RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Con sentenza del 12 gennaio 2021 la Corte di Appello di Reggio Calabria ha, in parziale riforma della pronuncia di condanna del Tribunale della medesima città emessa nei confronti di V.P., V.V. e R.F., dichiarati colpevoli, tutti, del reato di cui agli artt. 110-612-bis c.p. ai danni di P.F. e del coniuge G.S., e il solo V.V. anche di quello di cui all'art. 635 c.p., comma 2, n. 1, rideterminato la pena inflitta al V.V. in anni uno e mesi sei di reclusione, confermando nel resto la decisione di primo grado.
2.Avverso l'anzidetta sentenza ricorrono per Cassazione gli imputati, tramite il comune difensore di fiducia, articolando i seguenti, rispettivi, motivi di ricorso.
2.1.Nell'interesse di V.P. e R.F. si deduce la nullità dell'impugnata sentenza per inosservanza della legge penale nonché per vizio di motivazione per omissione, carenza, contraddittorietà ed illogicità del percorso argomentativo in relazione agli artt. 612-bis e 110 c.p..
Si lamenta che, in evidente travisamento delle risultanze probatorie, si sia ritenuto sussistente il concorso nel reato di atti persecutori da parte di V.P. e R.F., rispetto ai quali al più possono ravvisarsi gli estremi di singole ipotesi di reato.
Indi si ripercorrono stralci della deposizione della persona offesa P. e sulla base di essi si assume che difetti la prova del coinvolgimento dei suindicati imputati nelle condotte di reato contestate, ascrivibile in buona sostanza al solo V.V. (risultando a carico del V.P. l'unico episodio di minaccia del 6.5.2018, essendo gli altri incontri con la P. avvenuti in maniera casuale nell'androne del palazzo in cui entrambi abitavano).
Si assumono travisate le dichiarazioni rese dal G., che aveva senza mezzi termini escluso qualunque condotta vessatoria da parte del V.P. e della R., per avere la corte territoriale ciò nonostante ignorato tali aspetti favorevoli all'imputato.
Quanto al ravvisato concorso di persone, si evidenzia come non sia stato per nulla spiegato il motivo per il quale estemporanee condotte - frutto nella maggior parte dei casi di incontri occasionali - poste in essere dagli imputati senza il benché minimo contributo materiale da parte degli altri possa tradursi in un vero e proprio programma criminale persecutorio.
La mera esistenza di un comune movente non può costituire elemento idoneo, né tantomeno sufficiente, a fondare un concorso di persone nei reato di atti persecutori.
Difetta nella sentenza impugnata la specifica indicazione del contributo causale offerto dai suindicati imputati e ogni valutazione circa il concreto atteggiamento psicologico reciproco dei ritenuti concorrenti che, com'e' noto, in relazione al reato di atti persecutori si caratterizza per essere richiesto l'intento persecutorio, inteso come dolo unitario e indicativo di un'intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica.
Ne' risulta vagliata la idoneità della condotta a generare nella vittima un progressivo accumulo di disagio che degenera in uno stato di prostrazione psicologica in una delle forme descritte dalla fattispecie, essendosi limitata la corte territoriale a fare riferimento alle dichiarazioni della persona offesa.
2.2. Nell'interesse di V.V. si deduce la nullità dell'impugnata sentenza per inosservanza della legge penale nonché per vizio di motivazione per omissione, carenza, contraddittorietà ed illogicità del percorso argomentativo in relazione al mancato riconoscimento della totale incapacità di intendere e di volere, che andava invece ritenuta sulla base degli stessi argomenti evidenziati dal perito; si deducono altresì medesimi vizi in relazione alla mancata esclusione della recidiva, la cui sussistenza era stata contestata non solo in virtù del riconosciuto vizio parziale di mente.
Tutti i ricorrenti concludono, pertanto, per l'annullamento della sentenza con ogni conseguente statuizione.
3. Il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, ex art. 23, comma 8, il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibili i ricorsi.
4. I ricorsi sono inammissibili.
4.1. Le censure svolte col motivo dedotto nell'interesse degli imputati V.P. e R.F., sono manifestamente infondate.
Innanzitutto la Corte territoriale - rispondendo ai rilievi analoghi di cui all'atto di appello, a sua volta meramente ripetitivo di argomenti già svolti in primo grado - ha precisato che nessun dubbio possa nutrirsi in ordine alla sussistenza dell'elemento oggettivo e soggettivo del delitto di stalking per essere i diversi episodi riconducibili ai predetti (accuratamente passati in rassegna per come già ricostruiti nella condivisa motivazione del giudice di primo grado, che non si esauriscono nell'occorso del 6.5.2018, in occasione dei quale intervennero le forze dell'ordine trovando la P. col marito e i figli barricati in casa in uno stato di evidente agitazione e al contempo i coniugi V. mentre, visibilmente infervorati, inveivano con frasi minacciose nei confronti del G. e della moglie) idonei a integrare il reato di atti persecutori contestato all'intero nucleo familiare.
Ha evidenziato, altresì, la corte territoriale che il racconto della P., reso anche davanti ad essa e quindi direttamente saggiato nella sua affidabilità, è intrinsecamente ed estrinsecamente attendibile anche perché supportato dai diversi riscontri emersi in occasione degli interventi delle forze dell'ordine e che il fatto che il G. abbia circoscritto le minacce subite da lui e da sua moglie al solo episodio del 6.5. non costituisce circostanza idonea a screditare la credibilità della P. in merito alle ulteriori molestie e minacce dalla medesima denunciate nei confronti di tali imputati (indicando, la corte, anche le ragioni di tale suo convincimento). Agli episodi di danneggiamento, di inseguimenti e minacce posti in essere dal V.V., nella ricostruzione svolta nella pronuncia impugnata, si affiancano, dipanandosi nel medesimo contesto spazio-temporale, le condotte degli altri componenti della famiglia V.: quelle riconducibili ai V.P. che, oltre alla minaccia di morte profferita all'indirizzo della P., ogniqualvolta la incrociava sulle scale condominiali le rivolgeva sguardi insistenti e minacciosi, impedendo di fatto alla stessa, per il timore che ne era scaturito, di far giocare i bambini negli spazi esterni adiacenti alla palazzina condominiale; e quelle della R. che a sua volta si rendeva artefice di una pluralità di azioni minacciose e vessatorie ai danni della P. (danneggiando ad esempio ripetutamente il bucato messo a stendere o svuotando sistematicamente il posacenere pieno di mozziconi di sigarette sull'autovettura della persona offesa parcheggiata sotto casa).
Dalla ricostruzione operata nella sentenza impugnata si evince, dunque, che la condotta fu portata avanti dall'intero nucleo familiare del V., contrapposto a quello delle persone offese - a seguito della denuncia da queste sporta nei confronti di V.P. per presunti abusi sessuali ai danni della loro figlia minore per i quali vi è stata poi l'archiviazione - e che gli imputati agirono ciascuno apportando il proprio contributo rispetto al medesimo contesto, fatto di reiterate vessazioni, dispetti, minacce e violenze, protrattosi nel tempo ai danni sempre delle stesse persone offese, e voluto e condiviso da ognuno di essi, in considerazione del comune movente, congruamente e logicamente identificato dalla corte territoriale nel risentimento da essi nutrito nei confronti delle persone offese per le infamanti accuse mosse contro V.P.; con la conseguenza che il perdurante e grave stato d'ansia e il mutamento delle abitudini di vita che ne derivarono per le persone offese - descritti dai giudici di merito - è da imputarsi alle condotte di tutti gli imputati, convergenti nel risultato-evento finale.
Con tale esaustiva e convincente ricostruzione non si confrontano in definitiva le censure mosse col motivo in scrutinio, che rimangono aspecifiche anche nella parte in cui criticano l'impostazione in diritto della corte territoriale, finendo col non confrontarsi neppure con la giurisprudenza di questa Corte in tema di concorso di persona.
Ed invero, come ha già più volte avuto modo di affermare questa Corte, anche a Sezioni Unite, in tema di concorso di persone nel reato, il contributo causale del concorrente morale può manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa (istigazione o determinazione all'esecuzione del delitto, agevolazione alla sua preparazione o consumazione, rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, mera adesione o autorizzazione o approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione di esso) sicché il giudice di merito ha l'obbligo di motivare circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà (Sez. U, Sentenza n. 45276 del 30/10/2003 Ud. (dep. 24/11/2003) Rv. 226101 - 01); e nel caso di specie, a differenza di quanto assumono i ricorrenti, i giudici di merito hanno fornito puntuale motivazione sulla prova dell'esistenza di una reale partecipazione di ciascun componente del medesimo nucleo familiare nella fase ideativa o preparatoria del reato, evidenziando come di essa diano conto la comune scaturigine dei comportamenti dalla gravi e infamanti accuse mosse dai coniugi G. nei confronti di uno di essi, la contiguità spazio-temporale delle ripetute azioni esplicatesi nell'ambito del medesimo ristretto contesto abitativo e di tempo, la omogeneità delle stesse; e hanno,quindi; concluso che ciascun imputato fosse pienamente consapevole delle condotte moleste e intimidatrice degli altri congiunti rispetto alle quali il proprio apporto contributivo, materiale, era funzionale ad accrescerne la carica intimidatrice e dunque la valenza criminosa, e che tutte le condotte di causa fossero quindi riconducibili a una comune volontà degli imputati volta a rendere insopportabile e avvilente la vita delle persone offese, con la necessaria consapevolezza in capo a ciascuno del contributo materiale apportato dagli altri concorrenti e del rafforzamento che ognuno di essi apportava ad un'azione che, in quanto tale, non poteva che essere unitaria (e ciò senza considerare che in alcune occasioni alcuni di essi agirono insieme).
Sicché se è vero che la mera esistenza di un comune movente non può costituire elemento di per sé sufficiente a fondare la prova del concorso di persone nel reato di cui all'art. 612-bis c.p. e che esso è estraneo alla nozione di dolo, è altrettanto vero però che il movente lo evidenzia, rivelando la comunanza del nesso psicologico fra i ripetuti e numerosi atti persecutori (cfr. in relazione al reato di maltrattamenti in famiglia Sez. 6, n. 5541 del 02/04/1996, Rv. 204874 - 01; Sez. 6, n. 8557 del 20/06/1987, Rv. 176441 - 01) e che possa contribuire a svelare anche la comunanza dell'agire di più persone ossia il dolo nella sua dimensione plurisoggettiva, inteso come volontà di concorrere nel reato (allorquando come nel caso di specie, ricorrano altri elementi che connotano le azioni sotto il profilo materiale, che possono essere i più disparati, dal contesto alla omogeneità delle condotte).
4.2. Parimenti, palesemente, aspecifici sono i motivi dedotti nell'interesse di V.V., avendo la corte territoriale già spiegato che il perito aveva riferito i cd. Barrage, ossia le fasi di assenza, a momenti molto circoscritti e non puntiformi, limitati nel tempo, durando essi non più di circa 10.15 secondi, concludendo che quindi essi non fossero idonei ad elidere del tutto la portata cosciente e volontaria dei plurimi e reiterati episodi di molestie posti in essere dall'imputato ai danni delle persone offese (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata).
Quanto alla conferma della recidiva la corte territoriale si è parimenti dilungata nel tratteggiare la capacità a delinquere dimostrata dal V.V. attraverso la commissione degli ulteriori reati a lui ascritti nel presente procedimento, non limitandosi ad affermare l'astratto principio secondo cui la patologia mentale non esclude tout court l'applicabilità della recidiva (cfr. pagg. 9 e 10 della pronuncia impugnata).
5. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento, ciascuno, delle spese di procedimento e della somma di Euro 3000,00 a favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000,00 a favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2022