RITENUTO IN FATTO
1. La ricorrente F.P. é stata condannata alla pena, non condizionalmente sospesa, di anni uno e mesi otto di reclusione, nonché al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita, perché riconosciuta responsabile del delitto di atti persecutori, aggravati dall'essere stati commessi anche mediante strumenti telematici, in danno di T.D., con sentenza del Tribunale di Messina dell'11 luglio 2018, integralmente confermata dalla Corte di appello di quella stessa città con la sentenza che qui s'impugna.
2. Otto sono i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza di appello.
2.1. Con il primo motivo si denunciano i vizi di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a), b), c), d) ed e), in relazione agli artt. 190,192 c.p.p., art. 495 c.p.p., comma 4, e art. 603 c.p.p., deducendosi l'illegittimità della decisione della Corte di appello di non disporre l'audizione di S.E., indicata come testimone dei fatti, avvenuti nella notte tra il (OMISSIS), dalla stessa parte civile, che vi aveva rinunciato in sede di istruzione dibattimentale.
2.2. Con il secondo motivo si denunciano i vizi di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a), b), c), d) ed e), in relazione agli artt. 195 e 507 c.p.p., deducendosi l'illegittimità della decisione del Tribunale, convalidata dalla Corte di appello, di non assumere ex officio la testimonianza di C.A., ritenuta decisiva dalla difesa dell'imputata.
2.3. Con il terzo motivo (indicato come il "IV") si denunciano i vizi di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a), b), c) ed e), in relazione all'art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 111 Cost., nonché in relazione all'art. 530 c.p.p., comma 1 e 2, e art. 605 c.p.p. e artt. 43 e 612-bis c.p., deducendosi l'apparenza, l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione in punto di elemento soggettivo del reato, in quanto sorretta da una distorta interpretazione di dati fattuali decisivi, ossia le gravi patologie che affliggevano l'imputata allorché pose in essere le condotte dissuasive nei confronti della T. e il tenore dei messaggi intercorsi con quest'ultima.
2.4. Con il quarto motivo (indicato come il "V") si denunciano i vizi di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a), b), c) ed e), in relazione all'art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 111 Cost., nonché in relazione all'art. 62 c.p., n. 2, deducendosi la non corretta applicazione della norma da ultimo indicata e l'illogicità della motivazione a sostegno, sul rilievo che la provocazione per il fatto ingiusto posto in essere dalla parte offesa, che aveva favorito l'infedeltà del marito dell'imputata, era da riconoscersi nel caso concreto poiché le condotte da quest'ultima tenute si erano sviluppate nell'arco di alcuni giorni.
2.5. Con il quinto motivo (indicato come il "VI") si denunciano i vizi di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a), b), c) ed e), c.p.p., in relazione all'art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 111 Cost., nonché in relazione all'art. 612-bis c.p., deducendosi l'insussistenza della circostanza aggravante della commissione degli atti persecutori mediante strumenti informatici e telematici, essendo state mal interpretate le dichiarazioni della persona offesa, la quale aveva riferito di avere bloccato il contatto della F. sul social network Facebook e di essersi limitata a leggere i contenuti da lei postati sul proprio profilo.
2.6. Con il sesto motivo (indicato come il "VII") si denunciano i vizi di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a), b), c) ed e), , in relazione all'art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 27 Cost. e art. 111 Cost., comma 6, nonché in relazione all'artt. 133 e 612-bis c.p., deducendosi l'incongruità della commisurazione della pena avuto riguardo alla minima offensività delle condotte dell'imputata.
2.7. Con il settimo motivo (indicato come si denunciano i vizi di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a), b), c) ed e), in relazione all'art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 27 Cost. e art. 111 Cost., comma 6, nonché in relazione all'artt. 133 e 62-bis c.p., stimandosi non corretta l'utilizzazione delle medesime argomentazioni per giustificare il diniego delle circostanze attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena; benefici arbitrariamente non concessi avuto riguardo al numero limitato di messaggi sui social network (cinque) e dei tentati approcci con la parte offesa (due).
2.8. Con l'ottavo motivo (indicato come il IX) si denunciano i vizi di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a), b), c) ed e), in relazione all'art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 27 Cost. e art. 111 Cost., comma 6, nonché in relazione all'artt. 133 e 163 c.p., dissentendosi dalla valutazione operata dalla Corte territoriale, in ordine alla prognosi negativa formulata circa la non ricaduta della ricorrente nel reato, sul rilevo della puntuale osservanza da parte di costei degli obblighi connessi alla misura ex art. 282-ter c.p.p. impostale.
3. Ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Tomaso Epidendio, ha rassegnato per iscritto le proprie conclusioni, con nota del 5 aprile 2021, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
4. Con memoria trasmessa tramite PEC in data 22 aprile 2021, il difensore dell'imputata ha rassegnato le proprie conclusioni, insistendo per l'accoglimento dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso é inammissibile.
1. Il primo motivo di ricorso é aspecifico ed affidato a censure manifestamente infondate.
La Corte territoriale ha condiviso la valutazione del Tribunale, sottesa alla revoca della teste S.E., di superfluità della relativa audizione, evidenziando come la circostanza, che si sarebbe dovuta provare mediante l'espletamento del detto incombente istruttorio - ossia che la F. si fosse recata intorno alla mezzanotte del (OMISSIS) presso l'abitazione della T. - fosse pacifica perché ammessa dalla stessa imputata.
Donde, le eccezioni difensive sono prive di pregio. E' jus receptum, infatti, che, nel giudizio d'appello la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale é istituto eccezionale al quale può farsi ricorso solo quando il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti: ne viene che, al di fuori del caso di prove sopravvenute o scoperte dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, le parti non hanno il diritto alla prova che riconoscono loro gli artt. 190 e 495 c.p.p. (Sez. 5, n. 10858 del 21/10/1996, Rv. 207067). Fuori di tali ipotesi la mancata assunzione della prova non é mai censurabile in cassazione a norma dell'art. 606 c.p.p., lett. d), bensì solo ai sensi della lett. e) di tale ultimo articolo (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015 - dep. 25/03/2016, Rv. 266820): vizio che, nel caso al vaglio, non ricorre di certo, posto che gli argomenti a sostegno del diniego di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per l'assunzione delle dichiarazioni della S. non si appalesano manifestamente illogici. Le stesse, infatti, non potevano dirsi decisive, perché sicuramente non tali da determinare una diversa pronuncia (Sez. 6, n. 14916 del 25/03/2010, Rv. 246667).
2. Il secondo motivo é , parimenti, manifestamente infondato e generico.
Ribadito che la mancata assunzione di una prova decisiva - quale motivo di impugnazione per cassazione - può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l'ammissione a norma dell'art. 495 c.p.p., comma 2, sicché il motivo non potrà essere validamente invocato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l'invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all'art. 507 c.p.p. e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione (Sez. 5, n. 4672 del 24/11/2016 - dep. 31/01/2017, Rv. 269270; Sez. 2, n. 9763 del 06/02/2013, Rv. 254974; Sez. 6, n. 33105 del 08/07/2003, Rv. 226534), va riconosciuto che, nella sentenza impugnata, si é data compiuta e plausibile ragione della condivisione da parte del giudice censurato della decisione del Tribunale di non disporre, con l'esercizio dei propri poteri di integrazione istruttoria officiosa, l'audizione della testimone C.A. (cfr. pag. 7, primo capoverso). Così facendo é stato dato seguito al consolidato principio di diritto secondo cui, poiché il giudice ha il dovere di acquisire, anche d'ufficio, i mezzi di prova indispensabili per la decisione, egli, in caso di mancato esercizio dei detti poteri di integrazione probatoria, é tenuto a rendere una motivazione specifica al riguardo (Sez. 3, n. 10488 del 17/02/2016, Rv. 266492; Sez. 5, n. 38674 del 11/10/2005, Rv. 232554).
3. Il terzo motivo é affidato a censure che, oltre ad essere non consentite nel giudizio di legittimità, sono manifestamente infondate.
La Corte territoriale, uniformandosi alla ricostruzione dei fatti operata dal Tribunale, ha evidenziato come le condotte poste in essere dalla F. nei confronti della T. si fossero sostanziate in pedinamenti, appostamenti e pubblicazione sul sito di socializzazione Facebook di contenuti atti a delinearne un profilo negativo (segnatamente una tal quale attitudine ad intrattenere relazioni con persone già impegnate in stabili relazioni affettive).
Si tratta di condotte che, secondo massime di comune esperienza, sono tali da determinare un effetto destabilizzante sulla persona che ne sia attinta e che, nella specie, l'hanno effettivamente determinato nella T., alla stregua dei risultati dell'istruttoria dibattimentale compiuta, dei quali si é dato ampio ragguaglio nella sentenza impugnata. Donde, l'imputata, non solo non poteva non rendersi conto di quali sarebbero state le gravi conseguenze perturbatrici della dimensione esistenziale della parte offesa derivanti dalle condotte tenute ai suoi danni, ma, con il reiterarle ostinatamente, ha fatto mostra di averne effettivamente voluto il prodursi. Per la sussistenza del delitto di atti persecutori, é , infatti, sufficiente il dolo generico, che é integrato dalla volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice (Sez. 5, n. 20993 del 27/11/2012 - dep. 15/05/2013, Rv. 255436).
Pertanto, le deduzioni che pretendono di rimettere in discussione l'accertamento compiuto nel giudizio di merito in ordine all'entità e al numero delle condotte persecutorie, all'effetto derivatone sulla persona offesa e ai motivi per i quali l'imputata si era determinata ad agire sono inammissibili in questa sede, posto che non é consentito denunciare, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il travisamento del fatto (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Rv. 238215).
4. Il quarto motivo deve essere stigmatizzato in quanto manifestamente infondato e perché proteso a suggerire una non consentita rivalutazione del merito della regiudicanda.
4.1. Quanto al diniego di concessione della circostanza attenuante della provocazione, va dato seguito all'ormai pacifico orientamento interpretativo secondo cui non costituisce fatto ingiusto la relazione sentimentale intrapresa dalla persona offesa con il coniuge dell'autore del fatto criminoso (Sez. 5, n. 2725 del 13/12/2019 -dep. 23/01/2020, Rv. 278556; Sez. 5, n. 55741 del 25/09/2017, Rv. 272044). Occorre osservare, al riguardo, che il presunto coinvolgimento della persona offesa in una relazione con il coniuge dell'imputata non era tale da costituire un contegno ingiusto sotto il profilo giuridico, morale o sociale, suscettibile di giustificare una mitigazione sanzionatoria per la reazione della ricorrente: l'esistenza di un rapporto di coniugio ancora in essere, sullo sfondo della vicenda scrutinata, rappresenta, invero, un profilo estraneo al novero delle condizioni che possono condurre all'applicazione della circostanza invocata, attenendo, questa, a dinamiche squisitamente affettivo-interpersonali caratterizzate da un possibile margine di opinabilità, che non rispondono a regole (neanche di ordine morale) generalmente riconosciute e sufficientemente stabilizzate e che, pertanto, non possono trovare sbocco in termini di attenuazione della risposta punitiva dello Stato.
4.2. Va, inoltre, affermato che l'attenuante della provocazione é incompatibile con il delitto di atti persecutori, in quanto reato abituale, caratterizzato dalla reiterazione nel tempo di comportamenti antigiuridici. Invero, sebbene lo stato d'ira, che costituisce uno degli elementi della fattispecie in cui si compendia l'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 2, possa risorgere al ricordo dell'ingiustizia patita e dar luogo ad un comportamento criminoso anche temporalmente da essa distante, deve escludersi che ciò possa reiterarsi indeterminatamente e giustificare l'applicabilità della detta attenuante ad un reato a condotta abituale contrassegnato costitutivamente da una serie di comportamenti antigiuridici di analoga natura che si ripetono e si replicano nel tempo, posto che in tal caso quella che si vorrebbe prospettare come una reazione emotiva ad un fatto ingiusto si presenta, in realtà, come espressione di un proposito di rivalsa e di vendetta, al quale l'ordinamento non può dare riconoscimento alcuno (Sez. 6, n. 10006 del 24/04/1991, Rv. 188235. In tema di maltrattamenti in famiglia, Sez. 6, n. 13562 del 05/02/2020, Rv. 278757; Sez. 6, n. 12307 del 27/10/2000, Rv. 217901. In tema di molestie, Sez. 1, n. 29830 del 03/07/2017 - dep. 03/07/2018, Rv. 273497).
5. Il quinto motivo sviluppa rilievi non consentiti, in quanto interamente devoluti in fatto. Pacifico che i contenuti, espressivi di un pensiero, suscettibili di delineare un profilo negativo della T., siano stati condivisi dalla F. sulla propria bacheca Facebook e che tale condotta sia senz'altro tale da integrare la circostanza aggravante di cui all'art. 612-bis c.p., comma 2, in ragione della peculiare offensività della divulgazione dei detti contenuti mediante lo strumento telematico utilizzato, si appalesa del tutto irrilevante, ai fini della configurabilità dell'elemento accessorio in esame, l'atteggiamento soggettivo della persona offesa nel prenderne cognizione.
6. Il sesto, il settimo e l'ottavo motivo di ricorso, tutti riferiti alle statuizioni dei giudici di merito in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio, sono inammissibili, perché articolano censure che pretendono un sindacato sulla discrezionalità dei giudici medesimi correttamente esercitata.
6.1. Quanto al sesto motivo, va ribadito che la motivazione in ordine alla determinazione della pena base ed alle diminuzioni o agli aumenti operati per le eventuali circostanze attenuanti o aggravanti é necessaria solo quando la pena inflitta sia di gran lunga superiore al minimo o quanto meno superiore alla misura media edittale. Fuori di questo caso, attesa l'assoluta discrezionalità attribuita in materia al giudice di merito, non é necessario che nella motivazione della sentenza siano richiamati tutti gli elementi indicati nell'art. 133 c.p., poiché anche l'uso di espressioni come pena congrua, congrua riduzione e simili, e sufficiente a far ritenere che lo stesso giudice abbia valutato la fattispecie secondo i comuni criteri e non a proprio arbitrio (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Rv. 265283); ne discende che é inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 - dep. 04/02/2014, Rv. 259142).
6.2. In riferimento al settimo motivo, devesi riaffermare che, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione é insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269). Nella specie, pertanto, deve ritenersi sufficiente, ai fini dell'esclusione delle attenuanti ex art. 62-bis c.p., il richiamo operato nella sentenza impugnata all'intensità e alle modalità delle condotte moleste tenute dall'imputata, in una con la dimostrata sua mancanza di percezione del disvalore delle stesse.
6.3. Non é poi illegittima l'utilizzazione dei medesimi indici fattuali per giustificare il diniego delle circostanze attenuanti generiche e il diniego della sospensione condizionale della pena, posto che il giudice, sia pure a fini diversi - la commisurazione della pena nel primo caso e la prognosi circa la non ricaduta nel reato, nel secondo caso (Sez. 4, n. 27107 del 15/09/2020, Rv. 280047) -, deve prendere in considerazione gli elementi indicati dall'art. 133 c.p., in particolare quelli atti a lumeggiare i profili di pericolosità del comportamento dell'imputato (arg. ex Sez. 4, n. 34754 del 20/11/2020, Rv. 280244; Sez. 3, n. 26191 del 28/03/2019, Rv. 276041).
6.3. L'ottavo motivo é , infine, contrassegnato da patente genericità, in conseguenza dell'omesso confronto con il tenore della motivazione sottesa al diniego del beneficio della sospensione della pena. Il giudice censurato ha, in effetti, fondato la prognosi negativa, in ordine alla ricaduta della ricorrente nel delitto ascrittole, su una lettura complessiva degli elementi fattuali e personologici a disposizione (la reiterazione in un tempo non limitato delle condotte e l'ostinato "convincimento di essere nel giusto" palesato dalla F. in sede di giudizio di appello, a distanza di oltre due anni dall'applicazione nei suoi confronti della misura ex art. 282-ter c.p.p.), non implausibilmente apprezzati come indicativi di una non affidabilità della prevenuta nel tenersi lontana da comportamenti antigiuridici: tanto rende la motivazione rassegnata insindacabile in questa sede.
7. Per le suesposte ragioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle Ammende. A norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in caso di diffusione del presente provvedimento, s'impone l'oscuramento delle generalità e gli altri dati identificativi delle parti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 29 aprile 2020.
Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2021