RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Venezia, con la sentenza emessa il 27 aprile 2022, confermava quella del Tribunale di Vicenza che aveva condannato Z.R., alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione per il delitto di atti persecutori, con le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti rispetto alla circostanza aggravante della relazione affettiva pregressa, nonché al risarcimento del danno definitivamente liquidato in Euro cinquemila, oltre interessi al soddisfo, statuizione dichiarata provvisoriamente esecutiva.
2. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di Z.R., consta di due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p..
3. Il primo motivo deduce violazione dell'art. 84 c.p. e vizio di motivazione correlato.
Pur avendo il Tribunale ritenuto che il delitto di tentato omicidio in danno di W.S.M., per il quale era già intervenuta sentenza di condanna irrevocabile di Z.R., fosse avvenuto senza soluzione di continuità rispetto al delitto di atti persecutori, la Corte di appello non avrebbe fatto buon governo dei principi fissati da Sez. U, n. 38402 del 15/07/2021, Magistri, Rv. 281973 - 01, per un verso non avendo ritenuto assorbito il delitto meno grave di atti persecutori in quello già giudicato di tentato omicidio, per altro verso per aver illegittimamente confermato la pena, con violazione del principio del ne bis in idem, limitandosi erroneamente a ritenere che non vi fosse uno specifico motivo di appello, invece rinvenibile in quello afferente al trattamento sanzionatorio.
4. Il secondo motivo deduce violazione dell'art. 540 c.p.p. e vizio di motivazione.
La Corte territoriale avrebbe erroneamente confermato la sentenza di primo grado che aveva condannato l'imputato al risarcimento del danno complessivo, e non alla provvisionale, in assenza di specifica richiesta della parte civile, nonché ritenendo sussistenti giustificati motivi per rendere esecutiva la statuizione. La motivazione sarebbe viziata in quanto limitata a richiamare il solo decorso del tempo dai fatti, né varrebbe il richiamo operato all'art. 605 c.p.p., comma 2, che presuppone la corretta decisione sulla domanda risarcitoria, il che nel caso in esame non sarebbe stato.
5. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte - ai sensi del D.L. 127 del 2020, art. 23, comma 8, - con le quali ha chiesto rigettarsi il ricorso.
6. Il difensore della parte civile ha depositato conclusioni come indicato in epigrafe.2
7. Il difensore del ricorrente ha concluso con deposito di memoria con la quale ha per un verso ribadito la sussistenza del reato complesso, per altro verso l'irrilevanza dell'omesso motivo di appello, a riguardo dovendo la Corte di legittimità valutare comunque l'assorbimento ex art. 84 c.p.; infine ha rilevato come la Corte di appello non abbia comunque ridotto l'aumento della pena operata dal Tribunale in ragione dell'intervenuto tentato omicidio, post-factum già punito in sé, con violazione del principio del ne bis in idem.
8. Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto del D.L. n. 105 del 2021, art. 7, comma 1, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall'art. 94 del D.L. 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dal D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, art. 5-duodecies, convertito con modificazioni dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Il primo motivo è infondato.
2.1 Va a riguardo preliminarmente evidenziato come la Corte di appello abbia ritenuto erroneamente il motivo di impugnazione, in ordine alla quantificazione della pena,non specifico sul punto della doppia sanzione in relazione al delitto di atti persecutori e a quello di tentato omicidio, oltre che in ordine alla valorizzazione del tentato omicidio come post factum incidente sulla pena del delitto di atti persecutori, quindi in lesione del principio di corrispondenza fra accusa e sentenza. Difatti tali temi di censura non vengono a essere presi in considerazione dalla Corte di appello, con una sostanziale valutazione di implicita inammissibilità.
A ben vedere, il motivo di appello proposto "sulla quantificazione della pena", invece, richiamava esplicitamente la sentenza delle Sez, U., Magistri, pur se sollecitava la Corte territoriale non direttamente all'applicazione della disciplina del reato complesso ex art. 84 c.p., bensì a censurare la quantificazione della pena operata in relazione agli atti persecutori dal Giudice di primo grado, valutando l'omicidio quale post factum e ritenendolo espressione, "senza soluzione di continuità" e in "linea di crescente intensità", del delitto di atti persecutori.
Sia a fronte del riferimento alle Sez. U. Magistri contenuto nell'atto di appello non valutato dalla Corte territoriale, sia anche in ragione del motivo di ricorso ora proposto, che sollecita invece direttamente l'applicazione dell'art. 84 c.p., assorbimento del delitto ora in esame in quello di tentato omicidio, già giudicato con sentenza irrevocabile, deve rilevare questa Corte come debba trovare applicazione il principio per cui non è ostativa all'esame della censura la circostanza che il ricorrente non avesse eccepito formalmente la violazione di legge con l'atto di appello.
Infatti, come ritenuto da Sez. 2, n. 8654, ud. 23/11/2022, dep. 2023, ric. Indolfi, n. m., attentamente richiamata dalla difesa del ricorrente, qualora emerga il dato afferente la violazione di legge - nel caso di specie relativo all'applicazione dell'art. 84 c.p. - direttamente dal capo di imputazione e dalla non contestata ricostruzione in fatto della vicenda, il Collegio è nelle condizioni di rilevare il dato oggettivo di interesse senza ricorrere ad alcun ulteriore accertamento di fatto ed in presenza di ricorso reso ammissibile anche dalla sola circostanza di aver rilevato una violazione di legge emendabile.
Ciò analogamente a quanto ritenuto, autorevolmente, in tema di estinzione per prescrizione intervenuta prima della sentenza di appello, ma non rilevata né eccepita nel grado di merito, allorché si è affermato che la proposizione della eccezione con il solo ricorso per cassazione consente alla Corte di legittimità di ritenere ammissibile il ricorso ed applicare l'art. 129 c.p.p. (Sez. U, n. 12706 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci). In particolare, le Sezioni Unite affermavano che "Il ricorso per cassazione, anche se strutturato su questo solo motivo, è certamente ammissibile, perché volto a fare valere l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) L'error in iudicando si concretizza proprio nella detta omissione, che si riverbera sul punto della sentenza concernente la punibilità. L'impugnazione mira ad emendare tale errore. L'ammissibilità del ricorso non è pregiudicata dal fatto che il ricorrente, con le conclusioni rassegnate in appello, non ha eccepito la prescrizione maturata nel corso di quel giudizio; né alcuna rilevanza preclusiva all'ammissibilità dell'impugnazione può attribuirsi, in caso di prescrizione verificatasi addirittura prima della proposizione dell'appello, alla mancata deduzione di parte con i relativi motivi (art. 606 c.p.p., comma 3). L'art. 129 c.p.p. impone al giudice, come recita la rubrica, l'obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità e a tale "obbligo" il giudice di merito non può sottrarsi e deve ex officio adottare il provvedimento consequenziale. Se a tanto non adempie, la sentenza di condanna emessa, in quanto viziata da palese violazione di legge, può essere fondatamente impugnata con atto certamente idoneo ad attivare il rapporto processuale del grado superiore, il che esclude la formazione del c.d. "giudicato sostanziale"".
A tal proposito deve rilevare il Collegio chejnel caso di fondatezza del motivo di censura in punto di violazione di legge, l'applicazione della disciplina del reato complesso rifluirebbe nell'ambito dell'art. 129 c.p.p., comma 1, comportando l'assorbimento del delitto di atti persecutori in quello di tentato omicidio.
Ne consegue la necessità di valutare il primo motivo di ricorso.
2.2 Tanto premesso, in tema di natura consentita del primo motivo, va richiamato il principio sancito da Sez. U, n. 38402 del 15/07/2021, Magistri, Rv. 281973 - 01, che rilevava come il reato di omicidio aggravato ai sensi dell'art. 576 c.p., comma 1, n. 5.1 commesso a seguito di quello di atti persecutori da parte dell'agente nei confronti della medesima vittima, integri, in ragione della unitarietà del fatto, un reato complesso circostanziato ai sensi dell'art. 84 c.p., comma 1.
In proposito, va ricordato che l'art. 84 c.p., comma 1, esclude l'applicazione delle disposizioni sul concorso di reati quando "la legge considera come elementi costitutivi, o come circostanze aggravanti di un solo reato, fatti che costituirebbero, per sé stessi, reato". Quindi, condizione imprescindibile per la ravvisabilità della figura del reato complesso è l'interferenza fra le norme incriminatrici su un fatto oggettivo, comune agli ambiti applicativi delle stesse.
La conseguenza della sussistenza del reato complesso, anche nella forma di quello circostanziato come quello evocato nel caso in esame, è la disapplicazione delle disposizioni degli articoli precedenti l'art. 84 c.p., quindi in tema di concorso di reati e cumulo materiale delle pene, nonché anche riguardo ai temperamenti dosimetrici propri del concorso formale e del reato continuato (art. 81 c.p.).
Le Sezioni Unite evidenziavano come per il caso del reato complesso circostanziato, nel rapporto fra omicidio aggravato ai sensi dell'art. 576 c.p., comma 1, n. 5.1 e delitto di atti persecutori, affinché il secondo sia assorbito nel primo, occorre che debbano sussistere oltre agli "elementi strutturali esplicitamente indicati dalla norma, anche (da) un ulteriore elemento sostanziale, costituito dall'unitarietà del fatto che complessivamente integra il reato riconducibile a questa fattispecie", aggiungendo che il concetto di unitarietà "si presenta come articolato non solo nella contestualità dei singoli fatti criminosi sussunti della fattispecie assorbente, ma anche nella loro collocazione in una comune prospettiva finalistica".
2.3 A fronte di tale insegnamento, nel caso in esame, però, emerge che l'imputazione nel processo parallelo, per il tentato omicidio, non prevedeva la contestazione della circostanza aggravante dell'art. 576 c.p., comma 1, n. 5.1.
Deve osservare questa Corte come tale dato, dell'omessa contestazione dell'aggravante in relazione al delitto di tentato omicidio, risulti oltremodo rilevante e decisivo rispetto al primo motivo di ricorso.
2.4 Osserva Sez. U, Magistri, infatti, che "(...) i caratteri del reato complesso sono costruiti come funzionali ad un effetto giuridico immediatamente ed espressamente indicato ("le disposizioni degli articoli precedenti non si applicano..."), ossia l'inoperatività dei meccanismi di cumulo sanzionatorio previsti in detti articoli e la conseguente applicazione della sola pena edittale prevista per il reato complesso, escludendo qualsiasi incidenza sanzionatoria dei reati in esso unificati. Fra le disposizioni oggetto di richiamo dell'incipit dell'art. 84 rientra il concorso formale di reati disciplinato dall'art. 81 c.p., comma 1, per il quale è previsto un trattamento sanzionatorio che, pur nella forma mitigata del cumulo giuridico, è determinato dalla pluralità delle pene corrispondenti ai singoli reati concorrenti. La normativa dell'art. 84 si connota particolarmente come derogatoria rispetto a quella dell'art. 81 e il reato complesso ne emerge quale fattispecie di esenzione dal regime sanzionatorio del concorso formale, in quanto "assorbe" le pene stabilite per i singoli reati in quella stabilita per il reato complesso" (foll. 15 e s.).
In sostanza, proseguono le Sezioni Unite, il reato complesso si connota in conseguenza, per "la previsione specifica di una particolare disciplina sanzionatoria": d'altro canto "Si pone nella stessa linea argomentativa la considerazione della ratio della previsione dell'art. 84, volta ad evitare una duplicazione della risposta sanzionatoria per gli stessi fatti in violazione del principio del ne bis in idem sostanziale (oggetto di recente e reiterata affermazione nella giurisprudenza costituzionale, v. Corte Cost., sent. n. 20 del 2016 sull'identità del fatto ai fini del divieto di procedere per precedente giudicato ai sensi dell'art. 649 c.p.p., ma con evidenti ricadute sul piano sostanziale; Corte Cost., sent. n. 43 del 2018 e sent. n. 236 del 2016 in tema di proporzionalità della previsione punitiva). E' evidente che tale necessità si manifesta segnatamente nel rapporto fra il reato complesso e gli altri reati che lo compongono, contraddistinti da un contesto unitario, nell'ambito del quale maggiormente risalta la possibilità di una sproporzione nel cumulo di pene previste per fatti inseriti nella stessa azione criminosa".
La funzione del reato complesso, nel caso di omicidio aggravato dall'essere l'autore del reato anche quello di atti persecutori nei confronti della medesima persona offesa, viene dalle Sezioni Unite considerata nella sua oggettiva tipicità ragione di aggravamento per una pluralità di indici (citazione della relativa norma incriminatrice, indicazione e coincidenza dell'autore e della vittima dei due reati) e, quindi, "non per le caratteristiche personali del soggetto agente, ossia l'essere un persecutore, ma per ciò che egli ha fatto, vale a dire per il fatto persecutorio commesso. Fatto che in quanto tale, e non solo per il suo significato in termini di capacità criminale del soggetto agente, è costitutivo della fattispecie astratta di un reato a questo punto complesso nella forma circostanziata".
Il Supremo Consesso ha rinvenuto anche nell'intenzione del legislatore, tratta dai lavori preparatori al D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, la volontà di aggravare la pena dell'omicidio per "affrontare con adeguato rigore sanzionatorio un fenomeno criminale notoriamente ricorrente ed ingravescente nella realtà attuale, ossia il verificarsi di fatti omicidiari in danno di vittime di atti persecutori da parte degli stessi autori di tali atti. Orbene, in questa prospettiva la ratio della previsione si individua nella risposta ad un fatto complessivo visto come meritevole di aggravamento per la sua oggettiva valenza criminale, ossia lo sviluppo omicidiario di una condotta persecutoria, con l'effetto di sanzionare tale aggravamento con la massima pena dell'ergastolo; nel quale, pertanto, tale condotta è intranea nella sua fattualità alla struttura della disposizione circostanziale".
2.5 L'argomentare delle Sezioni Unite deve però confrontarsi, come anticipato, nel caso in esame con l'omessa contestazione dell'aggravante dell'art. 576 c.p., comma 1, n. 5.1.
Di tale aggravante non vi è contestazione formale con il richiamo alla disposizione nell'imputazione riprodotta nelle sentenze di merito per il tentato omicidio (acquisite su consenso delle parti in primo grado). Ma neanche in fatto, nell'imputazione ex artt. 56-575 c.p., vi è alcun riferimento alla condotta persecutoria posta in essere dall'odierno imputato prima di giungere al tentativo di omicidio, condotta commessa l'ultimo giorno del periodo contestato per gli atti persecutori.
Va qui solo richiamato, ai fini della modalità corretta di contestazione delle circostanze aggravanti, e della sussistenza della stessa contestazione, quanto affermato da un'altra pronuncia delle Sez. U, n. 24906 del 18/04/2019, Sorge, Rv. 275436.
Le Sezioni Unite hanno evidenziato come "L'art. 417 c.p.p., lett. b), include, fra gli elementi contenuti nella richiesta di rinvio a giudizio, ‘l'enunciazione in forma chiara e precisà non solo del fatto, ma anche delle circostanze aggravanti; previsione ribadita negli stessi termini dall'art. 429, comma 1, lett. b), per il decreto dispositivo del giudizio (...) a chiusura di un sistema processuale in cui tale enunciazione assume il rilievo di una componente essenziale e indefettibile della contestazione dell'accusa. Tanto essendo del resto conforme alla previsione dell'art. 6, comma 3, lett. a) CEDU per la quale "ogni accusato ha diritto soprattutto ad essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico", ove il riferimento alla informazione dettagliata sulla natura dell'accusa non può che comprendere le circostanze aggravanti nella loro incidenza sull'entità del fatto contestato e sulle conseguenze sanzionatorie che ne derivano".
Proseguono le Sez. U., Sorge, rilevando come "Nel conformarsi a queste inderogabili prescrizioni normative, lo stesso indirizzo giurisprudenziale ammissivo della contestazione in fatto delle circostanze aggravanti consente tale forma di contestazione descrivendola, e quindi delimitandone la legittimità, nei termini in cui l'imputazione riporti in maniera sufficientemente chiara e precisa gli elementi di fatto che integrano la fattispecie circostanziale, permettendo all'imputato di averne piena cognizione e di espletare adeguatamente la propria difesa sugli stessi. La precisazione degli elementi fattuali costitutivi dell'aggravante può dirsi dunque indiscutibilmente riconosciuta quale condizione perché la contestazione in questa forma possa essere ritenuta valida, pure in una prospettiva sostanzialistica fondata, come queste Sezioni Unite hanno avuto modo di affermare con riguardo alla correlazione fra l'accusa e la decisione, sulla concreta possibilità per l'imputato di difendersi sull'oggetto dell'addebito (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051)".
Tale richiamo induce a evidenziare come sarebbe ben stato possibile riconoscere l'aggravante dell'art. 576, comma 1, n. 5.1 qualora vi fosse stata una contestazione almeno in fatto, nell'ambito della descrizione del delitto di tentato omicidio, dovendo la stessa circostanza essere ritenuta di natura non valutativa. Ma ciò non è stato nel processo per tentato omicidio, tanto che l'imputato non si è dovuto difendere sul punto della pregressa condotta di atti persecutori e i Giudici di quel processo non hanno applicato il previsto aggravamento di pena.
2.6 Proprio tale ultimo dato appare decisivo, nella prospettiva enucleata dalle Sez. U. Magistri in ordine all'art. 84 cod. pen: la ratio di tale previsione è quella di evitare una duplicazione della risposta sanzionatoria per gli stessi fatti in violazione del principio del ne bis in idem sostanziale, necessità che si manifesta "segnatamente nel rapporto fra il reato complesso e gli altri reati che lo compongono, contraddistinti da un contesto unitario, nell'ambito del quale maggiormente risalta la possibilità di una sproporzione nel cumulo di pene previste per fatti inseriti nella stessa azione criminosa".
Nel caso in esame tale duplicazione non sussiste, in quanto nessun aggravamento della pena è intervenuto, a causa dell'essere Z. anche autore del delitto di atti persecutori nel processo per tentato omicidio. E dunque ciò esclude che possa trovare applicazione la disciplina dell'art. 84 c.p..
D'altro canto, la sussistenza della contestazione dell'aggravante, conclusosi prima del presente, avrebbe dovuto condurre a individuare la pena prevista in quella dell'ergastolo e, a seguito della riduzione per il tentativo, quella non inferiore a dodici anni di reclusione: diversamente la pena in concreto applicata è stata quella di anni ventuno di reclusione, poi ridotta ad anni sette, pari ai due terzi ai sensi dell'art. 56 c.p., dunque in concreto più favorevole al ricorrente (a seguito del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della riduzione per il rito abbreviato, la pena finale risultava di anni tre e mesi sei di reclusione).
Pertanto, a fronte dell'omessa contestazione nel processo per tentato omicidio dell'aggravante menzionata, questa Corte nell'ambito del presente procedimento non può che prendere atto della sentenza irrevocabile della Corte di appello di Venezia del 17 marzo 2017, dalla quale emerge che l'aggravante, che avrebbe determinato il riconoscimento del reato complesso, non era stata contestata e che la pena fu parametrata al delitto di tentato omicidio, non aggravato.
Ovviamente non è questa la sede per valutare se il pubblico ministero avesse o meno in atti elementi per contestare la circostanza aggravante menzionata fin dall'inizio del processo per tentato omicidio, tanto più che ciò che rileva è la circostanza che non vi sia stata duplicità di sanzioni per il medesimo fatto.
E analogamente, tanto meno può in questa sede valutarsi se l'organo inquirente, ma anche la difesa, titolare dell'interesse che ora sostiene il primo motivo di ricorso, potessero rispettivamente operare o sollecitare l'integrazione dell'imputazione nel processo per tentato omicidio, nell'ambito della dinamica "dialogica" propria dell'udienza preliminare, "luogo" processuale nel quale il giudice dell'udienza preliminare, in contraddittorio e dunque anche su sollecitazione della difesa, nell'esercizio del potere di ius dicere può richiedere al pubblico ministero, a fronte della genericità o indeterminatezza dell'imputazione, di precisarla (cfr. Cass., Sez. U., n. 5307 del 20.12.2007, Battistella). Ne' tantomeno emerge se la difesa abbia rappresentato l'attuale interesse alla contestazione dell'aggravante eccependo la nullità del decreto che disponeva il giudizio ai sensi degli artt. 429 c.p., comma 2, nell'ambito del processo per tentato omicidio.
2.7 D'altro canto, non può neanche ipotizzarsi che l'omessa contestazione della menzionata aggravante impedisca la valutazione della corrispondente condotta di reato nel presente processo, in regione della ritenuta identità del fatto.
A ben vedere va evidenziato - cfr. in motivazione Sez. 5, Sentenza n. 31996 del 27/03/2019, Messina Denaro, Rv. 277249 - 01 - come da una interpretazione sistematica - che muovendo dall'esercizio dell'azione penale, passando attraverso le modifiche dibattimentali giunga al "giudicato" - risulta come il codice di rito assegni al concetto di "definizione giuridica" del fatto una portata limitata al fatto storico nei suoi componenti strutturali di condotta, nesso di causalità ed evento, privo però delle sue connotazioni circostanziali e, in particolare delle circostanze aggravanti. Per un verso, fatto e circostanze aggravanti sono tenuti ben distinti quali elementi che deve contenere l'atto di esercizio dell'azione penale: l'art. 429, comma 1, lett. c), e art. 552 c.p.p., comma 1, lett. c) richiedono la "enunciazione chiara e precisa del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza (...)". Inoltre, osserva Sez. 5, Messina Denaro, la disciplina della "diversa definizione giuridica del fatto" prevista dall'art. 521 c.p.p., comma 1, è diversa rispetto a quella stabilita per le circostanze aggravanti emerse nel corso dell'istruzione dibattimentale dagli artt. 517 e 522 c.p.p. Anche in questo caso i concetti sono tenuti ben distinti, il che induce a ritenere che la "definizione giuridica" non comprenda "le circostanze aggravanti". Invero l'art. 521 c.p.p. "riguarda soltanto la "diversità" del fatto e per fatto diverso deve intendersi il fatto-reato che abbia connotati difformi da quelli descritti nella contestazione - e la diversità riguarda perciò gli elementi strutturali della fattispecie penale che delimitano la regiudicanda - (Sez. 1, n. 30498 del 05/07/2011; Magrini, in motivazione), con esclusione degli elementi circostanziali, che, secondo ius receptum, non connotano la "regiudicanda".
Infine, la disciplina del giudicato penale dettata dall'art. 649 c.p.p. è imperniata sull'identità del fatto da intendersi circoscritta all'elemento materiale del reato nelle sue componenti essenziali attinenti alla condotta, al nesso causale ed all'evento, non potendo determinare la diversità del fatto medesimo la configurazione di ulteriori eventuali circostanze aggravanti (Sez. 4, n. 31446 del 25/06/2008, Mustaccioli, Rv. 240895 - 01; Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, Alota, Rv. 263543 - 01).
Nello stesso senso, in modo condiviso da questa Corte, deve richiamarsi Sez. 1 n. 42630 del 27/04/2022, Piccolomono, Rv. 283687 - 01, che ha ritenuto che sussista il divieto di un secondo giudizio, previsto dall'art. 649 c.p.p., anche nel caso in cui la condotta successivamente giudicata rechi circostanze aggravanti non costituenti oggetto del precedente processo, in quanto la valutazione sull'identità del fatto deve essere compiuta unicamente con riferimento all'elemento materiale del reato nelle sue componenti essenziali relative alla condotta, all'evento e al relativo nesso causale.
D'altro canto, anche la Corte costituzionale, con sentenza n. 230 del 2022, escludendo l'illegittimità costituzionale dell'art. 521 c.p.p., comma 2, ha confermato la distinzione fra "fatto diverso" e circostanza aggravante, ritenendo corretto il bilanciamento dei beni in gioco. In sostanza, la Corte ha ritenuto che la disposizione censurata, nel prevedere la restituzione degli atti per il fatto diverso e non anche per l'aggravante non contestata, individua un punto di equilibrio non implausibile tra gli opposti interessi e principi sottesi al processo penale e non può essere qualificata in termini di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà. La scelta del legislatore è stata, infatti, quella di limitare la regressione del procedimento alla sola ipotesi (il fatto diverso) in cui la definizione del giudizio con una sentenza assolutoria determinerebbe la totale impunità dell'autore del fatto, privilegiando invece le esigenze di tutela della ragionevole durata del processo e della terzietà e imparzialità del giudice nel caso in cui l'errore del pubblico ministero si ripercuota soltanto sulla misura della pena.
2.8 In conclusione, va affermato il principio per cui la disciplina del reato complesso, prevista dall'art. 84 c.p. per il caso di interferenza fra il delitto di omicidio aggravato dall'art. 576 c.p., comma 1, n. 5.1, - se commesso dall'autore del delitto previsto dall'art. 612-bis nei confronti della stessa persona offesa - e il delitto di atti persecutori trova applicazione, con l'assorbimento di tale ultimo delitto nel primo, solo in caso di contestazione effettiva della circostanza aggravante e conseguente aggravamento della pena, altrimenti non venendosi a verificare la duplicazione di sanzioni che la disciplina del reato complesso vuole escludere.
2.9 Pertanto, anche pienamente salvaguardato è stato il principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, in quanto per i delitti in esame la difesa ha avuto modo di difendersi rispetto ai reati per i quali è effettivamente intervenuta condanna.
Infine, anche la censura, meglio specificata con le conclusioni depositate dal ricorrente, in ordine alla valorizzazione del tentato omicidio quale post-factum incidente sulla quantificazione della pena per il delitto di atti persecutori da parte della Corte di appello, risulta infondata. In vero assolutamente legittima è la valorizzazione di tale emergenza, per il dettato dell'art. 133, comma 2, n. 3, c.p., che quale indicatore della capacità a delinquere sollecita la valutazione della condotta contemporanea o susseguente al reato.
2.10 Va infine evidenziato come l'inapplicabilità al caso di specie dell'art. 84 c.p. determini l'operatività delle previsioni dell'art. 81 c.p., ben potendo in sede esecutiva il condannato richiederne l'applicazione, a fronte della circostanza che, come la Corte di appello ha rilevato, non vi era un motivo specifico sul punto, cosicché non si verificano le condizioni ostative per il giudice dell'esecuzione previste dall'art. 671 c.p.p., comma 1, difatti, in tema di applicazione della continuazione in sede esecutiva - cfr. Sez. 1, n. 43777 del 24/09/2015, Domokos, Rv. 265251 - 01 - il mancato esame nel merito da parte del giudice della cognizione della sussistenza del reato continuato non comporta la mancata formazione del giudicato negativo sul punto e non preclude, perciò, l'esame della questione ai sensi dell'art. 671 c.p.p., comma 1.
3. Il secondo motivo di ricorso è anche infondato.
Va premesso che con le conclusioni in primo grado la parte civile chiedeva la condanna "al risarcimento in favore della parte civile... del danno patrimoniale e/o morale, quantificato nella somma equitativamente stimato in Euro 30.000,00 o la diversa maggiore o minor somma che risulterà in corso di causa che sarà ritenuta di giustizia,... con riconoscimento, in via provvisionale, di tale somma.. ". ne conseguiva la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale di Euro cinquemila.
Risulta pertanto corretta la valutazione della Corte di appello che ha ritenuto sussistente la richiesta della parte civile al liquidato risarcimento del danno con provvisoria esecutività, come da dettato dell'art. 540 c.p.p., comma 1, in quanto, a differenza di quanto ritiene il ricorrente, la richiesta di esecutività provvisoria non era rivolta alla provvisionale, per la quale non vi sarebbe stata necessità ex art. 540, comma 2, bensì alla liquidazione dell'intero risarcimento.
Quanto ai giustificati motivi richiesti dall'art. 540, comma 1, la Corte di appello conferma che il decorso di sette anni dai fatti-reato integri il predetto presupposto, al fine di non costringere la parte civile ad attendere oltre per vedere attuato il proprio diritto al risarcimento. Si tratta di motivazione non manifestamente incongrua, a fronte dell'ulteriore decorso del tempo che sarebbe trascorso fra il primo e il secondo grado di giudizio, all'esito del quale avrebbe trovato applicazione la disciplina dell'art. 605 c.p.p., comma 2.
4. Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso, con condanna alle spese processuali del ricorrente.
S. Quanto alle spese richieste dalla difesa di parte civile, va osservato come nel caso in esame, in applicazione di un condiviso principio di diritto, costantemente enunciato in riferimento a tutte le forme di giudizio camerale non partecipato, la liquidazione delle spese processali riferibili alla fase di legittimità in favore della parte civile non è dovuta, perché essa non ha fornito alcun contributo, essendosi limitata a richiedere la dichiarazione d'inammissibilità del ricorso, o il suo rigetto, con vittoria di spese, senza contrastare specificamente i motivi di impugnazione proposti (Sez. U, n. 877 ud. 14/07/2022, dep. 12/01/2023, Sacchettino, par. 20.3; Sez. 2, n. 33523 del 16/06/2021, D., Rv. 281960-03; Sez. 5, n. 34816 del 15/06/2021, Palmieri, non mass.; Sez. 1, n. 17544 del 30/03/2021, Barba, non mass.; Sez. 5, n. 26484 del 09/03/2021, Castrignano, non mass.; Sez. 1, n. 34847 del 25/02/2021, Reibaldi, non mass.).
6. D'ufficio va disposto l'oscuramento dei dati personali, attesa la necessità prevista dall'art. 52, comma 2, D.Lgs. n. 196 del 2003 di predisporre tale misura a tutela dei diritti e della dignità degli interessati.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Nulla per le spese di parte civile.
In caso di diffusione del presente provvedimento andranno omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 28 giugno 2023.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2023