RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza n. 31596 del 9 giugno 2022 la I sezione di questa Corte ha annullato la sentenza della Corte d'appello di Brescia del 6 luglio 2021, in relazione al reato di atti persecutori di cui al capo F), commesso, secondo l'impostazione accusatoria, da O.G. nei confronti dei coniugi G.R. e G.M..
In particolare, la I sezione ha rilevato che, nel reato di atti persecutori, può non esservi coincidenza tra soggetto passivo e destinatario materiale della condotta, in quanto lo stato di ansia, paura o timore che integra la fattispecie, può essere indotto nel primo anche da comportamenti ai danni di terze persone, legate alla vittima da vincoli qualificati; occorre però, in questo caso, che l'autore del fatto agisca nella consapevolezza che la vittima certamente sarà posta a conoscenza della sua attività intrusiva e persecutoria, volta a condizionarne indirettamente le abitudini di vita, e occorre, ai fini della consumazione, che tale conoscenza condizionante si sia avuta (Sez. 5, n. 8919 del 16/02/2021, F., Rv. 280497-01; Sez. 3, n. 1629 del 06/10/2015, dep. 2016, V., Rv. 265809-01). Su questo secondo aspetto, secondo la decisione rescindente, la sentenza impugnata presentava una motivazione meramente assertiva, trincerandosi dietro l'affermazione che l'imputato non avrebbe contestato l'insorgenza, in capo ai coniugi, dello stato di ansia, paura o timore necessario al fine di ritenere il delitto perfezionato nei loro confronti: al contrario, la lettura dell'atto di appello induceva a ritenere che una questione specifica fosse stata sollevata sul punto.
2. Con sentenza del 5 dicembre 2022 la Corte d'appello di Brescia ha confermato la decisione di condanna, provvedendo alla rideterminazione della pena e riducendo l'importo della provvisionale liquidato in favore delle parti civili G. e G.. La Corte territoriale ha ritenuto: a) che le condotte dell' O. emerse nel processo erano finalizzate ad evitare che il terreno della famiglia G. - G., situato nelle immediate vicinanze del maneggio gestito dal padre dell'imputato, venisse coltivato; b) che la progressione degli atti violenti ed intimidatori posti in essere dall' O. trovava fondamento nel risentimento di quest'ultimo verso il proprio locatore, ossia il padre del G., in ragione del debito progressivamente accumulatosi per il mancato pagamento del canone d'affitto; c) che, in costanza di tale travagliato rapporto, il G. figlio aveva denunciato ben quindici episodi di danneggiamento e incendio, ad opera di ignoti, succedutisi tra l'agosto del 2008 e il luglio del 2016; d) che le gravi minacce indirizzate dall' O. a vari soggetti ( D., P. e, infine, la famiglia F.) che il G., una volta riacquisitane la disponibilità, aveva incaricato di lavorare sul terreno perseguivano appunto la finalità di impedire la coltivazione del bene; e) che il credito vantato nei confronti dell' O. e le stesse affermazioni di quest'ultimo, quali riferite dal D., a proposito dell'intento di "lasciare marcire e non coltivate le culture del terreno così da causarne la rovina", comprovavano il movente dell'imputato, il quale aveva indirizzato le sue condotte nei confronti di soggetti legati da un rapporto qualificato con i proprietari, i quali, proprio in conseguenza del rapido avvicendarsi dei lavoranti, erano ben consapevoli delle ragioni che avevano condotto alla rinuncia all'incarico; f) che, del resto, l' O., a fronte della resistenza dei proprietari, aveva alzato il tiro in una escalation di violenze che si era riversata sugli ultimi lavoranti anche dopo la cessazione dei lavori sul fondo; g) che la consapevolezza da parte dei coniugi G. - G. dell'attività dell' O. era comprovata dal contenuto della querela; h) che il livello di intimidazione e di aggressività raggiunto dall' O. aveva indotto i soggetti passivi a temere per la propria incolumità e a non recarsi più nel tempo libero presso la loro cascina.
2. Nell'interesse dell'imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall'art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali, ribadendo che l'imputato aveva intrattenuto rapporti solo con i componenti della famiglia F. e non con le parti civili G. e G., e rilevando che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto non contestato l'evento di danno prodottosi in questi ultimi, come confermato dal motivo di appello nel quale si era insistito particolarmente sulla non individuabilità di condotte persecutorie nei confronti delle medesime parti civili. Aggiunge il ricorso che la sentenza del giudice del rinvio non aveva specificato le circostanze dimostrative del rapporto qualificato esistente tra i F. e le parti civili, alla luce della limitata durata del rapporto negoziale tra di loro intercorso. D'altra parte, l'assenza dell'evento di danno era confermata dal fatto che la querela era stata presentata il 13 novembre 2018, quando le condotte moleste era state interrotte da più di due mesi.
2.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali, in relazione alla disposta provvisionale, tenuto conto che la costituzione di parte civile era avvenuta a mezzo di procuratore speciale e difensore diverso dall'avvocato nominato all'atto della presentazione della denuncia - querela e senza che si fosse proceduto alla revoca di quest'ultimo. Ne discenderebbe la violazione dell'art. 24 disp. att. c.p.p..
3. All'udienza del 16 ottobre 2023 si è svolta la discussione orale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è infondato.
Innanzi tutto, occorre premettere che, nella presente vicenda, è ormai irrevocabile l'accertamento di responsabilità dell' O. non solo in relazione al delitto di atti persecutori in danno di F.N. e di F.P., ma anche con riguardo ai plurimi autonomi delitti posti in essere dal primo (la tentata violenza privata di cui al capo A, finalizzata - osserva la prima sentenza della Corte d'appello di Brescia del 6 luglio 2021 - ad ostacolare o impedire la coltivazione del fondo di proprietà G. - G. -, la detenzione e il porto, in varie occasioni di un'arma (capi B, D, E), l'incendio di cui al capo C9). In tale contesto, il ricorso non può scalfire (e, infatti, non contiene deduzioni sul punto) il dato che le azioni dell' O. siano state indirizzate non soltanto nei confronti dei F., ma anche nei riguardi di D.G. e P.L., che, prima dei F., erano stati incaricati di lavorare sul terreno G. - G..
La Corte territoriale, in sede di rinvio, anche con riguardo alle dichiarazioni rese dal medesimo O., per come riferito dal D. (ma la decisione di primo grado ricorda analoghe dichiarazioni pronunciate nei confronti di F.N.), ha ricostruito il fine dell'imputato in quello di impedire la coltivazione del fondo G. - G..
Ciò posto, si osserva che il tema della relazione tra questi ultimi e i F., quale devoluto al giudice di rinvio dalla sentenza di annullamento di questa Corte, è stato affrontato dalla sentenza impugnata con una motivazione che il ricorso fraziona senza considerarla nella sua interezza.
Per meglio illustrare quest'ultimo rilievo, occorre considerare che la consolidata giurisprudenza di questa Corte ritiene che integri il delitto di atti persecutori la reiterata ed assillante comunicazione di messaggi di contenuto persecutorio, ingiurioso o minatorio, oggettivamente irridenti ed enfatizzanti la patologia della persona offesa, diretta a plurimi destinatari ad essa legati da un rapporto qualificato di vicinanza, ove l'agente agisca nella ragionevole convinzione che la vittima ne venga informata e nella consapevolezza, della idoneità del proprio comportamento abituale a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice (Sez. 5, n. 8919 del 16/02/2021, F., Rv. 280497 - 01; v., nella stessa linea decisionale, Sez. 5, n. 37272 del 01/07/2022, C., Rv. 284017 - 0; Sez. 5, n. 26456 del 09/06/2022, M, n. m.; Sez. 6, n. 8050 del 12/01/2021, G., Rv. 281081 - 0).
Il carattere "qualificato" del rapporto, tuttavia, non va inteso in senso formale, ma, secondo quanto emerge in termini limpidi proprio dallo sviluppo argomentativo di Sez. 5, n. 8919 del 16/02/2021 cit., come idoneità della relazione interpersonale, secondo l'id quod plerumque accidit, a giustificare il verificarsi dell'evento di danno anche nei riguardi di chi non sia il diretto destinatario della condotta persecutoria.
In altri termini, il riferimento all'esistenza di un "rapporto qualificato di vicinanza" non serve a identificare il contenuto di un elemento costitutivo della fattispecie (che, infatti, non lo contempla), ma a individuare, con espressione di sintesi, il significato di un'operazione ricostruttiva che dimostri, al di là di ogni ragionevole dubbio, in termini razionali e obiettivamente fondati, la riferibilità di un evento di danno nei confronti di una persona diversa dal destinatario delle condotte.
Infatti, rispetto a quest'ultimo, l'individuazione dell'evento di danno e la sua riconducibilità causale alla condotta (v., ad es., Sez. 5, n. 18646 del 17/02/2017, C., Rv. 270020 - 0, in motivazione) pongono l'esigenza di ancorare l'accertamento ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (v. anche Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, P.C. e G., Rv. 26153; Sez. 5, n. 16864 del 10/01/2011, C., Rv. 250158).
Rispetto alle cd. molestie indirette si pone lo stesso problema ricostruttivo di fondo, dovendo in ogni caso verificare, alla stregua di un accertamento dotato di credibilità razionale, che le stesse abbiano provocato l'evento di danno nei riguardi di chi si assuma essere persona offesa.
Il fatto che, nei casi esaminati dalla giurisprudenza, vengano prevalentemente in rilievo rapporti di carattere personale o familiare, non toglie che anche rapporti di carattere diverso possano giustificare l'insorgere dell'evento di danno, alla luce di una valutazione che tenga conto di tutte le connotazioni del fatto.
Sul versante soggettivo, dovrà poi verificarsi la consapevolezza e volontà dell'agente anche in relazione all'individuazione del destinatario finale della condotta.
Ora, nella vicenda in esame, non si tratta di valorizzare i dati formali del rapporto tra i F. e i G. - G., come esattamente colto dalla sentenza impugnata, ma di rilevare che i primi in tanto sono stati i destinatari dell'escalation di violenza dell' O., in quanto incaricati, al pari di altri soggetti sopra ricordati, di coltivare il fondo dei secondi.
Ne discende che il rilievo difensivo, secondo cui le molestie indirizzate ad un prestatore d'opera non sono idonee a generare l'evento di danno nel committente sono del tutto fuori fuoco, giacché, nel caso concreto, il fatto che le condotte persecutorie fossero dirette a coloro (e non solo ai F.) che i G. - G. avevano incaricato di occuparsi del fondo dimostra, in termini che non dimostrano alcuna illogicità, che i reali destinatari della condotta persecutoria erano proprio questi ultimi. Proprio il tenore delle dichiarazioni dell' O., quali ricordate dalla sentenza impugnata, a proposito della finalità perseguita di causare la rovina del terreno, rende razionale l'accertamento dei giudici di merito e offre solido fondamento all'ulteriore conclusione - rilevante anche sul piano del versante psicologico della fattispecie - che l'imputato fosse perfettamente consapevole che le sue azioni sarebbero state portate a conoscenza dei G. - G..
Quanto poi al concreto evento di danno, si osserva che, in effetti, la contestazione che emerge dal brano dell'appello riportato in ricorso investe l'esistenza di atti indirizzati verso i G. - G. non il fatto che costoro, intimiditi dalla progressione criminosa alla quale si è fatto sintetico riferimento, abbiano cessato di frequentare la propria cascina nel tempo libero.
Non si tratta di un prestare o non acquiescenza al tema, come lamenta il ricorso, ma dell'onere di proporre una impugnazione specifica sul punto.
Peraltro, indipendentemente dal contenuto dell'appello proposto, si osserva che la sentenza impugnata ancora il dato dell'alterazione delle abitudini di vita ad un accertamento positivo che il ricorso non contesta in modo specifico.
2. Il secondo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza.
Va premesso che la questione prospettata ha carattere squisitamente giuridico, talché non è centrata la censura di illogicità della motivazione (v., autorevolmente, la puntualizzazione secondo la quale, in tema di ricorso per cassazione, i vizi di motivazione indicati dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. 4 non sono mai denunciabili con riferimento alle questioni di diritto, non solo quando la soluzione adottata dal giudice sia giuridicamente corretta, ma anche nel caso contrario, essendo, in tale ipotesi, necessario dedurre come motivo di ricorso l'intervenuta violazione di legge: Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 - 05).
Ciò posto, l'art. 24 disp. att. c.p.p. invocato dal ricorrente ha riguardo alla "parte" e quindi postula una identità (non soggettiva ma giuridica) di posizione processuale che difetta nel caso di specie, posto che la prima nomina promana da soggetti ciascuno dei quali rivestiva la qualità di persona offesa, che parte processuale, in linea generale, neppure è (v., ad es., Sez. U, n. 36754 del 14/07/2022, 0., Rv. 283509 - 01, par. 7 del Considerato in diritto) e la seconda da soggetti che, nell'esercitare l'azione risarcitoria nel processo penale, hanno assunto una qualità di parte che prima non avevano.
In realtà, l'identità fisica non assume alcun rilievo, una volta che muti radicalmente la veste processuale.
In tale contesto, ancora una volta il parallelismo prospettato dal ricorso, quanto al rapporto indagato - imputato, non coglie nel segno, alla luce della generale equiparazione delle due posizioni e della estensione all'indagato di ogni altra disposizione prevista per l'imputato, salvo che sia diversamente stabilito (art. 61 c.p.p., comma 2).
3. Alla pronuncia di rigetto consegue ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2023.
Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2023