RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 5 marzo 2024 la Corte di appello di Trieste ha confermato la pronuncia del 1 marzo 2023 del Tribunale di Pordenone nei confronti di Bo.Ju., con la quale l'imputato era stato condannato alla pena di giustizia per il reato di atti persecutori realizzati nei confronti della ex convivente Pi.Sa. di cui al capo B) ed era stato assolto dal reato di cui al capo A) per il delitto di maltrattamenti.
2. Avverso la decisione della Corte di appello ha proposto ricorso l'imputato, con atto sottoscritto dal difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma primo, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo è stata dedotta violazione di legge quanto al mancato assorbimento del reato di cui al capo B) nel reato di cui al capo A) per il quale l'imputato è stato assolto.
La Corte territoriale ha erroneamente escluso la riconducibilità al reato di cui all'art. 572 cod. pen. anche della condotta del periodo successivo contestato al capo B) - per il quale è intervenuta condanna ai sensi dell'art. 612-bis cod. pen. - ritenendo che dal 19 dicembre 2020 l'imputato e la persona offesa non avessero più alcun rapporto e mantenessero contatti unicamente per la figlia minore; in realtà la persona offesa Pi.Sa. ha lasciato la casa familiare unicamente dal 19 al 31 dicembre 2020 e non certo per timore dell'imputato, quanto piuttosto perché gli aveva sottratto del danaro dal conto corrente, utilizzandolo per la sua attività di gestione di una ludoteca che attraversava un periodo di difficoltà economica.
Richiamando la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 2, n. 43846 del 29/09/2023; Sez. 5, n.11097 del 09/01/2024), la difesa ha sottolineato che il reato di maltrattamenti è configurabile nell'ipotesi in cui la relazione di coppia resti comunque connotata da legami stretti o vincoli di assistenza e solidarietà, avuto particolare riguardo alla presenza di figli, anche nella ipotesi in cui sia cessata la convivenza more uxorio.
2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta mancanza di motivazione quanto alla sussistenza del dolo del reato di atti persecutori.
La Corte territoriale ha dato per accertata la sussistenza del dolo senza considerare che non si rinviene nei messaggi inviati dall'imputato alla persona offesa l'intento di molestarla o di provocarle timore. Ha confuso la sussistenza del dolo - da intendersi quale coscienza e volontà di realizzare condotte persecutorie - con il movente - da intendersi quale ragione che ha spinto l'autore del reato ad agire.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta nel suo complesso infondato.
1. Il primo motivo risulta infondato.
La censura avanzata dalla difesa investe gli elementi caratterizzanti e distintivi il delitto di maltrattamenti e il delitto di atti persecutori.
1.1. La giurisprudenza di questa Corte attuale e prevalente, ad avviso del collegio pienamente condivisibile, ha ribadito che, in tema di rapporti fra il delitto di maltrattamenti in famiglia e quello di atti persecutori, il divieto di interpretazione analogica delle norme incriminatrici impone di intendere i concetti di "famiglia" e di "convivenza" di cui all'art. 572 cod. pen. nell'accezione più ristretta, quale comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale e da una duratura comunanza di affetti implicante reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza, fondata sul rapporto di coniugio o di parentela o, comunque, su una stabile condivisione dell'abitazione, ancorché non necessariamente continuativa, sicché è configurabile l'ipotesi aggravata di atti persecutori di cui all'art. 612-bis, comma secondo, cod. pen., e non il reato di maltrattamenti in famiglia, quando le reiterate condotte moleste e vessatorie siano perpetrate dall'imputato dopo la cessazione della convivenza "more uxorio" con la persona offesa (Sez. 6 n. 31390 del 30/03/2023, P., Rv. 285087).
Se è vero - come evidenziato dal ricorrente - che in alcune decisioni la giurisprudenza di questa Corte ha diversamente valorizzato la cessazione della convivenza more uxorio, tuttavia si è anche chiarito che, nelle ipotesi di cessazione della convivenza "more uxorio", è configurabile il delitto di maltrattamenti in famiglia, e non invece quello di atti persecutori, solo quando tra i soggetti permanga un vincolo assimilabile a quello familiare, in ragione di una mantenuta consuetudine di vita comune o dell'esercizio condiviso della responsabilità genitoriale ex art. 337-ter cod. civ. (Sez. 6, n. 7259 del 26/11/2021, dep.2022, L., Rv. 283047 relativa ad una ipotesi in cui l'imputato era quotidianamente presente nella vita e nell'abitazione della ex convivente e della figlia minore, persone offese, per attendere ai compiti educativi e di assistenza inerenti alla genitorialità).
1.2. La sentenza impugnata (p. 4 e ss.), con motivazione in fatto non manifestamente illogica, né contraddittoria, ma conforme alle indicazioni giurisprudenziali richiamate ha:
- evidenziato che, quando Bo.Ju. ha realizzato le condotte a lui contestate al capo B), la convivenza era definitivamente cessata; dopo l'episodio del 19 dicembre 2020, allorquando l'imputato si era presentato presso la ludoteca ubriaco e aveva minacciato e offeso Pi.Sa., quest'ultima si era allontanata trovando ospitalità per un giorno presso un'amica e poi presso un centro antiviolenza sino al termine del mese. Era rientrata in casa alla fine di dicembre, ma solo perché l'imputato si era trasferito presso un amico;
- valorizzato la circostanza in base alla quale, a seguito dell'allontanamento dall'abitazione, la donna aveva portato con sé la figlia minore che aveva in quel periodo a sua volta interrotto i rapporti con il padre; erano chiaramente venuti meno tra i due ex conviventi i reciproci vincoli di solidarietà morale e affettiva.
2. Il secondo motivo è generico nonché manifestamente infondato.
2.1. Nel reiterare il medesimo motivo già proposto in sede di appello e disatteso dalla Corte territoriale con motivazione immune da vizi, la difesa genericamente si duole di una mancanza di motivazione quanto alla coscienza e volontà di realizzare condotte persecutorie, non confrontandosi peraltro con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui nell'ipotesi di delitto di atti persecutori, l'elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualità del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte - elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa - potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l'occasione (Sez. 1, n. 28682 del 25/09/2020, S., Rv. 279726).
Anche in tal caso, la Corte territoriale (p. 5/6) ha valorizzato - in punto di elemento soggettivo- il contenuto e il tenore di plurimi messaggi inviati dall'imputato alla persona offesa con la chiara intenzione di molestarla e incuterle timore, a prescindere dal movente che lo spingeva ad adottare siffatta condotta.
3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali.
4. In relazione alla richiesta di parte civile di liquidazione delle spese del presente giudizio, va sottolineato che le Sezioni unite di questa Corte (S.U. n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, Sacchettino, Rv. 283886) hanno affermato che, nell'ipotesi in cui il giudizio in cassazione si celebri nelle forme del rito camerale non partecipato e il ricorso dell'imputato sia dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile, va disposto il pagamento delle spese processuali in favore della parte civile solo nella ipotesi in cui la stessa "(..), abbia effettivamente esplicato, nei modi e nei limiti consentiti, un'attività diretta a contrastare la pretesa dell'imputato per la tutela dei propri interessi (..) anche solo attraverso memorie scritte (..) fornendo un utile contributo alla decisione(..)".
Nel caso di specie la memoria pervenuta si è limitata a chiedere il rigetto del ricorso, non offrendo un contributo utile alla decisione.
5. Il titolo di reato e i rapporti di ex conviventi intercorrenti tra le parti impongono che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Nulla per le spese di parte civile.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs.196/03 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, in data 1 ottobre 2024.
Depositata in Cancelleria il 6 novembre 2024.