RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte d'Appello di Napoli, in parziale riforma della decisione emessa dal Tribunale di Benevento il 18.2.2020, per quanto rileva in questa sede, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati Di.An. e De.To., rilevando la prescrizione del reato di bancarotta semplice, così riqualificata la condotta di cui al capo H attribuita loro, in seguito ad una prima riperimetrazione della fattispecie avvenuta già in primo grado; ha confermato nel resto la sentenza di primo grado, che aveva condannato gli imputati Pa.Ni., Fu.Gu., Pa.An.e Ri.Pa.- quali membri del consiglio di amministrazione della CAMMO società cooperativa a responsabilità limitata, dichiarata in stato di insolvenza il 27.4.2012 - e gli imputati Di.An.e De.To., nella loro qualità di componenti del collegio sindacale della società insolvente (oltre ad Gr.An, poi assolta dalla Corte d'Appello), per il reato di bancarotta impropria per dissipazione. Le condotte in relazione alle quali vi è stata condanna possono sintetizzarsi nella concessione di plurimi finanziamenti ad alcuni soci della CAMMO, senza adeguata istruttoria e dopo indagini incomplete sulla situazione patrimoniale dei beneficiari e sulla solvibilità dei fideiussori, oltre che senza assumere adeguate garanzie, nonché, limitatamente alle posizioni di Ri.Pa. e Pa.An. e per le posizioni debitorie di PMR Srl, Ma.Do.e Pe.Da., omettendo di attivare tempestivamente le procedure per il recupero del credito. Nei confronti dei sindaci, il fatto è stato riqualificato come omessa attivazione dei poteri di controllo e verifica loro demandati dalla legge, che ha reso possibile la dissipazione di una parte del patrimonio "societario, mediante le operazioni di concessione di finanziamenti illecite ascritte ai componenti del consiglio di amministrazione.
Come si è accertato nei giudizi di merito, la società insolvente aveva ad oggetto la concessione in maniera esclusiva di finanziamenti ai soci ed operava a mezzo di un consiglio di amministrazione composto da sette membri e da un collegio sindacale composto da tre membri. I finanziamenti venivano erogati, in assenza di una regolamentazione a livello statutario, all'esito di pratiche fondate su prassi operative consolidate, che prevedevano una prima fase, istruttoria, rimessa ai dipendenti della CAMMO Srl (con acquisizione della domanda di finanziamento; della dichiarazione dei redditi del socio - o, per le società, dell'ultimo bilancio depositato - e verifica di eventuali rapporti pregressi tra il socio e la CAMMO); quindi, aveva luogo una seconda fase, deliberativa, di competenza del consiglio di amministrazione, che si svolgeva alla presenza del collegio sindacale.
Di regola i prestiti venivano garantiti mediante rilascio di cambiali da parte del socio (di importo corrispondente al finanziamento), oppure mediante fideiussioni o avalli da parte di terze persone.
I giudici di merito hanno rilevato le "macroscopiche anomalie" istruttorie e deliberative già indicate, in ordine ai finanziamenti erogati ad alcuni richiedenti, società o individui, espressamente indicati ed esaminati nelle sentenze e nel dispositivo della pronuncia di primo grado. Di tali anomale concessioni di finanziamenti sono stati ritenuti responsabili gli imputati componenti del consiglio di amministrazione, mentre i sindaci rispondono per condotte omissive dolose, in quanto, pur presenti alle deliberazioni del consiglio di amministrazione, avrebbero abdicato al loro dovere di controllo, consentendo l'approvazione dei citati finanziamenti, definiti "del tutto azzardati" e contrari all'osservanza delle leggi di settore, come hanno rilevato gli ispettori della Banca d'Italia, nonché a criteri di razionalità economica, indispensabili per la tutela delle ragioni del credito.
2. Avverso la sentenza d'appello hanno proposto ricorso gli imputati Pa.Ni. e Fu.Gu., tramite il difensore di fiducia e con un unico atto di impugnazione, deducendo cinque motivi di censura.
2.1. Il primo motivo rappresenta il vizio di violazione di legge in relazione alla configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta per dissipazione.
La tesi del ricorrente è la seguente: poiché la bancarotta è reato di pericolo concreto, nel caso di specie, tale pericolo non può dirsi integrato, in considerazione del fatto che la maggior parte dei crediti vantati dalla cooperativa insolvente per i finanziamenti concessi ai soci erano stati recuperati dal liquidatore e che i beneficiari dei finanziamenti ed i garanti erano risultati titolari di redditi o proprietari di beni immobili. Circostanze erroneamente ritenute irrilevanti dalla Corte d'Appello.
2.2. La seconda censura denuncia violazione di legge in relazione agli artt. 216 e 217 I. fall.: a giudizio della difesa, la mancanza di adeguata istruttoria o la mancata acquisizione di garanzie non possono reputarsi sufficienti ad integrare il delitto di bancarotta fraudolenta per dissipazione. Al più si tratterebbe di condotte manifestamente imprudenti e colpose, non sorrette dal dolo della dissipazione fraudolenta e configurabili come bancarotta semplice.
2.3. Il terzo motivo di ricorso eccepisce, nella prospettiva dell'anomalia motivazionale e della violazione di legge in relazione alla regola di giudizio dell' oltre ogni ragionevole dubbio, la mancanza di prova circa l'elemento soggettivo del reato.
La difesa valorizza nuovamente il fatto che molti finanziamenti sono stati restituiti integralmente e per altri sono state pagate un numero rilevante di rate, sostenendo che, dall'esame delle pratiche condotto dalla stessa Corte d'appello (che ripercorre indicandole una per una), emergerebbe che quasi tutti i finanziamenti sono stati deliberati in presenza di documentazione reddituale e previo rilascio di garanzie di terzi. Gli errori, pertanto, sarebbero avvenuti in fase esecutiva della delibera di finanziamento e non sarebbero ascrivibili ai componenti del consiglio di amministrazione.
2.4. Il quarto motivo di ricorso contesta, altresì, la decisione della Corte d'Appello di non procedere a rinnovare l'istruttoria dibattimentale come richiesto dalla difesa, per verificare la situazione reddituale e patrimoniale dei soci finanziati e dei garanti. Da tale documentazione si sarebbe, invece, potuto dedurre che non vi era stata alcuna spregiudicatezza valutativa nel concedere i finanziamenti, tanto più che la vicenda si inserisce in un contesto sociale di limitate dimensioni (un comune di 5.000 abitanti, M), in cui è nota la condizione lavorativa e patrimoniale degli abitanti.
2.5. La quinta eccezione denuncia vizio di motivazione carente quanto al secondo ed al quinto motivo d'appello, che vengono ritrascritti nel ricorso.
3. Ha proposto ricorso anche Pa.An., tramite il difensore di fiducia, deducendo un unico motivo con cui si contesta alla sentenza impugnata il vizio di violazione di legge, in relazione all'affermazione di responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta per dissipazione, e con riguardo sia all'elemento oggettivo che a quello soggettivo. Il ricorrente rappresenta che i finanziamenti concessi erano stati deliberati fidando sulla solvibilità dei beneficiari, titolari di avviate attività commerciali o imprenditoriali in un piccolo contesto socio-territoriale in cui tutti si conoscevano ed erano informati delle situazioni economiche dei richiedenti il credito.
La scelta di concedere i crediti, quindi, non si discostava dai canoni di ragionevolezza imprenditoriale. E ciò è confermato dalla circostanza che la società insolvente, in relazione ai finanziamenti contestati, ha recuperato in gran parte il credito. Infine, si eccepisce la violazione del canone di giudizio dell'oltre ogni ragionevole dubbio per l'affermazione di responsabilità dell'imputato: nell'istruttoria dibattimentale non si è dimostrato in quale misura la concessione dei finanziamenti, in numero limitato e coerenti con gli scopi mutualistici, abbia effettivamente influito sullo stato di insolvenza della società CAMMO.
4. Il ricorso proposto da Ri.Pa., tramite il suo difensore, ruota intorno a cinque censure distinte.
4.1. Il primo motivo denuncia vizio di carenza di motivazione e omessa risposta alle doglianze formulate con l'atto di appello. La sentenza impugnata si sarebbe limitata a riportare un'elencazione di pratiche di finanziamento, senza entrare nel merito delle puntuali censure sollevate dal ricorrente.
In particolare, si evidenzia l'omessa risposta: a) al motivo riferito al fatto che i finanziamenti erano stati concessi previa regolare istruttoria condotta secondo prassi consolidate nella società, acquisendo i modelli reddituali del socio richiedente e le garanzie personali di altri soci, tutti ben noti nella comunità di M per la loro sicura solvibilità; tanto che, in sede civile, molti creditori sono stati positivamente esecutati; b) al motivo riferito all'insussistenza del nesso di causalità tra i finanziamenti per i quali si è ritenuta la responsabilità degli imputati e il dissesto della CAMMO; c) all'insussistenza dell'elemento soggettivo del reato: gli imputati - si ribadisce - hanno destinato il danaro allo scopo principale della società, senza alcuna volontà di dissipare o danneggiare i creditori.
Le risposte fornite dalla Corte d'Appello sarebbero apodittiche e contraddittorie, secondo la difesa, che ripropone alcune delle ragioni d'appello; in particolare, si eccepisce l'omessa motivazione sulla vicenda dei finanziamenti alla PRM Steel Nails ed a Ma.Do., sottolineando come anche il consulente della difesa, Ba., di cui i giudici avevano acquisito agli atti la relazione, abbia dato elementi di prova in senso favorevole al ricorrente, confortando la tesi della bontà delle procedure in atto.
4.2. Il secondo motivo proposto con il ricorso rileva la presenza di un vizio di motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui ha riqualificato il capo H in bancarotta semplice solo con riferimento ai sindaci Di.An. e De.To., operando una irragionevole distinzione tra costoro ed i componenti non esecutivi del consiglio di amministrazione, quale era il ricorrente. Il ricorso definisce costui uno "sprovveduto", il cui contributo alla vita della società si limitava, quando era presente, a ratificare in consiglio di amministrazione le pratiche così come istruite dai dipendenti e gestite in assoluta autonomia dal presidente del consiglio di amministrazione, Pa.An. (individuato dalle sentenze di merito come una sorta di amministratore unico).
4.3. Il terzo motivo di ricorso incentra il fulcro della sua denuncia nella mancanza di motivazione sulle ragioni poste a fondamento del trattamento sanzionatorio nei confronti del ricorrente, che avrebbe dovuto vedersi quanto meno riconosciute le circostanze attenuanti generiche; il ricorso le invoca con giudizio di prevalenza sulle aggravanti, sì da determinare una pena non superiore ai due anni di reclusione, riconoscendogli la sospensione condizionale. Avrebbero potuto essere valorizzati per giungere a tale risultato alcuni elementi "indicativi": le sue scarse competenze tecniche, la sua buona fede, la sua incensuratezza.
4.4. Il quarto motivo di ricorso eccepisce violazione di legge per mancata assunzione di una prova decisiva, vale a dire la richiesta di ammissione della prova documentale
costituita dalla certificazione dell'avvenuta estinzione del finanziamento di Ma.Do., utile a far comprendere l'estraneità del ricorrente al reato. 4.5. La quinta censura fa leva sull'irragionevolezza della decisione di non consentire al ricorrente di essere ammesso al patteggiamento ex art. 444 cod. proc. pen., per il parere contrario del pubblico ministero a concordare una pena inferiore a tre anni, laddove, invece, l'applicazione della pena su richiesta è stata consentita al coimputato Pa.An.nei termini di tale dosimetria sanzionatoria.
5. Ha proposto ricorso anche De.To., tramite il difensore di fiducia, deducendo due distinti motivi.
5.1. Il primo argomento agitato dal ricorrente denuncia l'erronea qualificazione giuridica del fatto, che non corrisponde, per come descritto in motivazione, alle disposizioni evocate nel dispositivo e di cui agli artt. 217, comma 1, n. 2 e 224, comma 1, n. 1, I. fall., nonché il difetto di correlazione tra accusa e condanna. L'art. 217, comma 1, n. 2, I. fall., infatti, sanziona la consumazione del patrimonio dell'imprenditore in operazioni di pura sorte e manifestamente imprudenti, mentre invece la condotta descritta nella sentenza impugnata riguarda l'omessa attivazione dei poteri di controllo e verifica dalla legge demandati al collegio sindacale, tale da determinare la possibilità della dissipazione.
Inoltre, è la stessa sentenza d'appello che ha concluso per la mancanza di indici fattuali di attività fraudolente da parte degli amministratori, tali da imporre ai sindaci di attivare i propri poteri di controllo. In assenza dell'indicazione in motivazione dei profili di ricostruzione del fatto collegati alla contestazione frutto della riqualificazione, il ricorrente chiede che la sentenza venga annullata e vengano revocate le statuizioni civili, non sussistendo elementi per un'affermazione di responsabilità, sia dolosa che colposa.
5.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia vizio di motivazione e violazione di legge, quanto al mancato accertamento del nesso di causalità tra la condotta ritenuta negligente ed attribuita ai sindaci e l'insorgere o l'aggravarsi del dissesto della CAMMO Srl, profilo che, come già denunciato nel motivo precedente, non sarebbe stato trattato dalla motivazione della sentenza impugnata. Mancherebbe, altresì, qualsiasi giudizio controfattuale collegato al reato omissivo e riferito a cosa sarebbe accaduto ipotizzando una diversa e attiva condotta di controllo da parte dei sindaci.
La difesa evidenzia come, riqualificato il fatto nel reato descritto nella sentenza d'appello, allora si sarebbe dovuta accertare la concreta incidenza della condotta omissiva sul dissesto, trattandosi di reato colposo di evento e non più di reato doloso di pericolo
concreto (come l'iniziale contestazione di cui all'art. 216 I. fall, mossa nei confronti del ricorrente e dell'altro componente del collegio sindacale).
6. Infine, anche Di.An. ha depositato ricorso, tramite il difensore di fiducia, con cui deduce tre motivi distinti.
6.1. Il primo ed il secondo motivo ripropongono, nella prospettiva sia del vizio di motivazione che dello speculare vizio di violazione di legge, le ragioni essenziali contenute nella prima eccezione del ricorso di De.To.
6.2. Il terzo motivo di ricorso denuncia la mancata rinnovazione del dibattimento, per acquisire documentazione dalla quale evincere che i soci beneficiari dei finanziamenti avessero redditi e patrimoni idonei a sostenere il debito contratto, al momento dell'erogazione del credito.
7. Il Sostituto Procuratore Generale Aldo Ceniccola ha chiesto il rigetto dei ricorsi con ampia requisitoria scritta.
8. Hanno depositato memorie, conclusioni e note spese, tramite il difensore, le parti civili Ca.Ma., Fi.Ma., Ca.Ro., per 6.332 euro ciascuno.
Ha depositato, successivamente, rinuncia alla costituzione di parte civile Ca.Ma., quale erede del padre Ca.Ro., per la parte di rifusione delle spese processuali di questi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Tutti i ricorsi sono complessivamente infondati e devono essere rigettati.
2. Il primo motivo dell'impugnazione di Pa.Ni. e Fu.Gu.è infondato. La tesi difensiva, in estrema sintesi, ritiene che l'assenza di danno, dovuta al recupero delle somme concesse dalla cooperativa insolvente in finanziamento ai soci, elida il reato facendo venir meno il pericolo concreto di deprivazione della massa attiva a svantaggio dei creditori.
Si tratta di un'opzione disallineata rispetto alla giurisprudenza di legittimità, con cui il ricorso non si confronta.
La bancarotta fraudolenta distrattiva o dissipativa prefallimentare è, sì, reato di pericolo concreto (per tutte, cfr. Sez. 5, n. 17819 del 24/3/2017, Palitta, Rv. 269562 e Sez. 5, n. 38396 del 23/6/2017, Sgaramella, Rv. 270763; specificamente per la bancarotta fraudolenta dissipativa cfr. Sez. 5, n. 533 del 14/10/2016, dep. 2017, Zaccaria, Rv.269019), ma il pericolo deve valutarsi ex ante, ancorché al momento della declaratoria dello stato di insolvenza ed in riferimento agli atti depauperativi compiuti nella ed. zona di rischio penale (cfr. Sez. 5, n. 16579 del 24/03/2010, Fiume, Rv. 246879, in motivazione, e Sez. 5, n. 18517 del 22/2/2018, Lapis, Rv. 273073). La zona di rischio penale è quella che in dottrina viene comunemente individuata come "prossimità dello stato di insolvenza", quando l'apprezzamento di uno stato di crisi, normalmente conosciuto dall'agente imprenditore o figura equiparata, è destinato a orientare la "lettura" di ogni sua iniziativa di distacco dei beni - fatte salve quelle inquadrabili nelle altre ipotesi di reato pure previste dalla legge fallimentare del 1942 -nel senso della idoneità a creare un pericolo per l'interesse dei creditori sociali (così la sentenza Palitta, cit).
Senza dubbio un'esegesi costituzionalmente orientata del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale pre-fallimentare come reato di pericolo concreto (in tema, oltre alla citata sentenza Palitta, cfr. anche Sez. 5, n. 47616 del 17/07/2014, Simone, Rv. 261683), impone di valutare la rilevanza penale delle condotte e la loro offensività in base all'idoneità ex ante degli atti depauperativi a mettere realmente a rischio la garanzia dei creditori della massa fallimentare, in un parametro spazio-temporale ragionevole (la zona penale di rischio) entro il quale l'apprezzamento di uno stato di crisi dell'impresa, conosciuto dall'agente, è destinato ad orientare l'interpretazione di ogni iniziativa di distrazione dei beni da parte di quest'ultimo.
Tuttavia, non deve confondersi l'esposizione a pericolo, sufficiente per l'integrazione del reato, con il danno alla massa dei creditori, requisito non richiesto dalla norma come essenziale e che costituisce un post-factum, anche perché l'assenza di danno non è essa stessa prova di mancata esposizione a pericolo, poiché tale assenza, invece, può derivare dalla complessiva attività di recupero posta in essere, dopo il fallimento, dal curatore, con individuazione di assi patrimoniali capaci di neutralizzare le esposizioni passive (cfr., in tal senso, Sez. 5, n. 17819 del 24/3/201, Palitta, Rv. 269562, in motivazione). Il pericolo previsto dalla bancarotta pre-fallimentare - che è anche l'evento giuridico del reato, come ribadito da Sez. U, n. 21039 del 27/1/2011, Loy, in motivazione - va abbinato, dunque, alla idoneità dell'atto di depauperamento a creare un vulnus alla integrità della garanzia della "categoria" dei creditori, in caso di apertura di procedura concorsuale, con un'analisi che deve riguardare in primo luogo l'elemento oggettivo, per investire poi in modo omogeneo l'elemento soggettivo, e che deve poggiare su criteri "ex ante", in relazione alle caratteristiche complessive dell'atto stesso e della situazione finanziaria della società, laddove l'anteriorità" di regola è tale relativamente al momento della azione tipica, senza però che sia esclusa dalla valutazione la permanenza o meno della stessa situazione, fino all'epoca che precede l'atto di apertura della procedura.
Entro tali coordinate di ragionamento, condivisibilmente, questa Sezione ha già espressamente affermato che, ai fini della configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, è irrilevante, sotto il profilo dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato, l'assenza di un danno per i creditori (Sez. 5, n. 13382 del 3/11/2020, Verdini, Rv. 281031, in una fattispecie relativa alla dichiarazione di insolvenza di un istituto di credito, in cui le posizioni dei creditori o correntisti erano state assorbite dall'intervento a tutela del fondo di garanzia dei depositanti delle banche di credito cooperativo).
La sentenza Verdini, richiamata la pronuncia Palitta, ha messo in risalto che, per la sussistenza dell'elemento materiale della bancarotta distrattiva (ma analogamente può ritenersi per la bancarotta dissipativa) è sufficiente il distacco del bene dal patrimonio dell'imprenditore - sebbene il reato venga a giuridica esistenza con la dichiarazione di fallimento - avendo il legislatore inteso colpire la manovra diretta alla sottrazione, con possibilità, concreta e da valutarsi ex ante, di danno per i creditori.
Del resto, questa Corte ha avuto modo di evidenziare l'irrilevanza del fatto che la massa attiva superi quella passiva o della chiusura del fallimento per sopravvenuta mancanza del passivo e pagamento dei debiti, ai fini della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta, sulla quale incide solo la revoca del fallimento, nel caso d'insussistenza dello stato di insolvenza al momento della dichiarazione di fallimento (cfr., per tutte, Sez. 5, n. 52622 del 05/10/2016, Sposito, Rv. 268746). Infatti, il pagamento dei debiti della società fallita è un post factum, un posterius, rispetto alla dichiarazione di fallimento e neppure il recupero, da parte della curatela, dei beni non consegnati dal fallito spiega rilievo sulla sussistenza dell'elemento materiale del reato di bancarotta (Sez. 5, n. 13820 del 03/03/2020, Biondini, Rv. 278951). Per le stesse ragioni, pertanto, la menzionata chiusura non esclude l'elemento soggettivo doloso del reato, consumato al momento della dichiarazione di fallimento (Sez. 5, n. 1336 del 05/11/1986, dep.1987, Scuderi, Rv. 175003).
Tale cornice interpretativa complessiva è confermata dalla giurisprudenza in tema di bancarotta riparata, attraverso cui - come sottolineato da autorevole dottrina - si rivela chiaramente che l'offensività della condotta di reato, cristallizzata nel momento consumativo coincidente con la dichiarazione di fallimento, è limitata ai fatti che creano un pericolo concreto e dunque attiene non alla punibilità ma alla oggettività del reato (come noto, la bancarotta riparata impedisce di configurare il reato nel caso in cui la distrazione o qualsiasi sottrazione di attività sia incontrovertibilmente riversata nella sua integralità - dai soci che l'avevano prelevata - nelle casse della società prima della dichiarazione di fallimento, intesa quest'ultima come momento consumativo del pericolo-, ex multis, Sez. 5, n. 28514 del 23/04/2013, Grazioli Gauthier, Rv. 255576; Sez. 5, n. 52077 del 04/11/2014, Lelli, Rv. 261347; Sez. 5, n. 4790 del 20/10/2015, dep. 2016, ric. Budola, Rv. 266025; Sez. 5, n. 57759 del 24/11/2017, Liparoti, Rv. 271922).
Fermi gli approdi ermeneutici richiamati, va ribadito, in ogni caso, il rifiuto di qualsiasi ricostruzione, ancorché surrettizia, della fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale come reato di "pericolo presunto", vale a dire come ipotesi criminosa che, basandosi sulla constatazione tout court dell'esistenza dell'atto distrattivo, si affidi ad una catena di presunzioni fondate sulla rimproverabilità della esposizione a pericolo del patrimonio, destinate a divenire reato fallimentare solo con la successiva declaratoria giudiziale.
Alla luce dei principi sin qui sintetizzati, la lettura del caso all'esame del Collegio trova agevole soluzione.
L'argomento difensivo secondo cui il reato di bancarotta fraudolenta dissipativa prefallimentare sarebbe escluso poiché la maggior parte dei crediti vantati dalla società per i finanziamenti concessi ai soci erano stati recuperati dal liquidatore e che i beneficiari dei finanziamenti ed i garanti erano risultati titolari di redditi o proprietari di beni immobili è evidentemente privo di rilievo perchè manca di confronto con le solide linee interpretative della giurisprudenza di legittimità.
La Corte d'Appello ha messo in risalto, coerentemente a tali approdi ermeneutici, la non incidenza, sulla configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta dissipativa prefallimentare e sul verificarsi di un pericolo concreto di pregiudizio per la categoria dei creditori, del fatto che alcuni dei crediti vantati dalla società Cammo per i finanziamenti concessi ai soci fossero stati recuperati dal liquidatore a mezzo di specifiche azioni intraprese o attraverso atti di transazione (cfr. pag. 22 della sentenza impugnata). Ciò sia in quanto solo alcuni di detti crediti vennero recuperati (peraltro, come ha sottolineato il Procuratore Generale nella sua requisitoria, il ricorso non precisa i termini quantitativi del parziale recupero ed il loro rilievo) e sia per le difficoltà ed il tempo occorsi per il recupero di tali crediti, che sarebbe invece stato reso più agevole e celere dall'assunzione di adeguate garanzie dai beneficiari: il concreto pericolo della dissipazione del patrimonio si è comunque realizzato.
2.2. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato, laddove tenta di proporre una lettura parziale dell'accaduto, facendo leva sull'argomento, in verità piuttosto assertivo, secondo cui il ricorrente ed i coimputati avrebbero tenuto condotte manifestamente imprudenti e colpose, non sorrette dal dolo della dissipazione fraudolenta e al più configurabili come bancarotta semplice.
In tema di reati fallimentari, la consumazione del patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti integra, invero, il delitto di bancarotta semplice solo nel caso in cui tali operazioni si inquadrino nell'ambito di condotte tenute comunque nell'interesse dell'impresa, configurandosi, invece, il delitto di bancarotta fraudolenta nel caso in cui l'agente abbia dolosamente perseguito un interesse proprio o di terzi estranei all'impresa (Sez. 5, n. 7417 del 1/2/2023, Vecchio, Rv. 284230; Sez. 5, n. 15850 del 1990, Rv. 185886-01).
Il cenno difensivo ai problemi relativi alla sussistenza del dolo si risolve mediante il richiamo ai passaggi della sentenza impugnata che, in più punti, ha evidenziato una serie di elementi idonei a dimostrare che gli amministratori della cooperativa agirono nonostante la rappresentazione della concreta possibilità di esporre la società a consistenti perdite (sicché il dolo generico risulta sussistente).
2.3. Il terzo motivo di ricorso muove censure ai limiti dell'inammissibilità, funzionali a negare la configurabilità a carico dei ricorrenti del dolo di fattispecie: tende a rivalutare le prove e i risultati di esse, per come ricostruite dalle sentenze di merito, conformi tra loro (operazione vietata dalla giurisprudenza consolidata di legittimità); descrive la realtà processuale in modo parziale, per sostenere la tesi della mancata dimostrazione della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato e l'attribuzione agli impiegati della cooperativa, assegnati all'istruttoria delle pratiche di finanziamento, della responsabilità delle scelte di istruirle in modo inadeguato o carente del tutto; infine, dimentica le precise argomentazioni difformi dalla prospettazione difensiva contenute nella sentenza impugnata.
I giudici d'appello hanno, invece, evidenziato ampiamente come sia stato accertato un consistente numero di pratiche di finanziamento deliberate dal consiglio di amministrazione, in totale o parziale assenza di adeguata documentazione, in favore di soci già esposti con debiti, senza assumere garanzie personali o assumendole da altri soci titolari di pregressi rapporti di finanziamento "incagliati".
Tutto ciò, spesso, in palese conflitto di interesse tra singolo amministratore e socio richiedente il finanziamento (sono emersi finanziamenti erogati a parenti o al coniuge dei soci componenti del consiglio di amministrazione, oppure ad una società che vedeva costoro tra i soci).
Dal punto di vista oggettivo, la sentenza d'appello sottolinea che le operazioni contestate ai ricorrenti, più che rischiose, siano state in molti casi addirittura "aleatorie", come risulta dalla notevole esposizione debitoria dei soci finanziati, riscontrata all'atto della dichiarazione di insolvenza, ai quali non erario state chieste, in istruttoria, alcuna documentazione reddituale o patrimoniale né garanzie di sorta.
Tutti gli indicatori fattuali sopra riferiti (elencati nelle pagine da 21 e ss. della sentenza impugnata) descrivono il tessuto probatorio in modo funzionale alla ricostruzione della prova della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta dissipativa e coincidono con gli indici di fraudolenza richiesti dalla giurisprudenza di
legittimità per l'accertamento dell'elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico del reato in esame (cfr. Sez. 5, n. 38396 del 2017, cit.).
2.4. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.
Il motivo riferito alla richiesta di rinnovazione istruttoria del cui diniego si deduce l'irragionevolezza motivazionale è stato genericamente prospettato nel ricorso, nonostante la puntualità delle argomentazioni al riguardo spese dalla sentenza impugnata (pag. 22 e ss.).
Si evoca l'acquisizione di documentazione non meglio specificata,, poiché ritenute utile a verificare la situazione reddituale e patrimoniale dei soci finanziati e dei garanti, ma non ci si confronta con la circostanza che la Corte d'Appello, rinviando anche alla sentenza di primo grado, ha già evidenziato: a) la completezza della documentazione acquisita al processo e di quella posta a fondamento della consulenza tecnica del pubblico ministero; b) la coincidenza degli accertamenti delle indagini con i risultati di un'ispezione della Banca d'Italia, giunta alle medesime conclusioni del consulente tecnico e, per questa ragione, era stata avviata la formale cancellazione della Cammo dall'elenco generale di cui all'art. 106 TUB, poi disposta con decreto ministeriale del 29.7.2011; c) l'acquisizione di tutta la documentazione difensiva relativa al recupero di una parte dei crediti vantati dalla cooperativa, ritenuta di per sé inidonea ad escludere la sussistenza del reato (cfr. anche il par. 2.1.).
Il motivo, pertanto, è generico poiché meramente esplorativo, volto a verificare una situazione patrimoniale dei soci finanziati, della quale non si evidenzia che altrettanto genericamente la valenza difensiva.
2.5. Infine, l'ultimo motivo di ricorso è anch'esso inammissibile, questa volta perché formulato in chiave genericamente rivalutativa delle prove già logicamente esaminate dalla Corte d'Appello e nella sentenza di primo grado.
In sintesi, i ricorrenti vorrebbero addossare alla fase esecutiva della concessione del finanziamento la responsabilità delle condotte e ciò propongono al Collegio mediante la riproposizione pedissequa delle ragioni dell'appello, addirittura limitandosi a trascriverli nel ricorso.
3. Il ricorso di Pa.An.è infondato.
3.1. L'unico motivo di censura è formulato ai limiti dell'inammissibilità, limitandosi a proporre una diversa ricostruzione della sequenza delle prove ricostruita dalle sentenze di merito in modo coerente e ampiamente argomentato (cfr., tra e altre, Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482).
La tesi difensiva fa leva su argomenti di senso comune, privi di rilievo giuridico, quali l'affidamento che il ricorrente, come Presidente del consiglio di amministrazione della società insolvente, avrebbe riposto, insieme agli altri componenti del cda, sulla solvibilità dei soci finanziati, "noti", in un piccolo contesto territoriale, come esercenti commerciali o piccoli imprenditori del territorio, e ciò a dispetto delle dovute verifiche. Inoltre, il ricorrente non tiene conto che alcuni finanziamenti contestati come non concedibili furono diretti alla moglie ed al figlio, altro indicatore della spregiudicata gestione della cooperativa, senza che possa rilevare la mancata prova della misura che la concessione dei finanziamenti abbia effettivamente influito sullo stato di insolvenza della società CAMMO.
Il Collegio rammenta, in proposito, il consolidato orientamento di legittimità secondo cui, ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, non è necessaria l'esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione (ed anche quelli di dissipazione) ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l'agente abbia cagionato il depauperamento dell'impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività (Sez. U, n. 22474 del 31/3/2016, Passarelli, Rv. 266804). Le Sezioni Unite hanno precisato che i fatti di distrazione, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando ancora l'impresa non versava in condizioni di insolvenza. Si tratta di opzione che ha già superato indenne la verifica di tenuta costituzionale operata in prima battuta da questa Corte regolatrice quanto alla manifesta infondatezza della questione proposta in relazione all'art. 216 I. fall., nel prisma degli artt. 3 e 27 Cost. (Sez. 5, n. 9769 del 2/2/2018, Amadei, Rv. 272800).
Se, dunque, secondo il diritto vivente, non si richiede la necessità di accertare la sussistenza del nesso causale tra la condotta dell'imputato e la successiva dichiarazione di fallimento, ciò non determina alcuno iato tra le sorti dell'impresa e la condotta dell'imputato, poiché ricollega (comunque) quest'ultima al depauperamento aziendale ed alla conseguente depressione della garanzia dei creditori.
4. Anche il ricorso di Ri.Pa. deve essere rigettato perché privo di argomenti capaci di scalfire la sentenza impugnata. 4.1. Il primo motivo di critica è infondato.
La prima parte delle censure difensive coincide con il motivo unico del ricorso di Pa.An., quanto alla ricostruzione dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta dissipativa (pre-fallimeritare), nonché con il primo motivo del ricorso dei coimputati Pa.Ni. e Fu.Gu., quanto alla ricostruzione logico-giuridica che determina le erronee, conseguenti obiezioni. Si richiama, pertanto, quanto già esposto in risposta a detti motivi, sia dal punto di vista della ricostruzione delle condotte contestate come configurabili nell'alveo dell'art. 216 I. fall., sia sotto il profilo degli approdi giurisprudenziali relativi alla struttura del reato come di "pericolo concreto" ed all'irrilevanza della verifica sul danno post-factum, sia riguardo alla non necessità di un rapporto causale tra tali condotte ed il dissesto della società fallita. Quanto alla denuncia di omessa motivazione sulle ragion d'appello riferite ai finanziamenti erogati alla P.R.M. Steel Nails Srl ed a Ma.Do., se ne rileva immediatamente l'infondatezza. A prescindere dalla tendenziale genericità degli stessi motivi d'impugnazione dinanzi al giudice di secondo grado, pure sottolineata dal Procuratore Generale con acute osservazioni, si evidenzia che la sentenza della Corte territoriale (a pag. 17 ed a pag. 19) si è esplicitamente soffermata sulle manifeste, gravi anomalie che tali pratiche di finanziamento avevano rivelato, collegandosi e richiamandosi alle affermazioni contenute nella sentenza di primo grado. Per la prima società, in particolare, si è condivisa la segnalazione del Tribunale, che ha individuato l'operazione come espressiva di idoneità a mettere in pericolo concreto la garanzia patrimoniale della società nei confronti dei creditori.
Ed infatti, i giudici d'appello hanno sottolineato che, nonostante la complessità della pratica e l'importo rilevante del finanziamento concesso - e nonostante la circostanza che la socia finanziata presentava già una consistente esposizione debitoria - il consiglio di amministrazione della Cammo non richiese alcuna documentazione, indicatore fattuale che si collega direttamente all'evidente situazione di conflitto di interessi alla base del finanziamento, visto che il presidente ed i consiglieri della Cammo detenevano, al momento della delibera del finanziamento, partecipazioni maggioritarie all'interno della società finanziata.
Quanto al finanziamento erogato a Ma.Do., egualmente non appare alcuna omessa motivazione sulle ragioni di impugnazione proposte da ricorrente: quando la sentenza d'appello puntualizza ciascuno dei finanziamenti in relazione ai quali è intervenuta la condanna, condivide le ragioni della sentenza di primo grado, le sintetizza e le ribadisce; soprattutto, si sofferma sulla carenza di attività istruttoria, che ha consentito di erogare ripetuti finanziamenti (dal 1991 al 2002) nonostante la consistente esposizione debitoria e nonostante il mancato pagamento del e rate pattuite per le restituzioni (fattore indicativo della spregiudicata gestione della cooperativa è che neppure venivano messe all'incasso le cambiali date in pagamento da Mannello). Del resto, la consolidata giurisprudenza di legittimità sottolinea che l'obbligo di motivazione del giudice dell'impugnazione non richiede necessariamente che egli fornisca specifica ed espressa risposta a ciascuna delle singole argomentazioni, osservazioni o rilievi contenuti nell'atto d'impugnazione, se il suo discorso giustificativo indica le ragioni poste a fondamento della decisione e dimostra di aver tenuto presenti i fatti decisivi ai fini del giudizio, sicché, quando ricorre tale condizione, le argomentazioni addotte a sostegno dell'appello, ed incompatibili con le motivazioni contenute nella sentenza, devono ritenersi, anche implicitamente, esaminate e disattese dal giudice, con conseguente esclusione della configurabilità del vizio di mancanza di motivazione di cui all'art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen. (ex multis, Sez. 1, n. 37588 del 18/6/2014, Amaniera, Rv. 260841).
Infine, di nessun rilievo è la circostanza che il finanziamento sia stato estinto, successivamente alla dichiarazione di liquidazione, per le già esposte ragioni collegate alla natura di reato di pericolo concreto della fattispecie di cui all'art. 216, comma primo, n. 1, I. fall.
4.2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile poiché formulato secondo direttrici di censura rivalutative e "in fatto", sottratte al sindacato di legittimità.
Del tutto fuori fuoco, poi, il tentativo di assimilare la posizione dell'imputato a quella dei componenti del collegio sindacale, in relazione ai quali la sentenza impugnata ha riqualificato il reato ai sensi dell'art. 217 I. fall.
4.3. La terza ragione di censura è inammissibile.
Il trattamento sanzionatorio nei riguardi del ricorrente è stato ampiamente e logicamente argomentato dalla Corte territoriale, che ha sottolineato alcuni fattori certamente ricompresi nella verifica ex art. 133 cod. pen., con motivazione insindacabile dal giudice di legittimità (si è fatto riferimento alla gravità dei fatti; alla durata dell'incarico di componente del consiglio di amministrazione della società CAMMO; all'elevato numero di pratiche anomale alla deliberazione delle quali il ricorrente ha contribuito; all'assenza di indicatori positivi).
4.4. Il quarto motivo di ricorso ricalca - sotto il profilo, però, della mancata acquisizione di una prova decisiva (la documentazione che proverebbe il pagamento del finanziamento da parte di Ma.Do.) - le considerazioni difensive contenute nel primo motivo dell'impugnazione di Pa.Ni. e Fu.Gu.; sicché basta qui richiamare, ai fini di dichiararne l'infondatezza, gli approdi giurisprudenziali relativi alla struttura del reato di bancarotta fraudolenta distrattiva o dissipativa pre-fallimentare come reato a "pericolo concreto", in cui è irrilevante la verifica sul se il danno si sia realizzato o meno post-factum.
4.5. L'ultima eccezione difensiva è inedita, non essendo stata proposta con l'atto di appello: da qui la sua inammissibilità.
5. Il ricorso di De.To., componente del collegio sindacale della società in liquidazione, è complessivamente infondato.
5.1. Il primo motivo, dedicato a contestare la riqualificazione della condotta di concorso in bancarotta fraudolenta dissipativa del ricorrente in quella di cui all'art. 217, comma primo, n. 2), I. fall., non coglie il senso della statuizione di condanna disposta dalla Corte d'Appello, ancorché ai soli effetti civili, trattandosi di reato in relazione al quale è stata dichiarata la prescrizione.
Si deduce, in sintesi, un difetto di correlazione tra accusa e sentenza e, comunque, la non corrispondenza tra la condotta di reato ascritta al ricorrente e la qualificazione di essa ai sensi dell'art. 217 I. fall., quale causazione omissiva colposa di operazioni economiche manifestamente imprudenti, ricollegata alla condotta dolosa dei componenti del consiglio di amministrazione.
Per dare soluzione al problema posto dal ricorso, va rilevato che la sentenza d'appello ha ritenuto che il ricorrente, quale sindaco, non ha attivato i suoi poteri di controllo diretti ad impedire la condotta dissipativa dei componenti del consiglio di amministrazione ed ha stabilito che egli risponda - così come la coimputata nella medesima posizione Di.An. - a titolo di bancarotta semplice (art. 217, comma primo, n. 2), I. fall.), per aver consumato una parte del patrimonio sociale in operazioni manifestamente imprudenti, o meglio per aver consentito, mediante la sua omissione e la mancata attivazione dei suoi poteri di controllo, la realizzazione di operazioni manifestamente imprudenti che, dal punto di vista ontologico, se commesse con dolo, equivalgono alle operazioni dissipative degli amministratori.
Tenendo presente che la responsabilità per concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta dei componenti del collegio sindacale non può essere desunta solo dalla posizione di garanzia rivestita e dal mancato esercizio dei relativi doveri di controllo, ma postula la verifica dell'esistenza di elementi, dotati di adeguato e necessario spessore indiziario, sintomatici della partecipazione causalmente libera dei sindaci stessi all'attività degli amministratori ovvero dell'effettiva incidenza causale dell'omesso esercizio dei doveri di controllo sulla commissione del reato (Sez. 5, n. 20867 del 17/3/2021, D'Alessandro, Rv. 281260), la Corte d'Appello ha poi escluso, nel caso di specie, la responsabilità di essi a titolo di concorso nel reato doloso.
Perché i sindaci concorrano nel delitto di bancarotta fraudolenta, è necessario, infatti, che emergano puntuali elementi sintomatici, dimostrativi del fatto che l'omissione dei poteri di controllo e l'inadempimento dei poteri di vigilanza possano ricondursi ad una consapevole volontà di agire anche a costo - e dunque con dolo eventuale - di far derivare dall'omesso controllo la commissione di illiceità dolose da parte degli amministratori.
Ebbene, quanto a quest'ultimo profilo, la Corte territoriale ha evidenziato, da un lato, l'insufficienza degli indicatori di dolo necessari a configurare una responsabilità concorsuale nel reato commesso dai componenti del consiglio di amministrazione; dall'altro, che la continuata, totale assenza del controllo dei sindaci sulla dissennata politica degli amministratori - controllo che, se attivato, ne avrebbe potuto attenuare gli effetti deleteri per la vita della cooperativa - ha contribuito alla dissipazione del patrimonio della cooperativa; dissipazione che corrisponde, dal punto di vista contenutistico, al netto dell'elemento oggettivo, alla messa in atto di operazioni imprudenti ex art. 217 I. fall.
Da qui, la qualificazione della condotta del ricorrente ai sensi dell'art. 217, comma primo, n. 2, I. fall., che si muove, quindi, su di un piano di rilevanza autonoma, equivalendo alle operazioni manifestamente imprudenti la condotta omissiva, negligente nel non accorgersi che erano in atto condotte dissipative dei componenti del cda - di erogazione di finanziamenti senza verificare diligentemente la situazione patrimoniale dei debitori e dei garanti - alle quali si sarebbe potuto porre rimedio, da parte dei sindaci, con i doverosi poteri di controllo.
Del resto, nei delitti, la condotta colposa che accede al fatto principale doloso, è punibile solo in via autonoma, a condizione che integri una fattispecie colposa espressamente prevista dall'ordinamento (Sez. 5, n. 57006 del 5/10/2018, Curti, Rv. 274626; Sez. U, n. 2720 del 3/2/1990, Cancilleri, Rv. 1834959).
5.2. La seconda doglianza, relativa al mancato accertamento del nesso di causalità, è infondata.
La verifica del nesso di causalità è stata espressamente condotta dalla Corte d'Appello, la quale ha osservato - come già si è evidenziato - che i poteri di controllo, se attivati, "avrebbero potuto quanto meno limitare e contenere la dissennata politica degli amministratori".
Si è anche sottolineato, ancora una volta ricercando il nesso di causalità, che il ricorrente e la coimputata Di.An. sono i due sindaci che presero parte a numerose delibere del consiglio di amministrazione della cooperativa, relative alle pratiche di finanziamento perfezionate tramite un'istruttoria palesemente carente, differenziando la loro posizione da quella della terza componente del collegio sindacale Gr.An, in relazione alla quale si è pronunciata sentenza di assoluzione, una volta constatata la sua partecipazione ad una soltanto delle delibere di concessione di finanziamento "anomalo".
6. Infine, anche il ricorso di Di.An. è complessivamente infondato.
6.1. I primi due motivi di censura sono analoghi, nel contenuto, al primo motivo del coimputato De.To., sicché si richiamano le ragioni di rigetto esposte al par. 5.1.
6.2. La terza ragione di ricorso, con cui si denuncia, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, la mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale volta ad acquisire la prova documentale che i soci beneficiari dei finanziamenti avessero redditi e patrimoni idonei a sostenere il debito contratto, al momento dell'erogazione del credito, è inammissibile, per le ragioni esposte al par. 2.4., in relazione al primo dei ricorsi esaminati.
Anche nel caso della ricorrente, si evoca l'acquisizione di documentazione non meglio specificata, poiché ritenute utile a verificare la situazione reddituale e patrimoniale dei soci finanziati e dei garanti e ad escludere, quindi, l'agire dissipatorio, ma non ci si confronta con la circostanza che la Corte d'Appello, rinviando anche alla sentenza di primo grado, ha già evidenziato la completezza della documentazione acquisita al processo.
Il motivo è generico poiché meramente esplorativo, volto a verificare una situazione patrimoniale dei soci finanziati della quale non si evidenzia che altrettanto genericamente la valenza difensiva.
7. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Ca.Ma.e Fi.Ma.che liquida per ciascuno in complessivi euro 4000,00 oltre accessori di legge.
Deve prendersi atto, infatti, della rinuncia alla costituzione di parte civile ad opera degli eredi di Ca.Ro., depositata dal difensore costituito
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, gli imputati alle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Ca.Ma.e Fi.Ma.che liquida per ciascuno in complessivi euro 4000,00 oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 26 gennaio 2024.
Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2024.