RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Torino, con ordinanza del 27 dicembre 2018, ha convalidato l'arresto di G.C., disposto dalla Polizia Giudiziaria in relazione all'addebito del reato di atti persecutori commesso in danno di R.R. in data (OMISSIS), e, in riferimento alla contestazione preliminare e provvisoria elevatagli per il reato medesimo, gli ha applicato la misura cautelare personale della custodia in carcere.
Tanto il Tribunale ha deciso avendo ravvisato il fumus del delitto contestato, per il quale, ai sensi dell'art. 380 c.p., comma 2, lett. 1-ter, è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza, e la sorpresa dell'indagato con un coltello - del quale aveva tentato di disfarsi alla vista della Polizia Giudiziaria -, utilizzato, poco prima, per minacciare la R. e gli ospiti di quest'ultima, che avevano cercato di impedirgli di introdursi nell'abitazione della R. stessa, già vittima da tempo delle sue condotte intimidatorie, per effetto delle quali ella lo aveva più volte denunciato.
2. Propone ricorso per cassazione l'indagato, per il tramite del difensore, articolando tre motivi:
- con il primo denuncia il vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 391,336 e 337 c.p.p. e art. 612-bis c.p., rilevando come l'arresto fosse stato illegittimamente eseguito dal momento che la parte offesa non aveva sporto valida querela, non potendosi considerare tale la dichiarazione riportata in calce al verbale di sommarie informazioni del (OMISSIS);
- con il secondo denuncia il vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 381 e 391 c.p.p. e artt. 612-bis e 629 c.p., eccependo che la fattispecie, siccome provvisoriamente ricostruita e descritta, era riconducibile al delitto di estorsione e non a quello di atti persecutori, tale primo reato, del resto, essendo il solo del quale l'indagato avrebbe potuto essere chiamato a rispondere in virtù della clausola di sussidiarietà ("salvo che il fatto costituisca più grave reato") inserita nell'incipit della norma di cui all'art. 612-bis c.p..;
- con il terzo denuncia il vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 381 e 391 c.p.p. e art. 612-bis c.p., art. 612 c.p., comma 2, e artt. 56,614 c.p., art. 635 c.p., comma 2, dubitando della riconduzione dei fatti, siccome percepiti dagli operanti di Polizia Giudiziaria, al paradigma del delitto di atti persecutori, gli stessi valendo piuttosto ad integrare i reati di minaccia aggravata, di porto abusivo di arma da taglio in luogo pubblico, di tentata violazione di domicilio e di danneggiamento aggravato; tutti reati per i quali non è previsto l'arresto ovvero è consentito solo quello facoltativo.
3. Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Cuomo Luigi, ha, in data 5 marzo 2019, rassegnato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1. Lo scrutinio del secondo e del terzo motivo, che, prospettando questioni relative alla qualificazione giuridica del fatto, possono essere esaminati congiuntamente, deve precedere, per ragioni ordine logico, la disamina della questione devoluta con il primo motivo.
1.1. Va preliminarmente evidenziato come, in sede di convalida dell'arresto, il giudice, oltre a verificare l'osservanza dei termini previsti dall'art. 386 c.p.p., comma 3, e art. 390 c.p.p., comma 1, deve controllare la sussistenza dei presupposti legittimanti l'eseguito arresto, ossia valutare la legittimità dell'operato della polizia giudiziaria sulla base di un controllo di ragionevolezza, in relazione allo stato di flagranza ed all'ipotizzabilità di uno dei reati richiamati dagli artt. 380 e 381 c.p.p., in una chiave di lettura che non deve riguardare nè la gravità indiziaria e le esigenze cautelari (valutazione questa riservata all'applicabilità delle misure cautelari coercitive), nè l'apprezzamento sulla responsabilità (riservato alla fase di cognizione del giudizio di merito) (Sez. 6, n. 8341 del 12/02/2015, P.M. in proc. Ahmad, Rv. 262502; Sez. 6, n. 48471 del 28/11/2013, P.M. in proc. Scalici, Rv. 258230; Sez. 6, n. 25625 del 12/04/2012, P.M. in proc. Eebrihim, Rv. 253022):donde il richiesto sindacato si deve concentrare sulla configurabilità in astratto del reato per cui si è proceduto all'arresto e sulla sua attribuibilità alla persona arrestata, quali condizioni legittimanti la privazione della libertà personale, non potendosi estendere alla verifica dei presupposti per l'affermazione di responsabilità (Sez. 3, n. 8422 del 18/01/2018, P.M. in proc. Glory, Rv. 272392; Sez. 6, n. 6878 del 05/02/2009, P.M. in proc. Perri, Rv. 243072).
1.2. Se, dunque, il criterio che deve guidare il giudice nella delibazione da compiere sulla legittimità dell'arresto eseguito dalla polizia giudiziaria è quello della ragionevolezza in relazione alla configurabilità di uno dei reati richiamati dagli artt. 380 e 381 c.p.p., astrattamente considerati, ne viene che il giudice medesimo nell'effettuare "ex post" il controllo sull'operato della polizia giudiziaria deve fondare il proprio giudizio sui soli elementi riportati nel verbale di arresto, dovendosi porre nella stessa situazione prospettatasi alla polizia giudiziaria all'atto del proprio intervento (Sez. 6, n. 18196 del 13/04/2016, P.M. in proc. Barnaba, Rv. 266930; Sez. 3, n. 37861 del 17/06/2014, P.M. in proc. Pasceri, Rv. 260084; Sez. 3, n. 35962 del 07/07/2010, P.M. in proc. Pagano, Rv. 248479).
1.3. Tanto chiarito in linea generale, va evidenziato come il sindacato da compiersi in ordine ad un arresto disposto in relazione ad un ipotizzato delitto di atti persecutori debba necessariamente misurarsi con la natura abituale del reato stesso, che richiede, dal punto di vista fenomenologico, un processo ideativo capace di ricondurre ad unità azioni ed omissioni che, di per sè, possono integrare reati (di minaccia o di molestia) per i quali non è previsto l'arresto ovvero non possono integrarne alcuno.
Sicchè, a meno di non volere ritenere che in siffatta fattispecie l'arresto non possa essere giammai disposto, a dispetto della lettera della legge che lo prevede addirittura come obbligatorio (art. 380 c.p.p., comma 2, lett. l-ter), deve opinarsi nel senso che la misura precautelare è legittimamente adottata quando l'ufficiale di polizia giudiziaria, il quale ben raramente è diretto spettatore di tutta la sequenza criminosa che sostanzia l'abitualità, assista ad una frazione significativa dell'attività delittuosa, che, sommata a quella oggetto di preesistenti denunce, sia tale da integrare l'abitualità richiesta dalla norma di cui all'art. 612-bis c.p.p. - ciò che si verifica allorchè l'ufficiale stesso colga il soggetto attinto dall'addebito nel mentre compie una condotta idonea a contribuire eziologicamente a determinare uno degli eventi alternativamente previsti dall'art. 612-bis c.p. - ovvero sorprenda il reo con cose o tracce dalle quali appaia che questi l'ha commessa immediatamente prima (Sez. 5, n. 7915 del 3/12/2018 - dep. 21/02/2019, non massimata).
1.4. Nel caso al vaglio, in applicazione di tale parametro ermeneutico, deve, allora, stimarsi come correttamente effettuato dal giudice della convalida il sindacato sull'ipotizzabilità del delitto di atti persecutori, posto che quanto percepito dagli operanti allorchè intervennero presso il domicilio della parte offesa, vale a dire l'avere scorto l'indagato nel mentre si stava disfacendo del coltello utilizzato immediatamente prima per minacciare la R. e le persone che si trovavano con lei, era da leggere nell'unità significante delle precedenti condotte minatorie ed intrusive poste in essere dal G. nei confronti della stessa R., che l'avevano costretta a sporgere più denunce nei suoi confronti in ragione del nutrito fondato timore di incorrere in un nocumento per sua mano.
Donde la polizia giudiziaria legittimamente ha eseguito l'arresto per il delitto di atti persecutori, di questo sussistendone in astratto i requisiti d'integrazione, essendo riservata al giudizio del merito dell'accusa la delibazione in ordine alla eventuale ricorrenza di diversi o ulteriori reati.
2. Il motivo che impinge l'esistenza della querela, quale condizione di procedibilità del delitto di atti persecutori, non tiene conto della disposizione di cui all'art. 612-bis c.p., u.c., secondo la quale: "Si procede tuttavia d'ufficio... quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio". Situazione certamente ricorrente nel caso di specie essendo ravvisabili in aggiunta al delitto di "stalking" i delitti di tentata violazione di domicilio aggravata dall'essere il colpevole palesemente armato (art. 614 c.p., u.c.) (in termini Sez. 5, n. 39758 del 03/02/2017, B, Rv. 270901) ovvero il delitto di tentata violenza privata aggravata (art. 610 c.p., comma 2) (in termini: Sez. 5, n. 4011 del 27/10/2015 - dep. 29/01/2016, Borghini e altro, Rv. 265639; Sez. 5, n. 2283 del 11/11/2014 - dep. 16/01/2015, C, Rv. 262727). Ne deriva la manifesta infondatezza della censura.
3. S'impone, pertanto, la declaratoria d'inammissibilità del ricorso, cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle Ammende.
In ragione della peculiarità dell'addebito mosso al ricorrente, è d'obbligo disporre - ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52 l'oscuramento, in caso di diffusione del presente provvedimento, delle generalità è degli altri dati identificativi delle parti del processo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, il 16 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2019