RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Sassari, riqualificato in tentata concussione il fatto originario di concussione consumata, ha confermato il giudizio di responsabilità emesso dal Tribunale di Tempio Pausania nei riguardi di M.R..
All'imputato è contestato, nella qualità di luogotenente della Guardia di Finanza, di aver tentato di costringere M.S., commercialista e amministratore di alcune società riferibili a M.Z., magnate russo, e lo stesso M.Z. a promettere la somma di 1.500.000 Euro - di cui 150.000 Euro sarebbe stata consegnata tramite bonifico con destinazione (Omissis) - in cambio della sua astensione dalle indagini - da lui artatamente prospettate e minacciate - sulle società in questione e dalle quali sarebbe derivato il sequestro da parte dell'Autorità italiana delle numerose ville delle stesse società.
2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato articolando tre motivi.
2.1. Con il primo si deduce violazione di legge processuale; il tema attiene alla utilizzabilità delle registrazioni ambientali effettuate da M. su accordo-sollecitazione della Polizia e senza autorizzazione dell'Autorità giudiziaria.
Si tratta di intercettazioni di conversazioni intercorse tra M. e l'imputato il 12.11.2012, il 13.11.2012, il 4.12.2012 e il 12.12.2012 e che, secondo l'imputato, sarebbero decisive ai fini del giudizio di responsabilità.
Le registrazioni sarebbero state concordate con la polizia in aggiramento delle previsioni di cui all'art. 267 c.p.p.; si tratterebbe di una circostanza emergente dalla deposizione dell'ispettore S.S., di cui si riportano alcuni stralci, e da altri atti, che pure si indicano.
In tale contesto, si richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 320 del 4.12.2009 e si assume che la Corte avrebbe nella occasione spiegato che non vi sarebbe nessuna differenza tra il caso in cui il privato concordi con la polizia giudiziaria di collocare su di sé dispositivi che consentano di intercettare la conversazione con un interlocutore ignaro e il caso in cui caso in cui il medesimo colloquiante, agendo su istruzione della polizia, registri direttamente il colloquio; in entrambe le ipotesi vi sarebbe una elusione dell'obbligo di munirsi dell'autorizzazione dell'Autorità giudiziaria.
Si richiama inoltre la sentenza delle Sezioni unite n. 26795 del 2006 che avrebbero chiarito la distinzione tra atto e documento, specificando come questo sia caratterizzato dal formarsi fuori e non in funzione del processo, sicché le registrazioni dei dialoghi ambientali su accordo con la Polizia non potrebbero essere considerati documenti.
La Corte di appello avrebbe rigettato la questione sul presupposto errato che la registrazione di colloqui tra presenti, eseguita su iniziativa di uno dei partecipi, costituirebbe prova documentale, come tale utilizzabile sempre in dibattimento, e non una intercettazione ambientale.
Sulla questione vi sarebbe contrasto; si aggiunge che, ove si ritenesse prevalente l'indirizzo secondo cui la prova in quel modo "raccolta" sarebbe qualificabile come prova documentale, la questione dovrebbe essere rimessa nuovamente alla Corte costituzionale, tenuto conto che con la pronuncia n. 320 del 2009, di cui si è detto, la Consulta aveva emesso una sentenza interpretativa di rigetto sul presupposto che il giudice remittente avesse individuato erroneamente il diritto vivente.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge quanto alla qualificazione giuridica dei fatti, che dovrebbero essere ricondotti alla fattispecie di tentata induzione indebita a dare o promettere utilità e non al tentativo di concussione.
Assume il ricorrente che M., che sin dal giorno del primo incontro con l'imputato si fosse determinato a registrare gli incontri successivi, su suggerimento della Polizia di Stata, e, quindi, non sarebbe mai stato in una situazione di soggezione nei confronti di M. e non avrebbe mai avuto alcuna limitazione della sua capacità di autodeterminarsi.
La Corte di appello, utilizzando un rivolo di una conversazione ambientale, avrebbe erroneamente ritenuto invece che M. fosse rimasto sin da subito molto spaventato, senza tuttavia considerare che questi, come detto, si era sin da subito rivolto alla polizia che gli aveva suggerito come comportarsi, e che quindi anche le stesse minacce attribuite all'imputato sarebbero avvenute in un contesto investigativo, noto alla vittima.
La Corte avrebbe inoltre escluso la configurabilità del reato di cui all'art. 319 quater c.p. sul presupposto errato che vi sarebbe stata una sproporzione tra il male minacciato e l'indebito profitto che il privato avrebbe conseguito e ciò in ragione non del significato delle frasi minatorie ma del fatto che le indagini alle quali le minacce si riferivano sarebbero state inesistenti, false o comunque riferibili ad altri soggetti (le ville sarebbero state riferibili ad altro soggetto giuridico) e comunque erano tali da poter plausibilmente portare al sequestro degli immobili.
Dunque una danno minacciato plausibile e una promessa simulata di denaro da parte della persona offesa.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione dell'art. 74 c.p.p. quanto alla ritenuta legittimazione alla costituzione di parte civile di M., che in realtà dovrebbe considerarsi quale mero soggetto interposto di altri soggetti proprietari delle ville citate nella imputazione, e di T.S.K. e di M.Z., in quanto, la prima, non risulterebbe in alcun modo citata nel capo di imputazione e, il secondo, non risulterebbe essere socio di riferimento della società proprietaria delle ville site a (Omissis), oggetto delle minacce attribuite all'imputato.
3. E' stata presentata una articolata memoria nell'interesse dell'imputato con cui si sono ripresi e ulteriormente sviluppati gli argomenti posti a fondamento dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo, che pure, in astratto, ha una sua consistenza, è inammissibile perché generico.
2.1. La Corte di cassazione con molteplici pronunce - anche a Sezioni unite e non sempre recenti - ha stabilito principi funzionali ad attuare il percorso demolitorio intrapreso dalla parte che eccepisca la inutilizzabilità probatoria di un atto processuale.
In particolare, in tema di intercettazioni telefoniche, è consolidato il principio secondo cui è necessario, a pena di inammissibilità del motivo, che il ricorrente indichi quali siano le conversazioni intercettate che sarebbero inutilizzabili e chiarisca l'incidenza degli atti specificamente affetti dal vizio sul complessivo compendio probatorio già valutato, sì da potersene inferire la decisività ai fini del provvedimento impugnato. (Sez. U., n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416; nello stesso senso, Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, De Iorio, Rv. 244328; Sez. 4, n. 46478 del 21/09/2018, Gulle', non massimata).
Ulteriori approfondimenti di rilievo concernono i limiti demolitori della pronuncia di legittimità; prima infatti di annullare con rinvio la sentenza basata su di un dato dimostrativo dichiarato inutilizzabile, è necessario procedere alla c.d. prova di resistenza, valutando se la motivazione "resti in piedi", nonostante l'eliminazione dell'elemento viziato. La regola viene considerata un corollario dell'interesse all'impugnazione: se la sentenza non è basata sulla prova inutilizzabile, il ricorso, ancorché fondato nel merito, deve essere rigettato (Sez. U, n. 4265 del 25/02/1998, Gerina, in motivazione; Sez. 5, n. 37694 del 15/07/2008, Rizzo, Rv. 241299; Sez. 2, n. 30271 dell'11/05/2017, De Matteis, Rv. 270303).
Questa Corte, con orientamento consolidato (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269218; Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, Barilari, Rv. 259452; Sez. 3, n. 3207 del 2/10/2014, dep. 2015, Rv. 262011) che il Collegio condivide e ribadisce, ha, infatti, osservato che, nei casi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l'inutilizzabilità o la nullità di una prova dalla quale siano stati desunti elementi a carico, il motivo di ricorso deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta "prova di resistenza", essendo in ogni caso necessario valutare se le residue risultanze, nonostante l'espunzione di quella inutilizzabile, risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento; gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano infatti irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento.
2.2. Nel caso di specie, il motivo di ricorso è generico, non avendo chiarito l'imputato né quali sarebbero le specifiche conversazioni registrate che si assumono essere state in concreto irritualmente utilizzate, né quale sarebbe la loro decisiva valenza probatoria rispetto al complessivo ragionamento sotteso al giudizio relativo alla responsabilità, cioè la loro incidenza e decisività rispetto alla decisione impugnata.
In particolare, a fronte di due sentenze in cui i Giudici di merito hanno ricostruito i fatti facendo chiaro riferimento a molteplici prove dichiarative, documentali, a intercettazioni autorizzate, l'imputato si è limitato a segnalare i paragrafi in cui la Corte di appello avrebbe richiamato le conversazioni registrate nei giorni 12.11-13.11.-4-12- e 12.12.2012 senza, tuttavia, spiegare alcunché sulla decisiva loro incidenza rispetto al complesso quadro probatorio e, in particolare, sul perché, escluse dette registrazioni, la prova della colpevolezza sarebbe stata insussistente; peraltro, pur volendo ragionare con il difensore, dalla sentenza emerge come, anche con riguardo agli specifici paragrafi indicati, la Corte abbia articolato il proprio ragionamento probatorio facendo riferimento anche ad altre evidenze, a conversazioni ritualmente autorizzate, a conversazioni tra M. e altri soggetti.
Il motivo di ricorso in esame, per come strutturato, esula dal percorso di una ragionata censura del complessivo percorso motivazionale del provvedimento impugnato e si risolve in una generica critica difettiva ed inadeguata, che sostanzialmente non permette al giudice di percepire con certezza il contenuto delle censure.
3. Anche il secondo motivo è inammissibile per genericità.
La Corte ha descritto e spiegato con precisione il tentativo costrittivo compiuto dall'imputato, la struttura della condotta minatoria, come, al momento in cui M. si rivolse alla polizia, non vi fosse stata ancora alcuna promessa di dazione pur a fronte delle pressanti richieste dell'imputato, la sostanziale inesistenza di un indebito vantaggio per i privati, l'inconsistenza probatoria della ricostruzione alternativa lecita dell'imputato.
3.1. Non assume rilevante valenza l'assunto difensivo secondo cui M. non sarebbe stato mai "spaventato" a seguito della condotta dell'imputato e dunque non vi sarebbe stata limitazione alla capacità di autodeterminazione di questi.
Ai fini della configurabilità del reato di tentata concussione, che si configura quando il pubblico ufficiale abbia compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere od indurre qualcuno a dare o promettere denaro od altra utilità, è richiesta l'oggettiva efficacia intimidatoria di tale condotta, restando indifferente il conseguimento in concreto del risultato di porre la vittima in stato di soggezione (Sez. F, n. 38658 dell'08/08/ 2019, Cappadona, Rv. 277305; Sez. 6, Sentenza n. 33843 del 19/06/2008, Rv. 240797; Sez. 6, n. 30764 del 22/05/2009, Rv. 244867).
E' sufficiente che la condotta del pubblico ufficiale determini una situazione idonea in astratto a generare quel timore per integrare l'ipotesi di tentativo di concussione attivo restando indifferente il conseguimento in concreto della condotta, di porre, cioè la vittima in stato di soggezione.
In tema di tentativo di concussione, è necessario valutare la adeguatezza della condotta attraverso la cosiddetta prognosi postuma, che impone al giudice di collocarsi idealmente nel momento in cui è stata realizzata la condotta per accertare se l'azione del pubblico ufficiale si presentava in concreto adeguata rispetto al fine, in ciò tenendo conto non solo delle caratteristiche dell'azione, ma anche considerando l'effetto di essa nel soggetto passivo, costituito dallo stato di soggezione, che non è ancora evento del reato (occorrendo la promessa o la dazione), ma che può essere almeno prova della idoneità degli atti (Sez. 6, n. 9389 del 18/04/1994, Russo, Rv. 199522).
Una linea interpretativa, quella or ora indicata, che nel caso in esame si fonda sulla prospettazione di una minaccia ingiusta da parte dell'imputato e, che questa Suprema Corte (Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, dep. 2014, Maldera Rv. 258470) ha inteso precisare anche in relazione ad altri possibili profili valutativi della condotta, allorquando ha affermato che il delitto di concussione, di cui all'art. 317 c.p., nel testo modificato dalla L. n. 190 del 2012, è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua, come avvenuto nel caso in esame, mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno "contra ius" da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario, il quale, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all'alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita e si distingue, come tale, dal delitto di induzione indebita la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno (sempre che quest'ultimo non si risolva in un'induzione in errore), ovvero come una pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario, il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico.
3.2. Quanto al tema della simulata promessa, secondo un costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, dal quale non vi è ragione per discostarsi, in tema di concussione, deve qualificarsi come consumata la fattispecie nella quale il soggetto passivo abbia sollecitato l'intervento della polizia giudiziaria dopo aver già promesso l'indebita prestazione al pubblico ufficiale (Sez. 6, n. 20914 del 05/04/2012, Tricarico, Rv. 252786), in quanto la predisposizione dell'azione di polizia con la collaborazione della vittima, allo scopo di sorprendere in flagranza di reato il funzionario disonesto, non assume alcuna rilevanza giuridica allorquando il reato risulti già consumato (ex plurimis: Sez. 6, n. 11384 del 21/01/2003, Zangrilli, Rv. 227196); viceversa, ricorre l'ipotesi del tentativo qualora la promessa segua alla predisposizione d'accordo con la polizia di un piano diretto ad individuare il funzionario infedele e la stessa risulti preordinata a tale scopo.
In tale ipotesi, infatti, la sequenza abuso - induzione - metus - promessa si arresta prima di quest'ultimo passaggio, che rappresenta il momento consumativo e, pertanto, il reato deve ritenersi tentato e non consumato, sussistendo i presupposti degli atti idonei diretti in modo non equivoco a commetterlo (Sez. 6, n. 30994 del 05/04/ 2018, Liverano, Rv. 273596; Sez. 6, n. 10355 del 07/06/2007, dep. 06/03/2008, Bruno, Rv. 238912).
A fronte della ricostruzione storico-fattuale operata dalla sentenza impugnata, che ha spiegato come la promessa di dazione sia nella specie intervenuta dopo che M. si fosse rivolto alla polizia, da una parte, non è chiaro perché, a fronte di una condotta di minaccia, non sarebbe configurabile il tentativo di concussione, e, dall'altra, il motivo si sostanzia in una inammissibile richiesta di rivisitazione del quadro probatorio e, sostanzialmente, nella sollecitazione di una diversa ricostruzione fattuale.
4. Non diversamente, è inammissibile il terzo motivo di ricorso, relativo alle statuizioni civili.
La Corte ha chiarito come le parti civili - che non hanno rassegnato le conclusioni per il presente grado di giudizio - siano i soggetti direttamente o indirettamente destinatari della condotta minatoria, e, dunque danneggiati dal reato, essendo irrilevante che di essi possa non essere stata fatta menzione nominativa nel capo di imputazione; ciò ha correttamente consentito ai Giudici di merito di pronunciare una sentenza di condanna generica, pur con il riconoscimento di una somma a titolo di provvisionale.
Nel giudizio civile, dunque, potranno essere valutati gli ulteriori profili indicati, peraltro solo genericamente, nel ricorso.
5. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende che si stima equo determinare nella misura di tremila Euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Manda alla Cancelleria per la comunicazione di cui all'art. 154-ter disp. att. c.p.p..
Così deciso in Roma, il 5 maggio 2023.
Depositato in Cancelleria il 1 agosto 2023