RITENUTO IN FATTO
1. È oggetto di ricorso la sentenza del 20 novembre 2023, con cui la Corte d'Appello di Roma ha confermato la condanna pronunciata in primo grado nei confronti di Lo.An. per il reato di atti persecutori ai danni dell'ex compagna, aggravato, quindi, ai sensi del secondo comma dell'art. 612 bis cod. pen. È stata, inoltre, applicata la circostanza aggravante di cui all'art. 61, primo comma, n. 11 quinquies, cod. pen. I giudici del merito hanno ritenuto tale ulteriore circostanza aggravante correttamente contestata, posto che l'imputato aveva agito in presenza del figlio minore, il quale, all'epoca dei fatti, aveva nove anni.
2. Nell'interesse dell'imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, di seguito enunciati nei limiti richiesti dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1 Col primo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento all'art. 192 del codice di rito, per avere la Corte territoriale ritenuto attendibili le dichiarazioni della persona offesa, senza procedere al più penetrante vaglio richiesto dalla giurisprudenza di legittimità nei casi in cui quest'ultima si sia costituita parte civile, trascurando, in particolare, le contraddizioni di cui erano disseminate quelle dichiarazioni (riportate dalla difesa a p. 8 del ricorso).
Si contesta, inoltre, l'assenza di riscontri a sostegno delle dichiarazioni di parte civile: gli asseriti pedinamenti e appostamenti non sono stati riscontrati da altre fonti dichiarative né da dati oggettivi acquisiti al dibattimento; mancano altresì prove documentali, quali la trascrizione dei messaggi telefonici o registrazioni delle chiamate con cui la persona offesa ha dichiarato di essere stata tormentata.
Immotivatamente elusa è stata anche la rilevanza del dato probatorio offerto da altre dichiarazioni testimoniali (quali quelle, tra gli altri, di una vicina di casa e di un'agente di polizia intervenuto in occasione di una lite tra imputato e persona offesa, oltre che le dichiarazioni dell'imputato stesso), dalle quali poteva evincersi come l'imputato transitasse, sì, a volte, sotto casa della ex compagna, ma soltanto per vedere il figlio, senza appostarvisi sistematicamente, come ritenuto, invece, dai giudici di merito.
2.2 Col secondo motivo, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine alla ritenuta sussistenza del delitto contestato. Si eccepisce, in particolare, la mancata prova dell'elemento oggettivo del reato, posto che non si è illustrata la sequenza delle asserite condotte imputate al ricorrente, oltre che la mancata prova dell'evento, avendo la Corte d'Appello operato un asseverativo riferimento alla crisi depressiva - non accertata da alcun riscontro medico- in cui era precipitata la persona offesa, al cambio di abitudini di vita, da parte della stessa, e alla perdita dell'attività lavorativa, tutti eventi egualmente non dimostrati.
2.3 II terzo motivo ha a oggetto l'erronea applicazione, al caso di specie, della circostanza aggravante dell'aver agito in presenza del figlio, all'epoca dei fatti minorenne. A supporto di tale eccezione, la difesa invoca la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 5, n. 19372 del 14/04/2021, A., Rv. 281208 - 01), secondo cui l'aggravante del fatto commesso in presenza di un minore o di persona in stato di gravidanza, di cui all'art. 61, comma primo, n. 11-quinquies cod. pen., non è applicabile al reato di atti persecutori, essendo prevista solo per i delitti non colposi contro la vita e l'incolumità personale e contro la libertà personale, tra i quali non rientra il reato di cui all'art. 612 bis cod. pen., che è invece reato contro la libertà morale.
3. All'udienza si è svolta trattazione orale del ricorso. Il Sostituto Procuratore generale, M. Francesca Loy, ha ritenuto fondato il terzo motivo di ricorso fondato, chiedendo, di conseguenza, l'annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza limitatamente alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui dell'art. 61, primo comma, n. 11 quinquies, cod. pen., e l'inammissibilità del ricorso nel resto. La difesa di parte civile ha depositato conclusioni e nota spese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato, per quanto concerne i primi due motivi, e fondato, invece, limitatamente a quanto eccepito nel terzo motivo, come si passa a illustrare.
2. I primi due motivi - reiterativi delle medesime doglianze già espresse con atto d'appello e versati in fatto - sono, nel loro complesso, infondati, mancando la difesa di confrontarsi, in maniera critica ed effettiva, con la motivazione dell'impugnata sentenza, come si passa a illustrare.
2.1 Per quel che ha riguardo alle censure esposte nel primo motivo, si osserva che la Corte d'Appello, nel valutare le dichiarazioni della persona offesa - peraltro adeguatamente confrontate col narrato di altri testi (Ge., Si. e Di.) - ne ha sottolineato il carattere lineare, dettagliato e privo di contraddizioni, altresì esponendo - con motivazione esente dal dedotto vizio di illogicità - le ragioni per cui si è ritenuto che le dichiarazioni del teste Pi. non minassero il complessivo giudizio di attendibilità del racconto della persona offesa. Risultano, pertanto, correttamente applicati al caso di specie i principi posti dalle Sezioni Unite di questa Corte in tema di applicabilità delle regole dettate dall'art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. alle dichiarazioni della persona offesa (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214 - 01: "le dichiarazioni della persona possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone"; in motivazione la Corte ha altresì precisato come, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi).
2.2 Il secondo motivo è infondato, perché la difesa, attraverso la menzione di una serie di risultanze istruttorie atomisticamente considerate, manca di confrontarsi in maniera approfondita con gli argomenti esplicati dalla Corte distrettuale.
Va premesso che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di atti persecutori, la prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (Sez. 5, n. 17795 del 02/03/2017, S., Rv. 269621 - 01).
Deve quindi considerarsi priva di pregio giuridico l'eccezione difensiva che insiste, tra l'altro, sull'assenza di certificazione medica attestante quello stato di disagio, d'ansia e timore indotto nella vittima: al fine di provare uno degli eventi alternativamente richiesti dall'art. 612 bis cod. pen., non è affatto necessario che la vittima del reato produca la documentazione medica invocata dalla difesa, essendo bensì sufficiente -come sopra ricordato - che gli elementi sintomatici del grave turbamento psicologico siano ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche dalla condotta di quest'ultimo.
Ciò è quanto dimostrato dalla Corte distrettuale, che, con motivazione priva dei dedotti vizi di illogicità e di erronea applicazione della legge penale, ha ritenuto provato l'evento del reato ascritto, indicando il progressivo accumulo di disagio nella persona offesa, degenerato e manifestatosi, infine, in uno stato di prostrazione psicologica, di ansia e di timore, vale a dire nelle forme tipiche previste dalla norma incriminatrice (Sez. 5, n. 51718 del 05/11/2014, T, Rv. 262636): di tale progressivo accumulo di disagio, i giudici di merito hanno dato sufficientemente conto, ancorando tale processo alle attendibili dichiarazioni della persona offesa concernenti le condotte persecutorie patite (costituite da appostamenti, pedinamenti, gravi minacce di morte).
Sempre in tema di prova dell'evento richiesto dalla fattispecie incriminatrice, va infine ribadito che, ai fini della valutazione concernente il cambiamento delle abitudini di vita, occorre considerare il significato e le conseguenze emotive della costrizione sulle abitudini di vita cui la vittima sente di essere costretta, non già la valutazione, puramente quantitativa, delle variazioni apportate (Sez. 5, n. 24021 del 29/04/2014, G, Rv. 260580).
3 Il terzo motivo è fondato. Con atto d'appello, l'odierno ricorrente aveva correttamente impostato la censura relativa all'applicabilità della circostanza aggravante di cui all'art. 61, primo comma, n. 11 quinquies, cod. pen. al delitto di atti persecutori, citando la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 5, n. 19372 del 14/04/2021, A., Rv. 281208 - 01), che, valorizzando il canone dell'interpretazione letterale e sistematica, ha escluso una tale evenienza.
Già la sintesi dei motivi di appello rivela come la Corte distrettuale evidenzi soltanto uno dei profili messi in luce dall'odierno appellante, vale a dire la mancata -o, comunque, generica-indicazione, da parte del giudice di primo grado, dei singoli episodi ai quali il minore avrebbe assistito; nulla viene riferito, però, a proposito dell'eccezione in punto di diritto sollevata dall'appellante, che contestava la possibilità di applicare la contestata aggravante al delitto di atti persecutori. E, in parte motiva, la Corte d'Appello si concentra (v. p. 6), sì, sull'eccezione, provvedendo infatti a indicare precipuamente tutti gli episodi di atti persecutori cui il figlio minore della coppia aveva assistito, mancando tuttavia di affrontare il problema giuridico posto dal ricorrente. A tal proposito, deve ricordarsi che la precisa scelta del legislatore nel configurare tanto il delitto di cui all'art. 612 bis cod. pen. quanto le circostanze aggravanti allo stesso applicabili è stata quella non estendere al minore che assista ad atti persecutori la medesima tutela a lui riservata qualora assista ad altri delitti e, segnatamente, secondo la lettera dell'art. 61, primo comma, n. 11 quinquies, cod. pen., ai delitti contro la vita e l'incolumità individuale e contro la libertà personale.
In tal senso, la lettera dell'art. 61, primo comma, n. 11 quinquies, cod. pen. non presenta margini di ambiguità.
Ove si coniughi il dato letterale con quello della collocazione sistematica del delitto di atto persecutori (titolo XII - dei delitti contro la persona - capo III - dei delitti contro la libertà individuale - sezione III - dei delitti contro la libertà morale), si ricava che la contestata circostanza aggravante comune non può applicarsi al delitto di atti persecutori.
Si potrà - funditus - obiettare che la libertà morale altro non sia che un aspetto della libertà personale (sempre più orientata, quest'ultima, verso il concetto di libertà di autodeterminazione e, quindi, anche di libertà morale): sia sufficiente, in tal senso, il riferimento all'art. 13 Cost., dedicato alla libertà personale, il cui quarto comma fa divieto di ogni violenza fisica e morale sulle persone sottoposte a restrizioni della libertà, così accomunando, sotto il medesimo cono d'ombra della protezione accordata alla libertà dell'individuo, i due concetti di libertà personale e libertà morale.
E si potrà altresì ragionevolmente obiettare - valorizzando l'evoluzione giurisprudenziale in tema di violenza ed. assistita nel reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi (Sez. 6, n. 18833 del 23/02/2018, B., Rv. 272985) o di violenza ed. percepita (cfr. Sez. 6, n. 4332 del 10/12/2014, dep. 2015, Pm in proc. T., Rv. 262057) - che il reato cd. di stalking possa in concreto determinare effetti pregiudizievoli anche nei confronti di minori che, pur senza essere vittime dirette di atti persecutori, assistano a episodi di persecuzione violenza e/o minacciosa (v. Sez. 5, n. 74 del 20/11/2020, dep. 2021, Rv. 280141 - 01, dove si è rammentato il principio, affermato, però, a proposito dei reati di violenza sessuale aggravati ai sensi dell'art. 61, primo comma, n. 11 quinquies, cod. pen., che il minore che abbia assistito al fatto delittuoso riveste la qualifica di persona offesa e, come tale, è legittimato alla costituzione di parte civile ed all'impugnazione).
Tuttavia, allo stato, la giurisprudenza di questa Corte è assestata sulla più restrittiva interpretazione che, facendo leva sul tenore letterale dell'art. 61, primo comma, n. 11 quinquies, cod. pen. e sull'interpretazione sistematica (e, quindi, anche sull'esistenza di una specifica circostanza aggravante, peraltro a effetto speciale, contemplata proprio dall'art. 612 bis, comma terzo, cod. pen., che richiede, tuttavia, non già la sola presenza del minore, bensì l'esser la condotta persecutoria volta a suo danno), esclude l'applicabilità della circostanza aggravante in parola al delitto di atti persecutori (cfr. Rv. 281208 - 01, cit.).
Pertanto, il Collegio ritiene che la sentenza impugnata vada annullata senza rinvio limitatamente all'aggravante di cui all'art. 61 n. 11 quinquies c.p., che elimina. Ne deriva altresì l'annullamento delle statuizioni sul trattamento sanzionatorio, che dovrà essere rideterminato in conseguenza della caducazione della suddetta circostanza aggravante, con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte d'Appello di Roma.
3. Tanto premesso, il Collegio annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all'aggravante di cui all'art. 61, primo comma, n. 11 quinquies, cod. pen., che elimina. Annulla la sentenza impugnata altresì limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte d'Appello di Roma. Rigetta nel resto il ricorso; condanna, nondimeno, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro 3500, oltre accessori di legge. Secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, nel caso in cui, in parziale accoglimento del ricorso dell'imputato, la Corte di cassazione annulli con rinvio la sentenza impugnata ai soli fini della rideterminazione della pena di un reato in relazione al quale vi sia stato accoglimento della domanda risarcitoria, il ricorrente deve essere condannato alla rifusione delle spese di lite in favore delle parti civili costituite vittoriose (Sez. 4, n. 9208 del 15/01/2020, L., Rv. 278908 - 02, la quale ha sottolineato in motivazione che dal giudizio di rinvio non può derivare alcun pregiudizio per le parti civili).
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge tipo provvedimento.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all'aggravante di cui all'art. 61 n. 11 quinquies c.p., che elimina. Annulla la sentenza impugnata altresì limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte d'Appello di Roma. Rigetta nel resto il ricorso. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 3500,00, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge tipo provvedimento.
Così deciso in Roma, il 25 settembre 2024.
Depositata in Cancelleria il 31 ottobre 2024.