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Appello

Sulla ammissibilità del concordato in appello

Sulla ammissibilità del concordato in appello

Cassazione penale sez. I, 06/10/2023, (ud. 06/10/2023, dep. 23/10/2023), n.43103

In tema di concordato in appello, è ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis c.p.p. che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. e, altresì, a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa da quella prevista dalla legge

Norme di riferimento

Art. 216 legge fallimentare -Bancarotta Fraudolenta

È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l'imprenditore, che:

1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;

2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

La stessa pena si applica all'imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.

È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.

Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO Con sentenza in data 3/5/2023 la Corte di appello di Napoli, procedendo ai sensi dell'art. 599 bis c.p.p., ha rideterminate in melius la pena applicata a C.C. per i reati ivi giudicati. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, lamentando violazione di legge nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione quanto al vaglio dei presupposti dell'art. 129 c.p.p. Inoltre, si censura la negazione delle circostanze attenuanti generiche in quanto basata su un giudizio apodittico. Il ricorso è inammissibile per essere stato proposto avverso una sentenza pronunciata a norma dell'art. 599 bis c.p.p. dopo il 3/8/2017, data di entrata in vigore della riforma attuata con L. n. 103 del 2017. Deve qui rilevarsi che i dedotti motivi di ricorso sono ormai preclusi dall'istituto del concordato sulla pena nel processo di appello, reintrodotto con la Legge citata. Invero, in tema di concordato in appello, è ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis c.p.p. che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. e, altresì, a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa da quella prevista dalla legge (Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, Mariniello, Rv. 276102). La declaratoria di inammissibilità del ricorso, in applicazione del principio processuale tempus regit actum, deve essere pronunciata senza formalità, con provvedimento emesso de plano, in base al disposto dell'art. 610, comma 5-bis, c.p.p., così come introdotto dalla L. n. 103 del 2017, in relazione all'art. 591, comma 2, c.p.p. (Sez. U, n. 8914 del 21/12/2017, dep. 2018, Aiello, Rv. 271333-01). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2023. Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2023
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