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Concordato: l'esito positivo non comporta l'estinzione dei reati fallimentari

Concordato

Cassazione penale sez. V, 15/03/2018, n.21920

La chiusura del fallimento conseguente all'esito positivo del concordato previsto dagli artt. 124 e seguenti della legge fallimentare non comporta l'estinzione dei reati fallimentari contestati (nella specie la bancarotta documentale fraudolenta) posto che, invece, l'indicata chiusura non rimuove la dichiarazione di insolvenza della società contenuta nella pronuncia del fallimento, che può essere annullata solo impugnando la stessa. (In motivazione, la Corte ha precisato che solo l'annullamento della sentenza dichiarativa di fallimento determinerebbe l'insussistenza dei reati fallimentari per il mancato avveramento della condizione obiettiva di punibilità, costituita dalla predetta pronuncia).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1 - Con sentenza del 22 settembre 2015, la Corte di appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Udine, riduceva la pena inflitta a T.S., confermando la responsabilità del medesimo e di S.A. in ordine ai delitti di bancarotta patrimoniale e documentale loro ascritti, S. quale amministratore di diritto prima ed amministratore di fatto poi della s.r.l. (OMISSIS), dichiarata fallita il 23 giugno 2006, T. quale amministratore di diritto (nel periodo in cui S. ne era stato l'amministratore di fatto) della medesima società (di cui entrambi erano stati anche soci). La Corte, in risposta alle censure mosse dagli imputati negli atti di appello, ribadiva l'orientamento giurisprudenziale, fissato dalle Sezioni unite con la sentenza n. 1901/2008 Niccoli, che ritiene insindacabile da parte del giudice penale la sentenza dichiarativa del fallimento, anche in relazione ai presupposti di fallibilità ed anche se questi, nel frattempo, erano, per legge, mutati. La Corte affermava poi come fosse irrilevante l'omologa del concordato fallimentare, adottato ai sensi dell'art. 118 L. Fall., in riferimento alla sussistenza dei reati fallimentari, rigettando l'eccezione di estinzione dei medesimi formulata dalle difese degli imputati. Nel merito, la Corte riteneva la responsabilità dei prevenuti in base alle seguenti considerazioni: - S., dopo la cessazione della carica, aveva mantenuto il potere di firma presso gli istituti bancari, aveva condotto e concluso un importante affare immobiliare (come avevano riferito il curatore e l'acquirente dell'immobile) ed aveva incassato dei proventi spettanti alla società, così dimostrando di esserne stato, per l'epoca successiva alle dimissioni, l'amministratore di fatto; - T., amministratore di diritto nell'ultimo periodo di vita della società, non era stato una mera "testa di legno" visto che aveva personalmente posto in essere vari atti di amministrazione, dall'emissione all'incasso di alcuni assegni, alla diretta partecipazione all'affare immobiliare di cui si è detto; dai contatti con il curatore poi non era affatto emerso che egli non fosse a conoscenza dei fatti più salienti della vita della società fallita. La Corte rigettava la richiesta riqualificazione della bancarotta documentale fraudolenta in semplice, in base alla considerazione che l'assenza di valida documentazione contabile era stata lo strumento deputato all'occultamento delle condotte distrattive. 2 - Propongono ricorso entrambi gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori. 2 - 1 - Per S.A., l'Avv. Flavio Lazzaro articola quattro motivi di ricorso. 2 - 1 - 1 - Con il primo deduce la violazione di legge perchè la Corte territoriale non aveva preso atto che la sentenza dichiarativa del fallimento era nulla perchè pronunciata in assenza dei presupposti di legge, sentenza che l'imputato non aveva potuto impugnare nella sede propria perchè egli non ne era l'amministratore di diritto al momento della declaratoria del fallimento e non era stato dichiarato fallito in proprio. 2 - 1 - 2 - Con il secondo motivo la violazione di legge, in quanto si era ritenuta vincolante la statuizione del giudice civile nonostante la stessa non fosse, ai sensi degli artt. 2 e 3, tale (non essendovi, infatti, controversia sullo stato di famiglia o di cittadinanza). Il giudice civile poi aveva erroneamente applicato la vecchia normativa sui presupposti di fallibilità mentre era già in vigore la nuova. Nè si era provato, al fine di ritenere la sussistenza del delitto di bancarotta documentale, che l'imputato fosse onerato della tenuta delle scritture contabili. 2 - 1 - 3 - Con il terzo motivo deduce la violazione di legge perchè la Corte non aveva dichiarato l'estinzione dei delitti fallimentari ad esito dell'omologa del concordato che è causa di cessazione del fallimento. Considerando la sentenza dichiarativa del fallimento una condizione obbiettiva di punibilità, la sua eliminazione, conseguente all'omologa del concordato, fa venir meno i delitti fallimentari. 2 - 1 - 4 - Con il quarto motivo lamenta il difetto di motivazione in ordine alla ritenuta qualità di amministratore di fatto del prevenuto, posto che i testi assunti l'avevano, invece, esclusa. 2 - 2 - Per T.S., l'Avv. Roberto Pascolat articola quattro motivi. 2 - 2 - 1 - Con il primo deduce la violazione di legge ed il difetto di motivazione laddove si era ritenuta vincolante la sentenza dichiarativa del fallimento nonostante fossero mutati i presupposti di legge della fallibilità e non si era tenuto conto dell'effetto della sopravvenuta omologa del concordato ai fini della permanenza dei delitti contestati. 2 - 2 - 2 - Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge ed il difetto di motivazione posto che agli atti non vi era la prova della sottrazione delle scritture ma solo quella della loro incompletezza e si doveva pertanto qualificare la condotta di bancarotta documentale come semplice e non come fraudolenta. 2 - 2 - 3 - Con il terzo motivo deduce il difetto di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio. Non si era adeguatamente motivato il mancato giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, considerando sia le nuove soglie stabilite per il fallimento sia il minor ruolo rivestito dal T., sia il minimo danno causato ai creditori. Anzi si era erroneamente riconosciuta l'aggravante del danno patrimoniale rilevante anche nei confronti del T. non tenendo così conto del suo minor ruolo nei fatti di distrazione. 2 - 2 - 4 - Con il quarto motivo deduce la mancata concessione dell'indulto. CONSIDERATO IN DIRITTO I ricorsi promossi nell'interesse di S.A. e T.S. sono entrambi manifestamente infondati. 1 - I primi due motivi del ricorso S. e la prima censura del ricorso T. si pongono in contrasto con la costante giurisprudenza di questa Corte che, a seguito della pronuncia delle Sezioni unite, n. 19601 del 28/02/2008, Niccoli, Rv. 239398, ha chiarito come il giudice penale, investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 216 e segg., non possa sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell'impresa e ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell'imprenditore, sicchè le modifiche apportate al R.D. n. 267 del 1942, art. 1 dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, non possono esercitare influenza alcuna, ai sensi dell'art. 2 c.p., sui procedimenti penali in corso (così, da ultimo: Sez. 5, n. 10033 del 19/01/2017, Ioghà, Rv. 269454). Non potevano pertanto, i giudici del merito penale, riconsiderare, come richiesto dalle difese, i presupposti che aveva giustificato la sentenza dichiarativa del fallimento se non impugnando la stessa in sede civile. Nè tale principio di diritto può trovare eccezione nel caso in cui l'imputato di un reato fallimentare non fosse legittimato ad opporsi alla sentenza dichiarativa del fallimento perchè ciò comporterebbe una impropria forma di impugnazione (oltretutto senza alcun termine di decadenza) di una sentenza civile non in sede propria ma nell'ambito di un processo penale, destinato, invece, solo a valutarne le eventuali conseguenze, sul piano esclusivamente penale, e non a soppesarne la correttezza giuridica. 2 - La censura relativa alla mancata applicazione della nuova normativa, sollevata nel ricorso S., è parimenti manifestamente infondata dato che non tiene conto della circostanza che la sentenza dichiarativa del fallimento della srl (OMISSIS) era stata pronunciata il 23 giugno 2006, e quindi in data anteriore all'entrata in vigore, avvenuta solo il 17 luglio 2006 (sei mesi dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, del 16 gennaio 2006, come disposto dall'art. 153 del decreto), della riforma dell'art. 1 L. Fall., ad opera del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, dei requisiti delle imprese soggette alla disciplina fallimentare (poi nuovamente mutati, dal 1 gennaio 2008, a seguito del D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169). 3 - Parimenti manifestamente infondata è la pretesa (contenuta nel terzo motivo del ricorso S. e nel primo del gravame T.) che dalla chiusura del fallimento conseguente all'esito positivo del concordato previsto dall'art. 124 e segg. L. Fall., derivi l'estinzione dei reati fallimentari, posto che, invece, l'indicata chiusura non rimuove affatto la dichiarazione di insolvenza della società, contenuta nella pronuncia del fallimento, che può essere annullata solo impugnando la stessa (così Sez. 5, n. 7468 del 27/01/2011, Cozzolino, Rv. 249609). Annullamento da cui, peraltro, deriverebbe l'insussistenza dei reati fallimentari, per il mancato avveramento della condizione obiettiva di punibilità, costituita, appunto, dalla sentenza dichiarativa di fallimento, e non la loro mera estinzione. 4 - Il secondo ed il quarto motivo del ricorso S., nella parte in cui contestano il ruolo di amministratore di fatto del predetto e l'onere di tenuta delle scritture contabili, sono inammissibili perchè versati interamente in fatto e, invece, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/42/7/1997, n. 6402, Dessimone, Rv. 207944; tra le più recenti: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 - 06/02/2004, Elia, Rv. 229369). I motivi proposti tendono, appunto, ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento. La Corte, infatti, aveva dedotto, dalle dichiarazioni dei testi dettagliatamente indicati, il ruolo di amministratore di fatto del S. nel periodo successivo alle sue formali dimissioni dalla carica, elencando le condotte dal medesimo tenute che ne provavano la permanente conduzione della società e come egli dovesse essere pienamente consapevole delle carenze nella tenuta della contabilità perchè funzionali alla realizzazione delle consumate distrazioni (ragione per la quale non poteva prospettarsi una diversa e meno grave qualificazione del delitto di bancarotta fraudolenta documentale). Circostanze queste ultime, sulla irregolare tenuta della contabilità e sulle ragioni della stessa, che conducono a ritenere manifestamente infondato anche il secondo motivo del ricorso T., peraltro anch'esso interamente versato in fatto. 5 - Il terzo motivo del ricorso T., sul trattamento sanzionatorio è inammissibile perchè la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, ed al giudizio di comparazione delle circostanze eterogenee, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 - 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142), ciò che - nel caso di specie - non ricorre. Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 c.p. le espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596) La piena collaborazione prestata dal T. a S. ne aveva giustificato il complessivo trattamento sanzionatorio che, peraltro, la Corte d'appello aveva ridotto, riconsiderando l'aumento per la recidiva e valutando comunque il suo minor ruolo nella vicenda. 6 - L'ultimo motivo del ricorso T. è inammissibile perchè, nel caso di omessa pronuncia da parte del giudice d'appello in ordine all'applicabilità o meno dell'indulto, l'imputato non ha interesse a ricorrere per cassazione, potendo ottenere l'applicazione del beneficio in sede esecutiva ed essendo tale possibilità preclusa solo da una decisione di rigetto del giudice della cognizione (da ultimo Sez. 2, n. 21977 del 28/04/2017, Brancher, Rv. 269800). A ciò si deve aggiungere che, comunque, essendosi, il delitto di bancarotta al medesimo ascritto, perfezionato con la sentenza dichiarativa del fallimento pronunciata il 23 giugno 2006, il richiesto beneficio non è applicabile posto che la L. 31 luglio 2006, n. 241, art. 1 lo consente per i soli reati commessi fino al (OMISSIS). 7 - All'inammissibilità dei ricorsi segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e, versando i medesimi in colpa, della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 15 marzo 2018. Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2018
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