RITENUTO IN FATTO
1. D.T.D. affida al proprio difensore l'impugnazione dell'ordinanza con la quale il Tribunale del riesame di Roma, il 29 novembre scorso, ha confermato le misure cautelari dell'allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, impostegli in relazione ai delitti di maltrattamenti, violenza privata e lesioni personali in danno della propria ex-compagna R.D.S.K.J. nonché di lesioni nei confronti della loro figlia minore.
2. Il ricorso consta di sette motivi.
2.1. Il primo consiste nella violazione dell'art. 282-ter c.p.p., in ragione dell'omessa specificazione dei luoghi oggetto del divieto di avvicinamento, nonché nel difetto della motivazione con la quale il Tribunale del riesame ha respinto la relativa censura, essendosi limitato a ritenere adeguatamente determinate le relative prescrizioni.
2.2. Il secondo riguarda la violazione dell'art. 649 c.p.p., e, comunque, dell'art. 414 medesimo codice, in relazione ai fatti accaduti il (OMISSIS), ai quali si riferiscono le incolpazioni per lesioni e per violenza privata.
Nell'occasione, infatti, il ricorrente è stato tratto in arresto e sottoposto a giudizio direttissimo. A nulla rileva che le imputazioni elevategli in tale diversa sede non coincidano con le incolpazioni oggetto del presente procedimento, dovendo aversi riguardo al fatto storico in sé e non alle valutazioni giuridiche compiutene dal Pubblico ministero; in proposito, il difensore richiama le statuizioni di Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, Donati, Rv. 231799, e di Corte Cost., sent. n. 200 del 2016.
In ogni caso, il mancato esercizio dell'azione penale, nel diverso procedimento, per le ulteriori ipotesi delittuose ritenute in questo rappresenterebbe - testuale - un'archiviazione sostanziale della relativa notizia di reato, per cui non si sarebbe potuto procedere, per le stesse, in assenza di una formale riapertura delle indagini.
Sul punto, il ricorso denuncia comunque un difetto di motivazione.
2.3. Violazione delle relative norme incriminatrici e vizi di motivazione vengono altresì prospettati, con il terzo motivo, in relazione al mancato assorbimento nel delitto di maltrattamenti delle condotte oggetto degli ulteriori addebiti, dal momento che - anche qui si cita testualmente - non è stato contestato il concorso formale.
2.4. Con il quarto motivo si lamenta l'insussistenza del requisito dell'abitualità delle condotte, in quanto l'episodio del (OMISSIS) sarebbe inesistente e quello del successivo (OMISSIS), esulerebbe dalla contestazione, per le ragioni di cui al secondo motivo; con l'effetto che residuerebbe un solo episodio, asseritamente verificatosi l'11 maggio precedente, ma insufficiente, in quanto tale, a configurare detto elemento essenziale della fattispecie.
2.5. Il quinto motivo riguarda la violazione dell'art. 572 c.p., e comunque il vizio logico della motivazione, nella parte in cui è stato ravvisato il delitto di maltrattamenti pur in assenza della convivenza tra l'indagato e la persona offesa, poiché interrotta già dall'inizio del 2021.
2.6. Con il sesto, il ricorso ripropone - per larghi passi testualmente - le censure in punto di motivazione con riferimento al delitto di maltrattamenti, soffermandosi, in aggiunta, sull'episodio dell'11 maggio, per sottolineare l'inattendibilità, e comunque la genericità, delle informazioni testimoniali valorizzate dall'ordinanza a conforto del narrato della persona offesa, nonché l'inconcludenza degli altri elementi indizianti a carico (immagini fotografiche e screen-shot tratti dal telefono di costei). Evidenzia, altresì, l'assenza di condotte all'indirizzo della figlia.
2.7. L'ultima doglianza si concentra sulle esigenze cautelari e sull'adeguatezza delle misure imposte, invocandone una rivalutazione in ragione dell'incensuratezza dell'indagato e dell'assenza di condotte aggressive verso la figlia.
3. Ha depositato requisitoria scritta il Procuratore generale, concludendo per l'annullamento con rinvio in accoglimento del primo motivo e per l'inammissibilità degli ulteriori motivi, in quanto manifestamente infondati e contenenti censure di mero fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Provando a mettere ordine logico nelle doglianze difensive, occorre soffermarsi, in prima battuta, sulla seconda, in quanto suscettibile, se fondata, di impedire la stessa prosecuzione del procedimento, per effetto della preclusione derivante dal precedente esercizio dell'azione penale per lo stesso fatto.
Essa, però, è inammissibile.
In primo luogo, perché non risulta essere stata proposta con l'istanza di riesame, né con motivi aggiunti, anche soltanto in udienza: di tanto, infatti, non si rinviene traccia nel relativo verbale.
In ogni caso, essa è manifestamente infondata, poiché il diverso e precedente processo ha riguardato la resistenza opposta dal ricorrente ai carabinieri intervenuti nell'occorso e le condotte violente da lui tenute verso persona diversa dalla propria compagna e dalla loro figlia: comportamenti del tutto diversi, dunque, da quelli oggetto del presente giudizio, benché avvenuti nel medesimo contesto spazio-temporale, non essendosi perciò in presenza di un'azione unica, già per il sol fatto della diversità dei destinatari e del bene primario leso.
Quanto, poi, all'addotta "archiviazione sostanziale", si tratta d'istituto sconosciuto al nostro ordinamento.
2. Merita di essere accolto, invece, il quinto motivo di ricorso, in tema di gravità indiziaria per il delitto di maltrattamenti, con riferimento al requisito della convivenza tra autore e vittima.
2.1. Richiamando un consistente indirizzo ermeneutico manifestatosi nella giurisprudenza di legittimità, il Tribunale ha ritenuto che, per la configurabilità del delitto di maltrattamenti, il dato essenziale e qualificante risieda nell'instaurazione, tra autore e vittima, di un rapporto connotato da reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza; con il corollario per cui, se un siffatto rapporto esiste, e se, dunque, sussistano tra costoro strette relazioni dalle quali dovrebbero derivare rispetto e solidarietà, non è nemmeno necessaria una stabile o prolungata convivenza, potendo il reato configurarsi anche qualora la coabitazione sia di breve durata, instabile od anomala (fra molte altre, Sez. 6, n. 17888 del 11/02/2021, 0., Rv. 281092; Sez. 6, n. 31121 del 18/03/2014, C,, Rv. 261472; Sez. 6, n. 22915 del 07/05/2013, I., Rv. 255628).
2.2. Ritiene, tuttavia, il Collegio che tale lettura normativa meriti una riflessione ulteriore.
Frutto dello sforzo dell'interprete di ampliare lo spettro di tutela per soggetti tipicamente vulnerabili, poiché vittime di condotte prevaricatrici che maturano nell'ambito di rapporti affettivi dai quali hanno naturale difficoltà a sottrarsi, essa deve ora misurarsi con i numerosi passi avanti in tal direzione compiuti dalla legislazione più recente, a cominciare dal D.L. n. 11 del 2009, conv. dalla L. n. 38 del 2009, che ha introdotto il delitto di atti persecutori (art. 612-bis, c.p.), e dalla stessa L. n. 172 del 2012, che esteso la platea dei soggetti passivi del delitto di maltrattamenti alla persona "comunque convivente" senza altro aggiungere.
In tal senso, non può obliterarsi l'espresso monito di recente rivolto dalla Corte costituzionale al giudice penale, affinché rimanga aderente al testo normativo, correndo altrimenti il rischio di violare il divieto di analogia in malam partem, che caratterizza le norme incriminatrici.
Chiamato a pronunciarsi ex professo su una questione di rito, sorta all'interno di un processo per tal specie di condotte, il Giudice delle leggi ha affidato all'interprete il compito di stabilire se relazioni affettive - per così dire - non tradizionali (in quel caso si trattava di un rapporto sentimentale protrattosi nell'arco di qualche mese e caratterizzato da permanenze non continuative di un partner nell'abitazione dell'altro) possano farsi rientrare nelle nozioni di "famiglia" o di "convivenza", alla stregua dell'ordinario significato di queste espressioni. Ma immediatamente dopo ha ammonito che, "in difetto di una tale dimostrazione, l'applicazione dell'art. 572 c.p., in casi siffatti - in luogo dell'art. 612-bis c.p., comma 2, che pure contempla espressamente l'ipotesi di condotte commesse a danno di persona "legata da relazione affettiva" all'agente - apparirebbe come il frutto di una interpretazione analogica a sfavore del reo della norma incriminatrice: una interpretazione magari sostenibile dal punto di vista teleologico e sistematico (...), ma comunque preclusa dall'art. 25 Cost., comma 2" (Corte Cost., sentenza n. 98 del 2021).
2.3. Tale sollecitazione è stata raccolta dalla più recente giurisprudenza di legittimità, alla quale il Collegio intende dar seguito.
In ipotesi soltanto apparentemente differenti da quella in esame - poiché caratterizzate dal comune denominatore dell'assenza di un rapporto familiare o di convivenza tra autore e vittima al momento dei fatti - questa Sezione ha infatti ritenuto che non sia configurabile il reato di maltrattamenti, bensì l'ipotesi aggravata del reato di atti persecutori, in presenza di condotte poste in essere da parte di uno dei conviventi more uxorio ai danni dell'altro dopo la cessazione della convivenza (Sez. 6, n. 39532 del 06/09/2021, B., Rv. 282254, ribadita da Sez. 6, n. 45095 del 17/11/2021, H., Rv. 282398, con la precisazione per cui, terminata la convivenza, vengono meno la comunanza di vita e di affetti nonché il rapporto di reciproco affidamento; in termini, da ultimo, Sez. 6, n. 9663 del 16/02/2022, dep. 21/03/2022, P., non mass.).
Invero, il divieto di interpretazione analogica delle norme incriminatrici (art. 14, preleggi), immediato precipitato del principio di legalità (art. 25 Cost.), nonché la presenza di un apparato normativo che amplia lo spettro delle condotte prevaricatrici di rilievo penale tenute nell'àmbito di relazioni interpersonali non qualificate, impongono, nell'applicazione dell'art. 572 c.p., di intendere i concetti di "famiglia" e di "convivenza" nell'accezione più ristretta: quella, cioè, di una comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale, da una duratura comunanza d'affetti, che non solo implichi reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza, ma sia fondata sul rapporto di coniugio o di parentela o, comunque, su una stabile condivisione dell'abitazione, ancorché, ovviamente, non necessariamente continua (si pensi, ad esempio, al frequente caso di coloro che, per ragioni di lavoro, dimorino in luogo diverso dall'abitazione comune, per periodi più o meno lunghi ma comunque circoscritti).
2.4. In applicazione di tale principio, non emergendo il dato con sufficiente nitidezza dal provvedimento impugnato, dev'essere demandato ai giudice di merito il compito di accertare se le condotte aggressive od altrimenti prevaricatrici del ricorrente verso la denunciante si siano manifestate già durante la convivenza tra i medesimi e se alle stesse siano ricollegabili, sotto il profilo causale e/o finalistico, anche quelle verificatesi successivamente, così da delineare un'unica condotta abituale, maturata già in costanza di convivenza, Soltanto all'esito di una siffatta indagine, infatti, sarà possibile stabilire se quei contegni siano sussumibili nella fattispecie di cui all'art. 572 c.p., ovvero in altre ipotesi di reato.
3. Non è ammissibile, invece, la censura proposta con il quarto motivo di ricorso, egualmente diretta verso il giudizio di gravità indiziaria per il delitto di maltrattamenti, tuttavia sotto il diverso profilo del difetto di abitualità delle condotte.
Essa si fonda, infatti, sull'artificiosa espunzione dall'addebito dei fatti verificatisi il (OMISSIS), peraltro realizzata attraverso l'allegazione di un bis in idem in realtà inesistente (retro, p. 1.); nonché sulla dedotta insussistenza di un ulteriore episodio, tuttavia fondata su considerazioni di puro fatto e, come tali, non suscettibili di considerazione in questa sede.
4. E' inammissibile anche il terzo motivo di ricorso, con cui - se ben si comprende - si adduce che dovrebbero considerarsi assorbiti nel delitto di maltrattamenti gli ulteriori reati di violenza privata e lesioni personali, dal momento che l'Accusa pubblica non ne avrebbe contestato il concorso formale.
Premesso che il concorso formale - così come la continuazione - non dev'essere contestato, trattandosi d'istituto relativo al trattamento sanzionatorio e favorevole al reo (che, dunque, non ha necessità di difendersi da esso: sul punto, vds. Sez. 6, n. 7489 del 14/01/2021, M., Rv. 280635), e rilevato, altresì, che, versandosi ancora in fase investigativa, non si è ancora in presenza di una formale "contestazione", è sufficiente osservare che anche questo costituisce motivo nuovo, in quanto non dedotto con il riesame.
5. Il sesto motivo, in tema di esigenze cautelari ed adeguatezza delle misure imposte, deve intendersi superato dall'accoglimento del quinto, che pone in discussione la configurabilità del più grave reato di maltrattamenti e che comporta, di conseguenza, una complessiva rivalutazione di quei profili.
6. Analogamente deve ritenersi per il primo motivo, in punto di determinatezza dei luoghi oggetto del divieto di avvicinamento.
E' necessario, tuttavia, precisare sin d'ora, sul punto, per l'ipotesi che il giudice di merito ritenga di confermare detta misura, che come recentemente statuito da Sez. U, n. 39005 del 29/04/2021, G., Rv. 281957 - l'luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, in relazione ai quali tale divieto è disposto, debbono essere indicati specificamente: requisito, questo, che non può ritenersi soddisfatto dal provvedimento impositivo della misura nel caso di specie, in cui, con dizione del tutto generica, si fa riferimento a "tutti i luoghi abitualmente frequentati" dalla persona offesa ed a "qualsiasi immobile nel quale si trovi" la medesima.
7. L'ordinanza impugnata, in conclusione, dev'essere annullata sui capi e punti oggetto del primo, del quinto e del sesto motivo di ricorso, con rinvio al competente giudice di merito per le relative valutazioni, nel rispetto degli enunciati principi di diritto.
Inammissibili, invece, sono i restanti motivi d'impugnazione.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Roma, competente ai sensi dell'art. 309 c.p.p., comma 7.
Così deciso in Roma, il 16 marzo 2022.
Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2022