top of page

Falso materiale in cartella clinica: rilevanza pubblicistica solo dopo la verifica del medico responsabile

Falso materiale

Cassazione penale sez. V, 18/11/2022, n.3336

In tema di falso materiale in atto pubblico, le annotazioni sulla cartella clinica redatte da un medico specializzando non hanno carattere definitivo, necessitando del controllo del medico responsabile che ha svolto l'attività o alle cui direttive e indicazioni lo specializzando si è attenuto, sicché solo all'esito di tale verifica e delle correzioni eventualmente apportate dal medico responsabile l'atto assume rilievo pubblicistico e solo a partire da tale momento ogni successiva alterazione può integrare, sussistendone gli ulteriori requisiti normativi, la fattispecie di cui all'art. 476 c.p.

Falso materiale in cartella clinica: rilevanza pubblicistica solo dopo la verifica del medico responsabile

Falsificazione di un bollettino di pagamento: reato di falso in atto pubblico

Concorso materiale tra falsità materiale in atto pubblico e false dichiarazioni all'autorità giudiziaria

Contraffazione di patente estera non UE: reato ex artt. 477 e 482 c.p.

Il registro cimiteriale come atto pubblico fidefacente con presunzione di verità assoluta

Falso materiale in atto pubblico: l'alterazione dell'indice del fascicolo di parte da parte dell'avvocato

Hai bisogno di assistenza legale?

Prenota ora la tua consulenza personalizzata e mirata.

 

Grazie

oppure

PHOTO-2024-04-18-17-28-09.jpg

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Cagliari, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Cagliari in data 26/09/2017, con cui C.A. era stato condannato a pena di giustizia in relazione al delitto di cui all'art. 81 c.p., comma 2, art. 476 c.p., comma 2, in (Omissis), assolveva l'imputato dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste. 2. Il Procuratore generale presso la Corte di Appello di Cagliari ricorre, in data 07/03/2022, deducendo tre motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1: 2.1 vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), in quanto la motivazione della Corte territoriale afferisce unicamente alla contestazione di falsificazione relativa al diario operatorio stampato, ma non anche alla contestazione in riferimento alle integrazioni effettuate nel riquadro denominato "Gravidanza attuale", in cui erano state aggiunte le parole "come in precedenza lamentato" e "sospetta deiscenza", condotta rispetto alla quale la motivazione è del tutto carente, né può essere integrata dalle considerazioni operate in riferimento alle altre condotte ascritte all'imputato. In particolare, risulta pacifico che il Dott. C. non fosse presente in reparto al momento del ricovero della paziente nella serata del 08/01/2013, ed è altrettanto pacifico che, in sua assenza, la prima parte della cartella clinica fosse stata redatta da altro medico di turno in reparto, del quale non è stata accertata l'identità; inoltre, risulta chiaro, dal raffronto tra la cartella clinica sequestrata in originale e quella fotocopiata per l'invio all'ufficio competente per le sanzioni disciplinari, che nel momento in cui l'imputato intervenne sul quadro "Gravidanza attuale", la cartella clinica era stata già sottoscritta dal medico strutturato di turno o, al più, dalla specializzanda, ma, comunque, sotto la supervisione e vigilanza di un tutor diverso dal Dott. C., assente e, quindi, certamente estraneo a tale attività; 2.2 vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), avendo la sentenza impugnata, da un lato, affermato l'autonomia delle annotazioni effettuate in sede di anamnesi dalla specializzanda e, dall'altro, ritenuto tali annotazioni non definitive e, quindi, modificabili da parte di un medico di ruolo; 2.3 vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), essendo accertato che l'imputato era intervenuto anche sulle annotazioni relative alla raccolta del dato anamnestico, dotate di propria autonomia, il che appare incongruo e contraddittorio rispetto all'assunto della Corte territoriale, secondo cui il Dott. C. si era limitato ad operare delle correzioni ed integrazioni cui era legittimato, sebbene adottando una forma non ortodossa; proprio inserendo la vicenda nel contesto dei rapporti conflittuali tra l'imputato ed il Dott. M., infatti, si comprende come le modifiche apportate in cartella dal Dott. C. fossero finalizzate a rappresentare una presunta situazione di urgenza sussistente già al momento del ricovero della paziente, tale da giustificare l'anticipazione del taglio cesareo rispetto alle linee guida, dal che emerge come nel caso di specie non sia ravvisabile alcun falso innocuo o grossolano. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso del Procuratore generale è infondato e va, pertanto, rigettato. 1.Va premesso che, come risulta dal capo di imputazione, ad C.A., dirigente medico presso la Clinica Ostetrica e Ginecologica dell'Ospedale San Giovanni di Dio di Cagliari, sono state ascritte plurime condotte di falso, ai sensi dell'art. 81 c.p., comma 2, art. 476 c.p., comma 2, aventi ad oggetto la cartella clinica della paziente Ca.Al.Ro., ricoverata presso detta struttura dal 08/01/2014 al 14/01/2014. In particolare, il C. aveva cancellato con correttore bianco alcune parole relative alla diagnosi di ingresso ed a quella contenuta nel quadro riepilogativo; aveva, inoltre, inserito alcune parole, alle pagg. 2 e 5 della cartella clinica (a pag. 2 le parole "come in precedenza lamentato" e "sospetta deiscenza", in relazione ai dati anamnestici sulla gravidanza e, alla pag. 5, la frase "T.C. cesareo elettivo in III gravida II para 38 sett. e 1 giorno con doppio pregresso T.C. e deiscenza della cicatrice uterina", in corrispondenza della diagnosi), nonché nel foglio informatico del registro operatorio, dove aveva aggiunto a penna la parola "deiscente". La sentenza impugnata ha ritenuto che le dichiarazioni rese dal C. al pubblico ministero - ed acquisite agli atti del fascicolo dibattimentale - fossero del tutto coerenti con la risultanze dibattimentali e, quindi, ha ricordato come il medico avesse ammesso le condotte contestategli, spiegando che la Ca. era una sua paziente in stato interessante, che, alla fine del mese di dicembre 2012, era già stata ricoverata per perdite ematiche e dolori; il C. non aveva potuto visitarla, in quella occasione, perché si trovava all'estero, ma aveva detto alla paziente che, al suo rientro, le avrebbe comunicato la data del taglio cesareo, mettendosi poi d'accordo in tal senso con il Dott. P., sostituto del Dott. M., quest'ultimo primario del reparto, al momento assente; era stata, quindi, fissata per l'intervento la data del 09/01/2013. Il Dott. C. aveva spiegato altresì che, secondo le linee guida indicate dal primario, Dott. M., la paziente non avrebbe potuto essere sottoposta al taglio cesareo alla data indicata, in quanto non sarebbe giunta ancora alla trentanovesima settimana di gravidanza e che, tuttavia, nel caso di specie, alla luce delle risultanze della cartella clinica relativa al primo ricovero dal 27 al 30/12/2012, sussistevano delle specifiche ragioni di urgenza che consigliavano l'esecuzione dell'intervento anche prima della trentanovesima settimana. Il Dott. C. aveva anche chiarito come l'intera vicenda fosse da inquadrare in un contesto di rapporti estremamente conflittuali tra lui ed il primario del reparto, il Dott. M., il quale ha, a sua volta, confermato detta circostanza; non a caso, infatti, il C., subito prima di eseguire l'intervento di taglio cesareo in data 09/01/2013, aveva appreso dall'ostetrica che altri due medici avevano contestato detta sua decisione e che, successivamente, aveva saputo che il Dott. M. si stava interessando alla vicenda, avendo fatto acquisire copia della cartella clinica della paziente. In merito ai fatti oggetto di contestazione, il Dott. C. ha spiegato che, nel corso dell'intervento di taglio cesareo, egli aveva mostrato agli operatori presenti che la cicatrice della Ca., conseguenza di due precedenti tagli cesarei, presentava una condizione di deiscenza, il che aveva cagionato le perdite ematiche ed i dolori lamentati dalla paziente, che avevano determinato la necessità di anticipare l'intervento; una volta eseguito il taglio cesareo, il diario clinico era stato redatto da una specializzanda presente all'intervento, la Dott.ssa Parasciolu, secondo una prassi incontestata. Successivamente, anche avendo appreso del diffondersi delle voci circa l'interesse del Dott. M. alla vicenda, alla luce dei rapporti pregressi, il Dott. C. aveva esaminato il diario operatorio e la cartella clinica della Ca., a cui egli aveva accesso in quanto la predetta era ancora ricoverata, e si era reso conto che la specializzanda aveva omesso di riportare la condizione di deiscenza della cicatrice da lui rilevata ed illustrata nel corso dell'intervento; contattata la Dott.ssa Parasciolu per integrare tale carenza, la stessa aveva suggerito al C. di modificare informaticamente il diario operatorio, inserendo la menzione omessa, cosa che il C. aveva escluso, in quanto, in tal modo, il nuovo documento informatico avrebbe avuto una data diversa da quella in cui l'intervento era stato eseguito, per cui aveva ritenuto di apportare l'integrazione a penna sul documento originale, inserendo di suo pugno la parola "deiscenza". Quanto alle ulteriori modifiche, il C. aveva ricordato di aver inserito alla pag. 1 le parole "perdite ematiche", in quanto la Ca. gli aveva riferito delle perdite che si erano verificate in occasione del viaggio in auto per recarsi a Cagliari, in occasione del secondo ricovero ospedaliero, verificatosi in orario serale; tuttavia, egli si era accorto che, alla pag. 2 della medesima cartella, la specializzanda presente all'atto del ricovero, che aveva redatto la cartella - e che non risulta identificata, non ricordandone il nome neanche il C. - aveva scritto che la paziente negava perdite ematiche, sicché egli aveva cancellato con il bianchetto la relativa dicitura, annotata alla pagina precedente. La sentenza impugnata ha dato atto, quindi, come il Dott. C. avesse ammesso anche le successive integrazioni, ossia quelle alle pagg. 2 e 5, come in precedenza descritto, in coerenza con le specifiche circostanze della vicenda, avendo egli, in sostanza, l'interesse a far emergere le specifiche condizioni di salute della paziente, che lo avevano indotto a praticare il taglio cesareo in anticipo rispetto alla trentanovesima settimana di gravidanza e, quindi, in contrasto con le disposizioni impartite dal primario del reparto. Il Dott. M., a sua volta - come risulta a pag. 5 della sentenza impugnata - ha confermato tali circostanze, dichiarando che effettivamente la deiscenza della cicatrice avrebbe costituito condizione per intervenire prima della trentanovesima settimana, ricordando di aver realizzato le difformità documentali dal raffronto tra l'originale della cartella e la copia da lui fatta acquisire nell'immediatezza dell'intervento e confermando, infine, la prassi di completare successivamente la cartella clinica di una paziente. 2. Tanto premesso in relazione all'inquadramento della vicenda, va rilevato come le doglianze poste a fondamento del primo e del secondo motivo - tra loro logicamente correlati - riguardino specificamente le annotazioni alla pag. 2 della cartella clinica, fondate sulla circostanza che pacificamente, all'atto del ricovero della paziente, nella tarda serata del 08/01/2013, il Dott. C. non era presente in reparto, avendo egli concordato telefonicamente con la Ca. la data del ricovero in funzione dell'intervento, con la conseguenza che il ragionamento seguito dalla Corte di merito per pervenire all'assoluzione dell'imputato in riferimento alle altre condotte, nel caso di specie non avrebbe potuto essere applicato. Ed infatti, la Corte territoriale ha rilevato come - tenuto conto della prassi di far compilare la cartella clinica dagli specializzandi, alla luce dell'inquadramento giuridico della figura del medico in formazione specialistica, ai sensi del D.Lgs. 17 luglio 1999, n. 268, art. 38 -, in riferimento ai falsi materiali relativi alla fase dell'intervento chirurgico, le relative annotazioni concernevano mere integrazioni della documentazione clinica, non ancora uscita dalla sfera di disponibilità del medico strutturato, che, in ogni caso, quale responsabile della prestazione sanitaria, aveva ogni potere di verifica e di integrazione delle annotazioni stesse, materialmente poste in essere da una specializzanda, ma riferite alla prestazione da lui eseguita (pagg. 15 e segg. della sentenza impugnata). In particolare, la sentenza impugnata ha ricordato come "In linea con lo spunto testuale fornito dal citato art. 38, comma 3 la dottrina e la giurisprudenza, anche costituzionale, parlano della progressiva e graduale acquisizione da parte degli specializzandi di competenze e responsabilità nell'ambito del programma di formazione, attraverso la partecipazione a tutte le attività mediche dell'unità alla quale sono assegnati, come di una autonomia vincolata. La loro attività, infatti, si svolge sempre sotto la vigilanza e il supporto formativo del tutor o comunque del medico strutturato col quale, di volta in volta, sono chiamati a collaborare". Al contrario - secondo il Procuratore generale - tale ragionamento non sarebbe riferibile all'annotazione relativa alla fase del ricovero, in quanto il Dott. C., in quel momento, pacificamente non era in reparto e, quindi, la cartella clinica era stata redatta da altro medico - strutturato o specializzando, non identificato -, il che escludeva la possibilità per il C. di intervenire sull'annotazione, o perché eseguita da altro medico strutturato o perché eseguita da uno specializzando che, quindi, avrebbe dovuto riferire ad un tutor diverso dal C. che, pertanto, in entrambi i casi non aveva alcun titolo per intervenire sulle annotazioni relative all'anamnesi eseguita al momento del ricovero, fase alla quale egli non era presente, non avendo, pertanto, alcuna disponibilità della cartella clinica. In realtà, il ragionamento della parte pubblica ricorrente appare viziato in origine da una intrinseca contraddittorietà, basata su una evidente carenza istruttoria o, ancor prima, investigativa: il ricorso ammette che non sia stato identificato l'autore dell'annotazione in cartella all'atto del ricovero della paziente, optando, in maniera alternativa, per la possibilità che tale medico fosse o uno specializzando o un medico strutturato, il che, in entrambi i casi - direttamente nel secondo caso, indirettamente nel primo, in quanto lo specializzando avrebbe dovuto fare riferimento ad un tutor - avrebbe escluso la riferibilità al Dott. C. delle annotazioni. A parte che tale evidente lacuna - che, per la verità, in fase di indagini preliminari, ma anche attraverso un approfondimento dibattimentale avrebbe potuto essere colmata - involge un aspetto assolutamente fattuale della vicenda che, come tale, non può certo essere risolto in sede di giudizio di legittimità, le argomentazioni del ricorrente non sembrano aver adeguatamente approfondito la motivazione della sentenza impugnata. La Corte territoriale ha chiaramente evidenziato - né il Procuratore generale ricorrente contesta tali emergenze processuali - come la Ca. fosse una paziente del Dott. C., da questi seguita già in epoca precedente il ricovero nel gennaio 2013; che la donna non solo era già stata ricoverata presso la struttura nel precedente mese di dicembre per perdite ematiche e dolori, ma che la stessa aveva chiesto di essere visitata proprio dal Dott. C., cosa che non era stata possibile in dicembre, in quanto il suddetto medico non si trovava a Cagliari in quel periodo; che, tuttavia, in quel contesto, proprio il Dott. C. aveva riferito alla paziente che le avrebbe fatto sapere la data del ricovero dopo averla concordata con il responsabile del reparto, ossia il Dott. P. che sostituiva il Dott. M., cosa che era poi avvenuta, essendo stato programmato l'intervento per il giorno 09/01/2013, tanto è vero che la Ca. si era ricoverata la sera precedente. Il Dott. C., infine, aveva ricordato come proprio la paziente gli avesse riferito - evidentemente nel corso della degenza - delle perdite ematiche che ella aveva avuto nel viaggio in auto, da Villacidro a Cagliari, nell'imminenza del ricovero; peraltro, come si evince dalla motivazione della sentenza impugnata, alla pag. 3, le perdite ematiche accompagnate da dolori erano state la ragione anche del precedente ricovero della paziente, alla fine del mese di dicembre, di cui pacificamente il Dott. C. era a conoscenza, tanto è vero che, proprio avendo appreso ciò dalla Ca., sua paziente, egli ne aveva ritenuto indispensabile il ricovero per procedere all'intervento chirurgico, concordando poi la data dello stesso con il responsabile del reparto. Alla luce di tali circostanze appare, quindi, difficile sostenere come non fossero riferibili alla responsabilità del Dott. C. le vicende relative al ricovero della Ca., la cui pianificazione era stata seguita personalmente dal predetto sanitario e la cui necessità era stata dallo stesso valutata alla luce di quanto appreso dalla paziente, la cui storia clinica egli ben conosceva per averla già in precedenza seguita. In tal senso, quindi, la Corte territoriale ha evidenziato tutte le circostanze alla luce delle quali ritenere logicamente riferibili al Dott. C. l'anamnesi riportata in cartella ed eseguita al momento del ricovero, seppur non esplicitando tale riferibilità. Se, quindi, al momento del ricovero della Ca. le annotazioni in cartella fossero state eseguite da una specializzanda - come affermato dal Dott. C. nelle sue dichiarazioni al pubblico ministero, benché egli non ne ricordasse il nome - il medico al quale dette annotazioni erano riferibili, alla luce del ragionamento della Corte di merito, come illustrato, andava individuato sicuramente nel Dott. C., che, si ripete, aveva già predisposto il ricovero. Evidentemente, quindi, la Corte di merito ha ritenuto attendibile la ricostruzione della vicenda effettuata dal C. anche sotto tale aspetto, ascrivendo ad una specializzanda la effettuazione delle annotazioni in cartella all'atto di ricovero in reparto della paziente, come, peraltro, si evince dalla motivazione della sentenza impugnata, alla pag. 17, in cui si è affermato che la raccolta dell'anamnesi della Ca. era stata effettuata da una specializzanda non identificata. La critica svolta dal ricorrente, al contrario, sarebbe stata plausibile se fosse stato dimostrato che la Ca., all'atto del ricovero, fosse stata visitata da un medico strutturato in servizio in reparto, essendo, in tal caso, a tale sanitario riferibili le annotazioni. Ma, come detto, tale circostanza non risulta in alcun modo provata, ma solo alternativamente ipotizzata dal Procuratore generale, che sembra dimenticare come le congetture non possono essere poste a fondamento di una sentenza di condanna. Ne', in ogni caso, sotto un profilo logico, può ritenersi che la riferibilità delle citate annotazioni richiedessero la presenza fisica del Dott. C. al momento del ricovero, posto che egli ben conosceva le condizioni della sua paziente - né il ricorso opina diversamente sul punto -, tanto è vero che ne aveva predisposto egli stesso il ricovero, funzionale al taglio cesareo da praticarsi il giorno dopo, ritenendo che tale intervento chirurgico fosse indispensabile proprio per le ravvisate condizioni di urgenza. Peraltro, proprio dalla documentazione clinica allegata al ricorso si evince inequivocabilmente che la cartella clinica indicasse, alla pag. 1 - annotazione che non è oggetto di imputazione e, quindi, pacificamente non alterata - sia la tipologia di ricovero, "programmato", che il medico che avrebbe eseguito, in data 09/01/2013, il taglio cesareo, ossia il Dott. C.. Anche da un punto di vista logico, quindi, risulta evidente come la motivazione della sentenza impugnata abbia indicato gli elementi alla stregua dei quali ritenere insussistente, pure in relazione alle circostanze indicate nell'anamnesi di ingresso, la contestata fattispecie di reato, posto che il ricovero della Ca. non si era verificato di urgenza - il che avrebbe, evidentemente, richiesto una diagnosi da parte di un medico strutturato, alla luce della vigente normativa ma era stato programmato in base ad emergenze cliniche già valutate dal medico curante, il Dott. C., la cui presenza fisica, in tale specifico contesto, quindi, non può essere ritenuta essenziale o dirimente per la riferibilità al predetto sanitario delle annotazioni riportate in cartella da una specializzanda non identificata. 3. Il Collegio, peraltro, deve prendere atto della sussistenza, nell'ordito motivazionale della sentenza impugnata, di un passaggio incongruo che, tuttavia, non si risolve in un vizio di motivazione rilevante ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e). La Corte territoriale, come detto, ha dato rilievo alla formulazione del D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368, art. 38, comma 3 secondo cui "La formazione del medico specialista implica la partecipazione guidata alla totalità delle attività mediche dell'unità operativa presso la quale è assegnato dal Consiglio della scuola, nonché la graduale assunzione di compiti assistenziali e l'esecuzione di interventi con autonomia vincolate alle direttive ricevute dal tutore, di intesa con la direzione sanitaria e con i dirigenti responsabili delle strutture delle aziende sanitarie presso cui si svolge la formazione. In nessun caso l'attività del medico in formazione specialistica è sostituiva del personale di ruolo."; non a caso, nel passaggio motivazione alla pag. 16 della sentenza impugnata - in precedenza citato - la Corte territoriale ha sottolineato il concetto di "autonomia vincolata" contenuta nel testo normativo. In coerenza con tale inquadramento, quindi, la sentenza impugnata ha qualificato come compiti "di assistenza in autonomia quasi completa" la documentazione in cartella clinica, richiamando proprio la raccolta di anamnesi, verificatasi, nel caso di specie, da parte della specializzanda non identificata al momento del ricovero programmato della Ca.. Sicuramente singolare, quindi, risulta l'affermazione che si legge nella successiva proposizione, secondo cui "In questi casi, in linea con il livello di autonomia quasi piena riconosciutogli per tali prestazioni, si può senz'altro ritenere che le annotazioni subito inserite nella cartella clinica assumano nell'immediato un valore definitivo e non modificabile". Tale snodo e', sicuramente, del tutto illogico e confligge palesemente non solo con il dato testuale delle norma dinanzi citata - secondo cui in nessun caso l'attività del medico in formazione specialistica è sostitutiva del personale di ruolo -, ma anche con la giurisprudenza della Corte costituzionale citata e pienamente condivisa dalla stessa Corte territoriale. Non a caso, infatti, a pag. 16 della motivazione, si dà atto della pronuncia n. 249 del 05/12/2018 del giudice delle leggi, in riferimento ad una legge della regione Lombardia che, consentendo al medico in formazione specialistica di svolgere la propria attività autonomamente e limitando l'intervento del tutor ad un'eventuale consultazione o a un tempestivo intervento, era stata denunciata come contrastante con l'art. 117 Cost., comma 3, in relazione ai principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute e delle professioni; in particolare, era stata denunciata la violazione proprio del D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 38, comma 3. Sul punto la Corte costituzionale ha ricordato che "La disciplina statale prefigura una progressiva autonomia operativa del medico in formazione, con la possibilità di eseguire interventi assistenziali, purché ciò avvenga con gradualità, in coerenza con il percorso formativo e comunque con la supervisione di un medico strutturato, preferibilmente il tutore (cosiddetta "autonomia vincolata"). D'altronde, pur volendo ritenere che non sia sempre necessaria la costante presenza fisica del tutor o di un medico di ruolo in ciascuna attività dello specializzando (cosa che neppure la legislazione statale prevede), l'autonomia di quest'ultimo non potrebbe comunque mai prescindere dalle direttive del tutore. In altri termini, il D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 38, comma 3, coniuga due principi: il principio dell'insostituibilità del personale strutturato da parte dello specializzando e quello della sua graduale assunzione di responsabilità e autonomia operativa". La sentenza impugnata ha chiaramente condiviso tale inquadramento ed i relativi principi ermeneutici, alla luce dei quali ha operato la ricostruzione della vicenda processuale, come poi dimostrato dall'analisi contenuta nelle pagg. 17 e segg., in cui, proprio in applicazione di tali snodi, ha riformato la sentenza di primo grado mandando assolto l'imputato perché il fatto non sussiste. Il complesso argomentativo nella sua interezza, pertanto, appare del tutto coerente, non potendo essere messo in crisi da una singola - sicuramente infelice - affermazione e, soprattutto, appare del tutto logica l'applicazione degli illustrati principi, più volte ribaditi dalla Corte di merito, con le conclusioni raggiunte in tema di insussistenza del reato. Sotto tale aspetto, quindi, appare evidente come la frase, chiaramente incoerente rispetto al complessivo assetto motivazionale, appaia in sostanza ininfluente rispetto alla tenuta argomentativa del provvedimento, non contenendo affermazioni idonee a scardinare la complessiva tenuta dell'apparato logico e la coerenza con esso delle conclusioni raggiunte. Il che, in altri termini, significa che l'aporia lessicale indicata risulti del tutto limitata e non si traduca in un vizio motivazione rilevante nella presente sede processuale. Sotto altro aspetto, infine, non può che sottolinearsi come, anche alla luce del citato approdo della Corte costituzionale, sia ulteriormente confermato che, ai fini della riferibilità al tutor delle attività svolte dallo specializzando, non risulti affatto necessaria la costante presenza fisica del medico strutturato, non essendo ciò previsto dalla legislazione statale, posto che l'autonomia dello specializzando non potrebbe comunque mai prescindere dalle direttive del tutore. Nel caso in esame, quindi, alla luce delle circostanze di fatto evidenziate in sentenza - e non contestate in ricorso - appare evidente come debba ritenersi ulteriormente dimostrato che la sola assenza fisica del C., al momento del ricovero programmato della sua paziente, risulti irrilevante ai fini di provare la non riferibilità al predetto delle relative annotazioni in cartella, riferibilità emersa, al contrario. alla stregua delle ulteriori emergenze processuali rinvenibili dalla motivazione. Sotto tale profilo, quindi, il percorso logico-motivazionale della sentenza impugnata appare del tutto coerente con le premesse fattuali, anche in relazione al falso contestato in relazione alle annotazioni in sede di ricovero, risultando la singola affermazione contenuta alla pag. 17 della sentenza una incoerenza argomentativa non rilevante ai fini della complessiva tenuta motivazionale. 4. Il Collegio, peraltro, ritiene necessario sottolineare come la premessa metodologica della sentenza impugnata risulti coerente con gli approdi della giurisprudenza di questa Corte regolatrice. La Corte territoriale ha esordito citando Sez. 5, n. 55385 del 22/10/2018, Passafiume Salvatore, Rv. 274607, secondo cui "Integra il reato di falso materiale in atto pubblico l'alterazione di una cartella clinica mediante l'aggiunta, in un momento successivo, di una annotazione, ancorché vera, non rilevando, infatti, a tal fine, che il soggetto agisca per ristabilire la verità, in quanto la cartella clinica acquista carattere definitivo in relazione ad ogni singola annotazione ed esce dalla sfera di disponibilità del suo autore nel momento stesso in cui la singola annotazione viene registrata."; in tal senso si sono espresse anche: Sez. 5, n. 37314 del 29/05/2013, P., Rv. 257198; Sez. 5, n. 35167 del 11/07/2005, Pasquali, Rv. 232567. In realtà, come si evince dalla lettura delle relative motivazioni, in tutti i casi esaminati dai precedenti citati, le annotazioni contenute in cartella erano state effettuate, e poi modificate, da un medico strutturato, ossia da un soggetto direttamente responsabile delle annotazioni medesime e, quindi, delle loro successive modifiche, immutazioni e alterazioni, costituenti, per i principi indicati dalla giurisprudenza citata, altrettante falsificazioni. A differenza di quanto verificatosi in tali vicende, quella in esame, come visto, presenta la peculiarità dell'essere state le annotazioni modificate dal C. poste in essere da una specializzanda - non identificata in sede di ricovero ed individuata nella Dott.ssa Prasciolu nel caso del diario operatorio -, sicché ciò che viene in rilievo non è il profilo - del tutto incontestato - della irrilevanza del fine, volto a ristabilire la verità, in funzione del quale il soggetto agisce, bensì la circostanza - chiaramente evidenziata dalla Corte di merito - che le specifiche modalità redazionali dei documenti sanitari in esame non avessero acquisito alcuna connotazione di definitività, in relazione alle singole annotazioni, nel momento in cui il C. vi aveva apportato le modifiche esaminate. In sostanza, come emerge dalla motivazione della sentenza impugnata, a pag. 19, la cartella clinica contenente annotazioni materialmente redatte da uno specializzando - sia in riferimento ad attività operatorie cui abbia assistito, sia in riferimento ad attività svolte nell'ambito della limitata autonomia prevista dalla normativa di settore, su indicazione o seguendo le direttive del tutor - non possono mai ritenersi definitive ed immodificabili prima del controllo del medico responsabile, bensì costituiscono un atto logicamente equiparabile ad una bozza, il cui autore formale può e deve essere ritenuto esclusivamente il medico strutturato che ha svolto l'attività o alle cui direttive ed indicazioni lo specializzando si è attenuto; il medico, quindi, deve personalmente verificare la regolarità e la correttezza delle annotazioni, proprio al fine di verificarne la conformità non solo con il proprio operato, ma anche con le direttive impartite, a seconda delle tipologia delle annotazioni, e solo all'esito di tale verifica l'atto può essere ritenuto completo dal punto di vista del suo rilievo pubblicistico e solo a partire da tale fase ogni successiva alterazione può integrare, sussistendone gli ulteriori requisiti normativi, la fattispecie di falso materiale di cui all'art. 476 c.p., comma 2. 5. Quanto al terzo motivo di ricorso, infine, va aggiunto alle argomentazioni sin qui illustrate che esso si fonda su di un'affermazione del tutto illogica, ossia che il Dott. C. avesse rappresentato una situazione di urgenza al solo fine di legittimare l'anticipazione del parto rispetto alle direttive impartite dal responsabile del reparto, poco rilevando che tale situazione di urgenza fosse effettiva o meno. Sembra, infatti, sfuggire al Procuratore generale che se il C. avesse rappresentato una situazione di urgenza non corrispondente ai dati clinici a sua conoscenza, egli avrebbe dovuto rispondere, oltre che di falso materiale, anche di falso ideologico, fattispecie che non risulta in contestazione, non essendo emerso alcun elemento da cui indurre tale circostanza. Al contrario, la sentenza impugnata dà atto, alla luce della documentazione sanitaria acquisita, di come anche il precedente ricovero della Ca., nel mese di dicembre, fosse stato causato da perdite ematiche e da dolori, e che lo stesso Dott. M., come già in precedenza ricordato, avesse convenuto sulla necessità di procedere con urgenza al taglio cesareo, anche prima della trentanovesima settimana, in presenza di tali dati (pag. 5 della sentenza impugnata). Ne' risulta in alcun modo dimostrato che le condizioni della Ca. non fossero coerenti con le ragioni di urgenza ravvisate dal Dott. C., circostanza che - appare del tutto superfluo ricordarlo - avrebbe dovuto essere dimostrata dall'accusa all'esito delle indagini preliminari; la sentenza impugnata, al contrario, si fonda proprio sull'assunto - neanche messo in discussione in ricorso - della effettiva sussistenza delle condizioni cliniche che avevano indotto il C. ad anticipare il taglio cesareo. Impregiudicata, quindi, l'eventuale rilevanza della condotta del Dott. C. a livello disciplinare, l'impianto della sentenza impugnata - a prescindere dalla rilevata aporia argomentativa - appare del tutto coerente con i principi giurisprudenziali che questa Corte regolatrice ha pacificamente declinato in riferimento alla fattispecie in esame, nella sua peculiarità fattuale e circostanziale, accuratamente e logicamente analizzata dalla Corte territoriale. Alla luce di quanto sin qui rappresentato, il ricorso del Procuratore generale va, pertanto, rigettato. P.Q.M. Rigetta il ricorso del P.G. Così deciso in Roma, il 18 novembre 2022. Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2023
bottom of page