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Concussione: vi è piena continuità normativa con il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità di cui all'art. 319-quater c.p.

Concussione

Cassazione penale , sez. VI , 12/07/2023 , deposito: 14/09/2023 , n. 37676

Vi è piena continuità normativa fra la concussione per induzione di cui al previgente art. 317 c.p. ed il nuovo reato di induzione indebita a dare o promettere utilità di cui all'art. 319-quater c.p., introdotto dalla citata legge del 2012, considerato che la pur prevista punibilità, in quest'ultimo, del soggetto indotto non ha mutato la struttura dell'abuso induttivo.

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Concussione: vi è piena continuità normativa con il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità di cui all'art. 319-quater c.p.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Bologna riformava la pronuncia di primo grado del 14 marzo 2016 - con la quale il Tribunale di Ferrara aveva condannato D.S.S. in relazione ai reati di cui agli artt. 81 e 317 c.p., contestati come commessi in danno di D.F. e dell'Acer di (Omissis) - riqualificando i fatti accertati ai sensi dell'art. 319-quater c.p. e dichiarando non doversi procedere nei riguardi del prevenuto per essere quei reati estinti per intervenuta prescrizione. Al D.S. era stato addebitato di avere, in qualità di pubblico ufficiale in quanto funzionario dell'Acer di (Omissis), addetto al servizio di manutenzione e conservazione del patrimonio, nonché di responsabile dell'appalto "Global Service", abusando della sua qualità e dei poteri del suo ufficio, indotto D.F. a consegnargli, nel 2007, la somma di 10.000 Euro e, nel periodo successivo fino al 6 settembre 2012, ulteriori somme di denaro variabili tra 1.000 e 5.000 Euro, ovvero ad eseguire lavori di ristrutturazione, mai pagati, all'interno, della sua abitazione, e ad assumere la di lui moglie nella azienda del D.. Rilevava la Corte territoriale come le condotte del D.S., originariamente ipotizzate in termini di costrizione mediante la prospettazione di una male ingiusto, avessero integrato gli estremi del diverso reato di induzione indebita a dare o promettere denaro e utilità, poiché il rapporto tra il pubblico ufficiale e il privato non si era posto in termini di posizione paritaria, ma il D., destinatario di pressioni e perciò indotto, si era determinato a dare quelle somme di denaro o altre utilità per un proprio "tornaconto" personale: perché, senza essere stato privato di margini di scelta, interessato a mantenere una relazione privilegiata con il D.S. per rendere più celeri i procedimenti di pagamento di quanto dovutogli e per evitare possibili contestazioni per il lavori eseguiti. 2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso l'imputato, con atto sottoscritto dai suoi difensori, il quale ha dedotto i seguenti motivi. 2.1. Violazione di legge, in relazione all'art. 522 c.p.p., per avere la Corte di appello operato la riqualificazione dei fatti contestati senza tenere conto dei limiti descrittivi dei fatti così come desumibili dai capi d'imputazione contestati, dunque con un vulnus per il diritto di difesa dell'imputato, condizionandone le strategie e le scelte processuali. 2.2. Vizio di motivazione, per mancanza, manifesta illogicità, contraddittorietà e travisamento della prova, per avere la Corte territoriale ricostruito il fatto del capo d'imputazione A) senza rispettare la doverosa aderenza agli elementi di prova a disposizione: in particolare, erroneamente riferendo al D. un interesse legato a "far passare" ai controlli del D.S. il costo di un materiale per la ristrutturazione del pavimento di alcuni immobili non previsto e superiore a quello indicato nel capitolato d'appalto. 2.3. Vizio di motivazione, per mancanza, manifesta illogicità, contraddittorietà e travisamento della prova, per avere la Corte distrettuale ingiustificatamente sostenuto l'assenza di causale per i pagamenti effettuati dal D. al D.S., di cui vi è traccia nei due capi d'imputazione: a tal fine asserendo la decisività di riprese audio che erano state effettuate nello studio privato del D. e non nell'ufficio pubblico del D.S., il cui contenuto lascia intendere che tra i due vi erano relazioni di natura privatistiche che avevano giustificato la dazione di quelle somme di denaro. 2.4. Vizio di motivazione, per mancanza, manifesta illogicità, contraddittorietà e travisamento della prova, per avere la Corte di merito erroneamente escluso che tra i due prevenuti vi fosse una posizione di parità e, dunque, le condotte avrebbero integrato al più gli estremi di una corruzione, omettendo di spiegare perché il D. avesse una posizione di soggezione verso il D.S.: a tal fine anche valutando in maniera non corretta le dichiarazioni dei testi escussi e così collocando cronologicamente in maniera sbagliata la presentazione della denuncia del D. rispetto alla nascita del progetto aziendale della società di scopo. 3. Con memoria del 24 giugno 2023 i difensori dell'imputato hanno formulato due nuovi motivi. 3.1. Violazione di legge, in relazione all'art. 319-quater c.p. e art. 620 c.p.p., comma 1, lett. l), per avere la Corte di appello omesso di illustrare gli elementi di prova idonei a dimostrare che il D.S. avesse tenuto verso il D. una condotta abusante ovvero che il privato fosse stato condizionato dalle iniziative del pubblico agente, anziché gestire con lo stesso "un rapporto confidenziale e di complicità". 3.2. Violazione di legge, in relazione all'art. 319-quater c.p. e art. 620 c.p.p., comma 1, lett. l), per avere la Corte bolognese omesso di verificare l'esistenza della connessione eziologica che deve sussistere tra l'asserito abuso induttivo del pubblico ufficiale e le dazioni provenienti dal privato: avendo quest'ultimo operato al solo scopo di garantirsi il celere pagamento di quanto dovutogli a titolo di "stato di avanzamento dei lavori", dunque in una posizione paritaria con il pubblico agente, tale da poter configurare al più il meno grave reato di cui all'art. 318 c.p., con la conseguente necessaria revoca delle confermate statuizioni civili. 4. Il procedimento è stato trattato nell'odierna udienza in Camera di consiglio con le forme e con le modalità di cui al D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, commi 8 e 9, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, i cui effetti sono stati prorogati da numerose successive disposizioni, da ultimo dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, art. 94, comma 2, come introdotto dal D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, art. 5-duodecies, convertito dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Ritiene la Corte che il ricorso presentato nell'interesse di D.S.S. sia inammissibile. 2. Il primo motivo del ricorso è manifestamente infondato, non essendovi le condizioni per pervenire ad un annullamento della sentenza impugnata per violazione dell'art. 522 c.p.p.. E' pacifico nella giurisprudenza di legittimità che qualora, a fronte di una contestazione del reato ai sensi dell'art. 317 c.p. antecedente le modifiche apportate dalla L. 6 novembre 2012, n. 190, il giudice abbia proceduto, con motivazione approfondita e non illogica, a qualificare la condotta del pubblico agente in termini di induzione piuttosto che di costrizione, è ben possibile, dopo l'entrata in vigore della predetta L. n. 190, ricondurre il fatto nella fattispecie dell'art. 319-quater c.p. (in questo senso, tra le altre, Sez. 6, n. 31957 del 25/01/2013, Cordaro, Rv. 255597). Tanto perché è stata riconosciuta piena continuità normativa fra la concussione per induzione di cui al previgente art. 317 c.p. ed il nuovo reato di induzione indebita a dare o promettere utilità di cui all'art. 319-quater c.p., introdotto dalla citata legge del 2012, considerato che la pur prevista punibilità, in quest'ultimo, del soggetto indotto non ha mutato la struttura dell'abuso induttivo (così, tra le molte, Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, dep. 2014, Maldera, Rv. 258473). Ne' è configurabile nella fattispecie una ingiustificata compressione del diritto di difesa dell'imputato. In generale, va detto che questa Corte di cassazione ha chiarito che non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza la riqualificazione giuridica del fatto operata per la prima volta dal giudice di secondo grado, qualora l'imputato sia stato in grado di contestarla in sede di ricorso per cassazione, senza subire alcuna compressione o limitazione del proprio diritto al contraddittorio (così Sez. 6, n. 22301 del 24/05/2012, Saviolo, Rv. 254055, con riferimento ad una fattispecie relativa ad una riqualificazione del fatto da concussione in corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio, in cui l'imputato aveva potuto validamente contestare per la prima volta tale decisione in sede di legittimità). Più in dettaglio va rilevato come, nel caso di specie, sia stata la stessa difesa dell'imputato D.S. a sollecitare, con la presentazione della memoria del 25 giugno 2022 e la formulazione di un apposito nuovo motivo di appello, quella derubricazione del reato contestato in induzione indebitata di cui all'art. 319-quater c.p., così come poi statuita dalla Corte distrettuale. 3. I restanti tre motivi del ricorso - strettamente connessi tra loro e, perciò, esaminabili congiuntamente - ed i collegati due motivi nuovi formulati con la memoria del 24 giugno 2023, non superano il vaglio preliminare di ammissibilità perché presentati per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge. Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte di cassazione il criterio interpretativo in base al quale si è affermato che, in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di "constatazione", ossia di percezione ictu oculi, che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (così, tra le molte, Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274). Alla stregua di tale regula iuris non sono ammissibili le doglianze difensive con le quali, rappresentando a più riprese una errata lettura delle emergenze processuali e la necessità di una loro rivalutazione alla luce della versione dei fatti offerta dall'imputato, è stata palesemente esclusa la possibilità del compimento di una attività meramente ricognitiva di elementi idonei a dimostrare all'evidenza l'assoluta assenza di prova di colpevolezza a carico dell'imputato ovvero la prova positiva della sua innocenza. In tale contesto appare determinante il contenuto delle censure sul punto formulate dalla difesa, con le quali, nel valutare il contenuto delle registrazioni di conversazioni che avevano visto direttamente o indirettamente coinvolto il D.S., nonché le dichiarazioni provenienti da taluni testimoni, il ricorrente ha compiuto una analitica disamina del tenore delle frasi pronunciate dai colloquianti ovvero di talune di quelle deposizioni testimoniali, per cercare di far prevalere una ricostruzione dei fatti alternativa rispetto a quella, asseritamente illogica, privilegiata dai giudici di merito. In particolare, sforzandosi di dimostrare che la parola accusatrice del D. avrebbe dovuto far sorgere degli interrogativi; che la pubblica accusa avrebbe avuto "ogni mezzo tecnico e amministrativo" per superare quelle incertezze; che il percorso argomentativo seguito dai giudici di merito presentava un "vuoto ricostruttivo e motivazionale", minandone "gravemente la tenuta logica"; che le prove acquisite non avrebbero consentito "di affermare la responsabilità del D.S. oltre ogni ragionevole dubbio" (v. pagg. 8-9, 11, 14 del ricorso). In tal modo, il tentativo compiuto dai patrocinatori dell'imputato è risultato manifestamente quello di provare a dare a quei dati informativi una lettura dagli esiti favorevoli per il loro assistito: dunque, la sollecitazione era stata quella allo svolgimento di un'attività tutt'altro che meramente "ricognitiva", ma di apprezzamento della valenza dimostrativa degli elementi di conoscenza portati in rassegna con l'atto di impugnazione, incompatibile con la regola di giudizio dettata dal richiamato art. 129 c.p.p., comma 2. 4. Del tutto generica e', infine, la richiesta difensiva - peraltro formulata espressamente solo con il secondo nuovo motivo, essendovi, sul punto, un mero cenno nella parte introduttiva dell'originario atto di impugnazione - di revoca delle statuizioni civili contenute nella sentenza impugnata. Peraltro, il ricorso non si confronta con il principio espressione di un consolidato orientamento interpretativo secondo il quale la riqualificazione, a seguito dell'entrata in vigore della L. n. 190 del 2012, del delitto di concussione in quello di indebita induzione non fa venir meno il diritto alla restituzione e al risarcimento del danno a favore di colui che, al momento della commissione del fatto, era da considerarsi persona offesa dal reato (Sez. 6, n. 31957 del 25/01/2013, Cordaro, Rv. 255598; Sez. 2, n. 29713 del 19/04/2017, Staffieri, Rv. 270666). 5. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 12 luglio 2023. Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2023
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