RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato, datato 10.1.2018, la Corte d'Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado emessa dal GUP presso il Tribunale di Lodi in data 13.5.2015, ha rideterminato la pena inflitta a N.D. in mesi cinque e giorni dieci di reclusione per i reati di atti persecutori e lesioni in danno di D.M.C. posti in essere tra il (OMISSIS), confermando nel resto la sentenza.
2. Avverso tale provvedimento propone ricorso per cassazione l'indagato tramite il proprio difensore, avv. Gasperini, deducendo tre motivi di ricorso.
2.1. Il primo motivo argomenta violazione di legge con riguardo alla mancata applicazione della causa estintiva del reato ex art. 162-ter c.p..
La difesa ne aveva richiesto l'operatività dimostrando l'offerta reale a favore della persona offesa a titolo di risarcimento del danno (per la cifra di 3.000 Euro) effettuata con missiva del 27.11.2017, pervenuta alla D.M. il 29.11.2017 e formalizzata all'udienza del 14.12.2017; la Corte d'Appello, tuttavia, l'aveva ritenuta inapplicabile alla fattispecie, vista l'entrata in vigore della L. 4.12.2017, n. 172 che, a far data dal 6.12.2017, ne ha escluso l'applicazione al reato di stalking.
Il ricorrente deduce l'erroneità di tale decisione per un duplice ordine di ragioni.
Anzitutto, il giudice d'appello ha dimenticato che la contestazione si riferisce a due distinte ipotesi di reato, delle quali solo la prima e più grave configura il delitto di cui all'art. 612-bis c.p., mentre la seconda attiene al reato di lesioni, in relazione al quale andava comunque ritenuta la possibilità di applicare la causa di estinzione del reato, non essendo previsto alcun divieto in riferimento ad esso dalla citata novella normativa.
In secondo luogo, la disciplina di cui all'art. 162-ter c.p. andava applicata al delitto di stalking contestato all'imputato, in ossequio all'art. 2 c.p., n. 4 che, in caso di successione di leggi penali nel tempo, prevede vada applicata la legge più favorevole al reo e cioè quella vigente al momento della realizzazione della condotta riparatoria e antecedente all'entrata in vigore della L. n. 172 del 2017, con cui si è ritenuto di escludere il delitto di atti persecutori dal novero di quelli in relazione ai quali è configurabile detta causa estintiva del reato.
In altre parole, l'esclusione dell'applicabilità della causa estintiva in parola al reato di cui all'art. 612-bis c.p. non può che riguardare i fatti commessi successivamente alla sua entrata in vigore.
2.2. Il secondo motivo di ricorso deduce erronea applicazione dell'aggravante di cui all'art. 612-bis c.p., comma 2, ed erronea determinazione della pena.
La ratio dell'aggravante deve essere individuata nella volontà legislativa di considerare il maggior disvalore penale di una condotta persecutoria che costituisca deriva patologica di una relazione sentimentale tra autore del reato e vittima, in ragione di una distorta visione dei legami affettivi.
Ebbene, nel caso di specie, non sussiste una tale motivazione alla base dell'agire del reo: il ricorrente, infatti, non ha posto in essere la condotta persecutoria sorretto da un movente pseudo-sentimentale, bensì l'ha realizzata perseguendo un obiettivo di ordine economico, e cioè quello di riavere la restituzione dell'immobile, intestato alla vittima all'epoca della loro relazione e luogo di dimora di costei, ma da lui pagato quasi totalmente nell'anticipo e sul quale grava un mutuo le cui rate pure sono a carico dell'imputato.
2.3. Il terzo motivo di ricorso deduce inosservanza dell'art. 133 c.p., comma 2, n. 1, e conseguente errata determinazione della pena per non aver considerato il giudice d'appello il reale movente dell'agire del ricorrente (riavere l'immobile sostanzialmente di sua proprietà).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è complessivamente infondato e deve essere rigettato.
2. La deduzione processuale relativa all'applicabilità astratta della disciplina di cui all'art. 162-ter c.p. nel caso di condotte riparatorie inerenti al reato di staiking, perfezionatesi antecedentemente all'entrata in vigore (6.12.2017) della novella normativa che ne ha vietato invece l'applicazione a tale delitto è nel complesso e nel merito infondata.
E' indubbio - come correttamente argomentato dal ricorrente - che la causa di estinzione del reato per condotte riparatorie si applichi, in quanto disciplina più favorevole ed in presenza delle condizioni concrete previste dall'art. 162-ter c.p., anche al delitto di atti persecutori in relazione al quale la condotta riparatoria sia intervenuta precedentemente all'entrata in vigore della L. n. 172 del 2017, novella con cui tale fattispecie è stata eliminata dal novero dei reati ai quali è applicabile la predetta causa estintiva del reato.
La novella del 2017 è già stata correttamente ritenuta da questa Corte irretroattiva perchè sfavorevole (in tal senso Sez. 5, n. 21922 del 3/4/2018, B., Rv. 273186), sicchè la disciplina più favorevole poi abrogata ma in vigore dal 3 agosto 2017 (dies a quo della vigenza della L. n. 103 del 2017, introduttiva dell'art. 162-ter c.p.) al 6 dicembre 2017 (data di entrata in vigore della L. n. 172 del 2017) deve trovare applicazione nei riguardi dei fatti riparatori posti in essere nel corso della sua vigenza. Resta fermo, tuttavia, che, nel giudizio di legittimità, la causa di estinzione di cui all'art. 162-ter c.p. può essere valutata, ai sensi dell'art. 620 c.p.p., sempre che non siano necessari nuovi accertamenti di fatto (così ancora la citata sentenza n. 21922 del 2017) e che l'applicazione di detta causa estintiva venga richiesta sulla base di documentazione comprovante l'esistenza di condotte riparatorie già perfezionatesi, non potendosi dinanzi alla Corte di cassazione chiedere la fissazione di un termine per provvedere alla condotta riparatoria, stante il divieto di cui alla L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 3 che ha introdotto l'art. 167-ter c.p. (Sez. 5, n. 8182 del 22/1/2017, dep. 2018, V., Rv. 272433).
Ebbene, nel caso di specie, non sussistono in concreto le condizioni giuridiche poc'anzi descritte per procedere alla applicabilità della causa di estinzione prevista dall'art. 162-ter c.p..
Il ricorrente, infatti, non ha dimostrato di aver perfezionato la condotta riparatoria in epoca antecedente all'entrata in vigore della disciplina più sfavorevole che la esclude in relazione all'art. 612-bis c.p., poichè non ha dato contezza che la persona offesa abbia incassato l'assegno di 3.000 Euro propostole e lo abbia ritenuto congruo, sì da ritenere compiuta la condizione normativa della "eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato", requisito non sempre coincidente con il risarcimento del danno.
Pertanto, in relazione al delitto di atti persecutori contestato al ricorrente, correttamente la Corte d'Appello ha ritenuto applicabile la disciplina successiva e più sfavorevole che esclude l'operatività della causa estintiva di cui all'art. 162-ter c.p., non essendosi perfezionata la condotta riparatoria in epoca antecedente all'entrata in vigore della L. n. 172 del 2017.
Quanto al reato di lesioni, effettivamente la Corte di merito nulla dice al riguardo, laddove, invece, si sarebbe potuto operare una valutazione diversificata ed applicare a tale sola fattispecie la causa estintiva in parola.
Detta applicazione potrebbe essere effettuata, peraltro, in sede di legittimità sussistendone le condizioni dettate dalla giurisprudenza e già illustrate (necessità che le condotte riparatorie si siano già perfezionate - e che ciò sia provato da idonea documentazione -, non potendo procedere la Corte di cassazione a rinvio per attendere l'eliminazione del danno; valutazione consentita a patto che non siano necessari nuovi accertamenti in fatto).
Tuttavia, la condotta riparatoria, come si è detto, nel merito, neppure può ritenersi realizzata, essendo rimasta non documentata dal ricorrente la condizione di effettiva riscossione della somma offerta da parte della vittima e la soddisfazione di quest'ultima ai sensi dell'art. 162-ter c.p. che richiama, per il caso dell'offerta reale posta in essere nel caso di specie, le disposizioni di cui agli artt. 1208 c.c. e ss..
La sentenza della Sesta Sezione Penale n. 26285 del 4/5/2018, Comite, Rv. 273489 che costituisce uno dei pochi esempi di applicazione effettiva della causa estintiva in parola in sede di giudizio di legittimità, ha ben ricostruito l'istituto ed ha ritenuto l'operatività dell'art. 162-ter c.p. in considerazione di alcuni elementi di giudizio in equivoci, desunti dalla sentenza impugnata in cui si dava atto, in relazione a tutti e due i reati per i quali si procedeva: del fatto che fosse stata riconosciuta l'attenuante dell'integrale risarcimento del danno prima del giudizio, a norma dell'art. 62 c.p., comma 1, n. 6; del fatto che tale risarcimento fosse stato accettato da entrambe le persone offese, poichè agli atti del processo erano presenti le dichiarazioni delle stesse ed altri elementi dai quali desumere che le attività istruttorie precedentemente compiute consentissero di ritenere - anche senza procedere ad un'ulteriore audizione delle parti e della persona offesa - che l'imputato avesse riparato interamente il danno cagionato dai reati per i quali si procede, senza residue conseguenze dannose o pericolose di questi.
Nulla di tutto questo è presente nell'ipotesi oggi sottoposta al Collegio, sicchè, anche qualora si volesse ammette di poter verificare in sede di legittimità la richiesta del ricorrente, non possono ritenersi sussistenti le condizioni di operatività della causa di estinzione del reato di cui all'art. 162-ter c.p. neppure in relazione alla contestazione di lesioni personali.
Senza contare che una simile istanza specifica non è stata neppure avanzata al Collegio.
3. Il secondo motivo di ricorso è egualmente infondato.
Il ricorrente confonde movente della condotta e ratio normativa dell'aggravante.
Quest'ultima, nell'ottica del legislatore, prevede un aggravamento di pena collegato al rapporto affettivo esistente tra vittima e persecutore, indipendente dalla finalità che persegua quest'ultimo con la sua azione delittuosa, finalità che può essere anche funzionale a sentimenti di vendetta che prescindono da una degenerazione del rapporto affettivo ovvero derivi, come nel caso di specie, da recriminazioni economiche nei confronti della persona offesa con cui in precedenza si era instaurato il legame affettivo.
In altre parole, l'aggravante ha natura oggettiva e si fonda sulla constatazione di sussistenza di un legame affettivo preesistente o attuale tra autore del reato e vittima, traendo la sua ratio dall'esigenza di punire più severamente l'aggressione che provenga da parte di colui nei confronti del quale la vittima stessa confida e ripone aspettative di tutela e protezione.
Sfuggono, invece, dal fuoco dell'aggravante i moventi o le ragioni specifiche che inducano il reo a commettere gli atti persecutori nei confronti della persona (già) a lui legata da rapporto sentimentale, che rimangono confinati al piano soggettivo ed estranei alla ratio normativa dell'aggravante di cui all'art. 612-bis c.p., comma 2, incidendo, al più, sotto il profilo dell'intensità del dolo, ai fini del giudizio sulla dosimetria della pena.
Qualsiasi obiezione relativa alla contestazione in fatto della aggravante di cui all'art. 612-bis c.p., comma 2 è, infine, inammissibile per mancanza di interesse: da un lato, deve rammentarsi, infatti, che nel ricorso l'imputato ha espressamente dimostrato di aderire alla prospettazione della Corte d'Appello circa la contestazione in fatto plausibile e legittima dell'aggravante, grazie all'espresso riferimento nel capo d'imputazione al rapporto sentimentale preesistente tra vittima e autore del reato; dall'altro, l'aggravante è stata valutata con giudizio di subvalenza rispetto alle concesse attenuanti generiche, che hanno, pertanto, contribuito alla diminuzione effettiva della determinazione della pena inflitta.
E' infatti orientamento pacifico della giurisprudenza di legittimità quello secondo cui è inammissibile per carenza di interesse, l'impugnazione dell'imputato volta esclusivamente ad ottenere l'esclusione di una circostanza aggravante, quando la stessa (come nel caso oggi sottoposto al Collegio) sia già stata ritenuta subvalente rispetto alle circostanze attenuanti concorrenti e i fatti posti a suo fondamento non siano stati in alcun modo valutati dal giudice in un'ottica di maggiore gravità dell'addebito, dovendo quindi escludersi qualsiasi possibilità di effetti pregiudizievoli per l'imputato (ex multis Sez. 4, n. 20328 del 11/1/2017, B., Rv. 269942; Sez. 4, n. 27101 del 21/4/2016, Debilio, Rv. 267742; Sez. 5, n. 2311 del 13/10/2015, dep. 2016, Cicala, Rv. 266056).
4. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile sia perchè complessivamente formulato in maniera generica, sia perchè manifestamente infondato.
La pena e le valutazioni ai sensi dell'art. 133 c.p. sono censurabili solo se manifestamente illogiche, secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, poichè la graduazione della sanzione inflitta, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 c.p. anche mediante il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale): ex multis Sez. 2, n. 36104 del 27/4/2017, Mastro, Rv. 271243-01; Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196-01; Sez. 5, n. 5582 del 30/9/2013, Ferrario, Rv. 259142-01; Sez. 4, n. 21294 del 20/3/2013, Serratore, Rv. 256197-01.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2019