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Reati contro la persona

Stalking: le condotte persecutorie diverse e ulteriori rispetto a quelle descritte nell'imputazione devono formare oggetto di specifica contestazione

Stalking: le condotte persecutorie diverse e ulteriori rispetto a quelle descritte nell'imputazione devono formare oggetto di specifica contestazione

Cassazione penale sez. V, 02/10/2019, n.45376

Al delitto di atti persecutori di cui all'art. 612-bis c.p., che ha natura di reato abituale, e cioè a condotta plurima, non si applica il principio, proprio dei reati permanenti, secondo il quale, nell'ipotesi di contestazione aperta, il giudizio di penale responsabilità dell'imputato può estendersi, senza necessità di modifica dell'imputazione originaria, agli sviluppi della fattispecie emersi dall'istruttoria dibattimentale; ne consegue che le condotte persecutorie diverse e ulteriori rispetto a quelle descritte nell'imputazione devono formare oggetto di specifica contestazione, sia quando servono a perfezionare o ad integrare l'imputazione originaria, sia - e a maggior ragione - quando costituiscono una serie autonoma, unificabile alla precedente con il vincolo della continuazione. (In applicazione del principio, la Corte ha escluso che la contestazione in sede cautelare di determinate condotte persecutorie, commesse dall'indagato nell'anno 2018, fosse preclusa dalla condanna di primo grado, riportata dal medesimo, nel 2019, per il delitto omogeneo in danno della stessa vittima, contestato con la formula "dal 2016 ad oggi"). Vedi Sez. 6, n. 4636 del 1995, Rv. 201149-01.

Per approfondire l'argomento, leggi il nostro articolo sul reato di stalking.

Norme di riferimento

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale del riesame di Messina ha confermato la misura della custodia cautelare in carcere applicata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Patti a S.R.F. per il reato di atti persecutori commesso in danno della moglie M.F., dalla quale è separato di fatto. Secondo l'accusa l'imputato, già sottoposto a procedimento penale (il n. 1967/17 RGNR con contestazione aperta "dall'aprile 2016 ad oggi") per analogo reato, e per quelli di maltrattamenti e lesioni personali, commessi in danno della medesima persona, ha perseverato - sebbene sottoposto alla misura del divieto di avvicinamento alla persona offesa - nel proposito criminoso, sia spiandola, sia progettando di ucciderla. 2. Il Tribunale ha ritenuto sussistente il quadro di gravità indiziaria sulla scorta delle dichiarazioni rese da B.S. e degli accertamenti di polizia susseguenti. La B. avrebbe dichiarato, in particolare, di aver conosciuto il S. tramite tale F.A. - soggetto da cui S. si riforniva di droga - e di aver appreso, nel corso della frequentazione avuta con lui, del suo proposito di fare del male alla moglie. La B. avrebbe specificato di aver sentito S. progettare con lo stesso F. (nonchè con T.G. e B.C.) l'omicidio della moglie, da eseguire attraverso il coinvolgimento di quest'ultima in un incidente stradale o in altro modo. Proprio in vista di ciò, S. avrebbe corrisposto al F. un assegno di 5.000 Euro. In effetti, ha aggiunto la M., proprio F. l'avrebbe contattata tramite Facebook, dicendole di chiamarlo nel caso avesse voluto avere informazioni sul marito. Quanto allo spionaggio della moglie, il Tribunale ha valorizzato le dichiarazioni di B., secondo cui " S. aveva il satellitare collegato alla sua mail" e poteva, in tal modo, controllare gli spostamenti che la moglie faceva con la sua vecchia auto; inoltre, attraverso una nipote, S. era tenuto al corrente "di sua figlia" e dei loro "stati o link di Facebook". Ha valorizzato, altresì, le dichiarazioni della M., secondo cui S. l'aveva contattata attraverso Facebook col falso nome di Fa.Fr. (aveva chiesto "l'amicizia" presentandosi col nome suddetto). Sempre M. aveva rappresentato di essere stata contattata il 9 gennaio 2019 - tramite Messanger - da certo A.M., il quale le aveva riferito che un giorno, mentre era in sua compagnia, S. aveva ricevuto la telefonata di una persona a lui nota, dalla quale era stato avvertito che la moglie si trovava a (OMISSIS) con la loro figlia. Ricevuta tale notizia, S. l'aveva indotto a mettersi in auto con lui e a recarsi a (OMISSIS), con l'intento di seguire la moglie e accertare cosa stesse facendo. Ulteriori elementi a carico di S. sono stati tratti dalle dichiarazioni da questi rese nel corso del procedimento n. 1967/17 RGNR (conclusosi il 15/4/2019 con la sua condanna a quattro anni di reclusione) allorchè, interrogato, aveva mostrato di sapere che M. si recava il fine settimana in Calabria (dato conosciuto solo dai sui familiari e dalle Forze dell'ordine). Infine, le attività di polizia delegate avevano consentito di acquisire importanti riscontri alle dichiarazioni della B., essendo stata accertata tramite l'analisi dei telefoni cellulari - "la contemporanea presenza dei soggetti indicati dalla B. in un determinato luogo e i contatti tra la B. e i soggetti menzionati". Inoltre, era stato accertato che, fino alla fine di gennaio 2018, sull'auto in uso a M. era installato un dispositivo GPS collegato all'utenza telefonica di S., "sicchè lo stesso era in grado di controllare agevolmente gli spostamenti in auto della moglie". 3. Quanto alle esigenze cautelari, collegate al pericolo di reiterazione del reato, il Tribunale ha valorizzato l'allarmante personalità del S., che non ha esitato a perseverare nelle condotte delittuose ascrittigli, nonostante il processo pendente e la misura non custodiale applicata, fino al punto da progettare l'assassinio della moglie. 4. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell'indagato lamentando plurime violazioni di legge, travisamento e vizi motivazionali con riguardo sia alla gravità indiziaria che alle esigenze cautelari. 4.1. Deduce, sotto il primo profilo, che sia mancata una adeguata valutazione della credibilità di B., di cui la stessa ordinanza rammenta l'avversione nutrita verso S. per i problemi collegati alla sua frequentazione e che circostanza taciuta dalla Corte d'appello - aveva subito un'aggressione fisica a causa dei suoi rapporti con S.. Sotto il profilo dei riscontri (alle dichiarazioni di B.) contesta che gli accertamenti della Guardia di Finanza abbiano avuto l'esito descritto dal giudicante, atteso che - a quanto riferito dagli investigatori nella segnalazione del 26/10/2018 - non era stato riscontrato lo spostamento di B., insieme a F., da (OMISSIS) nella notte tra il (OMISSIS) e non aveva trovato riscontro la circostanza della contemporanea presenza di S., B., F. e la compagna di quest'ultimo ( Ca.Ma.) in (OMISSIS), ove, secondo B., sarebbe stato esternato da S. - e raccolto da F. - il proposito omicidiario. Nessun riscontro positivo ha avuto anche l'asserita controllabilità, da parte di S., degli spostamenti della moglie attraverso il sistema GPS, dal momento che la Compagnia assicuratrice non ha mai fornito risposta al quesito formulato dagli investigatori: se, cioè, per il tramite del sistema GPS fosse possibile monitorare costantemente la posizione del veicolo. Infine, nessuna indagine era stata compiuta per accertare se F. avesse mai incassato l'assegno di 5.000 Euro asseritamente consegnatogli da S.. Tanto, a prescindere dal fatto che i propositi criminosi di S. non sarebbero riconducibili nell'alveo dell'art. 612/bis c.p.. 4.2. Con altro motivo si duole del fatto che l'azione cautelare sia stata esercitata per fatti già ricompresi nella contestazione del proc. n. 1967/17 RGNR, concluso con sentenza di primo grado del 15/4/2019. In questo procedimento, infatti, S. è accusato di atti persecutori commessi in (OMISSIS), sicchè, versandosi in un caso di reato abituale, la contestazione (cd. "aperta") comprende ogni condotta posta in essere fino alla sentenza di primo grado. Si verserebbe, quindi, in una situazione di preclusione processuale, che non consentiva l'esercizio di una nuova azione penale. 4.3. Con un terzo ed ultimo motivo il ricorrente si duole della motivazione posta a base delle ritenute esigenze cautelari, atteso che non ha dato conto della concretezza ed attualità del pericolo di reiterazione e non ha spiegato perchè gli arresti domiciliari, presidiati da braccialetto elettronico, sarebbero inidonei a fronteggiare il pericolo di reiterazione. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso merita accoglimento, per quanto di ragione. 1. Per motivi di ordine logico appare opportuno esaminare, prioritariamente, il secondo motivo di ricorso, concernente la dedotta preclusione processuale. Il motivo è infondato. E' opinione pressochè unanime che l'art. 612/bis c.p. configuri un reato abituale, ovvero a condotta plurima, al quale è necessaria, per la sua consumazione, una pluralità di condotte che, singolarmente considerate, costituiscono esse stesse reato, ai sensi degli artt. 660 e 612 c.p.. Alla pluralità delle condotte corrisponde un evento unitario, rappresentato, alternativamente, dal grave e perdurante stato di ansia e di paura, dal fondato timore per l'incolumità personale, dalla alterazione delle abitudini di vita. Poichè il momento consumativo è segnato dalla verificazione dell'evento, ne consegue che gli atti ulteriori di "persecuzione", posti in essere dall'agente dopo che l'evento si è già verificato, aggravano l'evento stesso, ma non determinano l'insorgere di un nuovo reato, eventualmente unificabile quoad poenam nella figura del reato continuato, poichè ogni successiva infrazione compiuta dall'autore si riallaccia a quelle di uguale natura e contenuto in precedenza realizzate, saldandosi con esse e dando vita ad un illecito strutturalmente unitario; tanto, a che meno le condotte persecutorie non si ripetano a distanza considerevole di tempo, quando gli effetti del commesso reato si sono già esauriti. In casi siffatti, la rinnovazione, anche contro la stessa persona, di atti di molestia o minaccia, siccome posti in essere in un contesto caratterizzato dalla raggiunta "tranquillità" della persona offesa (intesa come superamento delle situazioni di turbamento contemplate dall'art. 612/bis c.p.), dà luogo a nuovo reato, eventualmente unificabile per continuazione a quello già perfezionatosi. Tale evenienza è stata esaminata dalla giurisprudenza per le implicazioni che, sulla perseguibilità delle condotte, determina la pendenza di un procedimento penale per "stalking", allorchè questo sia iniziato con contestazione "aperta" (senza, cioè, l'indicazione di un termine consumativo finale, con la formula "condotta perdurante" o simili), stabilendosi, sulla base dei principi in tema di contestazione, che solo le condotte espressamente contemplate nell'editto accusatorio rientrano nell'oggetto del giudizio, mentre gli atti cronologicamente successivi, pur costituendo reiterazione di condotte riconducibili allo schema degli atti persecutori, devono essere - per poter fondare su di essi un giudizio di condanna - espressamente contestati. Tanto, a differenza che nei giudizi aventi ad oggetto un reato permanente, ove la consumazione prosegue finchè la situazione antigiuridica non cessi o non venga rimossa, sicchè, in difetto di contestazione di un termine finale di consumazione, questo non può che coincidere con la pronuncia della sentenza di condanna di primo grado, che cristallizza l'accertamento processuale (in questo senso, cass., Sez. v, n. 22210 del 3/4/2017, rv 270241-01. NB: nella motivazione della sentenza - e nella massima che da essa è stata tratta - si fa riferimento, per mero lapsus calami, al reato abituale, invece che al reato permanente, come quello che si consuma finchè permane la situazione antigiuridica. La logica del ragionamento è, invece, quella sopra riportata). A ciò consegue che nel reato di atti persecutori la contestazione, anche quando è "aperta", riguarda solo le condotte comprese nell'editto accusatorio. Ciò è quanto, del resto, era già stato stabilito, in relazione ad altro reato abituale (quello dei maltrattamenti), nel lontano (OMISSIS), allorchè era stato fatto rilevare che il delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) non costituisce reato permanente, bensì reato abituale. Ne consegue - è stato scritto - la inapplicabilità del principio secondo cui l'intrinseca idoneità del reato permanente a durare nel tempo, anche dopo l'avverarsi dei suoi elementi costitutivi, comporta che, quando nel capo di imputazione sia indicata soltanto la data iniziale e non quella della cessazione della permanenza, l'originaria contestazione si estende all'intero sviluppo della fattispecie criminosa, con la conseguenza che l'imputato è chiamato a difendersi, oltre che in ordine alla parte già realizzatasi di tale fattispecie, anche in ordine a quella successiva emergente dall'istruttoria dibattimentale, senza necessità di una ulteriore specifica contestazione da parte del Pubblico Ministero. Nel reato abituale, invece, i fatti nuovi acclarati in dibattimento, specialmente quando questo si svolga a distanza di anni dalla denuncia, devono essere sempre contestati all'imputato, sia che servano a perfezionare o ad integrare la fattispecie criminosa rispettivamente enunciata nel capo di imputazione, sia - e a maggior ragione - che costituiscano una serie autonoma unificabile alla precedente per vincolo di continuazione (cass.,. 4636 del 28/2/1995, rv 201149-01, confermata da Sez. 6, n. 9235 del 14/2/2001, rv 218514-01). E analogo criterio è stato seguito per sciogliere i nodi relativi alla competenza, a fronte di reati commessi da soggetto che era minirenne, quando iniziò la consumazione, ed è divenuto maggiorenne quando la consumazione è cessata, attribuendo la competenza a conoscere i primi al Tribunale per i minorenni e i secondi al Tribunale ordinario (Cass., Sez. v, n. 1430 del 9/3/1998, rv 210201-01). Non può essere seguita, quindi, una recente pronuncia di questa stessa sezione (n. 6742 del 13/12/2018), che ha esteso la possibilità di estendere il giudizio di penale responsabilità dell'imputato anche a fatti non espressamente indicati nel capo di imputazione e, tuttavia, accertati nel corso del giudizio sino alla sentenza di primo grado, sia perchè basata sull'equivoco sopra segnalato (è espressamente richiamata la sentenza n. 22210 del 3/4/2017), sia perchè contrastante con la ricostruzione dogmatica del reato abituale, che è reato a condotta plurima, sicchè ogni condotta deve essere contestata, per formare oggetto di giudizio. 1.2. Venendo al caso di specie, consegue, per quanto sopra, che non è censurabile il giudice di merito, avendo questi rilevato - e giustificato la decisione con riferimento a specifici atti processuali - che nel proc. n. 1967/2017, pendente contro S. per il reato di cui all'art. 612/bis c.p., i fatti di (OMISSIS) non erano stati oggetto di contestazione, nè iniziale nè suppletiva, sicchè, nonostante la formulazione "aperta" dell'imputazione, non erano stati presi in considerazione dal giudicante e nemmeno erano stati oggetto di approfondimento dibattimentale (pag. 5). Pertanto, su di essi non sì è formata nessuna preclusione processuale, nè è invocabile il principio del ne bis in idem. 2. E' fondato, invece, l'ulteriore motivo di ricorso (il primo, nella sistemazione difensiva). Il reato di atti persecutori è integrato - per quanto già detto - da molestie e minacce che provochino uno degli eventi presi in considerazione dalla norma incriminatrice. Gli atti che integrano il reato - le molestie e le minacce devono concernere la persona offesa, in modo diretto o indiretto, nel senso che devono colpire la sua sfera fisica o psichica, ovvero quella dei congiunti. Pur non richiedendosi la presenza del molestato o del minacciato all'atto, è necessario che questi percepisca le azioni offensive a lui dirette e che ciò avvenga per volontà del reo (dell'indagato, nella specie). Pertanto, le minacce devono essere pronunciate in presenza dell'offeso, oppure in sua assenza, ma in modo tale che vengano, per volontà dell'agente, a conoscenza della vittima (per esempio, perchè pronunciate in presenza di persone che, circostanza conosciuta al reus, riferiranno alla vittima); le molestie, in qualunque modo attuate, devono essere tali da interferire, volontariamente e concretamente, nell'altrui vita privata o di relazione. 2.1. Nel caso di specie l'addebito mosso a S. è, sostanzialmente, come specificato nella parte narrativa, quello di aver spiato la moglie e di aver progettato il suo assassinio. L'ordinanza dà atto che i progetti di omicidio non hanno mai raggiunto la fase del tentativo e non chiarisce se l'attività di spionaggio è stata mai percepita dalla persona offesa. Posto che vige, nell'ordinamento penale, il principio di materialità (sicchè i propositi delittuosi non danno origine a responsabilità penale), i progetti di omicidio possono rilevare, sotto il profilo che qui interessa, come minaccia o molestia (oltre che per l'applicabilità dell'art. 115 c.p.), ma a condizione che siano volontariamente portati a conoscenza della vittima designata, di talchè abbiano l'effetto - voluto dall'agente - di creare il turbamento (rectius, il grave e perdurante stato di ansia o di paura) preso in considerazione dall'art. 612/bis. Questa norma prevede, infatti, un reato di evento, il quale, per rilevare penalmente, deve essere preveduto e voluto dall'agente come conseguenza della propria azione od omissione (art. 43 c.p.). Nell'ordinanza nulla è detto al riguardo, essendosi addebitata a S. la sola intenzione di uccidere la moglie, sicchè già sotto tale profilo la motivazione va censurata. L2. Quanto allo spionaggio (inteso come attività diretta a conoscere i fatti della vita privata altrui e come studio ossessivo delle abitudini altrui), non v'è dubbio che si tratti di attività idonea a molestare, per le alterazioni che può provocare nella sfera psichica della persona: o nel senso di intimorirla, per l'esposizione, in cui questa viene a trovarsi, alle iniziative sgradite o malevoli dell'osservatore; o nel senso di costringerla a modificare le proprie abitudini di vita, per sottrarsi alle attenzioni dello spione. Perchè rilevino ai fini dell'art. 612/bis c.p. occorre, però, che gli atti di spionaggio siano percepiti dalla persona offesa, anche in un momento successivo al loro compimento, e siano idonei a determinare lo stato psicologico preso in considerazione dalla norma. Nel caso specifico non è chiarito, nell'ordinanza, se l'attività di spionaggio sia stata concretamente posta in essere dall'indagato e se la persona offesa l'abbia percepita come attentato alla sua tranquillità. Le poche parole spese sul punto sono, infatti, equivoche e scarsamente intellegibili, giacchè rimandano alle dichiarazioni di B., secondo cui " S. aveva il satellitare collegato alla sua mail" e al fatto che, attraverso una nipote, S. era tenuto al corrente "di sua figlia" e dei loro "stati o link di Facebook". Esclusa la rilevanza delle notizie acquisite sulla figlia (curiosità perfettamente legittima in un genitore), rimane comunque da chiarire quale significato abbiano le altre espressioni riportate nell'ordinanza, atteso che conoscere "stati o link di Facebook" non significa ancora servirsi degli stessi per minacciare o molestare. Quanto alle spiate tramite GPS, completamente oscuro è il tipo di addebito mosso a S.. Nell'ordinanza si dice, infatti, che sull'auto in uso alla M. era installato un sistema GPS, ma non si chiarisce se sia stato l'imputato a installarlo, all'insaputa della moglie, ovvero se si tratti di apparecchiatura preesistente, istallata proprio dall'usuaria (oppure dall'imputato su auto propria, ma in uso alla moglie), quando ciò sia avvenuto e quali fossero le potenzialità del sistema suddetto, atteso che spaziano dall'avviso di rimozione del veicolo (o di urto con altro veicolo) alla geolocalizzazione e al monitoraggio degli spostamenti, del mezzo e della persona; soprattutto, non è chiarito se ed in che modo l'imputato si sia servito di tale apparato e fino a quando lo abbia fatto. Nè maggiore determinatezza ha il riferimento alle propalazioni di A., atteso che non viene spiegato quale esito abbia avuto la spedizione a (OMISSIS) e quando sia avvenuta. Di concreto, a carico di S. è stato evidenziato il tentativo di comunicare con la moglie a nome di Fa.Fr.; ma, pur ammettendo che ciò sia stato avvertito dalla M. come attentato alla sua tranquillità (e, quindi, come "molestia"), non è stato spiegato come e perchè si tratti di tentativo idoneo a provocare l'evento preso in considerazione dall'art. 612/bis c.p.. In conclusione, la motivazione con cui è stata è stata affermata l'esistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico di S. per il reato di cui all'art. 612/bis c.p. appare largamente inadeguata, sia sotto il profilo della idoneità della condotta sia sotto il profilo della verificazione dell'evento, che deve essere, per rilevare in questo procedimento, diverso e ulteriore rispetto a quello per cui pende già procedimento penale, definito in primo grado (fermo restando, ovviamente, che i tentativi di contatto dell'indagato con la moglie possono rilevare nel procedimento pendente, in vista dell'aggravamento della misura cautelare in atto). Di conseguenza, l'ordinanza va annullata con rinvio al Tribunale f competente per nuovo esame. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al tribunale di Messina. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto disposto d'ufficio e/o imposto dalla legge. Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2019. Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2019
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