RITENUTO IN FATTO
1. Oggetto dell'impugnazione è la sentenza con la quale la Corte d'appello di L'Aquila, confermando la condanna pronunciata in primo grado, ha ritenuto T.E. responsabile dei reati di cui all'art. 612 c.p., comma 2 e art. 639 c.p. (capo B, per aver minacciato M.A. brandendo in mano un coltello a serramanico); la L. n. 110 del 1975, art. 4, comma 2, e art. 61 c.p., n. 2 (capo C, per aver portato fuori dell'abitazione, senza giustificato motivo, uno strumento da punta e taglio atto ad offendere); D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 73 (capo D, perché, sottoposto alla misura di prevenzione dell'avviso orale, circolava alla guida dell'autovettura senza titolo abilitativo, già revocato); 495 c.p. (capo E, perché, durante un controllo di polizia, interrogato sulla sua identità, forniva generalità false).
2. Il ricorso, proposto nell'interesse dell'imputato, si compone di cinque motivi d'impugnazione.
2.1. Il primo attiene al capo C) e deduce vizio di motivazione, nella parte in cui, essendo stato ritrovato il coltello quattro giorni dopo, non vi sarebbe stata alcuna verifica in ordine al motivo del porto al momento del fatto, unico rilevante nell'economia della fattispecie incriminatrice.
2.2. Il secondo, anche questo relativo al capo C), attiene alla sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 2 e deduce il difetto di motivazione della sentenza in ordine all'accertamento del profilo soggettivo di tale aggravante e, quindi, dell'effettiva finalizzazione dell'attività alla realizzazione del reato scopo.
2.3. Il terzo, formulato sotto il profilo della violazione di legge, attiene al capo D) e lamenta la ritenuta sussistenza del reato. Secondo la difesa, essendo il ricorrente destinatario di un semplice avviso orale e non essendo questo una vera e propria misura di prevenzione personale, mancherebbe il necessario presupposto normativo richiesto per l'applicazione della sanzione penale. Peraltro, la norma imporrebbe una specifica sequenza cronologica e un necessario legame funzionale tra la revoca della patente e l'avviso orale; sequenza che, essendo in concreto invertita, escluderebbe comunque l'applicabilità della norma.
2.4. Il quarto attiene al capo E) e deduce vizio di motivazione, nella parte in cui la sentenza non darebbe conto di come, dalle dichiarazioni asseritamente false, raccolte al momento del controllo di polizia, si sia giunti proprio all'identificazione del ricorrente. In ogni caso, la norma presupporrebbe, secondo la prospettazione difensiva, che gli agenti e gli ufficiali di polizia giudiziaria non avessero avuto altri mezzi d'identificazione. Laddove, al momento del controllo, i verbalizzanti ben avrebbero potuto procedere ad un fermo identificativo, acquisendo, attraverso la strumentazione in dotazione, i reali dati identificativi.
2.5. Il quinto, in ultimo, attiene al capo B) e deduce vizio di motivazione, in relazione alle ritenute potenzialità intimidatorie della condotta assunta dal ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo e il secondo motivo non solo sono inammissibili, in quanto proposti per la prima volta solo in questa sede, ma sono anche manifestamente infondati.
Il primo perché il giustificato motivo deve essere fornito dall'agente (peraltro, al momento del fatto: Sez. 1, n. 18925 del 26/02/2013, Rv. 256007) e il ricorrente non ha allegato (neanche in questa sede) alcuna valida giustificazione.
Il secondo perché, in concreto, il reato mezzo è un reato permanente (Sez. 1, n. 4896 del 16/11/2017, dep. 2019, Rv. 276165) e, in tal caso, non è necessario che la finalizzazione della volontà sussista al momento dell'inizio della permanenza, ben potendo sopravvenire successivamente, nel corso della concreta consumazione. D'altronde, ai fini della sussistenza dell'aggravante, è sufficiente che la volontà del soggetto agente sia diretta alla commissione del reato-fine e che a tale scopo egli si sia servito del reato-mezzo (Sez. 5, n. 22 del 26/11/2019, dep. 2020, Rv. 277754).
2. Il terzo motivo e', invece, fondato.
Al T. è contestato, al capo D), il reato di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 73, perche, essendo sottoposto alla misura di prevenzione personale dell'avviso orale, avrebbe condotto un'autovettura nonostante fosse privo del necessario titolo abilitativo, in precedenza revocato.
Sostiene il ricorrente che, da un canto, la patente di guida gli sarebbe stata revocata prima e del tutto indipendentemente dall'emanazione dell'avviso orale (e quindi mancherebbe quella necessaria scansione temporale e quel necessario collegamento funzionale tra la revoca e l'applicazione della misura), dall'altro l'avviso orale "semplice", non accompagnato dalle prescrizioni previste dal D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 3, comma 4, non potrebbe ritenersi, ai fini che qui rilevano, una vera e propria misura di prevenzione personale.
Ebbene, il richiamato art. 73 commina la pena è dell'arresto da sei mesi a tre anni a chiunque guidi un autoveicolo o motoveicolo, senza patente o dopo che la patente sia stata negata, sospesa o revocata, qualora si tratti di persona già sottoposta, con provvedimento definitivo, a una misura di prevenzione personale. La medesima condotta, in mancanza di tale condizione, è sanzionata dall'art. 116 C.d.S., comma 15, con una semplice sanzione amministrativa (salvo il caso di recidiva nel biennio). Ed è proprio in ciò che risiede la ragione principale della fondatezza delle censure mosse.
La questione, in diverse occasioni, è stata sottoposta alla valutazione di questa Corte, con esiti fra loro contrastanti. In estrema sintesi, gli argomenti utilizzati si fondano, da un canto, sull'esplicito dato letterale ("il reato di cui al D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 73 non distingue tra le varie ipotesi di misura personali. Cosicché non vi è ragione di escludere quelle disposte dall'autorità amministrativa e, quindi, l'avviso orale": Sez. 1, n. 418 del 17/11/2022, dep. 2023, Rv. 283945) e, dall'altro, sulla natura - sostanziale dell'avviso orale "semplice", in ipotesi non suscettibile di essere ricompreso all'interno della categoria delle misure di prevenzione personali ("non integra il reato di cui al D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 73, la guida di un autoveicolo senza patente, o dopo che la stessa sia stata revocata, da parte del destinatario di un mero avviso orale del questore, che, senza la prescrizione dei divieti previsti dall'art. 3, comma 4, del citato D.Lgs., non costituisce misura di prevenzione, non comportando limitazioni alla libertà personale": Sez. 1, n. 47713 del 27/10/2022, Rv. 283820).
Sulla natura dell'avviso orale "semplice" (e sulla sua conseguente estraneità rispetto al perimetro normativo proprio delle misure personali, nonostante l'esplicita indicazione normativa contenuta nel D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 3), sono state svolte ampie argomentazioni, riconducibili al dato contenutistico (l'avviso orale "mero" non comporta alcuna limitazione per il soggetto, che è invitato "a tenere una condotta conforme alla legge", obbligo che grava su tutti i cittadini), al dato storico (L. n. 1423 del 1956, art. 4 non configurava l'avviso orale del questore come misura di prevenzione), alla conseguente interpretazione da offrire in relazione all'attuale art. 73 (riproduttivo del L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 6, che non puniva la condotta di guida senza patente di un soggetto sottoposto ad avviso orale, attesa l'evidenziata natura di quest'ultimo) e ai relativi presupposti applicativi (per l'emissione dell'avviso orale da parte del Questore non è necessario un giudizio di pericolosità per la sicurezza pubblica, che invece è previsto dall'art. 6 per le misure di prevenzione applicate dall'Autorità giudiziaria e, separatamente, per l'emissione del foglio di via obbligatorio).
In questi termini, la già richiamata sentenza (Sez. 1, n. 47713, cit.), ma anche le sezioni civili di questa Corte, nella parte in cui ritengono che detto avviso, in difetto di un accertamento dell'attualità della pericolosità sociale della persona e correlandosi alla mera proclività a commettere azioni delittuose, consiste nella semplice intimazione di tenere una condotta conforme a legge e, quindi, non può essere considerato una misura di prevenzione ai sensi della L. n. 1423 del 1956, ma solo una misura prodromica alle misure di prevenzione vere e proprie (Sez. 1, n. 7973 del 28/03/2017, Rv. 644839). E, in termini analoghi, lo stesso Consiglio di Stato (C.d.S., Sezione 3, sentenza n. 722 14 febbraio 2014).
La disposizione normativa è stata sottoposta anche al vaglio della Corte Costituzionale (n. 211 del 17 ottobre 2022) in relazione alle questioni prospettate da questa stessa Corte (Sez. 6, ordinanza del 10 settembre 2021) e, successivamente, dal Tribunale di Ravenna (ordinanza del 14 marzo 2022), in entrambi i casi sostanzialmente riconducibili alla ritenuta violazione dei principi costituzionali di legalità della pena e di orientamento della stessa all'emenda del condannato, ai quali deve attenersi la legislazione penale, in relazione ai criteri di selezione della fattispecie incriminatrici e alla loro ragionevolezza (art. 3 Cost.), in quanto, secondo i remittenti, l'essere stato sottoposto con provvedimento definitivo a una misura di prevenzione personale, pur trattandosi di evenienza del tutto estranea al fatto-reato della guida senza patente, renderebbe punibile una condotta che, se posta in essere da qualsiasi altro soggetto, non assumerebbe, invece, alcun disvalore sul piano penale.
Questioni che, invero, sono state ritenute infondate alla luce di un'articolata argomentazione, rilevante per la valutazione delle censure sollevate dal ricorrente, che può essere riassunta in questi termini.
L'applicazione delle misure di prevenzione personali ha "lo specifico obiettivo, tra gli altri, di garantire l'attuazione della necessaria vigilanza da parte degli organi di pubblica sicurezza, anche attraverso la previsione di limitazioni della libertà di circolazione". Esigenza imposta in ragione della pericolosità del soggetto agente, già manifestata ed accertata all'interno del procedimento applicativo della misura. Cosicché, "l'indubbia dimensione afflittiva delle misure stesse non e', in quest'ottica, che una conseguenza collaterale di misure il cui scopo essenziale è il controllo, per il futuro, della pericolosità sociale del soggetto interessato: non già la punizione per ciò che questi ha compiuto nel passato".
All'interno di questa cornice, tuttavia, non ogni inadempimento di obblighi generici e indeterminati può essere posto a carico dei destinatari delle misure di prevenzione, ma soltanto quelli che si sostanziano in violazioni di specifiche prescrizioni finalizzate alla tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza. Prescrizioni che, con riferimento alla fattispecie in esame, sono riconducibili all'art. 120 C.d.S..
Tale norma, nella sua attuale formulazione (all'esito della dichiarazione d'incostituzionalità pronunciata con la sentenza n. 99 del 2020), prevede che il provvedimento prefettizio di revoca della patente non sia più automatico e vincolato, ma debba essere fondato su una valutazione discrezionale dell'organo amministrativo. Valutazione che, pur non riproponendo un riesame della pericolosità del soggetto destinatario della misura di prevenzione, si fonda su una verifica di necessità/opportunità della revoca della patente di guida a fronte della specifica misura di prevenzione cui nel caso concreto è sottoposto il suo titolare.
Cosicché, ove la revoca della patente sia giustificata dall'applicazione della misura di prevenzione personale, residua un momento di valutazione, in concreto, della sussistenza di una pericolosità specifica dell'interessato e, quindi, dell'esigenza di limitarne la circolazione alla luce delle ragioni per le quali è stata disposta la misura.
Ed è proprio ciò che giustifica, ad avviso di questo Collegio, il riconoscimento dell'offensività del relativo reato contravvenzionale oggetto della contestazione. Il destinatario di un avviso orale "semplice", in assenza di specifiche prescrizioni aggiuntive sensi del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 3, comma 4, può, legittimamente, possedere o utilizzare: apparati di comunicazione radiotrasmittente; radar e visori notturni; indumenti e accessori per la protezione balistica individuale; mezzi di trasporto blindati o modificati al fine di aumentarne la potenza o la capacità offensiva; armi a modesta capacità offensiva o riproduzioni di armi di qualsiasi tipo, compresi i giocattoli riproducenti armi, altre armi o strumenti, in libera vendita, in grado di nebulizzare liquidi o miscele irritanti non idonei ad arrecare offesa alle persone; prodotti pirotecnici di qualsiasi tipo; sostanze infiammabili e altri mezzi comunque idonei a provocare lo sprigionarsi delle fiamme; programmi informatici ed altri strumenti di cifratura o criptazione di conversazioni e messaggi. Ma, secondo l'interpretazione accolta dalla sentenza impugnata e dall'indirizzo sostenuto dalla Sez., 1, n. 418 cit., la guida di un autoveicolo senza la necessaria abilitazione da parte del destinatario di un avviso orale "semplice" avrebbe, per ciò solo, rilevanza penale. Un interpretazione, questa, che non tiene conto della necessaria offensività di cui, ineludibilmente, ogni illecito penale deve essere espressione e che presenta profili di irragionevolezza, in quanto il destinatario di un avviso orale "semplice" non sarebbe gravato dalle prescrizione "tipiche" di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 3, comma 4, mentre, invece, si vedrebbe sanzionato penalmente per una condotta altrimenti rilevante solo sul piano amministrativo.
In un sistema ordinamentale dove il reato deve presupporre l'offesa di interessi ritenuti meritevoli di tutela, alla sanzione penale deve corrispondere un "illecito" congruente in termini di offensività e colpevolezza, in coerenza con gli artt. 3,13 e 25 cpv. Cost., e art. 27 Cost., comma 1, e con i principi convenzionali acquisiti, all'interno del nostro ordinamento, con la Legge-quadro 24 dicembre 2012, n. 234 (che, all'art. 32, tra i "Principi direttivi" per l'attuazione penalistica di discipline UE, legittima l'impiego di illeciti contravvenzionali, ma solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti).
Ciò impone, quindi, una rilettura restrittiva della norma che conduca ad attribuire al fatto descritto dalla norma un disvalore sostanziale tale da giustificare un'esigenza non solo di personalizzazione della responsabilità (che un fatto di inosservanza formale neppure implicherebbe), ma anche di rieducazione e risocializzazione del soggetto agente.
Il principio di offensività, invero, secondo il costante orientamento della Corte Costituzionale (ex multis, sentenze n. 225 del 2008, n. 265 del 2005, nn. 519 e n. 263 del 2000) non vincola solo il legislatore (tenuto a limitare la repressione penale a fatti che, nella loro configurazione astratta, presentino un contenuto offensivo di beni o interessi ritenuti meritevoli di protezione: c.d. offensività in astratto), ma rappresenta un doveroso criterio interpretativo-applicativo anche per il giudice, il quale, nella verifica della riconducibilità della singola fattispecie concreta al paradigma punitivo astratto, dovrà evitare che ricadano in quest'ultimo, alla luce dei comuni criteri ermeneutici, comportamenti privi di qualsiasi attitudine lesiva (c.d. offensività in concreto).
Pertanto, non integra il reato di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 73, la guida di un autoveicolo senza patente o dopo che la stessa sia stata revocata da parte di un avviso orale del questore privo della prescrizione dei divieti di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 3, comma 4.
3. Anche il quarto motivo è inammissibile.
Per come si è detto, il ricorrente lamenta l'omessa indicazione delle modalità con le quali gli agenti sono poi giunti ad accertare le corrette generalità del ricorrente e la concreta sussumibilità della condotta contestata nella fattispecie descritta dall'art. 495 c.p. (alla luce concreta possibilità di una corretta identificazione del soggetto attraverso gli strumenti a disposizione degli agenti).
La prima censura è chiaramente inammissibile, in quanto afferente ad un dato del tutto irrilevante a fronte della effettiva (e non contestata) identificazione del ricorrente.
La seconda è manifestamente infondata. La condotta contestata deve essere effettivamente sussunta nella fattispecie descritta nell'art. 495 c.p., in quanto le false di dichiarazioni sulla reale identità sono state fornite agli agenti operanti da parte di un soggetto (che ha dichiarato di essere) sprovvisto di documenti d'identità. In tali casi, per l'assenza di altri mezzi di identificazione, la dichiarazione costituisce vera e propria attestazione tesa a garantire ai pubblici ufficiali le proprie qualità personali (Sez. 5, n. 7286 del 26/11/2014, dep. 2015, Rv. 262658).
Sotto tale profilo, alcuna rilevanza può avere la circostanza per cui gli agenti avrebbero putto accertare, attraverso gli strumenti a loro disposizione, le effettive generalità del ricorrente: ciò che integra il reato, a fronte del generale obbligo di dare corrette indicazioni sulla propria identità personale, sul proprio stato o sulle altre qualità personali (sanzionato dall'art. 651 c.p.), è l'assenza di documenti d'identità (che, se posseduti, si ha l'obbligo di esibirli: art. 294 reg. es. TULPS). Perché, in mancanza di un valido documento identificativo, il soggetto è comunque tenuto a declinare le proprie esatte generalità, rispetto alle quali, appunto, la dichiarazione resa ha funzione attestativa.
Ed è proprio la "falsa attestazione" che fonda il disvalore della fattispecie incriminatrice e che distingue l'art. 495 c.p. dal successivo art. 496.
4. Anche il quinto motivo è inammissibile in quanto non si confronta con le puntuali argomentazioni offerte dalla corte territoriale, che dà atto di come la concreta potenzialità intimidatrice della condotta assunta dal T. non è da ricollegarsi alla sola frase pronunciata (ritenuta dalla difesa priva di concreta efficacia intimidatoria), ma al complessivo comportamento del ricorrente nel momento in cui, brandendo un coltello, lo ha agitato ripetutamente nei confronti della persona offesa.
Comportamento che, in ragione della natura dell'art. 612 c.p., va valutato prescindendo dalla circostanza per cui la persona offesa non abbia concretamente percepito l'oggettivo contenuto minaccioso della condotta assunta dal soggetto agente (Sez. 2, n. 21684 del 12/02/2019, Rv. 275819).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al capo D), perché il fatto non sussiste ed elimina la relativa pena di giorni 20 di reclusione.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2023.
Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2023