Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 2 febbraio 2024, la Corte d'appello di Firenze ha
confermato la decisione del GUP presso il Tribunale di Lucca che aveva ritenuto
Marco B. responsabile del reato di cui agli artt. 217, comma 2 e 224, legge
fall. perché, in qualità di amministratore della società IDF.AT . PARTY 2 GO srl, nei
tre anni precedenti alla dichiarazione di fallimento, avvenuta il 13.2.2018, teneva
i libri e le scritture contabili in modo irregolare e incompleto. L'imputato veniva
assolto dai restanti reati contestati.
2. Avverso tale sentenza, Marco B. ha proposto ricorso per cassazione
svolgendo due motivi di censura.
2.1. Con il primo motivo deduce vizio di motivazione per avere la sentenza
impugnata ritenuto ascrivibile a colpa la condotta del ricorrente che aveva fatto
affidamento sull'operato del commercialista, incaricato della tenuta della
contabilità della società, in ordine all'entità dei debiti gravanti sulla stessa.
2.2. Con il secondo motivo si deduce vizio di violazione di legge e vizio di
motivazione in ordine al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di
cui all'art. 131-bis cod. pen. La Corte territoriale avrebbe erroneamente
considerato, ai fini della valutazione dell'entità del danno, l'entità del passivo
fallimentare, individuando in questo la lesione al bene giuridico tutelato dall'art.
217 legge fall. Inoltre, avrebbe omesso di considerare la condotta susseguente al
reato, allorché il B., accortosi dei vizi relativi alla tenuta della contabilità, si
era rivolto ad altro professionista, riuscendo così a fornire al curatore le
informazioni necessarie per la ricostruzione dell'attività societaria.
3. Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, chiedendo che il
ricorso sia dichiarato inammissibile.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
2. Il primo motivo è infondato.
2.1. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, il
reato di bancarotta semplice costituisce un reato di pericolo presunto, punibile
anche a titolo di colpa, il quale sanziona la mancanza o irregolare tenuta di libri e
scritture contabili anche per negligenza nella sorveglianza delle persone alle quali
sia stato eventualmente affidato l'incarico della tenuta (Sez. 5, n. 1274 del
21/10/1975, dep. 1976, Salvati, Rv. 132048; Sez. 5, n. 3936 del 11/11/1975,
dep. 1976, Pievani, Rv. 132911; Sez. 5, n. 333 del 14/10/1982, dep. 1983,
Simonato, Rv. 156919).
La punibilità anche a titolo di colpa è stata ritenuta desumibile dalla struttura
della norma incriminatrice la quale, nel punire l'imprenditore che non tenga o
tenga irregolarmente le prescritte scritture sociali e contabili, non prevede come
necessaria ai fini della sussistenza dell'illecito la deliberata volontà di violare le
disposizioni vigenti in materia e/o di arrecare pregiudizio ai creditori (Sez. 5, n.
27515 del 04/02/2004, Tinaglia, Rv. 228701) .
Alla punibilità del reato anche a titolo di colpa, non è stato ritenuto di ostacolo
il tenore dell'art. 42 cod. pen., che esige la previsione espressa della punibilità di
un delitto a titolo di colpa, in quanto la nozione di "previsione espressa" non
equivale a quella di "previsione esplicita" e, nel caso della bancarotta semplice
documentale, la previsione implicita è desumibile dalla definizione come dolosa
della bancarotta fraudolenta documentale (Sez. 5, n. 38598 del 09/07/2009,
Romano, Rv. 244823 - 01; Sez. 5, n. 53210 del 19/10/2018, Esposito, Rv. 275133
- 02).
Invero, a norma degli artt. 2214 e ss. cod. civ., l'imprenditore che esercita
un'attività commerciale è obbligato, personalmente, alla regolare tenuta dei libri
e delle scritture contabili nella propria azienda. Egli può avvalersi dell'opera di un
tecnico, sia esso un proprio dipendente o un libero professionista, ma resta sempre
responsabile per l'attività da essi svolta nell'ambito dell'impresa. In caso di
fallimento, quindi, risponde penalmente dell'attività e delle omissioni delle persone
da lui incaricate che non hanno tenuto, in assoluto, o non hanno tenuto
regolarmente i libri e le scritture contabili prescritte dalla legge.
Tale principio opera non solo nel caso di delitti punibili soltanto a titolo di dolo
(bancarotta fraudolenta documentale), bensì anche nel caso di inquadrabilità della
condotta in reati punibili per dolo o colpa (bancarotta semplice). Anche in tale
ipotesi, l'imprenditore non va esente da responsabilità per aver affidato a un
collaboratore le operazioni contabili, dovendosi presumere che i dati siano stati
trascritti secondo le indicazioni e i documenti forniti dall'imprenditore medesimo.
Trattasi, peraltro, di una presunzione iuris tantum, che può essere vinta da
rigorosa prova contraria (Sez. 5, n. 36870 del 30/11/2020, Marelli, Rv. 280133 -
01; Sez. 5, n. 2812 del 17/10/2013 - dep. 2014, Manfrellotti, Rv. 258947; Sez. 5,
n. 11931 del 27/01/2005, De Franceschi, Rv. 231707; Sez. 5, n. 709 del
01/10/1998 - dep. 1999, Mollo, Rv. 212147; Sez. 5, n. 2055 del 15/12/1993 -
dep. 1994, Decenvirale, Rv. 197268).
D'altra parte, questa Corte ha osservato che in tema di bancarotta semplice,
la colpa dell'imprenditore è ravvisabile anche quando egli abbia affidato a soggetti
estranei all'amministrazione dell'azienda la tenuta delle scritture e dei libri
contabili, perché su di lui grava un duplice onere, e cioè tanto quello di un'oculata
scelta del professionista incaricato con connessa eventuale culpa in eligendo, tanto
quello di controllarne l'operato (Sez. 5, n. 24297 del 11/03/2015, Cutrera, Rv.
265138 - 01; Sez. 5, n. 32586 del 10/07/2007, Centola, Rv. 237105; Sez. 5, n.
12765 del 16/05/1989, Brioglio, Rv. 182124 - 01).
2.3. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha richiamato e fatto corretta
applicazione di tali principi, ravvisando la colpa dell'imputato nell'essersi
disinteressato non solo di aggiornare la contabilità, ma altresì di vigilare al
riguardo, non potendo il semplice affidamento ad un professionista della tenuta
della contabilità, liberarlo dagli obblighi su di lui gravanti. D'altra parte, il ricorrente
non ha in alcun modo dimostrato di aver fornito al professionista incaricato tutte
le indicazioni e la documentazione necessaria per la corretta tenuta delle scritture
contabili.
3. Il secondo motivo è infondato.
3.1. La difesa ha censurato il mancato riconoscimento della causa di non
punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen. sotto due profili. Innanzitutto, sostiene
che erroneamente i giudici del merito avrebbero individuato nel significativo
disavanzo il sintomo della lesività del fatto, non considerando che l'art. 217 legge
fall. è finalizzato a garantire la funzione di accertamento che devono svolgere le
scritture contabili. Inoltre, deduce che la sentenza impugnata avrebbe omesso di
considerare la condotta successiva tenuta dall'imputato, il quale si era rivolto ad
altro professionista per ricostruire l'attività societaria, così consentendo al curatore
di averne conoscenza.
3.2. L'art. 131-bis, comma 1, cod. pen. stabilisce che nei reati per i quali è
prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la
pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa
quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo,
valutate ai sensi dell'art. 133, comma 1, l'offesa è di particolare tenuità e il
comportamento risulta non abituale. Tale disposizione dunque individua nella
particolare tenuità dell'offesa, desunta dalle modalità della condotta e dall'esiguità
del danno o del pericolo, e nella non abitualità del comportamento, i parametri
fondamentali ai quali il giudizio discrezionale dell'autorità giudiziaria deve fare
riferimento al fine di ritenere applicabile o meno al caso concreto la causa di non
punibilità in esame.
L'oggetto della valutazione del giudice è dunque costituito dal fatto storico
nella sua interezza, e perciò non solo dall'entità del danno o del pericolo, ma anche
dalla condotta e dal suo disvalore, dalla non abitualità del comportamento, nonché
dal grado della colpevolezza, da valutarsi ai sensi dell'art. 133, comma 1, cod.
pen. In sostanza, si richiede una considerazione di tutte le peculiarità della
fattispecie Concreta, e non solo di quelle che attengono all'entità dell'aggressione
del bene giuridico.
Tale complessa valutazione - come affermato dalle Sezioni unite di questa
Corte - si attaglia alle finalità dell'istituto, connesse ai principi di proporzione ed
extrema ratio della risposta punitiva, con effetti anche in tema di deflazione. Lo
scopo primario della previsione normativa di cui all'art. 131-bis cod. pen. è, invero,
quello «di espungere dal circuito penale fatti marginali, che non mostrano bisogno
di pena e, dunque, neppure la necessità di impegnare i complessi meccanismi del
processo» (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590 - 01; Sez. U, n.
18891 del 27/01/2022, Ubaldi, Rv. 283064 - 01). Per tale ragione, ai fini della
valutazione della esiguità del disvalore, il fatto reato viene in rilievo nella sua
integralità e complessità, per poterne apprezzare complessivamente la gravità,
l'entità del contrasto rispetto alla legge e conseguentemente il bisogno di pena.
L'entità del danno costituisce invece l'oggetto specifico della valutazione che
il giudice è chiamato a compiere ai fini del riconoscimento dell'attenuante di cui
all'art. 219, comma 3, legge fall., e che è finalizzata a verificare la speciale tenuità
del pregiudizio arrecato dai fatti di bancarotta.
Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, la particolare tenuità del
fatto deve essere valutata in relazione al danno causato alla massa creditoria in
seguito all'incidenza che le condotte integranti il reato hanno avuto sulla possibilità
di esercitare le azioni revocatorie e le altre azioni poste a tutela degli interessi
creditori (Sez. 5, n. 19304 del 18/01/2013, Tumminelli, Rv. 25543901). In ogni
caso occorre aver riguardo non già all'entità del passivo ed alla differenza fra attivo
e passivo, bensì alla effettiva diminuzione patrimoniale cagionata ai creditori dai
fatti di bancarotta dei quali l'imputato deve rispondere (Sez. 5, n. 25034 del
16/03/2023, Rv. 284943 - 01; Sez. 1, n. 9853 del 27/09/1993, B., Rv.
19533401. V. altresì, Sez. 5, n. 52057 del 26/11/2019, Giannone, Rv. 277658 -
01).
Con specifico riguardo alla bancarotta semplice documentale, questa Corte ha
precisato che detto danno deve valutarsi sia in relazione all'impossibilità di
ricostruire totalmente o parzialmente la situazione contabile dell'impresa fallita o
di esercitare le azioni revocatorie o altre azioni a tutela dei creditori, sia in
relazione alla diminuzione che l'omessa tenuta dei libri contabili abbia determinato
nella quota di attivo oggetto di riparto tra i creditori (Sez. 5, n. 11725 del
10/12/2019, dep. 2020, Rv. 279098 - 01; conf., Sez. 5, n. 5707 del 1986, Rv.
173156-01. Si veda, altresì, Sez. 5, n. 44443 del 04/07/2012, Rv. 253778 - 01).
Dunque, per quanto articolato, il giudizio finalizzato al riconoscimento
dell'attenuante in parola, è circoscritto alla valutazione del danno e della sua
entità, laddove invece nel caso dell'art. 131-bis cod. pen., il danno costituisce solo
uno degli indici da apprezzarsi - evidentemente secondo le coordinate
ermeneutiche sopra richiamate -, il quale si affianca alle ulteriori circostanze
afferenti alla condotta e al grado di colpevolezza alla cui ponderazione, operata
secondo i criteri di cui all'art. 133, comma 1, cod. pen., è subordinato il
riconoscimento della causa di esclusione della punibilità.
3.3. Nella specie, il ricorrente nel focalizzare le proprie censure sulla
valutazione dell'entità del passivo del fallimento, non si è avveduto che la
valutazione operata dalla sentenza impugna ta ha avuto in realtà un oggetto ben
più ampio, facendo riferimento agli indici richiamati dall'art. 131-bis cod. pen.
La Corte d'appello, infatti, ha infatti valorizzato il complessivo comportamento
dell'imputato, evidenziando la sussistenza della colpa, per essersi egli
disinteressato, quale liquidatore della società, dell'aggiornamento delle scritture
contabili e comunque di vigilare sulla loro tenuta, ed escludendo che la lesione al
bene giuridico tutelato potesse considerarsi minima, attesa l'entità del passivo
fallimentare, a fronte di un attivo insussistente. Inoltre, a differenza di quanto
sostenuto dal ricorrente, ha tenuto conto anche della condotta successiva al reato,
ritenendo, tuttavia, con motivazione non manifestamente illogica, che essa non
fosse in grado di eliminare il disvalore del fatto, non consentendo di eliminare
l'incompletezza della contabilità.
4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese del giudizio.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso nella camera di consiglio del 3 ottobre 2024.