RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza, pronunciata a seguito di dibattimento, in data 12/5/2022, dal Tribunale di Vicenza in composizione monocratica, l'odierno ricorrente Bo.St. è stato ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 186 co. 2 lett. c), co. 2bis, co, 2 sexies cod. strada per essersi posto alla guida di un'autovettura di proprietà di terzi in stato di ebbrezza alcolica (esito accertamento: 1,54 g/l), provocando un incidente stradale, in orario notturno; fatto commesso in Mo. Co. Ot. (VI), il 27 maggio 2019. L'imputato è stato, perciò, condannato alla pena di anni 1 di arresto ed euro 4.000 di ammenda (p.b. mesi 6 di arresto ed curo 2.000 di ammenda; aumentata del doppio ai sensi dell'art. 63 co. 4 c.p.); pena sospesa; con la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida.
Con sentenza del 27/2/2023, pronunciando sull'appello proposto dall'imputato, la Corte di Appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, previo riconoscimento all'imputato delle circostanze attenuanti generiche equivalenti all'aggravante di cui all'art. 186 co. 2 bis cod. strada, ha rideterminato la pena nella misura finale di mesi 6 di arresto ed euro 2.000 di ammenda, confermando nel resto.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, Bo.St., deducendo i motivi, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, co. 1, disp. att., cod. proc. pen.
Con un primo motivo il ricorrente lamenta una non corretta applicazione da parte della Corte territoriale dell'articolo 186 cod. strada, in quanto il concetto letterale della parola “guida” indicato dalla norma presupporrebbe una dinamicità e, dunque, occorrerebbe la prova di una deliberata movimentazione del mezzo in un'area pubblica o destinata al pubblico da parte del conducente in condizione di alterazione dovuta ad ubriachezza (si richiamano sul punto gli arresti giurisprudenziali costituiti dalle sentenze 10476/2010, 2770/2012 e 30209/2013 relative a casi in cui sono stati ritenuti non punibili soggetti trovati fuori dal veicolo con l'auto ferma o all'interno di un'auto ferma in area di sosta).
Dagli atti - prosegue il ricorso - non è emerso che il ricorrente sia stato fermato mentre era alla guida o che sia stato avvistato alla guida dell'autovettura prima di essere sottoposto ad alcoltest dagli agenti operanti. Può, pertanto, valere l'ipotesi che l'assunzione delle sostanze stupefacenti possa essere avvenuta proprio durante la sosta. Non vi è dubbio che Bo.St., nel momento in cui la polizia locale è intervenuta, si trovava fuori dal veicolo, peraltro già da circa 20 minuti, in attesa dell'arrivo del carro attrezzi dal medesimo contattato.
Peraltro, sottolinea il ricorrente che nemmeno ci si trovava in una situazione di “fermata”, nel senso inteso dal codice della strada, bensì si trattava di una sosta di emergenza ovverosia dell'interruzione della marcia del veicolo, che nel caso di specie era divenuto totalmente inutilizzabile: E con un soggetto al di fuori del mezzo stesso.
Con un secondo motivo si lamenta la mancata assunzione di una prova decisiva e l'inosservanza delle norme stabilite a pena di nullità, inammissibilità o decadenza in quanto la difesa aveva chiesto di essere ammessa di risentire il teste Scalco al fine di poter ricostruire meglio i fatti, che in ogni caso apparirebbero caratterizzati da elementi che fanno propendere per l'assoluzione dell'imputato e che non sono stati considerati.
La sentenza -evidenzia il ricorrente- si basa su un verbale postumo redatto dalla polizia locale dal quale non si evince se l'avviso all'imputato di poter farsi assistere sia stato tempestivo o successivo all'esame, come la norma impone.
Con un terzo motivo si lamentano mancanza, contraddittorietà o manifesta e logicità della motivazione laddove non si è dato credito alle dichiarazioni spontanee dell'imputato di avere assunto sostanze alcoliche in un momento successivo alla condotta di guida. Si sostiene che la ricostruzione dell'accusa sarebbe lacunosa e contrasta con quella opposta resa dall'imputato, suffragata da plurimi elementi.
Si contesta, inoltre, la motivazione del provvedimento impugnato laddove non avrebbe tenuto conto della cosiddetta “Curva di Widmark”.
Si ribadisce che la doglianza della difesa non riguarda il fatto che l'accertamento non è stato effettuato alla guida ma che il Bo.St. avesse assunto sostanze alcoliche solo in un momento successivo alla guida stessa, dovendosi tenere conto che la polizia locale è intervenuta dopo 20 minuti dai fatti su sollecitazione della centrale operativa a seguito del verificarsi dell'incidente.
Nell'ambito di tale motivo il ricorrente censura anche la motivazione della sentenza impugnata anche in relazione elle ritenute circostanze aggravanti.
Quanto alla circostanza che il sinistro stradale si sia verificato dopo le 22 si sottolinea che la polizia locale è intervenuta in loco solo alle 22,50, che al momento dell'arrivo degli agenti il veicolo era in sosta da 20 minuti e Bo.St. aveva già contattato l'assicurazione e il carro attrezzi. La prima chiamata di soccorso, come evidenzia la Corte territoriale, era stata effettuata alle 22.36. Ma secondo la Difesa ve n'era un'altra precedente, per cui non potrebbe escludersi che l'uscita di strada sia avvenuta prima delle 22, con conseguente inapplicabilità dell'aggravante di cui all'art. 186, co. 2sexies, cod. strada.
Quanto all'aggravante dell'incidente il ricorrente lamenta che non vi è stato alcun intralcio alla circolazione per cui anche questa sarebbe stata illegittimamente ritenuta.
In ultimo, si lamenta, sempre sotto la rubrica del terzo motivo, che, nel negare l'applicabilità della causa di non punibilità di cui all'art. 131bis cod. pen., la Corte territoriale non abbia tenuto conto che l'imputato “non è dedito all'uso di sostanze” e che “dopo l'evento contestato e prima di riprendere la guida si è sottoposto a plurimi accertamenti medici come agli atti e ad oggi è in possesso di patente”.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.
3. Il PG presso questa Corte ha reso le conclusioni scritte riportate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi proposti, peraltro veramente propositivi di analoghe doglianze sottoposta all'attenzione dei giudici di appello, sono manifestamente infondati.
Per contro, l'impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile in quanto è ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto tale il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici.
La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso Sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, Scicchitano, Rv. 236945; sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, Palma, Rv. 221693). Ancora, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi
proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608).
2. Non può trascurarsi, inoltre, l'assoluta genericità ed aspecificità del ricorso anche nella scansione stessa e nell'articolazione dei motivi.
In proposito, va qui ribadito il dictum di questa Corte secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, la denunzia cumulativa, promiscua e perplessa della inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonché della mancanza, della contraddittorietà e della manifesta illogicità della motivazione rende i motivi aspecifici ed il ricorso inammissibile, ai sensi degli artt. 581, comma 1, lett. c) e 591, comma 1 lett. c), cod. proc. pen., non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l'impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dai motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio (cfr. Sez. 1, n. 39122 del 22/9/2015, Rugiano, Rv. 264535; conf. Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, Alota ed altri, Rv. 263541; Sez. 6, n. 800 del 06/12/2011 dep. 2012, Bidognetti ed altri, Rv. 251528, Sez. 6, n. 32227 del 16/07/2010, T., Rv. 248037). Ancore di recente è stato condivisibilmente sottolineato come sia onere del ricorrente che intende denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimità ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., -, a pena di aspecificità, e quindi di inammissibilità, del ricorso di indicare su quale profilo la motivazione asserita-mente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l'impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio, in quanto i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione (così Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, Onofri, Rv. 277518, nella cui motivazione, la Corte ha precisato che, al fine della valutazione dell'ammissibilità dei motivi di ricorso, può essere considerato strumento esplicativo del dato normativo dettato dall'art. 606 cod. proc. pen. il “Protocollo d'intesa tra Corte di cassazione e Consiglio Nazionale Forense sulle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia penale”, sottoscritto il 17 dicembre 2015).
Peraltro, già in precedenza (Sez. 2, n. 31811 dell'8/5/2012, Sardo ed altro, Rv. 254328 che richiama i precedenti costituiti da Sez. 6, n. 32227 del 16/7/2007, T. e sez. 6, n. 800 del 6/12/2011 dep. 2012, Bidognetti ed altri) secondo cui è inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso che prospetti vizi di legittimità del provvedimento impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa.
Nel caso esaminato nella richiamata Sez. 6 n. 32227/2007, come in quello che ci occupa, il ricorrente aveva lamentato la “mancanza e/o insufficienza e/o illogicità della motivazione” in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari posti a fondamento di un'ordinanza applicativa di misura cautelare personale.
Non si possono, in altri termini, indicare, alla rinfusa, come nel caso che ci occupa, tutti i possibili vizi di legittimità (qui, in aggiunta al caso suvvisto si aggiunge, in via cumulativa, anche la violazione di legge) senza specificare la violazione o il punto della motivazione attinto da vizio. In particolare, quanto al vizio motivazionale, l'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. stabilisce la ricorribilità per “mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame”. Ebbene, tale disposizione, se letta in combinazione con l'art. 581, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. (a norma del quale è onere del ricorrente “enunciare i motivi del ricorso, con l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”) evidenzia che non può ritenersi consentita l'enunciazione perplessa ed alternativa dei motivi di ricorso, essendo onere del ricorrente quello specificare con precisione se la deduzione di vizio di motivazione sia riferita alla mancanza, alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità ovvero, se come indicato nell'odierno ricorso, ad una pluralità di tali vizi, in relazione a quali specifici punti della motivazione gli stessi vadano riferiti.
Ciò, nel caso che ci occupa, non è avvenuto.
3. I fatti, per quello che rileva in questa sede e per come ricostruito dai giudici di merito all'esito dell'istruttoria dibattimentale, consistita, in particolare, nella deposizione del teste di P.G. Scalco, hanno consentito di provare che Bo.St., alla guida di un'autovettura di proprietà di terzi, era fuoriuscito autonomamente di strada, sradicando una pianta e terminando la corsa in un prato adiacente.
Gli operanti, giunti sul posto a seguito della segnalazione dell'incidente, rinvenivano l'imputato vicino al mezzo e lo sottoponevano, previ avvisi di legge, al pretest e, quindi, ad accertamento mediante etilometro che dava esito positivo.
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune dai sollevati vizi di legittimità.
I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilità del prevenuto, ed in particolare hanno già risposto all'eccezione difensiva che vorrebbe non provata la circostanza che l'imputato guidasse in stato di ebbrezza in relazione al fatto - come evidenziato in premessa non contestato- che la polizia locale sia intervenuta dopo che questi aveva provocato un incidente, peraltro distruggendo il proprio automezzo, e quindi era al di fuori dello stesso.
Già il giudice di primo grado non aveva ritenuto fondate le eccezioni difensive relative alla consumazione delle bevande alcoliche successivamente alla condotta di guida e all'assenza della condotta stessa di guida, atteso che il Bo.St. veniva trovato a veicolo fermo, fuori dal mezzo. E aveva logicamente rilevato che, se la sostanza alcolica fosse stata assunta in prossimità dell'accertamento, l'alcool non sarebbe stato assimilato in tempo per essere rilevato dall'alcoltest, anche perché i risultati mostravano una fase discendente dell'assorbimento; e che, in ogni caso, in loco non venivano rinvenuti elementi, quali bottiglie o bicchieri, che potessero far ritenere un'assunzione in quel contesto. Aveva, inoltre, logicamente e correttamente aggiunto che la fermata rappresenta comunque una fase della circolazione.
Dal canto suo, la Corte territoriale ha motivatamente disatteso innanzitutto, la richiesta formulata dalla Difesa, in via preliminare ed istruttoria, volta a rinnovare la prova dichiarativa ovvero a risentire il teste di P.G. V. Comm. Sc.Al. sulla possibile assunzione postuma delle bevande alcoliche da parte dell'imputato sul rilievo che, comunque, la Difesa avrebbe potuto già esaminare sul punto il teste in primo grado, al fine di avallare una propria ed eventuale tesi alternativa, in quanto, alla luce dell'esito positivo dell'accertamento mediante etilometro, eseguito a norma di legge, era onere difensivo dimostrare l'inattualità di detto accertamento.
Con motivazione logica e congrua la Corte veneziana rileva che l'assunzione postuma delle sostanze alcoliche, affermata in udienza di appello dal Bo.St., in sede di spontanee dichiarazioni, non è provata, sia perché nessuno degli operanti ha riscontrato alcunché nell'immediatezza dei fatti, sia perché la Difesa si è limitata ad affermare tale circostanze senza alcun elemento di prova, ma anche e soprattutto perché l'alcoltest, come già ribadito dal primo giudice, ha riscontrato un tasso elevato in fase discendente, esito oggettivamente incompatibile con un consumo pressoché contestuale all'accertamento. Infatti, il sinistro era avvenuto verso le 22.30 e le misurazioni alle 23.12 e alle 23.19.
I giudici di appello, hanno anche evidenziato che nei confronti del Bo.St. l'accertamento è avvenuto in ordinario contesto operativo, in seguito ad una condotta
di guida sfociata nella fuoriuscita stradale, cui ha fatto seguito l'arrivo degli operanti che, alla luce delle circostanze fattuali (sintomatologia riscontrata nell'imputato), hanno ritenuto di procedere agli accertamenti del caso.
Quanto alla contestata circostanza che l'imputato fosse alla guida dell'auto, pacifico, come si è già detto, è che la condotta di guida in stato di ebbrezza del Bo.St. non è caduta sotto la diretta percezione degli operanti. In ragione di ciò, secondo la tesi proposta dalla difesa, non vi sarebbe prova che l'imputato fosse alla guida, ancorché all'arrivo degli agenti fosse stato riscontrato il suo stato di ebbrezza alcolica, dovendosi tenere conto che l'imputato, nell'immediatezza dei fatti aveva dichiarato di avere assunto sostanze alcoliche dopo avere cessato la propria condotta in guida.
Orbene, pare da subito evidente -e in tal senso hanno correttamente opinato i giudici del merito- che aderire a tale impostazione significherebbe ignorare l'esistenza della prova indiziaria. E, soprattutto, porterebbe ad escludere conseguenze penali per il guidatore in stato di ebbrezza proprio in quei casi più gravi come quello di chi cagiona un incidente distruggendo il proprio autoveicolo in cui giocoforza egli viene rinvenuto, nelle occasioni per lui più fortunate, al di fuori dell'autoveicolo stesso.
Questa Corte di legittimità ha in più occasioni chiarito come in situazioni in cui plurimi elementi indiziari portino a ritenere che un soggetto fosse alla guida di un'auto, senza alcuna inversione dell'onere della prova, sia lo stesso a dover allegare circostanze e credibili che portino a ritenere che non lo fosse.
Analoga situazione, come si dirà, si registra in quelle situazioni, peraltro ricorrenti, in cui, genericamente, l'imputato dichiari di avere assunto sostanze alcoliche dopo che la condotta di guida era cessata.
In fattispecie analoghe a quello in esame questa Corte di legittimità ha ricordato come la circostanza vada provata, attraverso l'indicazione del luogo dove tali sostanze alcoliche siano state consumate, la constatazione della presenza in loco di bottiglie o bicchieri, l'esibizione di uno scontrino o quant'altro possa smentire l'altrimenti evidente situazione che l'interessato fosse sotto l'effetto di sostanze alcoliche già nel momento stesso in cui guidava ed anzi che sia stata proprio tale alterata condizione di guida a determinare l'incidente.
In taluni casi esaminati in passato l'imputato in stato di ebbrezza, ad esempio, era stato controllato all'interno di un'area di sosta autostradale, nei pressi di un autogrill (Sez. 4, n. 24459 del 6/5/2015, Rezzonico, non mass.; Sez. 4, n. 2440 del 20.12.2005 dep. 2006, Riso, non mass.; Sez. 4, n. 13466 del 17/01/2017, Pacchioli, Rv. 269396 - 01, nella cui motivazione la Corte ha ricordato come costituisca prassi operativa, sull'autostrada, al fine di non creare pericoli per la circolazione, che i controlli da parte delle forze dell'ordine avvengano all'autogrill o al casello; e all'autogrill viene controllato chi colà arriva alla guida di un'auto, essendo peraltro davvero difficile immaginare che si possa giungere ad un'area di sosta lungo l'autostrada a piedi). In altra pronuncia (Sez. 4, n. 12243 del 13/2/2018, Villani Rv. 272246 - 01, non massimata sul punto) la Corte, nell'affrontare un caso analogo a quello odierno (in quel caso si trattava del conducente di un ciclomotore coinvolto in un incidente, controllato dopo lo stesso e che contestava che vi fosse la prova che egli fosse alla guida del mezzo) ebbe a specificare come, a fronte di plurimi elementi indiziari, come il fatto che sul posto non vi fossero altre persone e vi fosse un unico veicolo incidentato riconducibile all'imputato e/o che l'imputato fosse l'unico ferito trasportato in ospedale cui dagli accertamenti compiuti in occasione del ricovero emerse l'intossicazione alcolica, è l'imputato che deve introdurre elementi atti a suffragare la tesi difensiva che egli non fosse alla guida o che il consumo di alcolici sia stato successivo all'incidente.
Va, dunque, affermato il principio di diritto che: “In tema di guida in stato di ebbrezza, qualora l'imputato sia controllato dagli operanti al di fuori della propria autovettura, a fronte di plurimi elementi indiziari che portino a ritenere che egli si trovasse alla guida già in stato di ebbrezza, è onere dell'imputato introdurre elementi di prova atti a suffragare la tesi difensiva che egli non fosse alla guida o che il consumo di alcolici sia stato successivo all'incidente, ad esempio, attraverso la produzioni degli scontrini di acquisto dell'alcool, la constatazione della presenza sul luogo dei fatti di bicchieri o bottiglie, o una prova testimoniale che collo-chi l'assunzione dell'alcool in un momento intercorrente tra le cessazione della guida e l'intervenuto controllo.
Come già ricordava il giudice di primo grado, merita, inoltre, di essere sottolineato e ribadito come la circostanza che il conducente sia fermo od in movimento non rileva, avendo la giurisprudenza di questa Corte più volte affermato che in materia di circolazione stradale, deve ritenersi che la “fermata” costituisca una fase della circolazione, per cui è del tutto irrilevante, ai fini della contestazione del reato di guida in stato di ebbrezza, che il veicolo condotto dall'imputato risultato positivo all'alcoltest fosse, al momento dell'effettuazione del controllo, fermo ovvero in moto (cfr. ex multis Sez. 4, n. 37631 del 25/9/2007, Savoia, Rv. 237882 - 01.; Sez. 4, n. 45514 del 7/3/2013, Pin, Rv. 257696; Sez. 4, n. 21057 del 25/1/2018, Ferrara, Rv. 272742 - 01 che, con riferimento al caso di un'auto in sosta su carreggiata autostradale all'interno della quale veniva trovato l'imputato in stato di incoscienza ed una bottiglia di superalcolici vuota - ha precisato che tale principio vale anche quando la fermata si tramuti in una sospensione della marcia protratta nel tempo, ovvero in una sosta)
4. Motivatamente, dunque, la Corte territoriale ha ritenuto che non vi fossero elementi tali da giustificare una rinnovazione istruttoria, dovendosi peraltro ricordare che, come più volte chiarito da questa Corte di legittimità, la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale nel giudizio di appello è evenienza eccezionale, subordinata ad una valutazione giudiziale di assoluta necessità conseguente all'insufficienza degli elementi istruttori già acquisiti, che impone l'assunzione di ulteriori mezzi istruttori pur se le parti non abbiano provveduto a presentare la relativa istanza nel termine stabilito dall'art. 468 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 41808 del 27/9/2013, Mongiardo, Rv. 256968); e la mancata rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale può essere censurata soltanto qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 6, n. 1256 del 28/11/2013, dep. il 2014, Rv. 258236; Sez. 2, n. 677 del 10/10/2014 dep. 2015, Di Vincenzo, Rv. 261556).
5. Manifestamente infondato e anche il motivo di ricorso, totalmente ripropositivo del motivo di appello con cui si era lamentato che solo nel verbale di accertamenti urgenti, elezione di domicilio e nomina del difensore, era stato dato atto che l'interessato era stato avvisato della facoltà di farsi assistere da un difensore ex art. 114 disp. att. cod. proc. pen. e vi aveva rinunciato. Per il difensore non sarebbe chiaro, quindi, se detto avviso sia stato tempestivo ovvero successivo all'esame, sostenendosi che l'avviso e la verbalizzazione devono essere contestuali e che la prova della formulazione degli avvisi di legge di cui agli artt. 114 disp. att cod. proc. pen. e 356 cod. proc. pen.. deve essere documentale e non è superabile con la deposizione testimoniale dell'operante in servizio e neppure con una verbalizzazione postuma dalla quale non si riesca ad evincere il momento in cui si è dato l'avviso di legge.
Con motivazione logica e congrua -e anche in questo caso corretta in punto di diritto- la Corte veneziana ha confutato la doglianza difensiva concernente la mancanza degli avvisi di legge e l'impossibilità di ritenerne la tempestività, rilevando come nel verbale di accertamenti urgenti sulla persona ex art. 354 cod. proc. pen. e 114 disp. att. cod. proc. pen. non solo viene rendicontata l'attività espletata e viene dato atto dell'omologazione dello strumento utilizzato ma anche che, prima di procedere all'esecuzione degli atti urgenti di accertamento, il conducente è stato informato della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, e della circostanza che, in mancanza, si sarebbe comunque proceduto all'attività.
Per i giudici del gravame del merito è evidente che il verbale è stato redatto successivamente rispetto all'attività svolta e di cui veniva dato atto. Ma tale modus operandi, come rileva correttamente la sentenza impugnata, è condiviso dalla giurisprudenza di legittimità che, affrontando il tema in questione, ha ritenuto che non appare illogico che il verbale sia realizzato dopo l'adempimento:
Questa Corte di legittimità ha già avuto modo di chiarire (Sez. 4, n. 27110 del 15/09/2020, Rossi, Rv. 279958 - 01, in motivazione; conf. Sez. 4, n. 43208 del 25/9/2019, Rottoli, n.m.) come costituisca ius receptum che “...non sussiste un obbligo giuridico, in capo ai verbalizzanti, di redazione contestuale del verbale di accertamento all'esame etilometrico, essendo sufficiente che l'avvertimento venga espresso oralmente prima della sottoposizione dell'indagato all'esame de qua, per poi essere trasposto per iscritto col verbale successivamente redatto. A meno di non volere e potere dimostrare che quanto scritto in quell'atto redatto dai pubblici ufficiali verbalizzanti sia falso. Ma ciò non è avvenuto” (così Sez. 7, ord. n. 13254 del 27/2/2019, Impastato, non mass.). E in altra pronuncia si è condivisibilmente posto in evidenza che “...l'orario riportato al momento della materiale stesura del verbale è necessariamente successivo a quello delle operazioni compiute di cui dà fedelmente conto, usando (seppur non sempre con rigorosa coerenza sintattica), il verbo quasi sempre al passato (abbiamo proceduto, evidenziava, il conducente interpellato, acconsentiva, l'accertamento ha fornito...etc.); l'orario delle misurazioni mediante etilometro è perciò necessariamente precedente alla stesura del verbale” (Sez. 7, ord. n. 58121 del 12/12/2018, Mocellin, n.m.).
Peraltro, diversamente da quanto opina il ricorrente, questa Corte di legittimità è ormai da tempo orientata nel senso che, in tema di guida in stato di ebbrezza, la prova dell'avvenuto adempimento dell'obbligo di dare avviso alla persona sottoposta ad esame alcolimetrico della facoltà di farsi assistere da difensore di fiducia, ove non risultante dal verbale (che, peraltro, non è il caso che ci occupa può essere data mediante la deposizione dell'agente operante, con la conseguenza che l'unico profilo suscettibile di valutazione giudiziale è quello relativo all'attendibilità di tale testimonianza, anche in ordine alle ragioni della mancata verbalizza-zione. (così Sez. 4, n. 18349 del 29/4/2021, Piva, Rv. 281169 - 01; conf. Sez. 4, n. 3725 del 10/09/2019, dep. 2020, Tartaro, Rv. 278027 - 01).
L'avvertimento del diritto all'assistenza del difensore, di cui all'art. 114 disp. att. cod. proc. pen., non deve necessariamente essere dato in forma scritta, non essendo ciò richiesto da nessuna norma del codice di rito (Sez. 4, n. 14621 del 4/2/2021, Sforza, Rv. 280833 - 01) e può essere dato senza formalità, non essendo, a tal fine, necessaria l'attestazione di alcuna formula sacramentale, purché lo stesso sia idoneo al raggiungimento dello scopo (Sez. 4, n. 27110 del 15/09/2020, Rossi, Rv. 279958 - 01)
6. La sentenza impugnata si colloca anche nell'alveo dell'insegnamento di questa Corte di legittimità secondo cui, in tema di guida in stato di ebbrezza, in presenza di un accertamento del tasso alcolemico seguito in conformità alla previsione normativa, grava sull'imputato l'onere di dare dimostrazione di circostanze in grado di privare quell'accertamento di valenza dimostrativa della sussistenza del reato. E a tale riguardo non è sufficiente il solo lasso temporale intercorrente tra l'ultimo atto di guida e il momento dell'accertamento (cfr. Sez. 4, n. 43208 del 25/9/2019, Rottoli, n.m.; conf. Sez. 4, n. 24206 del 4/3/2015, Mongiardo, Rv. 263725; conf. Sez. 4, n. 40722 del 9/9/2015, Chinello, Rv. 264716).
Inoltre, anche l'incidenza della ed. curva alcolimetrica - prescindendo dalla valutazione dei suoi fondamenti scientifici - non può essere chiamata in causa in astratto, come nel caso in esame, andando, viceversa, concretamente dimostrato che, per aver assunto la sostanza alcolica in assoluta prossimità al momento dell'accertamento o per altra ragione, il tasso esibito dalla misurazione strumentale eseguita a distanza di tempo non rappresenta la condizione organica del momento in cui si era ancora alla guida.
Il Codice della Strada - va ricordato- prescrive che la concentrazione alco-lemica mediante etilometro debba risultare da almeno due determinazioni effettuate ad un intervallo di tempo di 5 minuti. Siffatta previsione, tuttavia, non deve considerarsi tassativa, nel senso che non può parlarsi di violazione della stessa in relazione al decorso di un intervallo temporale più ampio (cfr. ex multis Sez. 4, n. 29633 del 21/6/2016, Do; Sez. 4, n. 50077 del 3/12/2015, Chinnici); nel caso di un arco temporale particolarmente ampio fra la conduzione del veicolo e l'alcoltest, è necessario e sufficiente che vi sia un'apprezzabile non vi sia soluzione di continuità tra la guida ed il materiale reperimento del soggetto da sottoporre ad esame (Sez. 6, n. 35594 del 16/06/2015 - dep. 2015, Moretti, Rv. 264665): del che nella specie non vi è motivo di dubitare, avuto riguardo alla dinamica degli eventi descritti nella pronunzia impugnata.
Ne consegue la genericità della doglianza sul punto, non rappresentativa di concrete evenienze in grado di privare di valenza dimostrativa l'accertamento strumentale.
7. Manifestamente infondati sono i motivi -anche quelli riproposti acriticamente in questa sede- sulla sussistenza delle circostanze aggravanti.
Quanto all'ora del sinistro, la Corte territoriale dà conto, adempiendo compiutamente al proprio onere motivazionale, dà conto del perché ritiene che il sinistro si sia verificato sicuramente dopo le 22.00, sul rilievo che: 1. La prima richiesta di pronto intervento da parte del Bo.St. alla propria assicurazione risale alle 22.41; quindi, anche considerando che il Bo.St. possa aver prima provato a rimettersi in marcia in autonomia, comunque, il tempo impiegato per le manovre del caso non andrebbe oltre la decina di minuti; 2. che lo teste Scalco, in sede di deposizione testimoniale, ha affermato che il sinistro era avvenuto verso le 22.30.
Analogamente con riguardo alla circostanza aggravante dell'incidente stradale, i giudici del gravame del merito rilevano che il sinistro ha sicuramente creato intralcio alla circolazione, richiedendo l'intervento del carro attrezzi e degli operanti di P.G.; inoltre, lo stesso ha avuto rilevanza non trascurabile, avendo danneggiato le piante che delimitavano la rotonda. E danno conto di essersi confrontati con le altre circostanze causali asserite dalla Difesa, ma rilevano che la strada bagnata e la poca visibilità non possono ritenersi esclusivamente determinati nella fuoriuscita stradale in quanto condizioni comuni a tutti gli utenti della strada.
Anche sul punto, pertanto, la sentenza impugnata si colloca nel solco della consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui l'incidente va inteso come qualsiasi avvenimento inatteso che, interrompendo il normale svolgimento della circolazione stradale, possa provocare pericolo alla collettività, senza che assuma rilevanza l'avvenuto coinvolgimento di terzi o di altri veicoli (cfr. Sez. 4, n. 27211 del 21/5/2019, Granelli, Rv. 275872 - 01; conf. Sez. 4, n. 47276 del 6/11/2012, Marziano, Rv. 253921 che in motivazione chiarisce che “quando il codice della strada fa riferimento a un “incidente” intenda riferirsi a qualsiasi tipo di incidente e cioè, secondo il significato letterale del termine, a qualsiasi avvenimento inatteso che interrompe il normale svolgimento della circolazione stradale e che proprio per tale ragione è portatore di pericolo per la collettività; ciò risultando chiaramente oltre che dagli obblighi di segnalazione che il regolamento prevede (art. 356) nel caso di incidente che provochi -ingombro della carreggiata, che prescindono assolutamente da qualsiasi qualificazione dell'incidente nel senso voluto dal ricorrente, anche dal fatto che allorché il legislatore ha ritenuto di diversificare i comportamenti e le conseguenze collegati a un incidente, ciò ha fatto espressamente, come ad esempio nell'art. 189 cod. strada che stabilisce comportamenti e sanzioni diverse a seconda delle conseguenze che derivano dall'incidente stesso”).
In altra pronuncia si esprime identico concetto, allorché si chiarisce che “ai fini dell'aggravante di cui all'art. 186, comma secondo bis, cod. strada (aggravante dell'aver causato un incidente), nella nozione di incidente stradale sono da ricomprendersi sia l'urto del veicolo contro un ostacolo, sia la sua fuoriuscita dalla sede stradale; a tal fine, non sono, invece, previsti né i danni alle persone né i danni alle cose, con la conseguenza che è sufficiente qualsiasi, purché significativa, turbativa del traffico, potenzialmente idonea a determinare danni” (così Sez. 4, n. 42488 del 19/9/2012, Rv. 253734 che, in applicazione del principio di cui in massima ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di appello ha
ritenuto lo sbandamento di un'auto ed il conseguente urto contro il guardrail circostanze idonee ad integrare la nozione di incidente ai fini della sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 186, comma 2bis, cod. strada). E, ancora, è stato condivisibilmente precisato che. ai fini della configurabilità dell'aggravante di aver provocato un incidente stradale, prevista dall'art. 186, comma 2-bis, cod. strada, non è richiesto l'accertamento del nesso eziologico tra l'incidente e la condotta dell'agente, ma il solo collegamento materiale tra il verificarsi del sinistro e lo stato di alterazione dell'agente, alla cui condizione di impoverita capacità di approntare manovre idonee a scongiurare l'incidente sia direttamente ricollegabile la situazione di pericolo (così Sez. 4, n. 54991 del 24/10/2017, Fabris, Rv. 271557, in una fattispecie in cui il conducente di un'auto in stato di ebbrezza alcoolica aveva tamponato violentemente un veicolo antagonista che si era arrestato sulla corsia di sorpasso dell'autostrada).
8. Manifestamente infondato, in ultimo, è anche il motivo che censura la motivazione della sentenza impugnata in punto di mancato riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131bis cod. pen. che la Corte territoriale motiva sul rilievo che, il fatto complessivamente considerato, è connotato da una gravità non trascurabile. E che, pur non essendo abituale, la condotta del Bo.St. è sfociata in una fuoriuscita stradale le cui conseguenze sono state limitate solo dalla presenza di un arbusto che ne ha ridimensionato la corsa e dal fatto che la stessa è avvenuta in un prato, in una zona particolarmente isolata, a tarda sera.
Le condizioni dell'autovettura dopo l'impatto e il definitivo arresto, apprezzabili dalle fotografie in atti, unitamente al tasso alcolemico riscontrato, connotano per i giudici del gravame del merito la condotta di guida in termini particolarmente pericolosi. E peraltro, in tale contesto, correttamente si rileva che anche il fatto che il Bo.St. sia un autista professionale, come emerso, in particolare, dalle sue stesse dichiarazioni porta a ritenere, alla luce delle peculiarità del caso, che il pericolo alla circolazione stradale sia stato concreto e non trascurabile in termini di tenuità dell'offesa.
La sentenza, dunque, si colloca nell'alveo del dìctum delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, co. 1, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo (Sez. Un. n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj, Rv. 266590).
Peraltro, la Corte territoriale ha valorizzato positivamente il comportamento processuale e post factum del Bo.St., che ha presenziato all'udienza e si è sottoposto regolarmente agli accertamenti medici, attraverso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza con l'aggravante di cui all'art. 186, comma 2 bis, cod. strada, al fine anche di neutralizzarne l'effetto sanzionatorio.
9. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 23 gennaio 2024.
Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2024.