RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 18 giugno 2021 la Corte di appello di Messina ha confermato la pronunzia di primo grado con la quale S.O.S., era stato riconosciuto responsabile del reato di cui agli artt. 482-476 c.p., per aver falsificato un bollettino di versamento in conto corrente postale, al fine di far apparire come effettuato il pagamento relativo ad una sanzione amministrativa.
2. Con atto sottoscritto dal difensore, propone ricorso l'imputato. Con un unico motivo, il ricorrente si duole dell'erronea applicazione della legge penale in riferimento all'affermazione di responsabilità per falso materiale in atto pubblico commesso da privato. Sostiene che, alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimità , l'esibizione di una fotocopia del bollettino evidentemente contraffatto e non conforme all'originale non può integrare la fattispecie contestata. Peraltro, l'atto falsificato non avrebbe dovuto essere considerato atto pubblico bensì scrittura privata, sicché il fatto andrebbe riqualificato ai sensi del 485 c.p., fattispecie oggi depenalizzata.
Inoltre, il ricorrente reitera le doglianze, non considerate dalla Corte territoriale, relative alla mancanza di offensività al bene giuridico tutelato e alla configurabilità del reato cd impossibile, a causa dell'inidoneità dell'alterazione a produrre l'effetto voluto dall'autore.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso va rigettato.
2. I giudici di merito hanno accertato che lo S., dopo aver subito il sequestro amministrativo della sua autovettura, perché circolava sebbene priva di copertura assicurativa, si era presentato in data (Omissis) negli uffici competenti per ottenere il dissequestro del veicolo, esibendo una ricevuta di versamento sul c/c n. (Omissis) dell'importo di (Omissis) intestato ad Arma dei Carabinieri "Proventi contravvenzionali". La ricevuta, in seguito ad "attento controllo", era risultata "contraffatta nella carta (molto più lucida), nell'importo della commissione di pagamento (risultato essere di Euro 1.10 anziché 1, 90), nonché nella presenza di un codice a barre non presente nei bollettini originali" (pag. 3 della sentenza di primo grado).
3. Seguendo un ordine logico nell'analisi delle doglianze proposte con l'atto di ricorso, va rilevata l'infondatezza dell'assunto secondo cui il bollettino postale non sarebbe "atto pubblico".
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che integra il reato di falso in atto pubblico commesso dal privato la falsificazione del bollettino di pagamento effettuato mediante conto corrente postale, attesa la natura di atto pubblico di tale bollettino, che attesta, con efficacia probatoria nei confronti dei terzi, il versamento di una somma di denaro a mani di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio (Sez. 5, n. 36831 del 22/06/2016 Rv. 267955 - 01; in senso conforme, n. 52 del 1987 rv. 174762 - 01, n. 8753 del 1988 rv. 179045 - 01, n. 2757 del 2011 rv. 249250 - 01).
Si e', infatti, chiarito che il bollettino di versamento in conto corrente postale non ha natura meramente certificativa, in quanto non deriva da un preesistente atto pubblico, ma costituisce esso stesso atto pubblico perché formato dal pubblico ufficiale in modo originario ed autonomo, nell'ambito della propria competenza funzionale e nell'esercizio delle proprie funzioni. La circostanza di fatto che il bollettino viene predisposto materialmente dal privato interessato non costituisce novità nell'ambito della classificazione tecnico-giuridica degli atti pubblici - anche se fidefacenti - e non incide in alcun modo sulla natura e sulla qualificazione del bollettino stesso, che non v'e' ragione di distinguere dagli altri atti originali ed originari propri del pubblico ufficiale (così Sez. 2, n. 220 del 09/01/1989 -dep. 15/01/1990- Rv. 183011 - 01).
Consegue a quanto sopra evidenziato che è manifestamente infondata la deduzione difensiva con la quale si richiede la derubricazione nella fattispecie di cui all'art. 485 c.p., sostenendo che il bollettino postale e la sua ricevuta siano scritture private.
4. Manifestamente infondate sono le censure con le quali si assume che nella specie ricorrerebbe un reato impossibile.
Invero, il cosiddetto "falso grossolano", riconducibile alla categoria del reato impossibile, è soltanto quel falso che, per essere macroscopicamente rilevabile, non è idoneo a trarre in inganno alcuno, dato che il reato impossibile presuppone l'originaria, assoluta inefficienza causale dell'azione, da valutare oggettivamente in concreto e con giudizio "ex ante", in relazione alle intrinseche caratteristiche dell'azione (così, tra le tante, Sez. 5, n. 20815 del 17/04/2018, Fracasso, Rv. 273343).
Nella specie, come si è visto sopra nel paragrafo n. 2, i giudici di merito hanno accertato che la falsità è stata rilevata solo dopo un "attento controllo"; peraltro, il ricorrente ha collegato l'idoneità ingannatoria del falso - e dunque la sua offensività - esclusivamente all'ipotetica impossibilità di non essere rilevato dalle forze dell'ordine, quando il pericolo per la pubblica fede deve essere valutato in relazione alla capacità del falso di trarre in inganno il consociato medio.
5. Il motivo con il quale si assume l'insussistenza del reato perché si tratterebbe di una fotocopia è manifestamente infondato e privo di specificità .
Come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, la formazione della copia di un atto inesistente non integra il reato di falsità materiale, salvo che la copia assuma l'apparenza di un atto originale (Sez. U, n. 35814 del 28/03/2019, Marcis, Rv. 276285 - 01).
Le Sezioni Unite hanno aderito all'orientamento che ritiene integrata la falsità tipica, nelle ipotesi in cui la copia di un documento si presenti o venga esibita con caratteristiche tali, di qualsiasi guisa, da voler sembrare un originale, ed averne l'apparenza, ovvero la sua formazione sia idonea e sufficiente a documentare nei confronti dei terzi l'esistenza di un originale conforme: in tal caso la contraffazione si ritiene sanzionabile ex artt. 476 o 477 c.p., secondo la natura del documento che mediante la copia viene in realtà falsamente formato o attestato esistente.
Tale orientamento interpretativo si basa su un criterio di riferimento oggettivo, per cui lo stesso soggetto che produce la copia deve compiere anche un'attività di contraffazione che vada ad incidere materialmente sui tratti caratterizzanti il documento in tal modo prodotto, attribuendogli una parvenza di originalità , così da farlo sembrare, per la presenza di determinati requisiti formali e sostanziali, un provvedimento originale o la copia conforme, originale, di un tale atto ovvero comunque documentativa dell'esistenza di un atto corrispondente. La volontà di sorprendere la fede pubblica, in tal modo, si realizza attraverso un comportamento ontologicamente inquadrabile nella ipotesi di falso per contraffazione, perché, almeno apparentemente, creativo di un atto originale in realtà inesistente, così da determinarne oggettivamente, nelle intenzioni dell'agente, un'apparenza esterna di originalità (si vedano in materia, ex multis, Sez. 5, n. 45369 del 17/10/2019, Muscogiuri, Rv. 277006 01; Sez. 5, n. 11402, del 18/01/2021, Loioli, Rv. 280731 - 01).
Alla stregua dei suindicati principi, le deduzioni difensive nella specie si rivelano del tutto assertive, ove si consideri, peraltro, che le circostanze fattuali sono state analizzate dalla Corte territoriale, sulla base dell'esame complessivo del documento falsificato, che è stato ritenuto presentare l'apparenza di un originale (si veda pag. 3 della sentenza impugnata).
6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2023