RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 16/9/2016 la Corte di appello di Trento ha confermato la sentenza del 19/2/2015 del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Rovereto, appellata dall'imputato H.W.R., che lo aveva ritenuto responsabile del reato di bancarotta preferenziale di cui alla L. Fall., art. 216, comma 3, così riqualificata l'originaria imputazione relativa al reato di bancarotta fraudolenta distrattiva di cui alla L. Fall., art. 223, e art. 216, comma 1, n. 1, e, concesse le attenuanti generiche e la riduzione per il rito, lo aveva perciò condannato alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge e al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile (Fallimento (OMISSIS) s.r.l.), liquidati in Euro 70.000,00, oltre interessi e spese legali.
La Corte di appello ha condannato l'imputato H. alla rifusione delle ulteriori spese del grado e gli ha concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena, subordinata al risarcimento dei danni in favore della parte civile entro sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza.
H.W.R. era stato imputato, in qualità prima di consigliere delegato e poi di amministratore unico di (OMISSIS) s.r.l., dichiarata fallita in data 8/3/2013, per aver distratto, tra il 2010 e il 2012, dalle casse sociali la complessiva somma di Euro 124.869 destinata al pagamento degli emolumenti di amministratore e relativi contributi previdenziali, in difetto di delibera dell'organo amministrativo che prevedesse un compenso e la sua entità, nonostante la società fosse in perdita dal 2010.
2. Ha proposto ricorso in data 30/12/2016 il difensore di fiducia dell'imputato, avv. Massimilano Versini, svolgendo sei motivi.
2.1. Con il primo motivo proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), e lett. e), il ricorrente denuncia violazione della L. Fall., art. 216, comma 3, e dell'art. 192 c.p.p., violazione del principio dell'onere probatorio, mancanza dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato, illogicità della motivazione quanto all'elemento oggettivo del reato.
La bancarotta preferenziale si realizza solo se viene alterato l'ordine, stabilito dalla legge, di pagamento dei creditori; nella fattispecie mancava appunto la prova della violazione della par condicio creditorum.
Il Tribunale aveva ravvisato tale violazione sulla base del fatto che sino al 2012 vi era un dipendente della società; H. aveva appellato rappresentando che il dipendente era stato integralmente pagato e nessun dipendente si era insinuato nel fallimento.
La Corte territoriale aveva disatteso il motivo, attribuendo rilievo alla presenza di creditori privilegiati come Equitalia e reputando irrilevante che l'altra dipendente fosse la moglie dell'imputato, senza considerare che sarebbe spettato all'accusa sia di dimostrare l'esistenza di crediti di Equitalia, sia il fatto che la dipendente non fosse stata pagata.
La Corte di appello aveva poi dato rilievo alla mancata contestazione delle affermazioni della parte civile circa l'insinuazione nel fallimento di creditori privilegiati e chirografari, e ciò erroneamente, sia perchè nel processo penale non vale il principio della non contestazione, sia perchè lo stato passivo del fallimento non era stato acquisito in seguito all'opposizione della difesa che aveva rilevato di aver accettato il rito abbreviato proprio sulla base del materiale probatorio raccolto dal Pubblico Ministero.
Inoltre l'imputato era creditore privilegiato, sicchè occorreva la prova del concorso con altri crediti di grado prevalente o equivalente perchè si potesse configurare la bancarotta preferenziale.
La Corte di appello aveva negato all' H. la qualità di lavoratore dipendente sulla base della deposizione del teste M. ignorando gli elementi probatori da cui emergeva che la UTS era assoggettata al controllo pieno da parte di Eurotrama. Sino al maggio 2011 H. aveva deleghe solo per l'ordinaria amministrazione; la contabilità era tenuta da Eurotrama; M. aveva qualificato H. come dipendente e come l'unico soggetto sempre presente in ufficio; era Ma.Ti. che aveva fissato il compenso per H..
Il rapporto, caratterizzato dalla reiterazione di rapporti di collaborazione continuata e coordinativa in assenza di un progetto, doveva essere configurato giuridicamente in termini di lavoro subordinato, il che escludeva l'esistenza di creditori di grado prevalente.
La decisione non era sorretta da adeguata motivazione anche in punto dolo, attribuito a titolo eventuale, senza considerare che H. si considerava un dipendente e che aveva semplicemente prelevato quel compenso, da altri fissato, che remunerava il suo lavoro sin dal 2000, come in precedenza era stato liquidato da altri amministratori.
2.2. Con il secondo motivo proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e lett. e), il ricorrente denuncia violazione della L. Fall., art. 216, comma 3, e laddove la sentenza impugnata aveva affermato che il compenso percepito eccedeva il minimo necessario a garantire le esigenze di vita.
Il Tribunale aveva ritenuto il compenso liquidato congruo rispetto all'attività esercitata ma eccedente il livello minimo necessario a garantire le esigenze di vita (1.200 - 1.300 Euro al mese).
Alle obiezioni mosse dall'appellante, che aveva fatto presente che la somma mensile di Euro 2.700,00 era lorda e non netta, non prevedeva TFR e tredicesima, e copriva anche il rimborso delle spese di viaggio e trasferta sostenute dall'imputato, la Corte aveva risposto escludendo che il reddito in questione fosse di pura sussistenza e dissentendo anche dalla valutazione espressa dal Giudice di primo grado, giudicata eccessiva.
La voce di spese per trasferte si aggirava sugli Euro 800-1000 mensili, come risultava dalle buste paga, sicchè, al netto di imposte e contributi, l'importo effettivo era di 600-700 Euro mensili.
2.3. Con il terzo motivo proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), il ricorrente denuncia violazione di legge in relazione alla L. Fall., art. 216, comma 3, e art. 67, norme parimenti destinate a tutelare lo stesso bene giuridico, ossia la par condicio creditorum.
Tale norma nel testo attuale non prevede più la revocabilità dei corrispettivi pagati a titolo di remunerazione delle prestazioni effettuate da qualsiasi collaboratore, anche non subordinato, non fa alcun riferimento ai pagamenti volti a salvaguardare le esigenze di vita e non poteva non rifluire sulla valutazione circa la mancata violazione della par condicio.
2.4. Con il quarto motivo proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), il ricorrente denuncia violazione di legge, in relazione agli artt. 132 e 133 c.p., e difetto di motivazione.
I Giudici del merito erano partiti da una pena base di anni 3 di reclusione in riferimento all'elevato importo delle somme pagate, senza tener conto del brevissimo periodo di sua amministrazione (maggio 2011 - maggio 2012), visto che nel periodo precedente H. aveva solo poteri di ordinaria amministrazione e la società era controllata da Eurotrama e amministrata dalla sig.ra T..
Il compenso risaliva al 2000 e comprendeva un terzo di rimborsi spese; il compenso era stato ritenuto congruo dal Tribunale; dopo la prima rilevante perdita era stata cessata l'attività; H. aveva addirittura licenziato sua moglie; dal maggio 2012 non era stata più corrisposta alcuna retribuzione; nel marzo del 2013 era stato lo stesso H. a chiedere il fallimento.
Vi erano inoltre i presupposti per il riconoscimento dell'attenuante di cui alla L. Fall., art. 219, u.c., visto che alla società era stato cagionato un danno di speciale tenuità.
Anche la subordinazione della sospensione condizionale all'integrale pagamento del risarcimento era illegittima, tenuto conto della prognosi favorevole che era lecito formulare sul conto dell'imputato, gravato da un precedente del 1996 per fatto di non particolare allarme sociale, per cui era stata chiesta la riabilitazione.
2.5. Con il quinto motivo proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), il ricorrente denuncia il contrasto con i principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 27 Cost., in tema di principio di eguaglianza e funzione rieducatrice della pena, l'entità determinata in misura fissa di dieci anni delle pene accessorie in forza di una interpretazione letterale dell'ultimo comma della L. Fall., art. 216.
2.6. Con il sesto motivo proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), il ricorrente denuncia violazione di legge, in relazione all'art. 538 c.p.p., e difetto di motivazione in ordine alla congruità del risarcimento del danno liquidato, poichè a tutto concedere l'operazione matematica eseguita dal Tribunale ed avallata dalla Corte di appello doveva essere circoscritta ai soli mesi, maggio 2011 - maggio 2012, in cui H. era stato amministratore unico e aveva potuto in autonomia auto - liquidarsi il compenso.
Inoltre occorreva tener conto dei rimborsi delle spese di trasferta e delle imposte sicchè il pregiudizio si sarebbe circoscritto a soli Euro 6.000-7.200.
3. Con memoria ex art. 611 c.p.p., depositata il 28/12/2017 il ricorrente ha ricapitolato i fatti nella loro dimensione temporale, ribadendo che l'imputato era stato amministratore unico di (OMISSIS) s.r.l. solo per un anno dal maggio 2011 al maggio 2012, percependo lo stipendio solo sino a che aveva effettivamente lavorato prima di verificare l'impossibilità di proseguire l'attività e proporre istanza di fallimento a marzo 2013 in proprio.
3.1. Il ricorrente ha quindi evidenziato i molteplici elementi che dimostravano la sua buona fede; ha sottolineato, ai fini della ritenuta eccessività della pena e del riconoscimento dell'attenuante di cui all'art.219 legge fall. (quarto motivo di ricorso), che un terzo di quanto percepito da H. in busta paga (2.600-2.800 Euro) era costituito da rimborsi spese per trasferta e che il resto era comunque lordo.
3.2. Il ricorrente ha fatto presente di aver proposto istanza di riabilitazione per il reato di cui al precedente penale del 1996, reputando pertanto illegittima la subordinazione della sospensione condizionale al risarcimento della parte civile.
3.3. Nella prospettiva del sesto motivo di ricorso il ricorrente ha osservato che il danno avrebbe dovuto essere tuttalpiù circoscritto al periodo in cui l'imputato poteva in autonomia determinare il proprio compenso (ossia un anno), avrebbe dovuto poi essere defalcato dei rimborsi spese per trasferta e ulteriormente diminuito del minimo vitale indicato dai Giudici in Euro 1.000 mensili, con il risultato che la somma percepita in eccesso sarebbe stata tuttalpiù di Euro 9.600,00.
3.4. Il ricorrente ha ripetuto che mancava la prova della lesione della par condicio (primo motivo) e che H. doveva essere considerato lavoratore subordinato o, tuttalpiù, collaboratore continuato e coordinato, e comunque quindi creditore privilegiato.
Non sussisteva il dolo, poichè H. percepiva il trattamento sin dal 2001.
3.5. Il ricorrente ha richiamato infine il terzo motivo e il disposto della L. Fall., art. 67, osservando che, diversamente da quanto affermato dalla Corte territoriale, la norma in questione non conteneva alcun riferimento ai pagamenti volti a salvaguardare le mere esigenze di vita.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione della L. Fall., art. 216, comma 3, e dell'art. 192 c.p.p., violazione del principio dell'onere probatorio, mancanza dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato, nonchè illogicità della motivazione.
1.1. Il ricorrente, dopo aver puntualizzato che la bancarotta preferenziale si realizza solo se viene alterato l'ordine, stabilito dalla legge, di pagamento dei creditori, sostiene che nella fattispecie mancava la prova della violazione della par condicio creditorum.
Il Tribunale aveva ravvisato tale violazione sulla base del fatto che sino al 2012 vi era un dipendente della società (che era la moglie dell'imputato); H. aveva appellato tale decisione, rappresentando che il dipendente era stato integralmente pagato e che nessun dipendente si era insinuato nel fallimento. La Corte territoriale aveva disatteso il motivo, attribuendo rilievo alla presenza di creditori privilegiati come Equitalia e reputando irrilevante che l'altra dipendente fosse la moglie dell'imputato, senza considerare che sarebbe spettato all'accusa di dimostrare sia l'esistenza di crediti di Equitalia, sia il fatto che la dipendente non fosse stata pagata.
1.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini della configurabilità del reato di bancarotta preferenziale è necessaria, quanto all'elemento oggettivo, la violazione della par condicio creditorum nella procedura fallimentare (espressione del principio inteso ad evitare disparità di trattamento non giustificate dalle cause legittime di prelazione fatte salve dall'art. 2741 c.c.) e, quanto all'elemento soggettivo, il dolo specifico costituito dalla volontà di recare un vantaggio al creditore soddisfatto, con l'accettazione della eventualità di un danno per gli altri (elemento soggettivo).
Di conseguenza, la condotta illecita e la conseguente offesa non consistono nell'indebito depauperamento del patrimonio del debitore ma nell'alterazione dell'ordine, stabilito dalla legge, di soddisfazione dei creditori; l'evento giuridico della bancarotta preferenziale è costituito dalla minore percentuale riservata ai creditori a causa degli avvenuti pagamenti oppure dal fatto che il creditore favorito dal titolo di prelazione simulato lo abbia fatto valere in sede di riparto dell'attivo fallimentare.
Pertanto, nel caso in cui il fallito provveda al pagamento di crediti privilegiati, la configurabilità del reato di bancarotta preferenziale presuppone il concorso di altri crediti con privilegio di grado prevalente o eguale rimasti insoddisfatti per effetto dei pagamenti de quibus e non già di qualsiasi altro credito (Sez. 5, n. 15712 del 12/03/2014, Consol e altri, Rv. 260221; Sez. 5, n. 7230 del 28/05/1991, Martelli, Rv. 187698).
1.3. La giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte afferma che risponde di bancarotta preferenziale e non di bancarotta fraudolenta per distrazione l'amministratore che ottenga in pagamento di suoi crediti verso la società in dissesto, relativi a compensi e rimborsi spese, una somma congrua rispetto al lavoro prestato (Sez. 5, n. 48017 del 10/07/2015, Fenili, Rv. 266311;Sez. 5, n. 21570 del 16/04/2010, Di Carlo, Rv. 247964; Sez. 5, n. 43869 del 05/10/2007, Mazzoleni, Rv. 237975; Sez. 5, n. 46301 del 17/10/2007, Petilli, Rv. 238291); realizza invece il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione l'amministratore che, in assenza di delibera assembleare che stabilisca la misura dei suoi compensi, prelevi somme in pagamento dei crediti verso la società in dissesto, la cui congruità non sia fondata su dati ed elementi di confronto che ne consentano un'adeguata e oggettiva valutazione, come, ad esempio, gli emolumenti riconosciuti ai precedenti amministratori o a quelli di società del medesimo settore, gli impegni orari osservati, i risultati garantiti (Sez. 5, n. 17792 del 23/02/2017, Rossi, Rv. 269639).
1.4. Nella fattispecie la Corte trentina, come già il primo Giudice, hanno ritenuto che H. abbia incassato dalla società poi fallita somme congrue rispetto alla propria attività di amministratore, seppur maggiori di quelle corrispondenti al minimo vitale, ledendo la par condicio creditorum in relazione all'esistenza di creditori muniti di privilegio poziore rispetto al suo, individuati nell'unica dipendente e nel fisco.
1.5. La motivazione addotta dalla Corte trentina incorre nei vizi logici denunciati dal ricorrente.
Per quanto riguarda l'unica dipendente della società fallita, creditrice sicuramente munita di privilegio poziore ex art. 2751 bis c.c., n. 1, rispetto all'amministratore, secondo la valutazione dei Giudici del merito (e quindi in disparte, per il momento, il tema della natura subordinata o parasubordinata del rapporto di lavoro su cui insiste il ricorrente), la Corte assume in modo del tutto apodittico che ci fossero altri creditori privilegiati, deducendo, apparentemente, tale circostanza dal mero fatto che per un certo periodo ci fosse stata una lavoratrice dipendente e proclamando la totale irrilevanza del rapporto di coniugio intrattenuto con costei da parte dell'imputato.
Così ragionando, la Corte ha omesso di confrontarsi con il dato invece essenziale: e cioè l'esistenza di crediti insoddisfatti della lavoratrice, dato questo recisamente contestato dal ricorrente, al pari della loro insinuazione nel passivo.
Vi è da aggiungere, che almeno sul piano soggettivo, il rapporto di coniugio fra l'amministratore e la dipendente non era poi così irrilevante, come ritenuto dalla Corte territoriale, almeno nella prospettiva della ragionevole consapevolezza in capo all' H. dell'esistenza di crediti insoddisfatti vantati dalla moglie.
1.6. I Giudici trentini, pur escludendo la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato fra H. e (OMISSIS) non si sono espressi in modo inequivocabile circa la natura del rapporto e conseguentemente sulla qualificazione del credito per compensi da lui vantato, con particolare riguardo a carattere e grado del privilegio spettante.
Infatti, a pagina 9 la sentenza impugnata esclude che l' H. fosse lavoratore subordinato e anche parasubordinato, mentre a pagina 10, a due riprese, la Corte trentina esclude la lesione della par condicio per la presenza di "altri" creditori privilegiati, sembrando così voler riconoscere anche al credito dell'imputato natura privilegiata e non chirografaria.
La questione era tutt'altro che irrilevante poichè l'art. 2751 bis c.c., n. 2, riconosce privilegio generale sui mobili ai crediti per retribuzioni dei professionisti e di ogni altro prestatore d'opera intellettuale per gli ultimi due anni di prestazione, sia pur di grado recessivo rispetto a quello dei lavoratori subordinati, sicchè occorreva la prova del concorso con altri crediti di grado prevalente o equivalente perchè si potesse configurare la bancarotta preferenziale, esclusa in radice per le ragioni sopra ricordate dal mero concorso di creditori chirografari.
1.7. Tuttavia la giurisprudenza della prima Sezione civile di questa Corte esclude il credito costituito dal compenso in favore dell'amministratore per l'attività lavorativa prestata nella società da quelli individuati all'art. 2751 bis c.c., come assistiti da un privilegio generale sui beni propri, affermando che il rapporto che lega l'amministratore, cui è affidata la gestione sociale, alla società è un rapporto di immedesimazione organica, che non può essere qualificato nè di lavoro subordinato, nè di collaborazione continuata e coordinata. Il credito costituito dal compenso in favore dell'amministratore di società, anche se di nomina giudiziaria, non è assistito dal privilegio generale di cui all'art. 2751 bis c.c., n. 2, atteso che egli non fornisce una prestazione d'opera intellettuale, nè il contratto tipico che lo lega alla società è assimilabile al contratto d'opera, di cui all'art. 2222 c.c. e ss., non presentando gli elementi del perseguimento di un risultato, con la conseguente sopportazione del rischio, mentre l'opus (e cioè l'amministrazione) che egli si impegna a fornire non è, a differenza di quello del prestatore d'opera, determinato dai contraenti preventivamente, nè è determinabile aprioristicamente, identificandosi con la stessa attività d'impresa (Sez. 1, 27/02/2014, n. 4769; Sez. 1, 23/07/2004, n. 13805; Sez. 1, 11/04/1983, n. 2542; in senso conforme, con riferimento al liquidatore, Sez. 1 26/2/2002 n. 2769); è stato anche osservato che la funzione di amministratore porta ad escludere il privilegio anche per una ragione di equità: chi ha concorso a provocare la crisi d'impresa non può essere privilegiato rispetto agli altri creditori.
Non giova al ricorrente neppure l'invocazione al rapporto intercorso con la società sino al 2011 e etichettato come "collaborazione coordinata e continuativa", dell'applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, cosiddetta "Legge Biagi", in base al quale tali rapporti instaurati senza l'individuazione di uno specifico progetto sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto.
Detta disposizione, tuttavia, non trova alcuna applicazione nel caso di specie, posto che è lo stesso art. 61, comma 3, ad escludere dall'applicazione del capo I, titolo VII del decreto "i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e i partecipanti a collegi e commissioni, nonchè coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia".
1.8. Il ricorrente lamenta anche che la Corte di appello abbia dato rilievo alla mancata contestazione delle affermazioni della parte civile circa l'insinuazione nel fallimento di creditori privilegiati e chirografari, e ciò erroneamente sia perchè nel processo penale non vale il principio della non contestazione, sia perchè lo stato passivo del fallimento non era stato acquisito in seguito all'opposizione della difesa che aveva rilevato di aver accettato il rito abbreviato proprio sulla base del materiale probatorio raccolto dal Pubblico Ministero.
La Corte si è sottratta al dovere motivazionale, soddisfatto solo in modo meramente apparente, anche quanto all'esistenza di crediti privilegiati del fisco, affermando che nel fallimento si erano insinuati creditori per 150.000,00 Euro, sia privilegiati, sia chirografari, solamente sulla base della mancata contestazione da parte dell'appellante H. di quanto dedotto dalla parte civile nella sua memoria illustrativa, applicando indebitamente nel processo penale il principio civilistico di "non contestazione" ex art.115 cod.proc.civ., strettamente correlato alla struttura dialettica di un processo scritto, imperniato su scansioni tipizzate, fra parti rappresentate da un difensore tecnico, che non ha alcun diritto di cittadinanza nel processo penale ex art. 193 c.p.p., nel quale non hanno ingresso le regole limitative nella valutazione della prova.
La rivendicata "diversità dei ruoli svolti dalla legge penale e da quella civile" non poteva esonerare dalla debita analisi dell'esistenza di altri crediti di rango poziore o equi-ordinato rispetto a quello dell' H., secondo le regole civilistiche dell'ordine dei privilegi (art. 2777 c.c.) poichè queste costituiscono il presupposto dell'offensività della condotta penalmente rilevante della bancarotta preferenziale, che, come sopra ricordato, si risolve nell'alterazione dei pagamenti rispetto alla graduatoria fissata dalla legge civile e solo per questa via nella lesione della par condicio creditorum.
1.9. Lo stato passivo del fallimento non è stato acquisito, ancorchè la parte civile con la propria memoria ex art. 121 c.p.p., depositata il 15/9/2016, avesse offerto, in linea subordinata, la sua produzione ai sensi dell'art. 603 c.p.p., giustificando la precedente inerzia con il fatto che essa non era stata ritenuta necessaria in primo grado a fronte della diversa configurazione del reato in termini di bancarotta distrattiva.
Per vero, dalla lettura del verbale, non risulta l'espressa opposizione dispiegata dalla difesa dell'imputato (menzionata nel ricorso) che comunque ricorda di aver accettato il rito abbreviato proprio sulla base del materiale probatorio raccolto dal Pubblico Ministero.
Resta il fatto, comunque, che la Corte trentina non ha disposto l'acquisizione del documento e non si è basata su di esso, ma solo sulle affermazioni della parte civile ritenute valide e probanti solo in quanto non contestate dall'imputato appellante.
2. L'accoglimento del primo motivo per le ragioni sopra esposte determina l'assorbimento del secondo motivo con il quale il ricorrente denuncia violazione della L. Fall., art. 216, comma 3, laddove la sentenza impugnata aveva affermato che il compenso percepito eccedeva il minimo necessario a garantire le esigenze di vita, non tenendo conto del carattere lordo e non netto del compenso mensile, della mancata previsione di TFR e tredicesima, e dell'inclusione nell'importo del rimborso delle spese di viaggio e trasferta sostenute dall'imputato.
3. Con il terzo motivo proposto il ricorrente denuncia violazione di legge in relazione alla L. Fall., art. 216, comma 3, e art. 67, norme parimenti destinate a tutelare lo stesso bene giuridico, ossia la par condicio creditorum.
Tale norma nel testo attuale non prevede più la revocabilità dei corrispettivi pagati a titolo di remunerazione delle prestazioni effettuate da qualsiasi collaboratore, anche non subordinato, non fa alcun riferimento ai pagamenti volti a salvaguardare le esigenze di vita e non poteva non rifluire sulla valutazione circa la mancata violazione della par condicio.
Il motivo non coglie il segno, perchè l'esclusione della revocabilità L. Fall., ex art. 67, del pagamento, che agisce solo sul piano dei rimedi processualmente consentiti dalla legge civile, non significa affatto che con esso non sia stato violato l'ordine preferenziale dei pagamenti previsto dalla legge.
4. Resta assorbito il quarto motivo con cui il ricorrente denuncia violazione di legge, in relazione agli artt. 132 e 133 c.p., e difetto di motivazione, lamenta il mancato riconoscimento dell'attenuante di cui alla L. Fall., art. 219, u.c., del danno di speciale tenuità e infine contesta la subordinazione della sospensione condizionale all'integrale pagamento del risarcimento.
5. Resta assorbito il quinto motivo proposto in relazione all'entità determinata in misura fissa di dieci anni delle pene accessorie in forza di una interpretazione letterale della L. Fall., art. 216, u.c., in contrasto i principi costituzionali di cui agli artt.3 e 27 Cost., in tema di principio di eguaglianza e funzione rieducatrice della pena.
6. Resta assorbito anche il sesto motivo proposto in ordine alla congruità del risarcimento del danno liquidato.
7. La sentenza impugnata deve quindi essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Bolzano per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Bolzano.
Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2018.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2018