RITENUTO IN FATTO
1. Con la ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale di Reggio Calabria, in sede di riesame, confermava la ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria che aveva applicato a K.I. la misura della custodia cautelare in carcere per i capi B), B2) e B38).
In particolare, l'indagato era stato ritenuto gravemente indiziato della partecipazione ad una associazione dedita al narcotraffico (capo B), della importazione dal Belgio di 40 chili di cocaina (capo B2), nonché del tentato acquisto di 5 chili di cocaina (capo B38).
2. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l'indagato denunciando, a mezzo di difensore, i motivi di annullamento, come sintetizzati conformemente al disposto dell'art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Violazione di legge in relazione all'art. 178 c.p.p., comma 1, lett. a), artt. 179 e 273 c.p.p..
La prova indiziaria è costituita esclusivamente dal contenuto di conversazioni telematiche di cui si eccepisce la nullità assoluta.
Tale prova è stata acquisita tramite un ordine di indagine Europeo ed è da ritenersi illegittima in quanto l'ordine è stato emesso dal P.M. e non dal Giudice per le indagini preliminari (che comunque non ha autorizzato neppure preventivamente l'acquisizione).
La difesa rammenta i principi espressi dalla Grande Sezione della Corte di giustizia dell'Unione Europea in tema di acquisizione di dati "esterni" relativi a comunicazioni elettroniche o telematiche (sentenza del 2/03/2021, C-746/18) e la successiva modifica normativa introdotta dal legislatore italiano al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 132, per uniformarsi al dictum della Corte (D.L. n. 132 del 2021, conv. nella L. n. 178 del 2021), escludendo che il pubblico ministero possa disporre l'acquisizione dei tabulati telefonici senza un decreto motivato del giudice.
La medesima ratio porta ad escludere che il pubblico ministero possa emettere un ordine di indagine Europeo per l'acquisizione di una prova così intrusiva nella sfera privata altrui.
La prova sarebbe illegittima non nel momento della sua acquisizione in Francia quanto piuttosto nella fase del suo trasferimento all'autorità italiana in esecuzione dell'ordine di indagine Europeo, nella quale è mancato il controllo da parte di una autorità nazionale terza ed imparziale.
Il Tribunale ha ritenuto l'eccezione non fondata in quanto era intervenuto nello Stato francese il provvedimento di un giudice. Tale conclusione, tuttavia, non considera quanto ha affermato la Corte di giustizia in tema di ordine Europeo di indagine (sentenza del 16/12/2021, C-724/19), secondo cui il pubblico ministero non è competente ad emettere un ordine investigativo finalizzato all'acquisizione di dati relativi al traffico telefonico se tale competenza non è prevista per i casi nazionali, in quanto la procedura di esecuzione dell'ordine Europeo di indagine non può garantire il controllo sull'adozione dell'ordine stesso.
La difesa, in via subordinata, chiede di sottoporre la questione pregiudiziale alla Corte di giustizia.
2.2. Vizio di motivazione in relazione all'art. 273 c.p.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74.
La motivazione sulla partecipazione al reato associativo è del tutto apparente, in quanto basata sui rapporti intrattenuti dal ricorrente con il M. (questi gli avrebbe commissionato lavori di modifica delle autovetture impiegate nel trasporto dello stupefacente) senza spiegare la consapevolezza e la volontà del ricorrente di inserirsi in una organizzazione criminale.
3. Il procedimento è stato trattato nell'udienza camerale del 19 ottobre 2023, ma la relativa deliberazione è stata rinviata all'odierna udienza ai sensi dell'art. 615 c.p.p., comma 1.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei limiti e nei termini di seguito precisati.
2. Il primo motivo di ricorso pone la questione della legittima emissione in Italia dell'ordine Europeo di indagine in base al quale è stata acquisita in Francia la prova indiziaria utilizzata ai fini dell'adozione della misura cautelare nei confronti del ricorrente.
Il Tribunale del riesame ha rilevato che il materiale indiziario a carico di quest'ultimo era costituto dalla decifrazione ed identificazione dei conversanti di "chat criptate", da intercettazioni telefoniche e tra presenti, riprese svolte dalla polizia giudiziaria con sistemi di videosorveglianza.
In particolare, erano state utilizzate delle comunicazioni che gli indagati si erano scambiate su una "chat" operante sulla piattaforma di messaggistica criptata "SKY-ECC", che erano state acquisite dal pubblico ministero con ordini Europei di indagine rivolti all'autorità giudiziaria francese.
Il Tribunale ha precisato che con tali ordini la Procura di Reggio Calabria aveva chiesto la trasmissione di messaggi decifrati riferibili alle comunicazioni di interesse "già avvenute e conservate all'interno del relativo server" della società che gestiva il servizio di messaggistica; che tale materiale conoscitivo costituiva l'esito di indagini svolte autonomamente in Francia e che non costituivano intercettazioni, ma documentazione "a posteriori" di flussi di comunicazioni e, come tale, utilizzabile a norma dell'art. 234-bis c.p.p..
Il Collegio del riesame infine riteneva infondata la questione sulla competenza sollevata dalla difesa sul rilievo che, in ogni caso, vi era stato in Francia il controllo di un giudice per l'acquisizione delle suddette "chat". Non era pertanto necessario, nello Stato di emissione, alcun ulteriore controllo sull'atto acquisito in ordine al rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti al cittadino.
3. Ai fini di una adeguata valutazione delle doglianze formulate dalla difesa, occorre preventivamente definire in maniera corretta la natura dell'attività acquisitiva di indagine svolta dall'autorità giudiziaria all'estero.
Va esclusa l'applicabilità, nel caso di specie, dell'art. 234-bis c.p.p., che, introdotto dal D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito dalla L. 17 aprile 2015, n. 43, stabilisce che "E' sempre consentita l'acquisizione di documenti e di dati informatici conservati all'estero, anche diversi da quelli disponibili al pubblico, previo consenso, in quest'ultimo caso, del legittimo titolare".
A tale disposizione normativa i giudici di merito, nel caso di specie, hanno fatto riferimento in maniera generalizzata, a tal fine richiamando l'orientamento interpretativo offerto in materia da questa Corte di cassazione (per il quale cfr., tra le altre, Sez. 4, n. 16347 del 05/04/2023, Papalia, Rv. 284563; Sez. 1, n. 19082 del 13/01/2023, Costacurta, Rv. 284440; Sez. 1, n. 6364 del 13/10/2022, dep. 2023, Calderon, Rv. 283998; Sez. 6, n. 18907 del 20/04/2021, Civale, Rv. 281819).
Secondo tale indirizzo giurisprudenziale, la messaggistica su "chat" di gruppo su sistema "Sky-ECC", acquisita mediante ordine Europeo di indagine da autorità giudiziaria straniera che ne ha eseguito la decriptazione, costituisce dato informativo documentale conservato all'estero, utilizzabile ai sensi dell'art. 234-bis c.p.p., e non flusso comunicativo, non trovando applicazione la disciplina delle intercettazioni di cui agli artt. 266 e 266-bis c.p.p. (Sez. 4, n. 16347 del 05/04/2023, Papalia, cit., secondo cui non rileva se i messaggi siano stati acquisiti dall'autorità giudiziaria straniera "ex post" o in tempo reale, poiché al momento della richiesta i flussi di comunicazione non erano in atto).
Ora, l'operatività della richiamata disposizione può ritenersi giustificata esclusivamente nell'ipotesi di acquisizione di documenti e dati informatici, intesi come elementi informativi "dematerializzati", che preesistevano rispetto al momento dell'avvio delle indagini da parte dell'autorità giudiziaria francese ovvero che erano stati formati al di fuori di quelle investigazioni: nel caso portato all'odierna attenzione di questa Corte, di contro, risulta in maniera sufficientemente chiara che quella acquisita è stata documentazione di attività di indagine della autorità straniera.
In particolare, la disposizione dettata dall'art. 234-bis c.p.p. è di certo inapplicabile se riferita ai risultati di una attività acquisitiva che, anche in attuazione della richiesta di assistenza formulata dall'autorità giudiziaria italiana, si sia concretizzata nella apprensione occulta del contenuto archiviato in un "server" ovvero nel sequestro di relativi dati ivi memorizzati o presenti in altri supporti informatici, nella disponibilità della società che gestiva quella piattaforma di messaggistica. In questa ipotesi e', altresì, discutibile il rilievo secondo cui l'acquisizione dei documenti e dati informatici - di certo non disponibili al pubblico - sia avvenuta con "il consenso del legittimo titolare", cioè il mittente o il destinatario dei messaggi, ovvero l'anzidetta società di gestione della piattaforma, dovendo l'autorità giudiziaria straniera essere considerata mero detentore qualificato di quei dati a fini di giustizia.
Una siffatta attività acquisitiva, pertanto, va inquadrata nelle disposizioni dettate in materia di perquisizione e sequestri, in specie nella norma dettata dall'art. 254-bis c.p.p. (introdotto dalla L. 18 marzo 2008, n. 48), riguardante le ipotesi di sequestro di dati informatici presso fornitori di servizi informatici, telematici e di comunicazioni (nei medesimi termini Sez. 6, 26/10/2023, R.G. n. 27968/23, Iaria).
D'altro canto, se per l'acquisizione dei dati "esterni" al traffico telefonico o telematico è necessario far riferimento al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 132 (e successive modificazioni) - il cui contenuto si tornerà da qui a breve ad esaminare - la disciplina dell'art. 266 c.p.p., e segg. è applicabile nell'ipotesi in cui vi sia stata una captazione di comunicazioni telefoniche, ambientali o di flussi telematici in corso, nella fase c.d. "dinamica".
Ciò senza dimenticare che il D.Lgs. n. 108 del 2017, art. 43, comma 4, nel regolare le modalità di intercettazione di telecomunicazioni con l'assistenza tecnica dell'autorità giudiziaria di altro Stato membro dell'Unione Europea, stabilisce che la richiesta contenuta in un ordine Europeo di indagine "possa avere ad oggetto la trascrizione, la decodificazione o la decrittazione delle comunicazioni intercettate": lasciando così intendere che anche tali attività latamente "accessorie", se richieste dall'autorità italiana, debbano essere preventivamente autorizzate dal giudice.
3.1. In tale contesto non va trascurato che l'innanzi citato D.Lgs. n. 196 del 2003, in conformità con l'assetto del diritto interno e della giurisprudenza all'epoca vivente, aveva originariamente sottratto le attività dell'acquisizione dei dati estrinseci presso i gestori del traffico telefonico o telematico, tanto per la fase attiva che passiva, alla disciplina delle intercettazioni, prevedendo condizioni meno gravose di quelle richieste per la captazione dei "contenuti comunicativi", rispettivamente legittimando all'emissione dell'ordine durante la fase delle indagini preliminari il pubblico ministero e rinviando invece alle previsioni dell'art. 256 c.p.p. in tema di ordine di esibizione di documenti per il riconoscimento ed esecuzione di ordini emessi all'estero.
La consolidata giurisprudenza di questa Corte (Sez. U, n. 16 del 21/06/2000, Tammaro, Rv. 216247; Sez. U, n. 6 del 23/02/2000, D'Amuri, Rv. 215841), prendendo le mosse dalle pronunce della Corte costituzionale (segnatamente la sentenza n. 281 del 1998), aveva infatti escluso dalla nozione di intercettazione che attiene "all'apprensione e all'acquisizione del contenuto di comunicazioni" - le "acquisizioni a fini probatori di notizie riguardanti il fatto storico dell'avvenuta comunicazione", ritenendo sufficiente il decreto motivato del P.M. per acquisire i tabulati telefonici, così da attuare una tutela costituzionale proporzionata alla lesione della riservatezza della sfera privata in ragione della limitata invasività dell'atto che ha come oggetto l'acquisizione di "elementi esterni" della telecomunicazione, non segreti per il gestore del servizio e l'abbonato.
Questo quadro della normativa nazionale per l'acquisizione presso il "server" dei dati esterni alle telecomunicazioni è stato profondamente modificato a seguito degli arresti della Corte di giustizia dell'Unione Europea.
Con la sentenza del 2 marzo 2021 (H.K., C-746/18), la Grande Camera ha chiarito quali siano le condizioni per l'accesso per finalità di prevenzione o accertamento di reati ai dati relativi al traffico telefonico/informatico o ai dati relativi all'ubicazione ad esso associati, al dichiarato scopo di coniugare tale attività con gli artt. 7, 8 e 11 e 52 della Carta dei diritti fondamentali. La Corte, nel rammentare come tali dati "esterni" alle comunicazioni siano in grado di svelare informazioni molto precise sulla vita privata delle persone i cui dati sono stati conservati, come le abitudini della vita quotidiana, i luoghi di soggiorno permanenti o temporanei, gli spostamenti giornalieri o di altro tipo, le attività esercitate, le relazioni sociali di tali persone e gli ambienti sociali da esse frequentati, ha stabilito in primo luogo che l'accesso deve essere circoscritto a procedure aventi per scopo la lotta contro le forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica; e in secondo luogo che non possa essere il pubblico ministero l'autorità competente ad autorizzare l'accesso a tali dati.
In ordine al primo profilo, la Corte ha ribadito come le deroghe alla protezione dei dati personali e le limitazioni di quest'ultima devono compiersi entro i limiti dello stretto necessario: quindi l'accesso deve soddisfare il requisito di proporzionalità, con la conseguenza che "tanto la categoria o le categorie di dati interessati, quanto la durata per la quale è richiesto l'accesso a questi ultimi, siano, in funzione delle circostanze del caso di specie, limitate a quanto è strettamente necessario ai fini dell'indagine in questione".
Quanto al secondo profilo, la Corte ha rilevato come solo un giudice o un'autorità indipendente terza nel processo possano esercitare in modo imparziale ed obiettivo il controllo della sussistenza delle condizioni sostanziali e procedurali per l'accesso, così da garantire "un giusto equilibrio tra, da un lato, gli intere i connessi alle necessità dell'indagine nell'ambito della lotta contro la criminalità e, dall'altro, i diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali delle persone i cui dati sono interessati dall'accesso".
Questa sentenza ha avuto un dirompente impatto sull'ordinamento italiano, tanto da richiedere un intervento normativo in via d'urgenza (D.L. n. 132 del 2021) che, con le novelle disposizioni inserite nell'art. 132 Cod. privacy (così come risultanti dalla legge di conversione n. 178 del 2021), ha "giurisdizionalizzato" nel procedimento penale la procedura di acquisizione dei dati esterni di traffico telefonico e telematico (che richiede ora un provvedimento autorizzatorio motivato del giudice), selezionandone l'ambito oggettivo di applicazione, esperibile solo nell'ambito dei procedimenti iscritti per reati connotati da una certa gravità indiziaria, configurata quoad poenam.
Quanto al criterio di proporzionalità, il legislatore ha ancorato l'accesso, da un lato, al presupposto indiziario e, dall'altro, alle esigenze investigative. Il primo requisito è stato individuato in un livello di accertamento inferiore (sufficienti indizi) rispetto a quello previsto per l'autorizzazione del diverso e ben più invasivo mezzo di ricerca della prova delle intercettazioni. Il secondo ("ove rilevanti ai fini della prosecuzione delle indagini") viene ad attuare il dictum della Corte di giustizia là dove ha imposto la verifica in concreto dell'effettiva necessità di un intervento acquisitorio, così da escludere la sua utilizzazione per inquisitio generalis.
In questa ottica è possibile concludere che l'acquisizione all'estero di documenti e dati informatici inerenti a corrispondenza o ad altre forme di comunicazione debba essere sempre autorizzata da un giudice: sarebbe davvero singolare ritenere che per l'acquisizione dei dati esterni del traffico telefonico e telematico sia necessario un preventivo provvedimento autorizzativo del giudice, mentre per compiere il sequestro di dati informatici riguardanti il contenuto delle comunicazioni oggetto di quel traffico sia sufficiente un provvedimento del pubblico ministero.
3.2. In tale quadro normativo e giurisprudenziale assume una rilevanza centrale la posizione assunta dalla Corte costituzionale in ordine alla estensione applicativa delle garanzie previste dall'art. 15 Cost. in materia di libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione.
I Giudici delle leggi hanno recentemente chiarito che - ferma restando la distinzione tra l'attività di intercettazione, che concerne la captazione occulta da parte di un "extraneus" di comunicazioni nella loro fase c.d. "dinamica", e l'attività di sequestro, che attiene all'acquisizione del supporto recante la memoria di comunicazioni già avvenute, cioè nella loro fase c.d. "statica" - il concetto di corrispondenza, cui va assicurata la "copertura" dell'art. 15 Cost., è "ampiamente comprensivo, atto ad abbracciare ogni comunicazione di pensiero umano (...) tra due o più persone determinate, attuata in modo diverso dalla conversazione in presenza;...(di talché) la tutela accordata dall'art. 15 Cost. - che assicura a tutti i consociati la libertà e la segretezza "della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione", consentendone la limitazione "soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge" - prescinde dalle caratteristiche del mezzo tecnico utilizzato...(e)... si estende, quindi, ad ogni strumento che l'evoluzione tecnologica mette a disposizione a fini comunicativi, compresi quelli elettronici e informatici". Ne consegue che l'art. 15 Cost., riferibile alla "generalità dei cittadini", tutela la corrispondenza "ivi compresa quella elettronica, anche dopo la ricezione da parte del destinatario, almeno fino a quando, per il decorso del tempo, essa non abbia perso ogni carattere di attualità, in rapporto all'interesse alla sua riservatezza, trasformandosi in mero documento "storico"" (Corte Cost., sent. n. 170 del 2023).
Tale autorevole indicazione interpretativa, benché contenuta in una pronuncia emessa in un giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato con specifico riferimento alle immunità di cui gode il parlamentare ai sensi dell'art. 68 Cost., possiede una valenza di carattere generale nella parte in cui è stata considerata la portata precettiva dell'art. 15 Cost., inducendo questa Corte a valorizzarne le implicazioni in relazione al caso di specie.
Sotto questo punto di vista, infatti, la richiamata decisione del Giudice delle leggi si "salda" coerentemente con il già sufficientemente definito orientamento esegetico della giurisprudenza costituzionale in base al quale si era puntualizzato che la tutela prevista da quella disposizione della carta fondamentale - che assicura a tutti i consociati la libertà e la segretezza "della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione", consentendone la limitazione "soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge" - "apre" "il testo costituzionale alla possibile emersione di nuovi mezzi e forme della comunicazione riservata" (Corte Cost., sent. n. 2 del 2023, a proposito della illegittimità della norma sui divieti, stabiliti dall'autorità amministrativa, di possesso e utilizzo di apparecchi di comunicazione) e si estende "ad ogni strumento che l'evoluzione tecnologica mette a disposizione a fini comunicativi, compresi quelli elettronici e informatici, ignoti al momento del varo della Carta costituzionale", in relazione ai quali le limitazioni della libertà costituzionale sono consentite solamente nel rispetto "della riserva assoluta di legge e di giurisdizione" (Corte Cost., sent. n. 20 del 2017, a proposito delle forme di controllo della corrispondenza epistolare del detenuto; conf., in precedenza Corte Cost. sent. n. 1030 del 1988; e Corte Cost. sent. n. 81 del 1993).
Ne' vi è dubbio che la Corte costituzionale, proprio considerando le garanzie connesse alla "riserva di giurisdizione", ha esteso alla libertà delle comunicazioni i criteri applicati per legittimare le limitazioni della libertà personale: spiegando che "il significato sostanziale, e non puramente formale, dell'intervento dell'autorità giudiziaria, in presenza di misure di prevenzione che comportino restrizioni rispetto a diritti fondamentali assistiti da riserva di giurisdizione", comporta che quel controllo vada inteso come "vaglio dell'autorità giurisdizionale (...) associato alla garanzia del contraddittorio, alla possibile contestazione dei presupposti applicativi della misura, della sua eccessività e sproporzione, e, in ultima analisi, consente il pieno dispiegarsi allo stesso diritto di difesa" (Corte Cost., sent. n. 2 del 2023).
L'indirizzo ermeneutico privilegiato dalla Consulta si collega, altresì, alle posizioni assunte in materia dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo che - come ricordato espressamente nella sentenza n. 170 del 2023 - ha ricondotto "sotto il cono di protezione dell'art. 8 CEDU, ove pure si fa riferimento alla "corrispondenza" tout court, i messaggi di posta elettronica (Corte EDU, sent. 5/09/2017, Barbulescu c. Romania, p. 72; Corte EDU, sent. 3/04/2007, Copland c. Regno Unito, p. 41), gli SMS (Corte EDU, sent. 17/12/2020, Saber c. Norvegia, p. 48) e la messaggistica istantanea inviata e ricevuta tramite internet (Corte EDU, sent. Barbulescu, cit., p. 74)".
3.3. Nell'individuare la disciplina processuale più confacente al caso di specie, la relativa normativa interna va, poi, necessariamente letta e interpretata in maniera conforme ai principi formulati dalla legislazione Eurounitaria. Al riguardo, la Direttiva 41/2014UE (di seguito Direttiva OEI) stabilisce che l'ordine Europeo di indagine debba essere "necessario" e "proporzionato" ai fini del procedimento penale, "tenendo conto dei diritti della persona sottoposta a indagini o imputata", alla quale, a tale fine, spetta la conoscenza dei "dettagli dell'indagine" (così nel considerando n. 10 della direttiva).
Occorre, inoltre, considerare che il D.Lgs. n. 108 del 2017, che ha dato attuazione alla citata Direttiva, all'art. 3 prevede che "nel compimento delle attività relative all'emissione, alla trasmissione, al riconoscimento ed all'esecuzione dell'ordine di indagine, i dati personali sono trattati secondo le disposizioni legislative che regolano il trattamento dei dati giudiziari e in conformità agli atti normativi dell'Unione Europea e alle Convenzioni del Consiglio d'Europa".
Di tanto, come si è anticipato, vi è riscontro nella giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea, la quale ha avuto modo di sottolineare, da un lato, come l'acquisizione dei dati di traffico telefonico o telematico, proprio perché attività diretta ad incidere sul diritto alla riservatezza, di cui agli artt. 7 e 8 CDFUE, debba avvenire con modalità che garantiscano un adeguato controllo giurisdizionale (Corte giust. UE, sent. 2/03/2021, H.K., C-746/18, cit.): acquisizione che, in caso di emissione di un ordine Europeo di indagine, deve consentire all'interessato di promuovere un adeguato mezzo di impugnazione, sì da esercitare validamente il diritto al ricorso effettivo di cui all'art. 47 CDFUE (Corte giust. UE, sent. 11/11/2021, Gavanozov, C-852/19). E, da altro lato, come, in disparte il criterio di autonomia di ciascuno Stato membro nel regolare "le modalità processuali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell'Unione", occorra, in ogni caso, che quelle modalità "non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe assoggettate al diritto interno", e "che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti", evitando che "informazioni ed elementi di prova ottenuti in modo illegittimo rechino indebitamente pregiudizio a una persona sospettata di avere commesso reati" (Corte giust. UE, sent. 16/12/2021, HP, C-724/19).
4. Una volta chiarito come vada inquadrato l'atto richiesto con l'o.e.i. ed eseguito in Francia e il regime per la sua acquisizione in Italia, può essere affrontata la questione sollevata dalla difesa della "competenza" all'emissione dell'ordine Europeo di indagine.
4.1. La Direttiva OEI - strumento normativo dell'Unione Europea che si iscrive nel quadro del sistema del mutuo riconoscimento dei provvedimenti giudiziari in materia penale - prevede che, per compiere uno o più atti di indagine specifici in un altro Stato membro (lo "Stato di esecuzione") ai fini di acquisire prove, sia emessa "una decisione giudiziaria" l'ordine Europeo di indagine) da una autorità competente, secondo l'ordinamento nazionale, a disporre tali atti.
E ciò al fine di garantire che "l'atto o gli atti di indagine richiesti nell'o.e.i. avrebbero potuto essere emessi alle stesse condizioni in un caso interno analogo" (art. 6).
Quindi l'o.e.i. presuppone in primo luogo la "competenza" dell'autorità di emissione all'adozione dell'atto "specifico" che si intende eseguire all'estero e, coerentemente, la sussistenza delle condizioni per l'emissione dell'atto in questione nello Stato di emissione.
Questa regola ha la funzione di assicurare già nello Stato di emissione il controllo "a monte" sull'atto che si intende eseguire od ottenere all'estero: spetta infatti all'autorità di emissione il compito di accertare ai sensi dell'art. 6, par. 1, della Direttiva "se le prove che si intende acquisire sono necessarie e proporzionate ai fini del procedimento, se l'atto di indagine scelto è necessario e proporzionato per l'acquisizione di tali prove", nonché "il pieno rispetto dei diritti stabiliti nell'art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea" (considerando n. 11).
4.2. Il D.Lgs. n. 108 del 2017, all'art. 27 ha stabilito che autorità competenti ad emettere l'o.e.i. sono il pubblico ministero e il giudice che procede "nell'ambito delle rispettive attribuzioni", assegnando così al pubblico ministero la legittimazione alla emissione dell'ordine per la fase delle indagini preliminari.
Il legislatore delegato ha così valorizzato il "dominio" della fase da parte del pubblico ministero, anche quando l'o.e.i. abbia per oggetto attività postulanti il previo controllo autorizzativo del giudice, posto che la competenza del giudice per le indagini è soltanto incidentale.
Il decreto ha altresì escluso per tale fase che l'emissione dell'o.e.i. debba essere preceduta dal contraddittorio con le parti (riservato solo ai procedimenti in cui sia il giudice ad emettere l'ordine).
Quindi la scelta del legislatore delegato è stata quella di diversificare la competenza ad emettere l'o.e.i. da quella ad emettere l'atto di indagine richiesto.
Peraltro, nell'attribuire al pubblico ministero per la fase delle indagini la competenza ad emettere l'o.i.e. per ogni tipologia di atto da acquisire all'estero, il decreto legislativo ha espressamente previsto - se pur per le sole intercettazioni - che l'ordine sia preceduto dalla adozione del provvedimento di autorizzazione da parte del Giudice per le indagini preliminari (art. 43).
Spetta a quest'ultimo infatti "verificare i presupposti della richiesta, in base alla disciplina codicistica", e quindi - eventualmente - respingerla in assenza di tali presupposti (così espressamente la Relazione illustrativa). Poiché il provvedimento autorizzativo non è previsto possa essere allegato all'ordine, nell'o.e.i il pubblico ministero dovrà esporre "i motivi per cui considera l'atto di indagine utile al procedimento penale".
Quando invece l'atto da eseguire all'estero sia di competenza dello stesso pubblico ministero, secondo la disciplina codicistica, è l'o.e.i. - quale decisione giudiziaria - a costituire l'atto interno di indagine (l'art. 28 infatti prevede in caso di sequestro probatorio che sia l'o.e.i. ad essere oggetto di impugnativa).
4.3. L'o.e.i. può essere emesso anche per acquisire prove già disponibili nello Stato di esecuzione (art. 1: "prove già in possesso dell'autorità dello Stato di esecuzione").
La Direttiva OEI, infatti, ha inglobato il meccanismo di cooperazione già previsto in ambito U.E. per l'acquisizione di mezzi di prova già esistenti e disponibili nello Stato di esecuzione - la decisione quadro 2008/978/GAI sul mandato di ricerca della prova (che l'Italia non ha implementato) - che, come si legge nella proposta della Commissione Europea (doc. COM (2003) 688 del 14 novembre 2003), poteva essere utilizzato per acquisire anche "i dati esistenti riguardanti le comunicazioni intercettate".
Quanto alle regole previste da tale ultimo strumento, è significativo che la decisione quadro avesse previsto, quali condizioni per l'emissione del mandato, non solo una valutazione da parte dell'autorità di emissione sulla necessità e proporzionalità dell'acquisizione delle prove rispetto al procedimento penale a quo, ma anche la "compatibilità" della stessa acquisizione rispetto alla legislazione dello Stato di emissione "se le prove fossero state disponibili nel territorio dello Stato di emissione" (il mandato, in altri termini, poteva essere emesso soltanto nei casi in cui gli oggetti, i documenti o i dati erano acquisibili in base alla legislazione nazionale). Tale condizione, come si legge nella relativa proposta della Commissione Europea, intendeva evitare che il suddetto meccanismo di acquisizione della prova venisse ad aggirare divieti o limiti previsti dalla legislazione dello Stato di emissione.
Poiché né la Direttiva OEI né il decreto legislativo attuativo hanno dettato regole specifiche per l'emissione dell'o.e.i. per l'acquisizione di prove già disponibili, deve ritenersi ferma anche per tale forma di ordine la competenza del pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari.
Il problema piuttosto attiene alla necessità che l'o.e.i. sia preceduto o meno da un provvedimento autorizzativo del giudice, laddove questo sia previsto dalla normativa nazionale per la tipologia di atto da acquisire.
La questione, che riguarda quindi più che il tema della competenza del pubblico ministero ad emettere l'o.e.i. quello della legittima emissione dell'ordine stesso, nel caso in esame si presenta in ogni caso irrilevante, per quello che di seguito sarà precisato al p. 5.4.
5. Va chiarito, dunque, quali siano, con riferimento al ricorso in esame, le conseguenze derivanti dalla illegittima emissione dell'o.e.i. in quanto non preceduto dal necessario provvedimento del giudice.
5.1. La Direttiva OEI prevede che la difesa possa in primo luogo far valere i mezzi di impugnazione disponibili presso lo Stato di esecuzione così da impedire il riconoscimento dell'o.e.i. o la trasmissione della prova o comunque la sua utilizzazione nel procedimento ad quem (art. 14), dovendo lo Stato di emissione tener conto dell'esito di una impugnazione attuata con successo dall'interessato.
Tra i profili che la difesa può far rilevare presso lo Stato di esecuzione si pone quello della competenza dell'autorità di emissione ad adottare lo specifico atto richiesto (in tal senso cfr. sent. Corte giust. UE, 16/12/2021, HP C-724/19, cit.).
5.2. A sua volta, lo Stato di emissione, come ha chiarito la Corte di giustizia, indipendentemente dai rimedi esperibili presso lo Stato di esecuzione, deve consentire alla difesa di contestare "la necessità e la regolarità di un ordine Europeo di indagine" (sent. 11/11/2021, Gavanozov, C-852/19).
Nel silenzio del decreto attuativo della Direttiva OEI, deve ritenersi che la difesa possa avvalersi dei rimedi previsti dal nostro ordinamento per sottoporre a verifica il profilo della illegittimità dell'o.i.e. (principio già affermato dalle Sezioni Unite con riferimento ad una richiesta di assistenza giudiziaria, Sez. U, n. 21420 del 16/04/2003, Monnier).
5.3. Ebbene, laddove risulti che l'attività di indagine svolta all'estero sia stata eseguita sulla base di un ordine illegittimo, perché emesso senza il necessario provvedimento del giudice, la genesi patologica della prova raccolta all'estero non può che riflettersi sul procedimento penale di destinazione, decretando la inutilizzabilità della prova.
5.4. Diverse sono invece le conseguenze di tale illegittimità laddove si accerti che l'o.e.i. è stato emesso al fine di acquisire una prova "già disponibile" nello Stato di esecuzione.
Posto che non risulta che la difesa ha eccepito con successo presso lo Stato di esecuzione la illegittima emissione dell'o.e.i. da parte del pubblico ministero italiano, tale profilo risulta definitivamente assorbito dalla trasmissione della prova ad opera di quest'ultimo (verificandosi un caso analogo a quello in cui la prova è stata spontaneamente messa a disposizione di un altro Stato, secondo un meccanismo oramai consolidato nella normativa internazionale e nelle prassi delle relazioni tra Stati).
A fronte di una prova definitivamente trasmessa all'autorità italiana, la questione posta dalla difesa in questa sede della competenza ad emettere l'o.e.i. risulta quindi preclusa e, con essa, anche la richiesta formulata dalla difesa di rimetterne la interpretazione pregiudiziale alla Corte di giustizia.
5.5. Ciò non esclude, peraltro, come ha richiesto la Corte di giustizia, che la difesa possa ottenere, attraverso i rimedi disponibili nella nostra legislazione, la verifica sulla sussistenza delle condizioni di ammissibilità della prova secondo le regole proprie dell'ordinamento nazionale. Verifica che, se non effettuata dall'autorità giudiziaria competente nel procedimento nazionale prima dell'emissione dell'o.e.i., incidentalmente, può essere effettuata successivamente anche dal Giudice del riesame.
La Direttiva OEI non ha disciplinato infatti la utilizzabilità della prova acquisita con l'o.e.i., rinviando per tale aspetto al diritto dello Stato di emissione, fatti salvi in ogni caso "i diritti della difesa" e le garanzie di "un giusto processo nel valutare le prove acquisite tramite l'OEI" (art. 14, par. 7).
Così, nel caso di risultati di operazioni di intercettazione già disponibili nello Stato di esecuzione, la norma di riferimento nella prospettiva nazionale non può essere soltanto l'art. 270 c.p.p. che regola l'utilizzazione della prova acquisita in altro procedimento.
Come hanno chiarito le Sezioni Unite, a tale norma risulta del tutto estraneo il procedimento di "ammissione" dell'intercettazione, che tuttavia non può non rilevare nel giudizio ad quem sotto il profilo della legalità del procedimento di autorizzazione ed esecuzione delle intercettazioni: se la violazione della garanzia di libertà e segretezza delle comunicazioni può rendere inutilizzabile la prova nel giudizio a quo, a maggior ragione deve poter rendere inutilizzabile la prova nel giudizio ad quem, nel quale ha più ristretti limiti di ammissibilità. E del resto è evidente a quali abusi si presterebbe altrimenti la circolazione di una prova privata della memoria della sua genesi (Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, Esposito, Rv. 229244).
E' pertanto evidente che, nel sistema delineato dalla Direttiva OEI, per l'acquisizione dei risultati di un'intercettazione già svolta all'estero, non sia sufficiente che tale prova sia stata autorizzata da un giudice di uno Stato membro nel rispetto della legislazione di tale Stato, ma occorre il controllo - che non può essere affidato che al giudice nazionale - sull'ammissibilità e sulla utilizzazione della prova stessa secondo la legislazione italiana.
6, Pertanto, alla luce delle considerazioni che precedono, deve ritenersi censurabile la risposta fornita dal Tribunale del riesame in ordine sia alla qualificazione dell'atto richiesto con l'ordine di indagine Europeo sia alla ritenuta sufficienza del controllo effettuato dall'autorità giudiziaria francese sull'atto eseguito in Francia.
L'ordinanza impugnata va, dunque, annullata con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria che nel nuovo giudizio si uniformerà ai principi di diritto innanzi delineati, attribuendo alle attività di indagine svolte all'estero la corretta qualificazione giuridica e verificando, ai fini della utilizzabilità dei dati informativi, se sussistevano le condizioni per l'autorizzabilità in sede giurisdizionale delle relative attività investigative oggetto dell'ordine Europeo.
All'esito degli accertamenti demandati con la presente pronuncia rescindente, in sede rescissoria il giudice di rinvio - laddove dovesse eventualmente riconoscere la inutilizzabilità di parte degli elementi di prova indiziaria - dovrà, infine, effettuare una "prova di resistenza" per verificare se il rispetto dell'art. 273 c.p.p. possa considerarsi, nel caso di specie, ugualmente garantito in base ad ulteriori elementi di conoscenza legittimamente acquisiti. Ciò perché nella motivazione dell'ordinanza gravata il Tribunale del riesame ha precisato che l'affermazione di sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è basata, oltre che sui risultati delle indagini svolte dall'autorità giudiziaria francese, sugli esiti di altre investigazioni, compendiati nei risultati di intercettazioni telefoniche e ambientali, e di ulteriori operazioni di polizia giudiziaria.
Nel riconoscimento della fondatezza del primo motivo resta assorbito l'esame del secondo motivo del ricorso.
Alla Cancelleria vanno demandati gli adempimenti esecutivi di legge.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Reggio Calabria, competente ai sensi dell'art. 309 c.p.p., comma 7.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2023.
Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2023