RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 15 maggio 2018 la Corte di Appello di Milano, giudicando in sede di rinvio disposto dalla Sezione Sesta penale della Corte Suprema di cassazione in data 6 ottobre 2017, ha confermato la sentenza in data 16 gennaio 2013 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, così come parzialmente riformata con sentenza della Corte di appello di Milano in data 16 dicembre 2016, con la quale C.P. all'esito di giudizio abbreviato, era stato dichiarato colpevole del reato di maltrattamenti in famiglia (così riqualificato il contestato reato di cui all'art. 612-bis c.p.) ai danni della ex convivente Ce.Gi.Da. e condannato a pena ritenuta di giustizia.
I fatti risultano contestati come commessi fino al (OMISSIS).
2. Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell'imputato, deducendo:
2.1. Violazione di legge ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione all'art. 572 c.p. e art. 25 Cost..
Rileva, al riguardo parte ricorrente che l'art. 572 c.p. all'epoca dei fatti (settembre 2011) aveva una formulazione differente rispetto al testo attuale facendo esclusivo riferimento ad "una persona della famiglia" e non contemplando testualmente la figura del "convivente": da ciò ne deriverebbe che l'imputato non poteva essere punito per un fatto non previsto dalla legge come reato al momento in cui fu commesso.
La sentenza impugnata non ha comunque motivato sul punto.
2.2. Violazione di legge ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione all'art. 627 c.p.p., comma 3.
Osserva parte ricorrente che, sulla base della sentenza di annullamento con rinvio pronunciata dalla Corte di cassazione si sarebbe dovuta valutare la configurabilità del delitto di atti persecutori (originariamente contestato) o quello di maltrattamenti in rapporto soltanto alle condotte tenute dall'imputato fino alla cessazione della convivenza.
La Corte di appello non si sarebbe però attenuta a tale limite indicato dalla Suprema Corte discostandosi dal principio di diritto enunciato nella sentenza di annullamento con rinvio e non limitandosi a giudicare le condotte tenute dall'odierno ricorrente prima della cessazione della convivenza.
2.3. Violazione di legge e vizi di motivazione della sentenza impugnata ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all'art. 572 c.p..
Secondo parte ricorrente, la Corte di appello sarebbe incorsa in errore nella ricostruzione dei fatti ritenendo che la convivenza tra l'imputato e la persona offesa si fosse protratta fino al giorno 11 settembre 2011 mentre sulla base delle evidenze probatorie detto rapporto sarebbe cessato il 3 settembre, oltretutto non motivando adeguatamente sul punto e ricollegando la cessazione del rapporto al mero ritiro degli effetti personali nonchè utilizzando un referto medico successivo all'episodio dell'11 settembre.
Non sarebbero, poi, neppure corretti i richiami giurisprudenziali effettuati nella sentenza qui impugnata ad un rapporto assimilabile a quello di famiglia, atteso che la relazione tra il C. e la Ce. era caratterizzata da soprusi, litigi ed infedeltà.
2.4. Vizi di motivazione della sentenza impugnata ex art. 606 c.p.p, comma 1, lett. e), in relazione all'integrazione del reato di cui all'art. 572 c.p. in presenza della rimessione di querela da parte della persona offesa.
Secondo parte ricorrente la Corte di appello si sarebbe limitata ad affermare che "la rimessione della querela prova ulteriormente lo stato di soggezione della donna" senza fornire motivazione alcuna in ordine a tale assunto in presenza di una situazione che ben potrebbe essere letta in una prospettiva diametralmente opposta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Poichè la sentenza qui impugnata nasce da un annullamento con rinvio della precedente sentenza in data 16 dicembre 2016 della Corte di appello di Milano, appare doveroso prendere le mosse da quanto in precedenza statuito da questa Corte di legittimità che, con riguardo al contenuto della sentenza impugnata, aveva rilevato che la stessa:
a) non aveva definito esattamente la natura del rapporto tra il ricorrente e la persona offesa, non chiarendo come lo stesso si fosse sviluppato nel corso degli anni;
b) aveva fatto contraddittoriamente riferimento ad una breve separazione senza fornire ulteriori dettagli e nel contempo considerando irrilevante la cessazione della convivenza muovendo da un rapporto di coniugio di cui non ha dato altrimenti conto e che non è stato concretamente suffragato;
per poi concludere testualmente che "è di tutta evidenza che in mancanza di rapporto di coniugio la cessazione del rapporto di convivenza avrebbe comportato la non configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia con riguardo alle condotte successive, essendo se del caso ravvisabile, in presenza di reiterate molestie produttive... di ansia, paura e timore per l'incolumità il delitto di atti persecutori peraltro originariamente contestato".
2. Ciò doverosamente premesso, va detto che il primo motivo di ricorso non è fondato.
Pacifici e del tutto condivisibili sono, infatti, i principi ricordati nella citata sentenza di questa Corte Suprema secondo i quali "In tema di maltrattamenti in famiglia l'art. 572 c.p. è applicabile non solo ai nuclei familiari fondati sul matrimonio, ma a qualunque relazione sentimentale che, per la consuetudine dei rapporti creati, implichi l'insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale" (Sez. 6, n. 31121 del 18/03/2014, Rv. 261472) e, ancora, che "E' configurabile il delitto di maltrattamenti in famiglia anche in danno di persona non convivente o non più convivente con l'agente, quando quest'ultimo e la vittima siano legati da vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione" (Sez. 6, n. 33882 del 08/07/2014, Rv. 262078).
E' appena il caso di evidenziare che la citata sentenza n. 31121 del marzo 2014 si riferiva a fatti commessi fino all'anno 2006 e che anche prima dell'entrata in vigore della L. n. 172 del 2012 che ha modificato il testo dell'art. 572 c.p. la giurisprudenza di legittimità aveva sempre ritenuto l'applicabilità della predetta norma anche solo ai rapporti di mera convivenza non caratterizzati da contestuale coniugio e quindi anche a persona convivente "more uxorio", atteso che il richiamo contenuto nell'art. 572 c.p. alla "famiglia" doveva intendersi riferito ad ogni consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo (cfr. Sez. 6, n. 20647 del 29/01/2008, Rv. 239726; Sez. 6, n. 21329 del 24/01/2007, Rv. 236757 e numerose altre in senso conforme).
Da ciò ne consegue che la riforma dell'art. 572 c.p. intervenuta nel 2012 attraverso l'inserimento testuale della dicitura "persona... comunque convivente" null'altro è stato se non la mera specificazione di un principio comunemente riconosciuto e confortato dalla costante giurisprudenza di legittimità che, come già accennato, ha costantemente ritenuto la configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia anche in danno del mero convivente more uxorio, e più in generale ha esteso l'ampliamento della sfera della tutela penale apprestata dalla categoria dei reati contro la famiglia anche alle unioni di fatto secondo un orientamento che può dirsi ormai pacifico da quasi cinquant'anni, a partire da Sez. 2, n. 320 del 26 maggio 1966, Rv. 101563 (per la quale, "agli effetti dell'art. 572 c.p., deve considerarsi "famiglia" ogni consorzio di persone tra le quali, per intime relazioni e consuetudini di vita, siano sorti legami di reciproca assistenza e protezione: anche il legame di puro fatto stabilito tra un uomo ed una donna vale pertanto a costituire una famiglia in questo senso, quando risulti da una comunanza di vita e di affetti analoga a quella che si ha nel matrimonio").
Del resto osserva, inoltre, il Collegio che non può non concordarsi con quanto già anche in passato osservato da questa Corte (cfr. Sez. 2, n. 34147 del 30/04/2015, Rv. 264630) ricordando che a norma dell'art. 8 della Convenzione EDU, "ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza".
In proposito, la giurisprudenza della Corte EDU ha da tempo accolto una nozione sostanziale, onnicomprensiva di "famiglia", senz'altro ricomprendente anche i rapporti di fatto, privi di formalizzazione legale, ai quali si ritiene che l'art. 8 cit. assicuri incondizionata tutela: in tal senso, va ricordata la sentenza 13 giugno 1979, Marckx contro Belgio, per a quale l'art. 8 "presuppone l'esistenza di una famiglia, e tutela sia la famiglia naturale che la famiglia legittima", poichè la nozione di famiglia accolta dalla citata disposizione "non si basa necessariamente sul vincolo del matrimonio, ma anche su ulteriori legami di fatto particolarmente stretti e fondati su una stabile convivenza". Il principio è stato più recentemente ribadito dalla sentenza 13 dicembre 2007, Emonet ed altri contro Svizzera, per la quale "La nozione di famiglia accolta dall'art. 8 CEDU non si basa necessariamente sul vincolo del matrimonio, ma anche su ulteriori legami di fatto particolarmente stretti e fondati su una stabile convivenza. La durata della convivenza e l'eventuale nascita di figli sono elementi ulteriormente valutabili".
Tali principi, conosciuti e conoscibili non possono che portare a ritenere che in nessuna violazione dell'art. 2 c.p. e art. 25 Cost. possa ritenersi che sia incorso il Giudice che abbia ritenuto configurabile il reato di cui all'art. 572 c.p. commesso prima del 2012 anche al caso di sussistenza di un rapporto non di coniugio ma di mera convivenza tra soggetti coinvolti nella vicenda.
3. Non fondati sono, poi, anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso che appaiono meritevoli di trattazione congiunta.
Sulla premessa che, sulla base dell'orientamento giurisprudenziale richiamato anche nella sentenza di annullamento con rinvio costituente il presupposto della decisione che qui ci occupa, il quadro giuridico può essere ricostruito come segue:
a) nel caso di esistenza di rapporto di coniugio il delitto di cui all'art. 372 c.p. può essere consumato anche nel caso in cui la convivenza sia cessata e ciò perchè i vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione permangono integri anche a seguito del venir meno della convivenza (cfr. ex ceteris anche Sez. 6, n. 3087 del 19/12/2017, dep. 2018, Rv. 272134);
b) nel caso di mera convivenza more uxorio il reato di cui all'art. 572 c.p. può essere consumato solo finchè la convivenza non sia cessata mentre le azioni violente o persecutorie compiute in epoca successiva possono al più integrare il reato di cui all'art. 612-bis c.p..
Ciò premesso, va detto che la sentenza qui impugnata ha dato congrua e logica risposta alle questioni che avevano portato all'annullamento con rinvio della precedente decisione della Corte distrettuale, illustrando gli elementi che hanno portato alla corretta qualificazione dei fatti come violazione dell'art. 572 c.p. attraverso l'analisi degli elementi probatori raccolti, illustrando la questione della breve interruzione del rapporto di convivenza nel 2008 e la successiva prosecuzione del rapporto fino al settembre 2011.
Quanto all'esatta data di cessazione del rapporto di convivenza che l'imputato ha collocato al 3 settembre 2011, la Corte distrettuale ha adeguatamente chiarito (v. pag. 11 della sentenza impugnata) le ragioni per le quali ha ritenuto che comunque tale rapporto sia proseguito ancora per qualche giorno e, quindi, fino alla sera del 11 settembre 2011 allorquando avvenne un'ulteriore aggressione ai danni della persona offesa.
Ora, al di là della circostanza che l'arretramento di 8 giorni del momento finale di consumazione del reato di maltrattamenti in famiglia non assume alcuna concreta rilevanza nè ai fini sostanziali, nè a quelli processuali, va detto che la questione dell'esatta determinazione del tempus commissi delicti è una questione di fatto, di certo non sottoponibile alla Corte di legittimità, il cui compito è quello di verificare che i Giudici di merito - come nel caso in esame abbiano esaminato la questione ed abbiano motivato la loro in maniera congrua e non manifestamente illogica la loro decisione.
A ciò si aggiunge l'osservazione che nel capo di imputazione la condotta è contestata "sino a settembre 2011" e ciò rientra pacificamente anche nel periodo temporale indicato dall'odierno ricorrente.
Non appare, poi, di certo condivisibile l'assunto difensivo secondo il quale nel caso in esame non sarebbe configurabile un rapporto assimilabile a quello di famiglia, atteso che la relazione tra il C. e la Ce. era caratterizzata da soprusi, litigi ed infedeltà. Tale assunto tende indebitamente a confondere l'aspetto sostanziale ed oggettivo di un rapporto di convivenza con quello delle patologie che si possono inserire in tale rapporto: seguendo il ragionamento di parte ricorrente si arriverebbe al paradosso che più sono alterati, mediante violenze e tradimenti, i normali rapporti di convivenza familiare, meno sarebbe configurabile il reato di cui all'art. 572 c.p..
4. Non fondato è, infine, anche il quarto ed ultimo motivo di ricorso.
Anche in questo caso (v. pag. 13 della sentenza impugnata) i Giudici distrettuali hanno analizzato e risolto nel merito con motivazione congrua e non manifestamente illogica la questione della rimessione della querela.
Sul punto deve evidenziarsi che nel caso in esame il ricorrente propone, peraltro in via ipotetica, una ricostruzione alternativa a quella operata dai giudici di merito, ma, in materia di ricorso per Cassazione, perchè sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione considerata dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) la ricostruzione contrastante con il procedimento argomentativo del giudice, deve essere inconfutabile, ovvia, e non rappresentare soltanto una ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza (cfr.. con riferimento a massime di esperienza alternative, Sez. 1, n. 13528 del 11/11/1998, Maniscalco, Rv. 212054).
Del resto in tema di vizi della motivazione, il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti (nella specie il motivo di rimessione della querela), nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Moro, Rv. 215745; Sez. 2, n. 2436 del 21/12/1993, dep. 1994, Modesto, Rv. 196955), ciò perchè la correttezza o meno dei ragionamenti dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa è indipendente dalla verità degli enunciati che la compongono.
5. Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso in esame, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2019