.Gi. e, dall'altro, per la Ca.Ma., sarebbe stato ritenuto alla luce di una motivazione intrinsecamente contraddittoria in quanto smentita sia dalla pregressa pacifica assunzione di psicofarmaci da parte di quest'ultima, sia dall'equilibrio psicologico da lei raggiunto per esplicito riconoscimento della stessa Corte.
4.2. Il terzo deduce violazione dell'art. 62, comma 1, n. 2, cod. pen. in relazione alla ritenuta insussistenza della diminuente della provocazione, illogicamente esclusa, sostiene la difesa, nonostante la pacifica reciprocità dei comportamenti illeciti e alla luce della sola natura abituale del reato, erroneamente ritenuta incompatibile con il riconoscimento della circostanza attenuante.
4.3. Il quarto, in ultimo, attiene alle statuizioni civili, illogicamente confermate nella stessa misura (seppur a titolo di provvisionale) nonostante l'esclusione delle condotte di reato di cui ai capi B) e C).
5. Il 18 gennaio 2024, l'avv. Mauro Anetrini ha depositato ulteriore memoria, nell'interesse dei ricorrenti, con la quale insiste per l'accoglimento del ricorso.
6. Il 6 febbraio 2024, l'avv. Francesca Smeraldi ha depositato una memoria, nell'interesse della parte civile costituita Ca.Ma., con la quale ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso, con condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese di lite.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Si è detto che i ricorrenti, con i primi due motivi, contestano la valutazione di attendibilità della Ca.Ma. e delle singole condotte contestate, sia nella loro dimensione individuale, sia, complessivamente, nella ritenuta idoneità a produrre l'evento lesivo.
Le censure sono indeducibili in quanto integralmente versate in fatto.
1.1. La Corte, valutando analiticamente i singoli motivi d'impugnazione, ha dato conto:
- dell'attendibilità della Ca.Ma., evidenziando: a) l'univocità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa (intrinsecamente coerenti, plurime volte reiterate e assolutamente coincidenti tra loro); b) il parallelo supporto probatorio rappresentato dalle acquisizioni documentali di riscontro (le lettere minatorie del giugno 2017, la registrazione delle minacce pronunciate dalla Fe.Ka. il 31 luglio 2017, le telefonate minatorie del marzo 2018, l'inserimento del numero della persona offesa sotto lo pseudonimo "M." sul sito "Scambisti per caso", i numerosi post ingiuriosi e minacciosi pubblicati su facebook e diretti alle persone offese); c) il contenuto e la valenza della ritrattazione sottoscritta dalla stessa Ca.Ma., che, formata all'esito di una specifica ed accorata richiesta dalla Fe.Ka., trovava la sua genesi in un periodo di estrema difficoltà, psicologica ed economica, della vittima, che gli imputati hanno sfruttato convincendo la persona a dichiarazioni e scritti a loro favorevoli;
- partitamente, delle singole condotte contestate:
a) le lettere minatorie del giugno 2017, indirizzate alla Ca.Ma. e a Ot.Gi., tra loro strettamente correlate sotto il profilo cronologico, accumunate da uno stesso difetto di stampa (che ne indica la medesima provenienza), finalizzate, nel loro contenuto, a far cessare la relazione tra Ot.Gi. e la Ca.Ma. e riconducibili, in ragione del contenuto, ai contrasti in atto con la Fe.Ka. Telefonate che anche la Fe.Ka. ha dichiarato di aver ricevuto, ma, come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, al solo fine allontanare da lei stessi i sospetti: ha dimostrato particolare riluttanza a presentarsi alle forze dell'ordine; ha modificato continuamente l'ora in cui avrebbe ricevuto la telefonata minatoria; l'accertamento sui tabulati telefonici (sull'utenza da lei stessa indicata) ha dato esito negativo. Cosicché, la valutazione sistematica di tali evidenze (fattuali e logiche) ha coerentemente condotto la Corte territoriale a ritenere che le lettere minatorie fossero state scritte ed inviate da entrambi gli imputati alle persone offese. E ciò alla luce della totale condivisione del To.Ro. alle ragioni di astio della Fe.Ka. nei confronti della coppia Ot.Gi. - Ca.Ma. e delle logiche conseguenze sulla vita familiare dei primi sia sul piano economico (per la necessità di un nuovo magazzino da utilizzare per l'attività della Fe.Ka.), sia sul piano relazionale (in quanto il figlio Ma. si recò a vivere da loro in pianta stabile e con grave sofferenza emotiva, condivisa dalla madre e dal To.Ro.);
b) le minacce del 1° luglio 2017 a casa di Ot.Gi., episodio (non contestato nella sua dimensione fattuale) che trova la sua prova documentale nella registrazione degli insulti e delle minacce pronunciate dalla Fe.Ka. alla volta della Ca.Ma. Ebbene, contrariamente a quanto sembra ritenere la difesa, non rileva, in questa sede, il comportamento tenuto da Ot.Gi. nei confronti del figlio, ma la condotta oggettivamente offensiva e minacciosa tenuta dalla Fe.Ka., a cui ha partecipato anche il To.Ro., non solo con la sua presenza fisica e la conseguente adesione morale, ma anche con le successive minacce ed offese rivolte a Ot.Gi., indirettamente riscontrate dai militari intervenuti.
c) i plurimi post pubblicati dal To.Ro. e dalla Fe.Ka. (dal contenuto ingiurioso e minaccioso nei confronti delle persone offese e ampiamente superiori, per numero e contenuto, rispetto a quelli pubblicati da queste ultime);
d) le telefonate minatorie anonime del marzo e dell'aprile 2018 dirette alla Ca.Ma. (che trovano il loro supporto probatorio nelle registrazioni acquisite in atti), provenienti da una scheda utilizzata (anche) dal telefono adoperato dalla Fe.Ka. per chiamare il To.Ro.;
e) l'incontro tra Ca.Ma. e To.Ro. al Bar Ma. il 23 maggio 2018 e quello avvenuto avanti all'Esselunga nel giugno 2018 (entrambi significativi del profondo stato di prostrazione della Ca.Ma.);
f) la pubblicazione della foto e dell'utenza della Ca.Ma. sul sito "scambisti per caso" (effettuato attraverso un indirizzo IP Fastweb pubblico a cui si era collegato l'indirizzo IP privato della Fe.Ka.);
g) le vicende accadute nel maggio 2019 (in occasione della quale Ot.Gi. incontrò per caso per strada To.Ro., quando quest'ultimo cercò di investirlo con l'auto e poi tirò nella sua direzione una bottiglia di birra dal finestrino) e tra il 18 e il 22 febbraio 2019 (quando la Ca.Ma. si recò a trovare la sua amica De.Lu., ricoverata nel reparto di neurologia all'ospedale San Luigi di O. e subito dopo il To.Ro. pubblicò un post su facebook con scritto "Neurologia a tutto spiano e io bevo alla faccia tua");
- in ultimo, della loro necessaria valutazione sistematica: il numero e la vicinanza dei singoli episodi, nonché il lungo arco temporale nel quale questi si sono dipanati. Tutti elementi che, unitariamente considerati, danno conto non solo del carattere abituale della condotta, ma anche del perdurante stato di ansia e di paura, ingenerato nelle persone offese. È pur vero che, come evidenziato dalla difesa, la Ca.Ma., ben prima dell'inizio delle condotte contestate, avesse problemi di salute mentale (era in cura presso un medico psichiatra e in carico presso un centro di salute mentale, aveva subito diversi ricoveri ospedalieri e assumeva quotidianamente psicofarmaci), ma al momento in cui iniziò la relazione con Ot.Gi. (e fino ai primi atti persecutori), per come chiaramente riferito dalla sua amica De.Lu. (esaminata in dibattimento), la Ca.Ma. stava bene e si trovava in un periodo di compensazione. Cosicché non pare revocabile in dubbio che furono proprio le condotte persecutorie evidenziate in precedenza, innestandosi su un tessuto di oggettiva fragilità psichica, ad aver generato quello stato di ansia e di paura, le evidenti crisi di panico e i successivi plurimi ricoveri e, in ultimo, la stessa interruzione del rapporto con Ot.Gi. Tutte circostanze pacificamente riscontrate anche dai sanitari. Una situazione di prostrazione che ha interessato non solo la Ca.Ma., ma anche lo stesso Ot.Gi., sia indirettamente (quanto al suo rapporto di convivenza con la prima), sia direttamente (con riferimento alle condotte a lui stesso immediatamente riferibili).
E da ciò la conseguente alterazione delle abitudini di vita: il trasferimento in un alloggio in affitto (al fine di non essere esposti a ulteriori atti persecutori) e le ridotte occasioni di socialità (per l'intensa paura provata soprattutto dalla Ca.Ma.'). D'altronde, ai fini della integrazione del reato di atti persecutori, non si richiede l'accertamento di un conclamato stato patologico, ma è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano avuto un effetto destabilizzante per la vittima, pregiudicandone la serenità e il relativo equilibrio psicologico (Sez. 5, n. 18646 del 17/02/2017, C. Rv. 270020), il cui apprezzamento va ancorato ad elementi sintomatici ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, P.C. e G., Rv. 261535). Una valutazione che, presupponendo un accertamento in fatto, è riservata al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se logicamente motivata e coerente con i dati processuali richiamati.
1.2. Ciò considerato, nei termini nei quali sono state prospettate, le censure enunciate dalla difesa si presentano non solo come una pedissequa reiterazione di motivi già dedotti in appello (e prima ancora nello stesso giudizio di primo grado) e puntualmente disattesi dalla Corte territoriale, ma anche come una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di parametri diversi di ricostruzione e valutazione. Dimentica, tuttavia, la difesa che la valutazione dei dati probatori e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare in modo accurato le ragioni del proprio convincimento (Sez. 5 n. 51604 del 19/09/2017, Rv. 271623). Onere che, alla luce di quanto rappresentato in precedenza, è stato ampiamente assolto.
In ultimo, la circostanza per cui il la Corte territoriale abbia valutato anche condotte non considerate in primo grado non solo è in sé irrilevante (non potendosi individuare, sotto tale profilo, alcuna preclusione processuale o sostanziale: si tratta, a ben vedere, di un differente giudizio di rilevanza di elementi fattuali emersi in primo grado e diversamente valutati in secondo), ma, per come formulata, è anche generica, non avendo i ricorrenti dedotto alcunché in relazione alla necessaria decisività che necessariamente deve caratterizzare il dato (in ipotesi) non utilizzabile.
2. Il terzo motivo, afferente, per come si è detto, alla ritenuta insussistenza della diminuente della provocazione, è, invece, infondato.
È dato pacifico, riconosciuto dalla stessa Corte territoriale, che i rapporti tra le parti sono stati caratterizzati da una conflittualità, a tratti anche intensa, promanante da entrambe le parti.
Tale reciprocità, tuttavia, non solo non esclude l'individuale responsabilità per le condotte poste in essere (imponendo solo un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza dell'evento di danno: Sez. 5, n. 42643 del 24/06/2021, A., Rv. 282170, onere, per quanto si è evidenziato in precedenza, ampiamente assolto), ma non permette neanche dì riconoscere l'invocata diminuente, essa stessa ontologicamente incompatibile con l'abitualità che caratterizza il delitto di atti persecutori.
Ciò non solo perché quella che si vorrebbe prospettare come una reazione emotiva ad un fatto ingiusto costituisce, in realtà, proprio in ragione della protrazione delle singole condotte, espressione di un proposito di rivalsa e di vendetta al quale l'ordinamento non può dare riconoscimento alcuno (Sez. 5, n. 21487 del 29/04/2021, F., Rv. 281313 e i numerosi richiami giurisprudenziali contenuti), ma anche perché cozza con la pacifica unitarietà del reato.
Il reato di atti persecutori, nella sua dimensione fattuale, infatti, si compone di una pluralità di condotte che, pur (eventualmente) rilevanti (anche) nella loro individualità, acquistano valenza ulteriore (e diversa) nella loro sistematica reiterazione. Ed è questo l'unico dato che, giungendo alla produzione dell'evento dannoso, permette di percepire l'effettiva dimensione lesiva della condotta sanzionata.
Anche, quindi, a voler ipotizzare che ciascuna delle singole condotte possa trovare la sua genesi in paralleli comportamenti assunti dalle parti offese (e tanto non è, per come evidenziato in precedenza), la valutazione della sussistenza dell'invocata diminuente, imponendo un apprezzamento parcellizzato dei singoli atti attraverso i quali si è manifestata la condotta, è preclusa proprio dall'evidenziata unitarietà del reato.
E da ciò l'infondatezza della prospettazione difensiva.
3. Il quarto, in ultimo, è inammissibile, in quanto non tiene conto della natura della provvisionale, decisione di natura discrezionale, meramente delibativa, non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, Tuccio, Rv. 277773).
4. In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati e i ricorrenti condannati, in solido, al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalle parti civili, liquidate come in dispositivo.
5. La natura del reato e i rapporti esistenti tra le parti impone l'oscuramento del presente provvedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che liquida, in favore di ciascuna, in euro 3.500,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2024.
Depositata in Cancelleria il 9 aprile 2024.