RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza emessa il 02/11/2020 dal Tribunale di Ancona all'esito di giudizio abbreviato, ha rideterminato - previa esclusione dell'aggravante prevista dall'art. 61, n. 2, cod. pen. e previa concessione delle circostanze attenuanti generiche - in mesi otto di reclusione, con applicazione della sanzione accessoria della sospensione della patente di guida per anni due e mesi sei, la pena irrogata nei confronti di Ga.Fa., imputato dei reati previsti dall'art. 189, commi 6 e 7, D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285; poiché, dopo aver cagionato un incidente stradale in quanto - alla guida della propria vettura - aveva tamponato il velocipede condotto da Ma.Mi., non aveva ottemperato all'obbligo di fermarsi né aveva prestato la dovuta assistenza al suddetto.
La sentenza di appello ha premesso la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di primo grado e in base alla quale era emerso che l'imputato, dopo avere provocato la caduta del Ma.Mi., si era allontanato immediatamente dal luogo del sinistro, valutando come non vi fosse alcun dubbio in ordine alla sussistenza del necessario elemento soggettivo, atteso che l'imputato aveva avuto piena consapevolezza del fatto di aver provocato un incidente e del bisogno di immediata assistenza da parte dell'investito, che in conseguenza dell'urto era caduto in terra.
La Corte ha ritenuto infondato il motivo di appello con il quale era stata censurata l'ordinanza emessa dal Tribunale e con la quale era stata rigettata la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, attesa la condivisibilità in ordine alla prognosi negativa in ordine all'astensione dell'imputato dal commettere ulteriori reati (considerata la presenza di tre precedenti specifici) e la non idoneità del programma di trattamento.
Nel merito dell'imputazione, la Corte ha ritenuto infondato il motivo di appello inerente alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato, atteso che doveva ritenersi provato che l'imputato si era allontanato dal luogo del sinistro senza consentire la propria identificazione rimanendo sicuramente concretizzato il dolo della fattispecie prevista dall'art. 189, comma 6, C.d.s. nonché di quella prevista dal successivo comma 7, essendo ben chiara la consapevolezza in ordine alla potenzialità dell'urto a cagionare lesioni, poi effettivamente constatate; ha altresì, sul punto, ritenuto infondata l'argomentazione difensiva in base alla quale l'imputato non si era rappresentato il bisogno di assistenza nei confronti dell'investito, avendo a tanto provveduto nel mentre altre persone, atteso che l'obbligo di assistenza medesimo doveva ritenersi non delegabile a terzi.
I giudici di appello hanno ritenuto infondato il motivo riguardante la mancata concessione dell'attenuante prevista dall'art. 62, n. 6, cod. pen., atteso che il documentato ristoro eseguito dalla compagnia assicuratrice - responsabile civile - era relativo al solo danno all'integrità fisica e non a quelli derivanti dall'omessa assistenza, avente un distinto bene giuridico tutelato; ha invece accolto il motivo inerente all'aggravante prevista dall'art. 61, n. 2, cod. pen., attesa l'insussistenza di un nesso teleologico tra le due fattispecie contestate e quello riguardante il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, valutandosi in senso positivo la condotta tenuta dall'imputato susseguentemente ai fatti; è stato ritenuto infondato il motivo di appello riguardante la mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, non essendo formulabile una prognosi positiva in ordine all'astensione dalla commissione di ulteriore reati; mentre, in ordine alla durata della sanzione accessoria della sospensione della patente di guida, il giudice di appello ha ritenuto di rideterminare la durata della stessa in anni due e mesi sei, in rettifica di quella di soli due anni disposta dal giudice di primo grado e ritenuta inferiore al limite minimo previsto per legge.
2. Avverso la predetta sentenza ha presentato ricorso Ga.Fa., tramite il proprio difensore, articolando cinque motivi di impugnazione.
Con il primo motivo ha dedotto la violazione di legge - ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. - per inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 189, comma 7, C.d.s. in relazione all'art. 49, comma 2, cod. pen.; il vizio di motivazione sul punto - ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. - per contraddittorietà e manifesta illogicità della stessa; l'inosservanza ed erronea applicazione - sempre in riferimento all'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. - in riferimento agli artt. 42, commi 1 e 2 e 43 cod. pen., in relazione al dolo del delitto di cui all'art. 189, comma 7, C.d.s. e il vizio di motivazione sul punto sempre per contraddittorietà e illogicità della stessa in riferimento all'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
Ha dedotto che la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto della circostanza che l'elemento oggettivo del reato suddetto era concretizzato dall'omissione dell'assistenza occorrente all'altro soggetto coinvolto nel sinistro e che - nel caso di specie - era stata prestata da terze persone, come peraltro dato atto nell'ambito della stessa motivazione della sentenza impugnata e come desumibile dalle informazioni rese nel corso delle indagini preliminari da Ca.Ca. e Fe.Fr., i quali avevano dichiarato di avere immediatamente prestato soccorso alla persona offesa; ha altresì dedotto, sotto il profilo dell'elemento psicologico, che la motivazione della Corte appariva contraddittoria nella parte in cui aveva attribuito rilievo all'elemento rappresentato dal danneggiamento riportato dalla vettura dell'imputato, di cui lo stesso non poteva rendersi conto nel momento in cui si trovava ancora alla guida.
Con il secondo motivo di impugnazione ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione - ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen - in ordine alla mancata concessione dell'attenuante prevista dall'art.62, n.6, cod. pen..
Ha dedotto che la Corte territoriale sarebbe incorsa in errore nel considerare la compatibilità della predetta attenuante in sola relazione alla fattispecie prevista dall'art. 189, comma 7, C.d.s. senza valutare anche la fattispecie prevista dal precedente comma 6, in cui il danno alla persona è elemento costitutivo; ha dedotto che la Corte avrebbe omesso di considerare che la compagnia assicuratrice aveva provveduto al ristoro di tutti danni per una somma comprensiva di tutte le pretese ulteriori oggetto del procedimento penale; ha altresì dedotto che la Corte territoriale, sempre ai fini del riconoscimento della predetta attenuante, avrebbe omesso di considerare che l'imputato si era prima del giudizio adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze del reato versando la somma ulteriore di Euro 300,00.
Con il terzo motivo di impugnazione, ha dedotto - ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen - la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all'applicazione degli artt. 164 e 165 cod. pen., in punto di mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena per dedotta incompatibilità logica con lo svolgimento dei lavori di pubblica utilità.
Ha dedotto la contraddittorietà della sentenza nella parte in cui aveva denegato il predetto beneficio pure concedendo le attenuanti generiche; ha dedotto che la Corte, in considerazione del carattere non specifico delle precedenti condanne, avrebbe dovuto adeguatamente considerare tutti gli elementi previsti dall'art. 133 cod. pen., che avrebbero dovuto essere presi in considerazione nella loro totalità con riguardo alla personalità complessiva dell'imputato e in coerenza con le finalità rieducative della pena.
Con il quarto motivo di impugnazione ha dedotto - ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. - la violazione di legge in riferimento all'art. 545 bis cod. proc. pen. e agli artt. 53 e 56 bis della I. 689/1981, nonché il vizio di motivazione in riferimento all'omessa applicazione della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità.
Ha dedotto che la Corte - nel fare riferimento al presupposto ostativo contenuto nell'art. 186, comma 9bis - avrebbe omesso di considerare l'entrata in vigore del citato art. 545 bis cod. proc. pen. e dell'art. 56 bis della L. 689/1981, che avevano conferito portata generale alla sanzione sostitutiva dei lavori di pubblica utilità, senza prevedere alcun limite numerico rispetto alla loro concessione diversamente da quanto previsto dalla normativa speciale contenuta nel codice della strada.
Con il quinto motivo ha dedotto - ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett.b), cod. proc. pen. - in relazione all'art. 597, comma 3, cod. proc. pen., per violazione del principio del divieto della reformatio in peius e in riferimento all'art. 8 della L. n.689/1981 in ordine al cumulo materiale delle sanzioni amministrative accessorie conseguenti alla condanna per i reati di cui all'art. 189, commi 6 e 7, C.d.s..
Ha argomentato che la Corte territoriale - nel disporre l'aumento della durata della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida - non avrebbe tenuto adeguatamente in conto la recente giurisprudenza della Corte Costituzionale che aveva ribadito la connotazione sostanzialmente punitiva di tali sanzioni, alla luce della quale doveva essere rivista l'interpretazione in ordine alla non applicabilità alle stesse del divieto di reformatio in peius in mancanza di impugnazione sul punto da parte del p.m., sollevando - in via subordinata - questione di legittimità costituzionale dell'art. 597, comma 3, cod. proc. pen.; ha altresì censurato la sentenza impugnata nella parte in cui non aveva ritenuto applicabile l'istituto della continuazione ai sensi dell'art. 8 della L. n.689/1981, attesa l'unicità del fatto commesso dall'imputato, vertendosi quindi in un'ipotesi di concorso formale eterogeneo.
3. Il Procuratore generale ha deposito requisitoria scritta, nella quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Nel primo punto del primo motivo di impugnazione, il ricorrente ha contestato la valutazione della Corte territoriale in ordine alla sussistenza dell'elemento oggettivo del delitto di omessa assistenza, in relazione all'art.189, comma 7, C.d.s., asseritamente non concretizzato nel caso di specie in quanto non vi sarebbe stato un effettivo bisogno in capo alla persona offesa in considerazione del fatto che la stessa sarebbe stata soccorsa da soggetti che si trovavano nei pressi del luogo dell'incidente.
La doglianza è inammissibile, in quanto manifestamente infondata.
Va difatti rilevato che la sentenza impugnata, ha sul punto, fatto coerente applicazione del principio in base al quale, in caso d'incidente stradale il conducente del veicolo, ai sensi dell'art. 189 C.d.S., ha l'obbligo di fermarsi (ai sensi del comma 6) e di prestare assistenza (ai sensi della comma 7) quando vi sono stati danni alle persone e che tale condotta va tenuta a prescindere dall'intervento di terzi, poiché si tratta di un dovere che grava su chi si trova coinvolto nell'incidente medesimo; né è possibile in tale frangente affidarsi a mere ipotesi di soccorso per l'invocato intervento della polizia o di altre autorità preposte, almeno fino al momento in cui non abbia conseguito l'assoluta certezza dell'avvenuto soccorso (Sez. 4, n. 8626 del 07/02/2008, Di Vece, Rv. 238973).
Ne consegue che, coerentemente, la Corte territoriale ha ritenuto che non potesse ritenersi venuto meno l'elemento oggettivo del reato in relazione alla circostanza rappresentata dal soccorso prestato alla persona offesa da una persona presente al fatto, atteso che il ricorrente avrebbe comunque avuto l'obbligo di fermarsi e di prestare a propria volta la dovuta assistenza sino al momento dell'assunzione del relativo obbligo da parte di terzi soggetti tenuti alla medesima.
Con il secondo punto di doglianza contenuto nel primo motivo, il ricorrente ha censurato la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto integrato l'elemento psicologico proprio del delitto di mancata assistenza, ritenendo che l'imputato non fosse nelle condizioni di rendersi conto del bisogno di cura e di assistenza della persona offesa.
Anche tale doglianza è inammissibile, in quanto manifestamente infondata.
Quanto alla valutazione dell'elemento soggettivo, la pronuncia della Corte territoriale si è difatti collocata, sul punto, nell'alveo del consolidato orientamento di questa Corte di legittimità secondo cui il dolo tipico dei reati previsti dall'art. 189, commi 6 e 7, cod. strada è integrato anche in presenza del dolo eventuale, ravvisabile in capo all'utente della strada il quale, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento ed avente connotazioni tali da evidenziare in termini di immediatezza la concreta eventualità che dall'incidente sia derivato danno alle persone, non ottemperi all'obbligo di prestare la necessaria assistenza ai feriti.
In pratica, per la punibilità è necessario che ogni componente del fatto tipico (segnatamente il danno alle persone e l'esservi persone ferite, necessitanti di assistenza, oltre alla mancata fermata e alla mancata assistenza medesima) sia conosciuta e voluta dall'agente; a tal fine, è però sufficiente anche il dolo eventuale, che si configura normalmente in relazione all'elemento volitivo, ma che può attenere anche all'elemento intellettivo, quando l'agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso il rischio: ciò significa che, rispetto alla verificazione del danno alle persone eziologicamente collegato all'incidente, è sufficiente che, per le modalità di verificazione di questo e per le complessive circostanze della vicenda, l'agente si rappresenti la probabilità - o anche la semplice possibilità - che dall'incidente sia derivato un danno alle persone e che queste necessitino di assistenza e, pur tuttavia, accettandone il rischio, ometta di fermarsi (Sez. 4, n. 6904 del 20/11/2013, dep. 2014, Richichi, n.m.; Sez. 4, n. 36270 del 24/05/2012, Bosco, n.m.; Sez. 4, n. 33294 del 14/05/2008, Curia, Rv. 242113; Sez. 4 n. 54809 del 18/10/2017, Conti, n. m.; Sez. 4, n. 33772 del 15/06/2017, Dentice, Rv. 271046; Sez. 4, n. 27241 del 16/09/2020, Resca, n.m.).
Ciò posto, la Corte territoriale - con motivazione coerente con i predetti principi e non manifestamente illogica - ha valutato che, sulla base della modalità dell'urto e dei danni riportati dal veicolo (indipendentemente dal concreto riscontro in ordine alla loro entità), l'imputato non potesse non essersi reso immediatamente conto del sinistro, avendo quindi ritenuto come pienamente sussistente la consapevolezza dell'incidente e la necessità di soccorso del guidatore del mezzo coinvolto.
3. Con il secondo motivo, la difesa del ricorrente ha censurato l'omessa applicazione della circostanza attenuante del risarcimento del danno, ritenendo che il risarcimento medesimo avrebbe dovuto essere considerato in relazione a entrambe le fattispecie contestate, atteso il ristoro apportato alla persona offesa da parte della compagnia assicuratrice per la responsabilità civile.
Il motivo è infondato, dovendo richiamarsi sul punto I orientamento negativo già espresso da questa Sezione e al quale si ritiene di dover dare continuità (con specifico riferimento alle conclusioni espresse da Sez. 4, n. 5050 del 17/01/2019, Lazzaro, Rv. 275117; Sez. 4, n. 27206 del 16/05/2019, Di Salvatore, Rv. 275871).
Va rilevato, sul punto, che il ricorrente appare sovrapporre i danni arrecati dal sinistro stradale e quelli riconducibili all'omesso soccorso.
Con tutta evidenza il ristoro dell'assicurazione, potrà al più riguardare i primi, ma non i secondi; come chiarito da questa Corte di legittimità, laddove ha affermato che la circostanza attenuante dell'integrale riparazione del danno non è applicabile al reato di omessa prestazione dell'assistenza occorrente dopo un incidente stradale, trattandosi di reato istantaneo di pericolo, in cui il bene giuridico tutelato non è l'integrità della persona ma la solidarietà sociale; con argomentazione logicamente estensibile alla fattispecie di fuga prevista dall'art.189, comma 6, C.d.s..
Peraltro, risulta ormai superato il dictum di questa Sez. 4, n. 9323 del 28/01/2014, Asslani, Rv. 258188 che in un caso in cui l'imputato aveva risarcito i danni ad un veicolo e le lesioni al suo conducente cagionati a seguito della guida in stato di ebbrezza, aveva affermato che la circostanza attenuante comune di cui all'art. 62 n. 6 prima ipotesi (l'aver prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso) fosse configurabile anche in relazione al reato di guida in stato di ebbrezza, giacché non sarebbe necessario prendere in esame l'oggettività giuridica del reato, essendo compito del giudice accertare esclusivamente se l'imputato - prima del giudizio - avesse integralmente riparato il danno mediante l'adempimento delle obbligazioni risarcitone e/o restitutorie che, ai sensi dell'art. 185 cod. pen., trovano la loro fonte nel reato.
Nel più recente approdo ermeneutico - che il Collegio condivide ed intende rafforzare - si è affermato che la circostanza attenuante dell'integrale riparazione del danno non è applicabile al reato di guida in stato di ebbrezza in caso di avvenuto risarcimento delle lesioni che ne sono conseguite, in quanto la causazione di lesioni a terzi, pur essendo una possibile conseguenza della condotta di guida in Stato di alterazione, non costituisce effetto normale di tale reato secondo il criterio della c.d. regolarità causale (così Sez. 4, n. 31634 del 27/04/2018, Giussani, Rv. 273083; conf., quanto all'affermazione che la responsabilità per il danno derivante da reato comprende anche i danni mediati ed indiretti che costituiscano effetti normali dell'illecito secondo il criterio della cosiddetta regolarità causale si vedano Sez. 5, n. 4701 del 21/12/2016 dep. 2017, Pota e altri, Rv. 269271;. Sez. 2, Sentenza n. 23046 del 14/05/2010, Cesarini ed altri, Rv. 2472^94).
Mentre l'attenuante del risarcimento del danno sarebbe, invece, ben compatibile (naturalmente, ricorrendone le condizioni: cfr. Sez. 4, n. 6144 del 28/11/2017, dep. 2018, M.V., Rv. 271969-01), con l'eventuale reato di lesioni colpose che sia connesso a quelli di fuga e/o di omissione di soccorso stradale.
D'altra parte, appare infondato anche il punto di doglianza relativo all'intervenuto esborso, da parte dell'imputato, di denaro proprio al fine di elidere o attenuare la conseguenze dannose del fatto; indipendentemente dal fatto che il motivo appare generico in ordine all'essenziale elemento rappresentato dall'anteriorità della condotta rispetto alla celebrazione del giudizio, va argomentato come la condotta medesima debba considerarsi irrilevante proprio alla luce della sopra richiamata natura plurioffensiva dei reati ascritti.
4. Con il terzo motivo, la difesa del ricorrente ha censurato la mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Il motivo è infondato.
Va ritenuto infondato, in riferimento al primo profilo di doglianza contenuto nel motivo di impugnazione, il riferimento alla dedotta contraddittorietà tra il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e il mancato riconoscimento della sospensione condizionale della pena.
Sul punto, difatti, questa Corte ha ripetutamente ritenuto che non sussiste incompatibilità tra il diniego della sospensione condizionale della pena e la concessione delle attenuanti generiche, o viceversa, avendo i due istituti diversi presupposti e finalità, in quanto il secondo risponde alla logica di un'adeguata commisurazione della pena, mentre il primo si fonda su un giudizio prognostico strutturalmente diverso da quello posto a fondamento delle attenuanti generiche (Sez. 4, n. 39475 del 16/02/2016, Tagli, Rv. 267773; Sez. 4, n. 27107 del 15/09/2020, Tedesco, Rv. 280047).
Infondato è altresì il punto di doglianza relativo alla correttezza dei parametri adottati dalla Corte territoriale ai fini del diniego del beneficio; la quale, sul punto, ha argomentato il diniego medesimo sulla base della presenza di tre precedenti condanne definitive e della mancata resipiscenza riscontrata anche all'esito della concessione della sanzione sostitutiva dei lavori di pubblica utilità in relazione a una condanna per guida in stato di ebbrezza.
Sul punto - con orientamento cui questa Corte ritiene di dover dare continuità - è stato rilevato che in tema di sospensione condizionale della pena, il giudice di merito, nel valutare la concedibilità del beneficio, non ha l'obbligo di prendere in esame tutti gli elementi richiamati nell'art. 133 cod. pen., potendo limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti in senso ostativo alla sospensione, ivi compresi i precedenti giudiziari (Sez. 5, n. 57704 del 14/09/2017, P., Rv. 272087 Sez. 4, n. 48013 del 12/07/2018, M., Rv. 273995; Sez. 5, Sentenza n. 17953 del 07/02/2020, Filipache, Rv. 279206).
Deve quindi ritenersi del tutto congrua e coerente con il predetto principio la valutazione della Corte territoriale, la quale ha ritenuto di formulare una prognosi negativa in ordine all'attitudine dell'imputato ad astenersi dalla commissione di ulteriori reati sulla base delle tre precedenti condanne definitive.
5. Con il quarto motivo, la difesa dell'imputato ha censurato la mancata applicazione - all'esito della rideterminazione della pena operata dal giudice di appello - di una delle sanzioni sostitutive previste dagli artt. 53 e ss., L. 689/1981, nel testo applicabile ratione temporis e con specifico riferimento al lavoro di pubblica utilità, essendo la sentenza stata pronunciata dopo le modifiche introdotte dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n.150.; con la conseguenza che il giudice di appello, attesa la rideterminazione suddetta, avrebbe dovuto dare avviso all'imputato della possibilità di dare luogo alla sostituzione ai sensi dell'art. 545 bis cod. proc. pen. e che sarebbero comunque sussistiti i presupposti per dare luogo alla richiesta applicazione della sanzione del lavoro di pubblica utilità, attesa la valenza generale del neointrodotto art. 56 bis della L. 689/1981 e pure in presenza di una precedente concessione.
Il motivo è complessivamente infondato in ordine a entrambi i profili prospettati.
Va difatti osservato che, in tema di sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, il giudice non deve in ogni caso proporre all'imputato l'applicazione di una pena sostitutiva, essendo investito, al riguardo, di un potere discrezionale, sicché l'omessa formulazione, subito dopo la lettura del dispositivo, dell'avviso di cui all'art. 545 bis, comma 1, cod. proc. pen., non comporta la nullità della sentenza, presupponendo un'implicita valutazione dell'insussistenza dei presupposti per accedere alla misura sostitutiva.
Tanto in coerenza con il disposto del vigente testo dell'art. 58 della L. n. 689/1981, ai sensi del quale "Il giudice, nei limiti fissati dalla legge e tenuto conto dei criteri indicati nell'articolo 133 del codice penale, se non ordina la sospensione condizionale della pena, può applicare le pene sostitutive della pena detentiva quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati. La pena detentiva non può essere sostituita quando sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato"; con la conseguenza che l'applicazione della sanzione sostitutiva non costituisce un diritto del condannato.
Nel caso di specie, va quindi rilevato come - nell'ambito della motivazione - il Giudice di secondo grado abbia compiutamente dato atto dei presupposti ostativi all'applicazione della sanzione sostitutiva, mediante il richiamo agli elementi di fatto posti alla base del diniego del beneficio della sospensione condizionale e sopra ricordati.
Deve altresì ritenersi corretta, atteso ili chiaro tenore testuale dello stesso art. 58 della L. n. 689/1981, la valutazione di incompatibilità tra l'applicazione dei lavori sostitutivi e il beneficio della sospensione condizionale della pena; rilevando, sul punto, che la richiesta formulata dall'imputato in sede di motivo di appello non si riferiva all'applicazione della sanzione sostitutiva bensì alla determinazione degli obblighi cui subordinare, eventualmente, la sospensione condizionale ai sensi dell'art. 165 cod. pen..
6. Con il quinto motivo la difesa dell'imputato ha dedotto una fattispecie di violazione del divieto di reformatio in peius derivante dalla quantificazione della sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida - in assenza di impugnazione da parte del p.m. - in misura superiore a quella applicata dal giudice di primo grado.
Il motivo è infondato.
Sul punto, sulla base di orientamento del tutto consolidato e a cui in questa sede si ritiene di dover dare continuità, il divieto di cui all'art. 597, comma 3, cod. proc. pen. riguarda i casi di aggravamento della pena, di applicazione di una più grave misura di sicurezza, di pronuncia di proscioglimento con formula meno favorevole o di revoca dei benefici e non quello di irrogazione di una nuova o più grave sanzione amministrativa accessoria, imposta dalla norma incriminatrice (in senso analogo, si veda quanto affermato da Sez. 3, n. 38471 del 30/05/2019, Stroppa, Rv. 277836, per l'ordine di rimessione in pristino conseguente alla condanna per il reato di cui all'art. 181, comma 2, del d. Igs. 22 gennaio 2004, n. 42, recante il "Codice dei beni culturali e del paesaggio"; da Sez. 4, n. 13860 del 13/02/2020, Bettegazzi, Rv. 279138, in ordine all'irrogazione della sospensione della patente di guida ai sensi dell'art. 189, comma 6, cod. strada, in conseguenza della sentenza di condanna per la mancata ottemperanza all'obbligo di fermarsi in caso di incidente con danno alle persone; da Sez. 4, n. 32248 del 28/06/2022, Cudalb, Rv. 283523, in ordine all'irrogazione, in relazione al reato di cui all'art. 186, comma 2, lett. c) e comma 2 bis, cod. strada, della revoca della patente di guida in luogo della sua sospensione, disposta in primo grado).
Sul punto, la questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente si appalesa - proprio alla luce della lettura operata dal citato diritto vivente - come manifestamente infondata; ciò in quanto la natura oggettivamente punitiva delle sanzioni amministrative - ripetutamente sottolineata dal giudice delle leggi anche in coerenza con la giurisprudenza della Corte EDU - non vale a incidere sul carattere vincolato della loro irrogazione da parte del giudice di merito quando le stesse si pongano in diretta conseguenza della consumazione di determinate fattispecie.
Va altresì ritenuto infondato il punto di doglianza con il quale è stato richiesto di applicare l'istituto del cumulo giuridico previsto dall'art. 8, comma 1, L. n. 689/1981, sul presupposto in base al quale ci si troverebbe di fronte a un'ipotesi di concorso formale eterogeneo; tanto poiché, come sopra chiarito, il reato di fuga dopo un investimento e quello di mancata prestazione dell'assistenza occorrente, previsti rispettivamente dal sesto e dal settimo comma dell'art. 189 Cod. Strada, configurano due fattispecie autonome e indipendenti, con diversa oggettività giuridica, essendo la prima finalizzata a garantire l'identificazione dei soggetti coinvolti nell'investimento e la ricostruzione delle modalità del sinistro, mentre la seconda ad assicurare il necessario soccorso alle persone rimaste ferite, sicché è ravvisabile un concorso materiale - e non formale - tra le due ipotesi criminose.
7. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 23 gennaio 2024.
Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2024.