RITENUTO IN FATTO
1. De.Me. propone ricorso, a mezzo del proprio difensore di fiducia, avverso la sentenza con cui il 14/2/2023 la Corte di appello di Genova ha confermato la sentenza con cui il 22/10/2020 il locale tribunale l'ha condannata, riconosciutele le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, alla pena di mesi sei di arresto ed euro 1500 di ammenda, con pena sospesa e non menzione, oltre revoca della patente e confisca del veicolo, in quanto riconosciutala colpevole del reato di cui agli art. 186 co.2 lettera c) e co 2 bis cod. strada perché guidava in stato di ebbrezza con un valore accertato di tasso alcolemico di gr. 1,64 per litro di sangue. Con l'aggravante di aver provocato un incidente stradale concretizzatosi con la seguente dinamica: alla guida dell'autovettura Fiat 600 tg (omissis) transitava nella Via Pi. diretta verso mare. Giunta all'altezza del civ. 44, perdeva in controllo del veicolo di cui era alla guida e con traiettoria aberrante verso sinistra invadeva la porzione di carreggiata riservata ai veicoli transitanti in senso contrario. La deviazione anomala la portava ad impattare nell'autobus di linea urbana AMT ivi transitante regolarmente con direzione opposte (monte). In Genova il 12.4.2018 ore 15:00.
2. La ricorrente, a mezzo del proprio difensore, lamenta con un primo motivo mancanza di motivazione e travisamento della prova di avere ricevuto, prima del controllo a mezzo etilometro, degli avvisi ex art. 114 disp. att. cod. proc. pen. della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia.
Si lamenta in ricorso che il giudice del gravame del merito non si sarebbe confrontato con i rilievi difensivi inerenti alla dimostrata falsità, a mezzo perizia grafologica, della firma apposta dalla De.Me. al verbale contenente l'attestazione dell'avvenuto avviso e con l'avvenuta produzione della sentenza del giudice di pace che aveva accolto l'opposizione avverso la revoca della sospensione amministrativa della patente di guida.
La ricorrente lamenta, quanto alla testimonianza dell'operante To.Fa., che lo stesso si sia espresso in termini generici circa le modalità con cui l'avviso viene effettuato, ma non ha riferito alcunché di concreto sul caso in questione.
Con un secondo motivo si denuncia violazione di legge in punto di mancata declaratoria dell'intervenuta prescrizione del reato.
Ciò perché, dopo l'ultimo atto interruttivo costituito dal decreto di citazione a giudizio del 24/9/2018 a seguito dell'opposizione a decreto penale dì condanna, il decreto di citazione per il giudizio di appello veniva notificato solo il 9/1/2023, quindi oltre quattro anni dopo, a prescrizione già maturata.
Ciò anche volendo tener conto dei 64 giorni di sospensione per l'emergenza epidemiologica da Covid 19.
3. La parti hanno concluso in pubblica udienza come riportato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi proposti sono manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
2. Ed invero, dovendosi affrontare per primo, per ragioni di ordine sistematico, il motivo processuale (il secondo) afferente alla mancata declaratoria da parte della Corte territoriale dell'intervenuta prescrizione del reato, va rilevato che lo stesso è manifestamente infondato in quanto devono essere computati sia i 64 giorni di sospensione della prescrizione a seguito dell'emergenza epidemiologica determinata dal COVID, come riconosce lo stesso ricorrente, ma anche un anno e sei mesi di sospensione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado in quanto i fatti sono risalenti al 12.4.2018, quindi nella piena vigenza del regime della prescrizione come delineato dalla I. 103/2017 (c.d. legge Orlando) con i periodi di sospensione della prescrizione previsti dall'art. 159, comma 2, cod. pen. nel testo introdotto da tale legge (cfr. sul punto Sez. 4 n. 39170/2023).
Allorquando fu pronunciata la sentenza impugnata, pertanto, il reato di cui all'imputazione non era prescritto.
3. Quanto al primo motivo, afferente alla mancata prova dell'intervenuto avviso alla De.Me. ex art. 114 disp. att. cod. proc. pen., lo stesso si sostanzia nella riproposizione delle medesime doglianze già sollevate in appello, senza che vi sia un adeguato confronto critico con le risposte a quelle fornite dai giudici del gravame del merito e, prima ancora, da quello di primo grado.
Per contro, l'impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.
La ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto - e pertanto immune da vizi di legittimità.
Già il giudice di primo grado - che peraltro aveva ricordato che l'odierna imputata, all'atto del controllo su strada, secondo quanto riferito dal teste si presentava molto agitata, con occhi lucidi e alito vinoso, ed era stata sottoposta prima al pretest, risultato positivo, e successivamente, superata l'iniziale resistenza, al test dell'etilometro - ha ricordato come il teste To. abbia riferito che, prima di procedere con l'accertamento del tasso alcolernico, ha avvisato la De.Me. della facoltà di farsi assistere da un avvocato. E ha sostenuto di aver dato più volte questo avviso all'imputata che ricevette lo stesso avvertimento anche dall'agente To.Da. (intervenuta sul posto insieme a To.) e poi dal Commissario MA., Ufficjale di PG intervenuto proprio al fine di compiere l'accertamento.
Ricordava ancora la sentenza di primo grado che, come emerge dalla documentazione acquisita al Fascicolo per il dibattimento, di ciò è stato redatto un verbale, sottoscritto da To. che lo ha esaminato in udienza e vi ha riconosciuto la propria firma.
Il giudice monocratico genovese ebbe già a confrontarsi con la circostanza che la De.Me., nel corso dell'esame ebbe a disconoscere la propria firma che compare in calce al foglio che contiene gli avvisi di cui all'art. 114 disp. att. cod. proc. pen., affermando di non avere mai sottoscritto quel foglio e di non aver ricevuto gli avvisi che vi sono riportati. E a conferma di tali dichiarazioni ebbe a far notare che in calce a tutti gli altri moduli non compare la stia firma e vi è, invece, l'annotazione “si rifiuta”. Tale tesi difensiva era stata supportata dalle conclusioni cui è giunto l'Ing. Qu. (consulente tecnico grafologo nominato dall'imputata) secondo il quale la sottoscrizione apposta in calce all'avviso scritto non è riferibile alla De.Me.. Rendendo dichiarazioni in udienza, il consulente ha precisato che, a suo avviso, nel caso di specie non può ipotizzarsi neppure una sottoscrizione “dissimulata” (intendendo per dissimulazione l'intenzionale modifica della scrittura da parte dell'autore ai fini del successivo disconoscimento); la sottoscrizione dissimulata, infatti, mantiene qualche tratto distintivo della scrittura di chi la dissimula e così non è nel caso che ci occupa. Alla luce di ciò, la difesa aveva eccepito l'inutilizzabilità dei risultati dell'accertamento con etilometro in quanto atto irripetibile affetto da nullità per omesso avviso della facoltà di farsi assistere dal difensore.
Tuttavia, già il giudice di primo grado aveva rilevato come l'eccezione di inutilizzabilità fosse suggestiva e tuttavia non convincente in quanto l'art. 354 cod. proc. pen. e la relativa disposizione attuativa (art. 114 del D.Lgs. 271/1989) non prevedono che l'avviso debba essere dato in forma scritta. L'atto ha dunque un contenuto vincolato, ma è libero nella forma e l'avviso può essere dato anche oralmente. La forma rileva solo ai fini della prova, che sarà documentale se vi è stato un avviso scritto, mentre dovrà essere testimoniale se vi è stato avviso orale.
Tale affermazione si colloca nel solco del consolidato dictum di questa Corte secondo cui, in tema di guida in stato di ebbrezza, la prova dell'avvenuto adempimento dell'obbligo di dare avviso alla persona sottoposta ad esame alcoli metrico della facoltà di farsi assistere da difensore di fiducia, ove non risultante dal verbale (che, peraltro, non è il caso che ci occupa), può essere data mediante la deposizione dell'agente operante, con la conseguenza che l'unico profilo suscettibile di valutazione giudiziale è quello relativo all'attendibilità di tale testimonianza, anche in ordine alle ragioni della mancata verbalizzazione. (così Sez. 4, n. 18349 del 29/4/2021, Piva, Rv. 281169 - 01; conf. Sez. 4, n. 3725 del 10/09/2019, dep. 2020, Tartaro, Rv. 278027 - 01).
L'avvertimento del diritto all'assistenza del difensore, di cui all'art. 114 disp. att. cod. proc. pen., non deve necessariamente essere dato in forma scritta, non essendo ciò richiesto da nessuna norma del codice di rito (Sez. 4, n. 14621 del 4/2/2021, Sforza, Rv. 280833 - 01) e può essere dato senza formalità, non essendo, a tal fine, necessaria l'attestazione di alcuna formula sacramentale, purché lo stesso sia idoneo al raggiungimento dello scopo (Sez. 4, n. 27110 del 15/09/2020, Rossi, Rv. 279958 - 01)
Rilevava ancora, con motivazione priva di aporie logiche, già il giudice di primo grado che nel caso di specie, l'avviso all'imputata della facoltà di farsi assistere dal difensore risulta provato dalla testimonianza dell'agente accertatore To.Fa., della cui credibilità non si ha motivo di dubitare, non comprendendosi, infatti, quale interesse avrebbe avuto il pubblico ufficiale operante a falsificare la sottoscrizione dell'imputata essendo per lui possibile dare atto del rifiuto di firmare come è avvenuto per tutti gli altri verbali.
Il dubbio sulla riferibilità all'imputata della sottoscrizione apposta in calce al modulo che contiene l'avviso di cui all'art. 114 disp. att. cod. proc. pen. - rilevava la sentenza del tribunale- rende dunque inutilizzabile quel modulo, ma non prova affatto che l'avviso non vi sia stato, conseguendone la piena utilizzabilità processuale dell'accertamento, dal quale è emerso un tasso alcolemico superiore a 1,50 gli.
A fronte di tale ampia e diffusa motivazione, con l'atto di appello del 3.12.2020, il difensore della De.Me. si limitava a riproporre le proprie tesi e, con il secondo motivo, a contestare l'attendibilità delle dichiarazioni testimoniali del To., ma la Corte territoriale, con motivazione logica e congrua, a fronte di doglianze che non proponevano alcun elemento di novità rispetto alla linea difensiva sostenuta sin dal primo grado, ha legittimamente dato atto di condividere sul punto le argomentazioni del primo giudice e il corretto richiamo alla giurisprudenza che vuole essere pacifico che l'avvertimento in questione può essere dato anche oralmente e provato, com'è avvenuto, attraverso la testimonianza dell'operante.
4. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
PQM
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 23 gennaio 2024.
Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2024.