RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 16 gennaio 2019 (dep. il 15 aprile 2019), il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto - per quel che in questa sede rileva - ha dichiarato la responsabilità di M.R. per il delitto tentato di atti persecutori (artt. 56 e 612-bis c.p.), così riqualificata l'originaria imputazione elevata per l'ipotesi consumata, e concesse le circostanze attenuanti generiche stimate equivalenti alla contestata aggravante, lo ha condannato alla pena di giustizia, con il beneficio della sospensione condizionale e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, oltre al pagamento delle spese processuali, al risarcimento del danno nei confronti della parte civile C.M. e alla rifusione delle spese processuali in favore della stessa.
2. Avverso la sentenza il difensore dell'imputato ha proposto ricorso immediato per cassazione (art. 569 c.p.p.), per i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
2.1. Con il primo motivo si è denunciata l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 612-bis c.p., in relazione alla ritenuta configurabilità del tentativo, incompatibile con la struttura dell'incriminazione
2.2. Con il secondo motivo si è denunciata l'inosservanza e l'erronea applicazione degli artt. 56 e 612-bis c.p., poichè nella specie non si è ravvisata un'ipotesi di reato impossibile nonostante le condotte in imputazione non abbiano prodotto conseguenze nei confronti del soggetto passivo che non ne avrebbe percepito la lesività.
2.3. Con il terzo motivo si è denunciata l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 2059 c.c., in quanto sarebbe stato riconosciuto alla parte civile il risarcimento del danno non patrimoniale non perchè le condotte persecutorie le abbiano cagionato un pregiudizio ma perchè poste in essere in luogo pubblico, alla presenza di altri.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presenta profili di inammissibilità e, nel resto, è infondato ragion per cui non può trovare accoglimento.
1. Con il primo motivo è stata allegata la violazione dell'art. 612-bis c.p., poichè il Tribunale avrebbe qualificato la condotta dell'imputato come ipotesi tentata del delitto di atti persecutori, nonostante tale forma di manifestazione del reato sia incompatibile con la struttura dell'incriminazione.
Il ricorrente ha premesso che il Giudice di merito ha escluso che la persona offesa, a cagione "di un mero accidente o per il carattere evidentemente forte" della stessa, abbia patito un perdurante stato di ansia e paura, ossia uno degli eventi tipici del delitto in imputazione e abbia mutato le proprie abitudini di vita (evento non contestato nella specie). Ed ha rassegnato che:
- il delitto di atti persecutori, in quanto reato di evento, potrebbe astrattamente manifestarsi nella forma tentata;
- purtuttavia, sarebbe la struttura dell'illecito - da qualificarsi come reato abituale improprio, la cui condotta si sostanzia in una serie reiterata di comportamenti molesti o minacciosi - a richiedere "per la sua giuridica esistenza" la necessaria verificazione di almeno uno degli eventi tipici alternativamente previsti dalla norma incriminatrice, eventi in mancanza dei quali la condotta dell'agente potrebbe al più integrare altri titoli di reato.
1.1. Il motivo è infondato.
La giurisprudenza di questa Corte ha già chiarito che il delitto di atti persecutori è un reato abituale di danno, "integrato dalla necessaria reiterazione dei comportamenti descritti dalla norma incriminatrice, nonchè al loro effettivo inserimento nella sequenza causale che porta alla determinazione dell'evento, il quale deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso (...), sicchè ciò che rileva non è la datazione dei singoli atti, quanto la loro identificabilità quali segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell'evento" (Sez. 5, n. 15651 del 10/02/2020, T., Rv. 279154 - 01; conf. Sez. 5, n. 7889 del 14/01/2019, P., Rv. 275381 - 01). Invero: - è "la reiterazione degli atti considerati tipici" a costituire "elemento unificante ed essenziale della fattispecie, facendo assumere ad essi un'autonoma unitaria offensività, in quanto è proprio dalla loro reiterazione che deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che, infine, degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme descritte nella disposizione di riferimento" (Sez. 5, n. 3042 del 09/10/2019 Cc. (dep. 24/01/2020), M., Rv. 278149 - 01; Sez. 5, n. 54920 del 08/06/2016, G., Rv. 269081 - 01);
- come si è affermato in relazione alla rituale contestazione del delitto, "è la condotta nel suo complesso ad assumere rilevanza ed in tale senso l'essenza dell'incriminazione si coglie non già nello spettro degli atti considerati tipici, bensì nella loro reiterazione, elemento che li cementa, identificando un comportamento criminale diverso da quelli che concorrono a definirlo sul piano oggettivo"; è "l'atteggiamento persecutorio ad assumere specifica autonoma offensività ed è per l'appunto alla condotta persecutoria nel suo complesso che deve guardarsi per valutarne la tipicità, anche sotto il profilo della produzione dell'evento richiesto per la sussistenza del reato" (Sez. 5, n. 15651/2020, cit.).
Considerazioni consimili sono state svolte anche al fine di determinare la competenza per territorio, allorchè si è ribadito che il delitto di atti persecutori - come esposto, reato abituale di danno - è caratterizzato dal fatto che le singole molestie e minacce poste in essere dall'agente sono unificate per l'evento che producono, tanto che esso si consuma nel momento e nel luogo della realizzazione di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice, quale conseguenza della condotta unitaria costituita dalle diverse azioni causalmente orientate (tanto che la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui il disagio accumulato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica, in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dall'art. 612-bis c.p.; Sez. 5, n. 16977 del 12/02/2020, S., Rv. 279178 - 01).
Se, quindi, i singoli atti dell'agente, proprio in ragione della loro reiterazione (che, come detto, "li cementa"), sono unificati sub specie iuris - e dunque rilevano come un unico reato - come un'unica condotta persecutoria, causalmente volta nel suo complesso alla determinazione di uno degli eventi tipici, siano essi di danno (quale l'alterazione delle proprie abitudini di vita o il perdurante e grave stato di ansia o di paura) o di pericolo (vale a dire, il fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva; cfr. per tutte Sez. 5, n. 16977/2020, cit.); se, in altri termini, i singoli atti sono già unificati sul piano della condotta - oltre che, sul piano soggettivo, dalla "consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualità" di essi (cfr. Sez. 5, n. 43085 del 24/09/2015, A., Rv. 265230 - 01) -, ossia (logicamente e cronologicamente) prima ancora che ne segua uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice; ne discende che, secondo la regola generale propria dei reati di evento, è (logicamente e giuridicamente) possibile che alla commissione della condotta medesima, in particolare di atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare uno degli eventi de quibus (ex art. 56 c.p.), non segua l'effettiva causazione di alcuno di essi. E, in tali casi, il fatto sarà punibile quale delitto tentato.
Quanto appena esposto non può mutare alla luce del fatto che il delitto di atti persecutori sia un reato abituale improprio (Sez. 5, n. 31996 del 05/03/2019, S., Rv. 273640 - 01; Sez. 5, n. 41431 del 11/07/2016, R., Rv. 267868 - 01), ossia un reato per la cui sussistenza è richiesta, come elemento costitutivo, la reiterazione di fatti, ciascuno dei quali, isolatamente considerato, costituisce un reato diverso da quello risultante dalla sua reiterazione (così già, per la nozione di reato abituale improprio, distinto dal reato abituale proprio che ricorre allorchè invece ciascuno dei singoli fatti che lo compongono, isolatamente considerato, non costituisce reato, Sez. 3, n. 435 del 14/03/1968, Scarangella, Rv. 107837 - 01).
Difatti, le singole azioni che ex se integrerebbero distinte ipotesi di reato, una volta reiterate nei termini anzidetti, sono già state unificate e tali rimangono, come detto, a monte dell'eventuale verificarsi di un evento di cui sarebbero antecedente causale, non incidendo punto la mancata determinazione di esso - per dir così, a ritroso - sulla già avvenuta unificazione di esse che non possono essere più considerate in modo isolato.
2. Con il secondo motivo è stata addotta la violazione della legge penale (indicata negli artt. 56 e 612-bis c.p.), in quanto il fatto del M. non è stato qualificato come reato impossibile.
Il ricorrente ha esposto che il Giudice di primo grado:
- ha affermato che gli eventi tipici non si sono realizzati per un mero accidente o per il carattere evidentemente forte di C.M.;
- ed ha ritenuto che la stessa persona offesa non abbia percepito talune telefonate notturne dell'imputato (che, se udite avrebbero potuto ingenerare in lei sentimenti di precarietà e paura) e che le condotte in imputazione poste in essere dal M. nei locali da ballo o nel corso di feste non hanno prodotto conseguenze poichè la donna, per via del proprio carattere forte, non ne ha percepito la lesività;
- pertanto, nella specie ricorrerebbe un caso di inidoneità del soggetto passivo rispetto al reato e, dunque, un reato impossibile.
2.1. La prospettazione difensiva è manifestamente infondata.
Ricorre un reato impossibile, e dunque la punibilità è esclusa, quando è impossibile l'evento dannoso o pericoloso, "per la inidoneità dell'azione o per l'inesistenza dell'oggetto di essa" (art. 49 c.p., comma 2).
Quanto alla prima ipotesi, la giurisprudenza ha chiarito che "l'inidoneità dell'azione - da valutarsi con riferimento al tempo del commesso reato in base al criterio di accertamento della prognosi postuma - deve essere assoluta, nel senso che la condotta dell'agente deve essere priva di astratta determinabilità causale nella produzione dell'evento, per inefficienza strutturale o strumentale del mezzo usato, sì da non consentire neppure in via eccezionale l'attuazione del proposito criminoso, indipendentemente da cause estranee o estrinseche, ancorchè riferibili all'agente (Sez. 1, n. 870 del 17/10/2019, dep. 2020, Mazzarella, Rv. 278085 - 01; Sez. 5, n. 9254 del 15/10/2014, dep. 2015,1Semeraro, Rv. 263058 - 01).
Perchè si verifichi la seconda ipotesi prevista dall'art. 49 c.p., comma 2, la giurisprudenza è costante, per vero da tempo risalente, nel ritenere necessario che la inesistenza dell'oggetto del reato sia assoluta, sicchè manchi qualsiasi possibilità di offesa del bene giuridico tutelato (cfr. già Sez. 2, n. 2639 del 16/12/1968, dep. 1969, Gravino, Rv. 111174 - 01; e Sez. 1, n. 3568 del 09/11/1982, dep. 1983, Sale, Rv. 158606 - 01: "Si verifica il reato impossibile - per inesistenza dell'oggetto dell'azione criminosa intrapresa - allorquando sussiste l'assoluta assenza del bene aggredito, nel senso che quest'ultimo deve essere inesistente sin da prima che l'agente intraprenda la sua opera delittuosa). Invero, "l'inesistenza dell'oggetto del reato dà luogo a reato impossibile solo qualora l'oggetto sia inesistente in rerum natura o si tratti di inesistenza originaria ed assoluta, non anche quando l'oggetto sia mancante in via temporanea o per cause accidentali" (Sez. 1, n. 12407 del 30/09/2019, dep. 2020, Tagliamento Rv. 278902 - 01; Sez. 1, n. 3405 del 26/11/1991, dep. 1992, Vignone, Rv. 191123 - 01).
In sostanza, "può parlarsi di reato impossibile solo quando l'evento risulta impossibile in ragione della inidoneità dell'azione o della inesistenza dell'oggetto mentre in ogni altro caso in cui barriere o ostacoli di tipo materiale o giuridico impediscono l'evento, non potrà parlarsi di una sua "impossibilità" in senso tecnico e di conseguenza invocare la impunità" (Sez. 5, n. 11890 del 22/10/1997, Guidozzi Rv. 209645 - 01, che ha ritenuto del tutto irrilevante che le violenze o le minacce esercitate per indurre un soggetto a ritirare la querela non potessero, per la procedibilità d'ufficio del reato originario, sortire alcun effetto processuale favorevole per l'autore o il mandante della violenza).
Pertanto, non rientra in alcun modo nelle dette ipotesi la circostanza che, nel caso in esame, C.M. non abbia avuto contezza di talune telefonate che l'imputato aveva fatto all'utenza di lei in orario notturno; ma, soprattutto, non ha alcuna rilevanza nella prospettiva del reato impossibile che il carattere della giovane abbia impedito il verificarsi di uno degli eventi in imputazione e tipico ex art. 612-bis c.p., che è stato correttamente valutato dal Giudice di merito al fine di escludere la consumazione del delitto (e di ravvisare la ricorrenza dell'ipotesi tentata), non contemplando in alcun modo l'art. 49, comma 2, cit. il caso della "inidoneità del soggetto passivo rispetto al reato".
3. Con il terzo motivo è stata addotta la violazione dell'art. 2059 c.c..
Il ricorrente ha censurato la statuizione del Tribunale:
- poichè avrebbe riconosciuto a C.M. il risarcimento del danno non patrimoniale (determinato in Euro ottocento) non in quanto l'agire del M. le avrebbe cagionato un pregiudizio, ma perchè le condotte di quest'ultimo sono state poste in essere in luogo pubblico, davanti ad amici;
- tuttavia, il riconoscimento del ristoro del danno derivante da reato non dipende dal luogo dell'offesa bensì dal concreto accertamento del pregiudizio derivante dall'illecito che, invece, il Giudicante avrebbe escluso.
3.1. Il motivo in esame è inammissibile.
Il Tribunale - che nella specie ha escluso soltanto che si sia verificato un danno patrimoniale - ha ritenuto che il danno non patrimoniale ricorresse non soltanto perchè la condotta delittuosa dell'imputato ha avuto luogo alla presenza di altri; piuttosto ha indicato anche la pubblicità del luogo in cui essa è stata commessa e la presenza di amici dell'offesa quale elemento da considerare a tal fine (cfr. sentenza impugnata, p. 10).
Invero, la liquidazione del danno morale, attesa la sua natura, è affidata ad apprezzamenti discrezionali e non può che avvenire in via equitativa; pertanto, costituisce una valutazione di fatto sottratta al sindacato di legittimità se sorretta da congrua motivazione, dovendosi ritenere assolto l'obbligo motivazionale mediante l'indicazione dei fatti materiali tenuti in considerazione e del percorso logico posto a base della decisione, senza che sia necessario indicare analiticamente in base a quali calcoli è stato determinato l'ammontare del risarcimento (Sez. 6, n. 48086 del 12/09/2018, B., Rv. 274229 - 01; Sez. 4, n. 18099 del 01/04/2015, Lucchelli, Rv. 263450 - 01; Sez. 6, n. 48461 del 28/11/2013, Fontana, Rv. 258170 - 01).
Il ricorrente ha in definitiva contestato la motivazione resa dal Tribunale, così deliberatamente investendo questa Corte - unitamente agli altri motivi consentiti - di una doglianza che non può essere ritualmente proposta nel caso di ricorso per saltum (art. 569 c.p.p., comma 3) - ragion per cui non è convertibile in appello (cfr. Sez. 1, n. 51610 del 23/04/2018, Canella, Rv. 275664 - 01) - e che, peraltro, ha ad oggetto un apprezzamento di merito comunque non consentito in questa sede.
4. Al rigetto del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, comma 2, si dispone che sia apposta a cura della medesima cancelleria, sull'originale della sentenza, l'annotazione prevista dall'art. 52, comma 3, cit., volta a precludere, in caso di riproduzione della sentenza in qualsiasi forma, l'indicazione delle generalità e di altri dati identificativi degli interessati.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Il presente provvedimento, redatto dal Consigliere Dr. Giovanni Francolini, viene sottoscritto dal solo Presidente del Collegio per impedimento dell'estensore, ai sensi del D.L. 18 dicembre 2020, n. 172, art. 1, comma 1 e D.P.C.M. 3 dicembre 2020, art. 3, comma 4, lett. a), (art. 546 c.p.p., comma 2).
Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2021