RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 28 novembre 2019 la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza emessa all'esito del giudizio abbreviato di primo grado dal G.i.p. del Tribunale di Termini Imerese in data 21 febbraio 2019, che condannava G.D. alla pena di anni due e mesi due di reclusione, oltre al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili, per i reati di cui all'art. 612-bis c.p., commi 1 e 2 (capo 1), art. 61 c.p., n. 2, artt. 81 cpv. e 368 c.p. (capo 2) e art. 61 c.p., n. 2, artt. 81 cpv., 56-494 c.p. (capo 4), dichiarando altresì l'improcedibilità per il reato di cui all'art. 81 cpv. c.p. e art. 595 c.p. (capo 3), previo riconoscimento sia delle circostanze attenuanti generiche equivalenti all'aggravante contestata nel capo 2), sia della continuazione fra i predetti reati.
2. Avverso la predetta decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia, deducendo violazioni di legge e vizi della motivazione in ordine alla configurabilità degli elementi costitutivi del delitto di cui all'art. 612-bis c.p., dalla Corte distrettuale ritenuto sussistente per avervi sussunto le condotte calunniose in contestazione sebbene le stesse fossero state realizzate ai danni di persone diverse dalla parte civile M.C. (ossia di T.C., T.D., P.A. e S.G.), senza neanche integrare le molestie richieste dalla predetta norma incriminatrice.
2.1. Analoghe doglianze vengono dal ricorrente prospettate in relazione alle condotte diffamatorie già oggetto dell'imputazione sub 3), in quanto sussunte dalla Corte d'appello nel paradigma degli atti persecutori, ma di per sè non idonee ad integrare un segmento di condotta del delitto di cui all'art. 612-bis cit..
2.2. Si deducono altresì violazioni di legge e vizi di omessa motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza del delitto di atti persecutori per quel che attiene al segmento di condotta relativo agli asseriti continui contatti intervenuti per via telefonica, con messaggi sui servizi di rete sociale ed altri sistemi applicativi, ovvero con telefonate anonime, nonchè in ordine al ritrovamento di due buste minatorie sulla porta di casa della parte civile e sul cancello d'ingresso della casa del padre, M.F.: condotte, queste, che non vengono esaminate nella loro specifica rilevanza penale, anche sotto il profilo della concreta riferibilità al ricorrente (ad es., per la telefonata anonima ed il messaggio del 15 settembre 2018) e che, al più, potrebbero essere considerati quali autonomi ed isolati episodi delittuosi non rientranti nello schema normativo del delitto in contestazione.
3. Con requisitoria del 22 dicembre 2020 il P.G. ha rassegnato le sue conclusioni, chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
4. Con memoria pervenuta nella Cancelleria di questa Suprema Corte in data 28 dicembre 2020 il difensore delle parti civili M.C. e T.C., in proprio e nella qualità di genitori esercenti la potestà sui minori T.D.S. e T.M., ha rassegnato le sue conclusioni chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la conferma delle statuizioni civili, con la condanna del ricorrente alle spese del grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza ed aspecificità dei motivi, avendo la sentenza impugnata congruamente ed esaustivamente illustrato le ragioni giustificative del percorso decisorio attraverso cui ha preso in esame e disatteso le doglianze mosse in sede di gravame, dal ricorrente qui reiterate senza sviluppare un confronto criticamente volto a confutare in maniera puntuale e specifica il complesso delle argomentazioni esposte nella motivazione del provvedimento impugnato.
2. Nel condividere integralmente le conclusioni raggiunte dalla decisione di primo grado, la Corte distrettuale ha, per ciascuna delle condotte addebitate, ricostruito la vicenda storico-fattuale sulla base di argomenti esenti da vizi in questa Sede rilevabili e direttamente fondati su un lineare e coerente apprezzamento delle numerose evidenze probatorie in motivazione richiamate, ponendo in rilievo segnatamente: a) che l'imputato, subito dopo l'interruzione di una relazione affettiva con la persona offesa, si è reso autore di numerosi comportamenti molesti e vessatori in suo danno, cercando di contattarla continuamente, malgrado la sua contraria volontà, attraverso telefonate e messaggi sui servizi di rete sociale ed altri sistemi applicativi, sino al punto di costringerla a bloccare i relativi contatti e a cambiare il dispositivo telefonico; b) che a tali atti se ne sono aggiunti altri, consistiti in una busta - incollata sulla porta di casa della M. - contenente un messaggio minatorio e denigratorio nei confronti del marito della persona offesa, in minacce di morte al padre e in una serie di esposti anonimi di contenuto diffamatorio e calunnioso, seguiti da un comportamento minaccioso e violento posto in essere all'interno di un locale pubblico in data 2 novembre 2018, allorquando l'imputato le afferrava il braccio ed il collo, minacciandola di farle del male; c) che tali condotte, orientate a colpire la persona offesa direttamente, o indirettamente nel suo alveo familiare, lungi dal rivelarsi episodiche, sono state reiteratamente poste in essere senza soluzione di continuità e per un esteso arco temporale, procurando un grave e perdurante stato di ansia e paura per l'incolumità propria e dei suoi stretti familiari, sino a determinarla ad un mutamento delle abitudini di vita (evitando di uscire da sola con il figlio minore per la paura di atti inconsulti da parte dell'imputato, chiudendo le persiane dell'abitazione fin dal primo pomeriggio ecc.); d) che sulla base degli accertamenti svolti dagli organi investigativi i numerosi esposti anonimi finalizzati tutti ad ingenerare, sia per il loro contenuto diffamatorio o calunnioso, sia per la qualità soggettiva delle persone contro cui erano rivolti, uno stato di ansia e timore nella vittima - erano riconducibili direttamente all'imputato e contenevano accuse, rivelatesi infondate o rimaste prive di riscontro, per reati gravi (di spaccio di stupefacenti, favoreggiamento, rivelazione di segreti d'ufficio ecc.) della cui realizzazione venivano incolpate persone della cui innocenza egli era consapevole; e) che in alcune delle missive di contenuto diffamatorio o calunnioso - quelle oggetto della condotta delittuosa contestata nel capo 4) l'imputato si è attribuito un falso nome (quello di " M.F.", che ha disconosciuto la firma apposta sugli scritti da lei apparentemente redatti) al fine di indurre in errore i destinatari e danneggiare la persona offesa ledendone in tal modo la reputazione.
3. Muovendo dalle su esposte risultanze del compendio probatorio, deve rilevarsi come la Corte territoriale abbia fatto buon governo dei principi al riguardo stabiliti da questa Suprema Corte (Sez. 5, n. 54920 del 08/06/2016, G., Rv. 269081), secondo cui nel delitto previsto dall'art. 612-bis c.p., che ha natura abituale, l'evento deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso e la reiterazione degli atti considerati tipici costituisce elemento unificante ed essenziale della fattispecie, facendo assumere a tali atti un'autonoma ed unitaria offensività, in quanto è proprio dalla loro reiterazione che deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che infine degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dalla norma incriminatrice.
Questa Corte ha inoltre affermato che il delitto di atti persecutori differisce dai reati di molestie e di minacce, che pure ne possono rappresentare un elemento costitutivo, per la produzione di un evento di "danno" consistente nell'alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, o, in alternativa, di un evento di "pericolo", consistente nel fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva (Sez. 3, n. 9222 del 16/01/2015, P.C., Rv. 262517).
Sulla base di tali principi la sentenza impugnata ha ampiamente spiegato come, nel caso in esame, le condotte moleste e minacciose poste in essere ai danni della persona offesa le abbiano arrecato sia un perdurante e grave stato di ansia, sia un profondo senso di paura per l'incolumità propria e dei propri familiari, spingendola finanche a mutare le proprie abitudini di vita.
Corretta, entro tale prospettiva, deve poi ritenersi la sussunzione all'interno della contestata fattispecie incriminatrice delle reiterate condotte calunniose tenute dall'imputato in danno dei prossimi congiunti della persona offesa o di pubblici ufficiali menzionati in relazione alle indagini sui fatti falsamente rappresentati nei relativi esposti: condotte che, pur configurando autonome fattispecie delittuose concorrenti con il reato di atti persecutori, sono state dai Giudici di merito coerentemente valorizzate anche per i correlati profili di molestia, sconvolgimento emotivo e timore che alla persona offesa ne derivavano per i propri congiunti.
Analoghe considerazioni devono svolgersi per le condotte di ingiuria e diffamazione, poichè le stesse, pur prescindendo dal fatto che le prime non integrino più reato, costituiscono comunque, nella ricostruzione compiuta dai Giudici di merito, una delle plurime modalità costitutive del reato di cui all'art. 612-bis c.p. (Sez. 5, n. 51718 del 05/11/2014, T., Rv. 262635).
4. In definitiva, a fronte di una completa disamina delle emergenze dibattimentali, esposta attraverso un insieme di sequenze motivazionali chiare e prive di vizi logici, deve rilevarsi come il ricorrente non abbia individuato passaggi o punti della decisione tali da inficiare la complessiva tenuta del discorso argomentativo ivi delineato, ma vi abbia assertivamente contrapposto una lettura alternativa del compendio probatorio, facendo leva sull'apprezzamento di profili fattuali già puntualmente vagliati nel giudizio di merito, e la cui rivisitazione, evidentemente, esula dai confini propri del sindacato di legittimità da questa Suprema Corte esercitabile.
5. Conclusivamente, sulla base delle considerazioni or ora esposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che, in ragione della natura delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura di Euro tremila. Per le medesime ragioni, inoltre, il ricorrente va condannato alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle costituite parti civili, sì come liquidate alla stregua delle correlative statuizioni decisorie in dispositivo meglio precisate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile T.C., che liquida in complessivi 3.200,00 Euro, oltre accessori di legge. Condanna altresì il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile M.C., ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Palermo con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83 disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2021