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Concussione: consiste in una condotta di prevaricazione abusiva idonea a costringere alla dazione o alla promessa

Concussione

Cassazione penale sez. II, 16/05/2023, n.27883

Il reato d'induzione indebita, oltre a quello di concussione, si distingue dalle fattispecie corruttive, in quanto entrambi i primi due illeciti sono qualificati da una condotta di prevaricazione abusiva del funzionario pubblico, idonea, a seconda dei contenuti che assume, a costringere o ad indurre alla dazione o alla promessa indebita l'extraneus, il quale, per effetto di tale condotta abusiva, si viene comunque a trovare in posizione di soggezione.
L'accordo corruttivo, invece, presuppone la "par conditio contractualis" ed evidenzia l'incontro assolutamente libero e consapevole delle volontà delle parti" aggiungendo che "... l'elemento differenziale che orienta verso la fattispecie induttiva - o verso la concussione, nei casi di maggiore compressione dell'autodeterminazione dell'extraneus - va, dunque, individuato nella posizione di preminenza in concreto dell'agente pubblico e nell'abuso della stessa da parte del medesimo nella relazione coi il privato interlocutore, che, di conseguenza, viene a trovarsi in una condizione soggezione psicologica, per effetto della quale si determina alla dazione o alla promessa non dovute" essendo compito del giudice quello di accertare "... se l'abuso del pubblico agente abbia avuto come diretta conseguenza l'azione del privato, considerando comunque che la condotta di prevaricazione può derivare, nel caso concreto, anche dallo squilibrio di posizione tra il primo ed il secondo, sempre che quest'ultimo acceda all'illecita pattuizione condizionato dal timore di subire un pregiudizio in conseguenza dell'esercizio dei poteri pubblicistici e non per mero calcolo utilitaristico, versandosi, in tal caso, nella corruzione.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Salerno, in data 15.1.2021, aveva confermato la sentenza con cui, il 12.7.2019, il Tribunale di Vallo della Lucania aveva riconosciuto T.C. responsabile del delitto di cui all'art. 319-quater c.p. e, con le circostanze attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena di anni 4 di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali ed alla interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni 5; 2. in data 14.9.2021, la Corte di Cassazione, adita su iniziativa dell'imputato, ha annullato la sentenza della Corte partenopea cui aveva rinviato per nuovo giudizio; 3. la Corte di appello di Napoli, con sentenza del 15.11.2022, giudicando in sede di rinvio, ha riqualificato la condotta ascritta al T. ai sensi dell'art. 318 c.p. ed ha perciò riformato la sentenza di primo grado condannando l'imputato alla pena di anni 2 di reclusione; 4. ricorre nuovamente per cassazione il T. tramite i propri difensori: 4.1 con ricorso sottoscritto dall'Avv. Baldassarre Lauria deduce: 4.1.1 violazione ed errata applicazione degli artt. 125 e 627 c.p.p. in relazione all'art. 318 c.p.: rileva che la Corte di appello di Napoli ha reiterato l'errore in cui era caduta quella di Salerno, soffermandosi sulla qualificazione giuridica della condotta senza acquisire la deposizione del teste oculare G. che, come segnalato dal giudice di legittimità, era stata indebitamente pretermessa ed era decisiva sulla causale della dazione della somma da parte del B. le cui dichiarazioni predibattimentali erano state acquisite sul consenso delle parti ma erano state valutate in senso opposto dalle due sentenze di appello; segnala, tuttavia, la apoditticità della conclusione cui è pervenuta la sentenza qui impugnata nell'attribuire valenza adesiva alla proposta corruttiva alla mera consegna di una somma di denaro senza accertarne la causale; 4.1.2 violazione ed errata applicazione dell'art. 125 c.p.p. e art. 323-bis c.p. quanto alla omessa applicazione della attenuante del fatto di lieve entità: rileva che la Corte di appello ha omesso di vagliare il motivo di gravame circa la configurabilità della attenuante, giustificata dalla risibilità della somma e della iniziativa assunta dallo stesso B. quando la procedura di notifica era già stata avviata; 4.1.3 violazione ed errata applicazione dell'art. 163 c.p.: richiama la motivazione con cui la Corte territoriale ha negato il beneficio della sospensione condizionale della pena evidenziandone la illogicità dal momento che le dichiarazioni cui i giudici hanno fatto riferimento erano state rese dal coimputato B., presunto corruttore che, in dibattimento, si è avvalso della facoltà di non rispondere; sottolinea come le presunte condotte pregresse non erano mai state oggetto di accertamento e che, in ogni caso, l'intervenuto pensionamento del T. esclude ogni possibile reiterazione; 4.2 con ricorso sottoscritto dall'Avv. Antonio Segreto deduce: 4.2.1 violazione e falsa applicazione degli artt. 323-bis e 131-bis c.p.: riportata la motivazione della sentenza di annullamento, segnala come la Corte di appello del rinvio abbia ritenuto la somma versata non esigua ed evidenzia come tale giudizio sia di fatto disarticolato rispetto alla realtà richiamando, a tal proposito, il codice etico dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni ed il limite di 150 Euro ivi indicato e che può essere assunto come parametro di giudizio di carattere più generale; rileva, ancora, come la Corte non abbia motivato sulla richiesta di applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. che era stata perorata anche con la produzione di una memoria ex art. 121 c.p.p.; 4.2.2 violazione e falsa applicazione dell'art. 4 c.p., comma 2: rileva che, nel determinare la pena, la Corte di appello ha fatto riferimento a quella stabilita per il delitto di cui all'art. 318 c.p. dalla novella del 2019 laddove il fatto ascritto al T. risale al febbraio del 2018 per cui avrebbe dovuto applicare la forbice edittale delineata dalla L. n. 69 del 2015; 5. la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 concludendo per il rigetto del ricorso stante la infondatezza di tutti i motivi articolati sia in punto di responsabilità che di trattamento sanzionatorio. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso a firma dell'Avv. Segreto è fondato come sono fondati il secondo ed il terzo motivo del ricorso a firma dell'Avv. Lauria il cui primo motivo, invece, è inammissibile. 1. La Corte di Appello di Salerno, in data 15.1.2021, aveva confermato la sentenza con cui, il 12.7.2019, il Tribunale di Vallo della Lucania aveva riconosciuto T.C. responsabile del delitto di cui all'art. 319-quater c.p. e, con le circostanze attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena di anni 4 di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali ed alla interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni 5. Al T., in particolare, si addebitava di avere indotto, nella sua qualità di ufficiale giudiziario in servizio presso l'U.n. e.p. di quel Tribunale, B.G. a corrispondergli la somma di cinquanta Euro a garanzia ed a fronte del buon esito della notifica di un pignoramento mobiliare da questi richiesto a quell'ufficio. 2.1 Contro la predetta sentenza era stato proposto ricorso per cassazione articolato su quattro motivi: il primo motivo incentrato sulla circostanza secondo cui la Corte territoriale si sarebbe fondata sulle dichiarazioni predibattimentali del B., acquisite in dibattimento sull'accordo delle parti dopo che questi, in qualità di coimputato, si era avvalso della facoltà di non rispondere, con conseguente violazione dell'art. 111 Cost. e art. 6 CEDU; il secondo motivo sull'avere valorizzato, senza il conforto dei necessari riscontri, le interessate e contrastanti dichiarazioni del B. rese prima ed al di fuori del dibattimento avendo costui in un primo tempo dichiarato di aver spontaneamente consegnato la somma al T. ma, nel successivo interrogatorio reso quale indagato, e con l'assistenza del proprio difensore, di esservi stato da costui costretto; sulla pretermissione della testimonianza resa da tale G., funzionario del medesimo U.n. e.p., che aveva riferito di aver udito parlare T. e B., nell'occasione, di anticipazione delle spese per il pignoramento; il terzo motivo era incentrato sulla qualificazione giuridica del fatto come induzione indebita anziché come corruzione, poiché non sarebbe stato l'imputato ad indurre il B. alla dazione della somma, bensì quest'ultimo ad averlo preventivamente ed autonomamente cercato, in tal modo manifestando una volontà corruttiva insorta prim'ancora di qualsiasi contatto con il pubblico agente; il quarto motivo lamentava, infine, il mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 323-bis, c.p., e, infine, della causa non punibilità per particolare tenuità del fatto, ai sensi dell'art. 131-bis c.p.. 2.2 La VI Sezione di questa Corte, esaminando il ricorso, aveva giudicato infondato il primo motivo. Nell'affrontare, invece, congiuntamente, il secondo ed il terzo motivo, aveva in primo luogo richiamato "... quello che è un principio ormai consolidato dell'analisi differenziale tra le fattispecie che qui rilevano: ovvero che anche il reato d'induzione indebita, oltre a quello di concussione, si distingue dalle fattispecie corruttive, in quanto entrambi i primi due illeciti sono qualificati da una condotta di prevaricazione abusiva del funzionario pubblico, idonea, a seconda dei contenuti che assume, a costringere o ad indurre alla dazione o alla promessa indebita l'extraneus, il quale, per effetto di tale condotta abusiva, si viene comunque a trovare in posizione di soggezione; l'accordo corruttivo, invece, presuppone la "par conditio contractualis" ed evidenzia l'incontro assolutamente libero e consapevole delle volontà delle parti" aggiungendo che "... l'elemento differenziale che orienta verso la fattispecie induttiva - o verso la concussione, nei casi di maggiore compressione dell'autodeterminazione dell'extraneus - va, dunque, individuato nella posizione di preminenza in concreto dell'agente pubblico e nell'abuso della stessa da parte del medesimo nella relazione coi il privato interlocutore, che, di conseguenza, viene a trovarsi in una condizione soggezione psicologica, per effetto della quale si determina alla dazione o alla promessa non dovute" essendo compito del giudice quello di accertare "... se l'abuso del pubblico agente abbia avuto come diretta conseguenza l'azione del privato, considerando comunque che la condotta di prevaricazione può derivare, nel caso concreto, anche dallo squilibrio di posizione tra il primo ed il secondo, sempre che quest'ultimo acceda all'illecita pattuizione condizionato dal timore di subire un pregiudizio in conseguenza dell'esercizio dei poteri pubblicistici e non per mero calcolo utilitaristico, versandosi, in tal caso, nella corruzione". Tanto premesso, aveva fatto presente che "... gli elementi di fatto valorizzati dalla sentenza impugnata non consentano di sussumere con certezza la condotta dell'imputato nell'induzione ex art. 319-quater c.p." in quanto "... il versamento di una somma di denaro da parte del privato, la rimessione della relativa quantificazione alla volontà dello stesso ("fai tu" gli avrebbe detto l'imputato), l'avvenuta corresponsione di somme "extra" anche in analoghe occasioni precedenti, l'ingiustificabilità della dazione in relazione allo stato della procedura (pag. 8, sent.) non possono considerarsi, infatti, circostanze univocamente sintomatiche di un abuso della posizione di preminenza del pubblico ufficiale, ben potendo conciliarsi anche con un patto tra pari, strumentale, nelle intenzioni del privato, ad ottenere una corsia preferenziale nell'evasione della propria pratica" atteso che "... proprio la verificazione di precedenti situazioni analoghe, non emergendo dalla sentenza impugnata che ad occuparsi delle relative incombenze in quell'ufficio dovesse essere necessariamente l'imputato, si presterebbe agevolmente ad essere letta come la spia di una relazione di tipo corruttivo intessuta con il B.". La Corte aveva segnalato che "... l'unico elemento che potrebbe far declinare verso l'induzione, conferendo luce diversa ed univoca anche agli altri, sarebbe quello per cui il ricorrente, nel relazionarsi col B., "aveva alimentato i suoi dubbi in ordine alle difficoltà di notificare il pignoramento" (testuale, pag. 8, sent.): laddove pretestuosa, infatti, tale allegazione dell'imputato ben potrebbe essere stata in grado di condizionare l'interlocutore, facendogli sorgere il timore di subire comunque un pregiudizio" precisando che "... tuttavia, dalla sentenza impugnata non è possibile evincere come, nel concreto, quei dubbi siano stati "alimentati" e, considerando il labile e non lineare confine tra le due fattispecie, sovente legato anche a mere sfumature del comportamento dell'agente, tale aspetto merita di essere meglio descritto - e, se del caso, approfondito - dai giudici di merito". La sentenza impugnata era stata perciò annullata con rinvio alla Corte di appello di Napoli "... affinché, nel rispetto dei principi di diritto dianzi evidenziati, rivaluti se la condotta dell'imputato configuri il delitto di induzione indebita di cui all'art. 319-quater c.p., ovvero altre fattispecie di reato" ritenendo assorbite le doglianze relative "... al trattamento sanzionatorio ed alla connessa non punibilità per particolare tenuità del fatto". 3. La Corte di appello di Napoli, in sede di rinvio, ha richiamato brevemente l'episodio del 2.2.2018 evidenziando come il giudizio, all'esito dell'annullamento, avesse ad oggetto esclusivamente la qualificazione giuridica del fatto in termini di induzione indebita ovvero la sua riconducibilità ad altra e differente ipotesi delittuosa. Ha dunque richiamato il criterio distintivo tra la fattispecie della corruzione e quella della induzione indebita ed ha fatto presente come, dalle dichiarazioni del B., non trapelasse un atteggiamento di prevaricazione tanto che era stato lo stesso B. ad immaginare che, anche sulla scorta di passate esperienze, il T. avrebbe potuto agevolarlo offrendogli una somma di denaro. Quanto al trattamento sanzionatorio, ha ritenuto di far riferimento al minimo edittale che era stato quello già applicato dal giudice di prime cure nella precedente fase riconoscendo, altresì, la riduzione massima per le circostanze attenuanti generiche e motivando sul diniego della sospensione condizionale della pena. 4.1 Va preliminarmente chiarito che il tenore della decisione rescindente non lascia margini di dubbio sull'ambito della valutazione riservata alla Corte di appello di rinvio cui era stato dato mandato di rivalutare "... se la condotta dell'imputato configuri il delitto di induzione indebita di cui all'art. 319-guater, c.p., ovvero altre fattispecie di reato" ritenendo assorbite le doglianze relative "... al trattamento sanzionatorio ed alla connessa non punibilità per particolare tenuità del fatto". Non è pertanto discutibile che ogni questione relativa alla ricostruzione in fatto fosse stata ormai superata, con la conseguente inammissibilità, in questa sede, del primo motivo del ricorso a firma dell'Avv. Baldassarre Lauria che e', ancora, incentrato su censure attinenti non già la "direzione" della proposta di dazione di una somma di denaro, ma sulla inadeguatezza della motivazione concernente la sua "causale". 4.2 E' invece fondato il secondo motivo del ricorso a firma dell'Avv. Antonio Segreto, prioritario in ordine logico rispetto agli altri, avendo evidentemente errato la Corte di appello nell'applicare la pena stabilita per il delitto di cui all'art. 318 c.p. dalla novella del 2019 laddove il fatto ascritto al T. risale al febbraio del 2018, ragion per cui avrebbe dovuto farsi riferimento alla forbice edittale delineata dalla L. n. 69 del 2015 quando il "range" era quello da 1 a 6 anni di reclusione (rispetto a quello da 3 ad 8 anni di reclusione solo successivamente introdotto). La sentenza va dunque annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli che provvederà a rideterminare il trattamento sanzionatorio alla luce della disciplina vigente al momento del fatto. Nel far questo, la Corte territoriale dovrà evidentemente considerare anche i motivi di ricorso che erano stati ritenuti assorbiti dalla sentenza di annullamento e, in particolare, quelli aventi ad oggetto la denegata applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. ovvero della attenuante di cui all'art. 323-bis c.p., oggetto del quarto motivo del ricorso e già devolute con il terzo ed il quarto motivo di appello (cfr.,, a tal proposito, per tutte, Sez. 6, n. 49750 del 04/07/2019, Diotallevi, Ftv. 277438 - 01, in cui la Corte ha spiegato che la cognizione del giudice del rinvio riguarda il nuovo esame non solo del profilo censurato, ma anche delle questioni discendenti dalla sua rivalutazione secondo un rapporto di interferenza progressiva ed assorbite dal tenore della pronuncia di annullamento). E' evidente, infatti, che la rimodulazione della pena alla luce del previgente regime edittale che, in definitiva, "fotografa" il disvalore allora attribuito a quel genere di condotta dal legislatore, imporrà comunque di riformulare il giudizio sulla sua speciale tenuità (e, dunque, sulla sussistenza dei presupposti per un proscioglimenti ai sensi dell'art. 131-bis c.p., su cui la Corte dovrà motivare con specifico riferimento alle emergenze fattuali ostative alla sua applicazione) ovvero, in alternativa, sulla possibilità di ritenere il fatto "lieve" ai sensi dell'art. 323-bis c.p.. Alla valutazione operata in astratto dal legislatore, infatti, deve aggiungersi - e non potrà essere trascurata - quella "in concreto" già operata dalla stessa Corte di appello di Napoli che, nel giudizio di rinvio, come già accennato in precedenza, aveva ritenuto di poter contenere la pena nel minimo edittale ulteriormente diminuito nella misura massima per effetto delle pure riconosciute circostanze attenuanti generiche. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli. Così deciso in Roma, il 16 maggio 2023. Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2023
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