RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale del riesame di Salerno, con l'ordinanza emessa il 17 ottobre 2022, confermava il provvedimento applicativo della misura cautelare degli arresti domiciliari emesso dal G.i.p. del Tribunale di Nocera Inferiore, che aveva ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza nei confronti di P.A. in ordine ai delitti previsti dagli artt. 81,476,482,48-479, 491 c.p. (capo 1) perché, con più atti esecutivi di un medesimo disegno criminoso, predisponeva plurime scritture private autenticate materialmente false, quali l'atto di cessione del credito (Rep. (Omissis) del Notaio F.F.) in favore di P.A., nascente dalla sentenza n. 156/2008 del Tribunale di Nocera Inferiore vantato da G.A. nei confronti di C.M., madre delle attuali persone offese, debito invece già interamente pagato con assegno circolare; l'accettazione della predetta cessione del credito da parte della debitrice C.M.; il falso contratto di transazione tra C.M. e P.S. (padre dell'indagato) con emissione di una falsa cambiale in favore di F.F.; il contratto di transazione autenticato materialmente falso (Rep. (Omissis) del Notaio F.F.) tra G.M. e P.S. (padre dell'indagato); dichiarava falsamente, inducendo in errore il giudice istruttore civile e ottenendo il rilascio del duplicato, lo smarrimento della sentenza n. 156/2008 del Tribunale di Nocera Inferiore, il cui originale era invece già stato sequestrato e successivamente confiscato con sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore; con i predetti documenti falsi induceva in errore l'autorità giudiziaria che emetteva cinque decreti ingiuntivi, in forza dei quali dava inizio a procedure esecutive nei confronti di T. e L.M.L., eredi dell'originaria debitrice C.M..
Altro titolo cautelare - capo 2 - consisteva nel delitto di atti persecutori consistito in molestie derivanti dalla proposizione innanzi al Tribunale di Nocera Inferiore delle già menzionate azioni monitorie e delle conseguenti azioni esecutive fondate su atti falsi, condotte che avevano in ingenerato T. e L.M.L. un permanente stato di ansia e paura per le continue notifiche degli atti e la necessità di difendersi innanzi all'Autorità Giudiziaria.
2. Il ricorso per cassazione consta di due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p..
3. Il primo motivo deduce violazione dell'art. 273 c.p.p. difettando i gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati di falso, fondati esclusivamente sulla comparazione visiva operata dalla polizia giudiziaria fra i documenti disconosciuti e i cartellini anagrafici dei sottoscrittori.
Quanto al delitto di atti persecutori, inoltre, avrebbe errato il Tribunale del riesame nel ritenere sussistente il dolo di molestia e disturbo invece inesistente, in quanto le azioni civili erano solo finalizzate al recupero del credito.
4. Il secondo motivo deduce violazione di legge in ordine all'art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c) difettando la valutazione del concreto e attuale pericolo di reiterazione, limitandosi l'ordinanza impugnata a esprimere valutazioni ipotetiche.
5. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte - ai sensi del D.L. 127 del 2020, art. 23, comma 8, - con le quali ha chiesto rigettarsi il ricorso.
6. Il difensore dei ricorrenti depositava conclusioni in data 15 dicembre 2022 con le quali lamentava la violazione dell'art. 292 c.p.p., comma 2-ter, in quanto il Gip non avrebbe valutato gli elementi a discarico, nonché la violazione degli artt. 483 e 479 c.p., in quanto la condotta di induzione in errore del cancelliere del Tribunale di Nocera Inferiore sarebbe da ricondurre all'art. 483 con pena massima inferiore a quella richiesta per sostenere la misura cautelare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Va premesso che questo Collegio si atterrà al pacifico orientamento che, a partire da Sezioni Unite, n. 11 del 22/3/2000, Audino, Rv. 215828, ha sancito che in tema di misure cautelari personali, a fronte di un ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame, in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, definisce l'ambito di delibazione della Corte di cassazione. Il Giudice di legittimità ha il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti, rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie (nello stesso senso, Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, Terranova, Rv. 237012; Sez. F., n. 47748 del 11/08/2014, Contarini, Rv. 261400; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460; Sez. 2, Sentenza n. 27866 del 17/06/2019, Mazzelli, Rv. 276976).
3. Quanto al primo motivo, afferente alla gravità indiziarla, il Tribunale del riesame ha ripercorso in modo congruo e logico, in ordine alle condotte di falso e di induzione in falso in contestazione, come anche di atti persecutori, gli esiti delle indagini, confermando la sussistenza del primo presupposto cautelare.
3.1 A riguardo deve evidenziarsi, da subito, come il motivo di ricorso appaia generico, in quanto si limita a censurare solo parte della motivazione: a ben vedere, a differenza di quanto indicato in ricorso, oltre alla censurata comparazione ictu oculi compiuta dagli investigatori che riscontravano la diversità fra le sottoscrizioni apposte in calce agli atti ritenuti falsi - la cessione del credito, l'accettazione della stessa, due contratti di transazione - e quelle rinvenute sui cartellini dell'anagrafe comunale, la sussistenza della gravità indiziaria veniva anche tratta dalla circostanza che per due scritture, la genetica cessione del credito, nonché il contratto di transazione fra G.M. e P.S., al numero di repertorio degli atti rogati dal notaio F.F. non trovavano corrispondenza tali atti, bensì altri rogiti. Inoltre, sintomatico indizio veniva ritenuto anche l'ottenimento di un duplicato conseguente alla falsa dichiarazione di smarrimento della sentenza, invece sequestrata dall'autorità giudiziaria in sede penale, dunque materialmente non producibile nei giudizi esecutivi: si trattava della sentenza che aveva riconosciuto il credito a G. verso C.M. e che costituiva la fonte del diritto asseritamente ceduto. Infine, nulla viene poi censurato dal ricorrente in ordine alle dichiarazioni delle attuali persone offese, figlie della originaria debitrice, che sporgevano denuncia e riferivano dell'intervenuto pagamento a mezzo assegno, con rilascio di quietanza da parte del reale creditore G..
E bene, allorché il ricorso per cassazione attacchi solo un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta "prova di resistenza", in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 20/02/2017, La Gumina, Rv. 269218 - 01; massime conformi, N. 3207 del 2014 Rv. 262011 - 01, N. 18764 del 2014 Rv. 259452 - 01).
Tale incidenza non è stata illustrata dal ricorrente che si è limitato a censurare solo un punto del complesso impianto indiziario, che deve tendere non all'accertamento della responsabilità, bensì della qualificata probabilità di colpevolezza.
3.2 Quanto all'ulteriore censura, relative al dolo del delitto di atti persecutori, deve premettersi che, come osservato in motivazione da Sez. 5, n. 31273 del 14/09/2020, F., Rv. 279752 - 01 in tema di staiking lavorativo, il delitto di atti persecutori - che ha natura di reato abituale e di danno - è integrato dalla necessaria reiterazione dei comportamenti descritti dalla norma incriminatrice e dal loro effettivo inserimento nella sequenza causale che porta alla determinazione dell'evento, che deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, sicché ciò che rileva è la identificabilità di questi quali segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione di uno degli eventi, alternativamente previsti dalla norma incriminatrice (ex multis Sez. 5, n. 7899 del 14/01/2019, P., Rv. 275381), che condividono il medesimo nucleo essenziale, rappresentato dallo stato di prostrazione psicologica della vittima delle condotte persecutorie (Sez. 5, n. 11931 del 28/01/2020, R., Rv. 278984). E' siffatto nucleo essenziale a qualificare giuridicamente la condotta che può, invero, esplicarsi con modalità atipica, in qualsivoglia ambito della vita, purché sia idonea a ledere il bene interesse tutelato, e dunque la libertà morale della persona offesa, all'esito della necessaria verifica causale. In altri termini, il contesto entro il quale si situa la condotta persecutoria è del tutto irrilevante, quando la stessa abbia determinato un vulnus alla libera autodeterminazione della persona offesa, determinando uno degli eventi previsti dall'art. 612-bis c.p.. Ed assume mero contenuto descrittivo, che peraltro registra ma non limita la varietà degli ambiti fenomenologici, il riferimento a diverse declinazioni del reato, correlate a specifiche "ambientazioni" (cd. staiking condominiale, giudiziario...).
3.3 D'altro canto, nel caso in esame, il delitto di atti persecutori è contestato in concorso con i delitti di falso indicati al capo A), risultando questi ultimi le condotte prodromiche che consentono l'attivazione dei procedimenti giudiziari oggetto del delitto persecutorio, con cinque decreti ingiuntivi notificati sulla scorta di titoli falsi e con le conseguenti azioni esecutive.
Va evidenziato in diritto che il reato di atti persecutori può concorrere con altre fattispecie di reato, che tutelano beni giuridici diversi da quello finalizzato alla protezione del singolo da comportamenti che ne condizionino pesantemente la vita e la tranquillità personale, procurando ansie, preoccupazioni e paure, ovvero costringendo a modificare comportamenti ed abitudini di vita (per questo, può dirsi che il reato di cui all'art. 612-bis c.p. è rivolto alla tutela della persona nel suo insieme, piuttosto che della sola libertà morale).
Come osservato da Sez. 5, n. 54923 del 08/06/2016, F., Rv. 268408 - 01, partendo da tale assunto la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto configurabile il concorso tra il reato di violenza privata e quello di atti persecutori, proprio perché sì tratta di reati che tutelano beni giuridici diversi, "in quanto l'art. 610 c.p. protegge il processo di formazione e di attuazione della volontà personale, ovvero la libertà individuale come libertà di autodeterminazione e di azione; mentre l'art. 612-bis c.p. è preordinato alla tutela della tranquillità psichica - ed in definitiva della persona nel suo insieme - che costituisce condizione essenziale per la libera formazione ed estrinsecazione della predetta volontà" (così Sez. 5, n. 2283 del 11/11/2014, C, Rv. 262727). Così pure si è ritenuto che il delitto di atti persecutori, avendo oggetto giuridico diverso, può concorrere con quello di diffamazione anche quando la condotta diffamatoria costituisce una delle molestie costitutive del reato previsto dall'art. 612-bis c.p. (Sez. 5, n. 51718 del 05/11/2014, T, Rv. 262635). Ed ancora, si è affermato che la contravvenzione di cui all'art. 660 c.p., che mira a prevenire il turbamento della pubblica tranquillità attuato mediante l'offesa alla quiete privata, integra fattispecie distinta, autonoma e concorrente rispetto al reato di atti persecutori di cui all'art. 612-bis c.p. in cui non viene assorbita per la diversità dei beni giuridici tutelati (Sez. 1, n. 19924 del 04/04/2014, Napolitano, Rv. 262254). Da ciò Sez. 5, F. traeva la configurabilità anche del concorso tra il reato di atti persecutori e quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, giacché quest'ultimo certamente contempla un bene giuridico diverso, in quanto finalizzato a tutelare l'interesse dello Stato ad impedire che la privata violenza si sostituisca all'esercizio della funzione giurisdizionale in occasione dell'insorgere di una controversia (si veda in motivazione Sez. 5, n. 20696 del 29/01/2016, R., Rv. 267148; nello stesso senso, da ultimo, Sez. 5, n. 10051 del 19/01/2017, B., Rv. 269456 - 01).
Nel caso in esame il bene giuridico tutelato dai falsi in contestazione è la fede pubblica, assolutamente eterogeneo rispetto a quello garantito dal delitto di atti persecutori da individuarsi nella libertà morale, ma anche nella complessiva protezione del singolo da comportamenti che ne condizionino pesantemente la vita e la tranquillità personale, procurando ansie, preoccupazioni e paure, ovvero costringendo a modificare comportamenti ed abitudini di vita, tanto da potersi ritenere tutelata complessivamente la libertà psicofisica della persona e il suo benessere, anche quanto al profilo della salute mentale nei casi estremi.
Pertanto, può affermarsi che il delitto di atti persecutori può concorrere con quello di falso, tutelando beni giuridici diversi, l'uno la libertà psicofisica della persona, l'altro la fede pubblica.
3.4 Deve altresì evidenziarsi come sia l'ordinanza genetica che quella ora impugnata abbiano rilevato come le azioni esecutive in sede civile, infondate perché basate su titoli e atti falsi, abbiano realizzato una fattispecie di stalking giudiziario, con ben 23 iniziative giudiziarie in dieci anni e, da ultimo, anche in data 24 agosto 2022 era intervenuta una ulteriore notifica di atto di pignoramento (così l'ordinanza genetica al fol. 7).
Nel caso in esame il Tribunale del riesame ha ripercorso tutte le iniziative giudiziarie intraprese da P. contro T. e L.M.L., consistenti nell'ottenimento di cinque decreti ingiuntivi fra il 2017 e il 2021, tutti relativi all'esercizio del diritto di credito conseguente alla sentenza del Tribunale di Nocera, che nel 2008 lo attribuiva a G.A. nei confronti di C.M., madre delle menzionate L..
Accertata la falsità del contratto di cessione del credito dal G. al P., dell'atto di accettazione della cessione da parte della C., come anche del falso atto di transazione fra P. e C., l'unico credito, che P. falsamente si attribuiva, veniva azionato in più occasioni con i predetti decreti ingiuntivi e i conseguenti precetti e pignoramenti, ancora fino al 20 settembre 2022, a fronte dell'accertato, da parte della polizia giudiziaria, adempimento del debito fin dall'origine, in data 8 luglio 2008, nei confronti di G. da parte della originaria debitrice C. (cfr. ordinanza impugnata foll. 3-7).
A seguito dell'attenta ricostruzione, il Tribunale di Salerno conferma la valutazione del Gip, che aveva ritenuto, per la natura falsa dei titoli esecutivi attivati, e anche per le reiterate azioni giudiziarie, configurato il superamento della soglia del fisiologico esercizio di un diritto, scriminante la condotta, vertendosi in tema di abuso del processo.
Va premesso che l'esercizio del diritto di difesa, sancito dall'art. 24 Cost., nonché dall'art. 6 Cedu, si deve sostanziare nell'accesso alla attività giudiziaria come una corretta estrinsecazione delle facoltà inerenti al diritto in questione, poiché - in caso contrario - si superano i confini dell'esercizio lecito e si configurano ipotesi di abuso del diritto stesso, che ricadono al di fuori della sfera di operatività dell'art. 51 c.p. (Sez. 3, n. 5889 del 08/05/1996, Saccocci, Rv. 205512 01).
In effetti l'esercizio del diritto ad agire in giudizio, che fisiologicamente esclude la punibilità ai sensi dell'art. 51 c.p., esorbita dall'ambito del diritto allorché si concreti in un abuso del processo. Sez. 5, n. 20891 del 17/03/2021, Maier, Rv. 281311 - 02 ha di recente rilevato come l'abuso del processo in sede penale consista in un vizio per sviamento della funzione ovvero in una frode della funzione e si realizza allorché un diritto o una facoltà processuali vengono esercitati per scopi diversi da quelli per i quali l'ordinamento processuale astrattamente li riconosce, con la conseguenza che la parte che ha perpetrato tale abuso non può invocare la tutela di interessi che non sono stati lesi e che non erano in realtà effettivamente perseguiti. Tale pronuncia richiamava l'insegnamento delle Sezioni Unite che in tema di abuso del processo (Sez. U, n. 155 del 29/09/2011, dep. 10/01/2012, Rossi, Rv. 251496) rilevavano: "Il carattere generale del principio (dell'abuso del processo) dipende dal fatto che, come osserva autorevole Dottrina, ogni ordinamento che aspiri a un minimo di ordine e completezza tende a darsi misure, per così dire di autotutela, al fine di evitare che i diritti da esso garantiti siano esercitati o realizzati, pure a mezzo di un intervento giurisdizionale, in maniera abusiva, ovvero eccessiva e distorta. Sicché l'esigenza di individuare limiti agli abusi s'estende all'ordine processuale e trascende le connotazioni peculiari dei vari sistemi, essendo ampiamente coltivata non solo negli ordinamenti processuali interni, ma anche in quelli sovrannazionali. E viene univocamente risolta, a livello normativo o interpretativo, nel senso che l'uso distorto del diritto di agire o reagire in giudizio, rivolto alla realizzazione di un vantaggio contrario allo scopo per cui il diritto stesso è riconosciuto, non ammette tutela."
L'uso distorto del diritto di azione in giudizio è anche oggetto di decisioni della giurisprudenza sovranazionale che, in tema di ricevibilità del ricorso, ai sensi dell'art. 35, p. 3 CEDU, la Corte Edu, Seconda sezione, n. 61197/13, 15 aprile 2014, Barbato c. Italia, rilevava come nella interpretazione consolidata di quella Corte un ricorso possa essere considerato abusivo ai sensi dell'art. 35, p. 3 a) della Convenzione se, ad esempio, è stato fondato scientemente su fatti interamente inventati (si veda, tra altri, Jian c. Romania (dec.), n. 46640/99, 30 marzo 2004; Keretchachvili c. Georgia (dec.), n. 5667/02, CEDU 2006 V) o se il ricorrente ha sottaciuto informazioni essenziali riguardanti i fatti della causa al fine di indurre la Corte in errore (si vedano, tra le altre, Hi.ittner c. Germania (dec.), n. 23130/04, 19 giugno 2006, Basileo e altri c. Italia (dec.), n. 11303/02, 23 agosto 2011). Per altro la Corte Edu aveva anche affermato, inoltre, che "ogni comportamento del ricorrente manifestamente contrario alla vocazione del diritto di ricorso e di ostacolo al buon funzionamento della Corte o al corretto svolgimento del procedimento dinanzi ad essa, può (in linea di principio) essere definito abusivo" (Mirolubovs e altri c. Lettonia, n. 798/05, p. 65, 15 settembre 2009). Ai sensi dell'art. 35, p. 3 a) della Convenzione, il concetto di abuso deve infatti essere inteso nell'accezione ordinaria che di esso dà la teoria generale del diritto - vale a dire il fatto di avvalersi di un diritto al di fuori della sua finalità in maniera pregiudizievole (Mirolubovs e altri, sopra citata, p. 62; Petrovic c. Serbia (dec.), nn. 56551/11 e altri dieci, 18 ottobre 2011).
Nel caso in esame, P. proponeva plurime azioni in sede civile, cosicché deva anche farsi riferimento alla correlata nozione dell'abuso del processo civile.
E bene le Sezioni Unite in Sede civile hanno ritenuto che non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l'esecuzione del contratto ma anche nell'eventuale fase dell'azione giudiziale per ottenere l'adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l'ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale (Sez. U. Civili, n. 23726 del 15/11/2007, Rv. 599316 - 01; da ultimo Sez. 6 - 2 civ., n. 19898 del 27/07/2018, Rv. 650068 - 01).
Inoltre, proprio per la pluralità di iniziative esecutive in sede civile, in relazione a un caso nel quale per lo stesso rapporto obbligatorio il creditore ottenne cinque decreti ingiuntivi che azionò in sede esecutiva, in modo sovrapponibile all'agire di P., è stato affermato dalla Corte di cassazione: "Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte l'abuso del processo è una condotta caratterizzata da un elemento oggettivo ed uno soggettivo. Sul piano oggettivo si ha abuso del processo quando lo strumento processuale viene utilizzato per fini diversi ed ulteriori da quelli suoi propri, ed illegittimi. Non, dunque, per tutelare diritti conculcati, ma per crearne di nuovi (ed ingiustificati) ad arte, ovvero per nuocere con intenti emulativi alla controparte.
Sul piano soggettivo si ha abuso del processo quando la condotta di cui sopra venga tenuta in violazione del generale dovere di correttezza (art. 1175 c.c.) e buona fede (art. 1375 c.c.). Il dovere di correttezza (come si legge al p. 558 della Relazione al codice civile) "e' (...) spirito di lealtà, (...) di chiarezza e di coerenza, fedeltà e rispetto a quei doveri che, secondo la coscienza generale, devono essere osservati nei rapporti tra consociati", e consiste nel richiamare il creditore a prendere in considerazione l'interesse del debitore. In definitiva, costituisce abuso del processo qualsiasi iniziativa processuale intesa a conseguire un ingiusto vantaggio distorcendo i fini naturali del processo civile.
2.2. In sede esecutiva, costituisce abuso del processo la moltiplicazione delle iniziative esecutive che, senza frutto per il creditore, hanno l'unico effetto di far lievitare i costi della procedura" (Sez. 3 Civ., Ordinanza n. 15077 del 2021).
3.5 A ben vedere, nel caso in esame, alla luce dei principi evidenziati, si deve ritenere sussistere l'abuso del processo, sia per la falsità degli atti posti alla base delle azioni civili di cognizione ed esecutive, fondate scientemente su fatti interamente inventati (si veda, le citate pronunce della Corte Edu, Jian c. Romania (dec.), n. 46640/99, 30 marzo 2004; Keretchachvili c. Georgia (dec.), n. 5667/02, Cedu, 2006 V), sia anche per la moltiplicazione illecita dei titoli esecutivi attraverso i falsi e per le plurime azioni intraprese in sede monitoria e poi esecutiva in ordine al medesimo titolo contrattuale, così da aggravare la posizione delle asserite debitrici, chiamate a difendersi in più procedimenti di cognizione e esecutivi e a dover sopportare le relative spese, pur essendo una sola la presunta e falsa ragione del credito.
Va qui richiamata la nozione di molestia, in tema di atti persecutori, quale elemento costitutivo del reato, da individuarsi in qualsiasi condotta che concretizzi una indebita ingerenza od interferenza, immediata o mediata, nella vita privata e di relazione della vittima, attraverso la creazione di un clima intimidatorio ed ostile idoneo a comprometterne la serenità e la libertà psichica (Sez. 5, n. 1753 del 16/09/2021, dep. 2022, Q., Rv. 282426 - 01).
Dalle ordinanze di merito emerge come corretta sia stata la valutazione di un abuso strumentale delle asserite prerogative del creditore, plurime e insistenti, artatamente costruite, integranti le molestie, come ora definite, reiterate e durevoli nel tempo, costituenti singoli procedimenti in sede di cognizione e di esecuzione, con la necessità delle persone offese di difendersi in sede civile, con conseguenti esborsi, vedendo messo a rischio il proprio patrimonio senza una giusta causale, essendo intervenuto il pagamento fin dal 2008.
Pertanto deve affermarsi che in tema di atti persecutori, rientrano nella nozione di molestia, quale elemento costitutivo del reato, le azioni in sede giudiziaria dell'asserito creditore che, precostituitisi titoli esecutivi falsi e, dunque, avvalendosi di fatti consapevolmente inventati, ponga in essere una pluralità di azioni giudiziarie, reiterate nel corso del tempo e in forza di un'unica ragione contrattuale, con unilaterale e ingiustificata modificazione aggravativa della posizione del debitore e, quindi, con abuso del processo, risultando la falsificazione dei titoli e la reiterazione dell'azione giudiziaria causa di uno degli eventi alternativi previsti dall'art. 612-bis c.p..
3.6 Infatti, anche l'evento, richiesto dalla norma incriminatrice, del grave stato di ansia e di paura, viene analizzato e ritenuto sussistente dal Tribunale di Salerno (foll. 9 e 14) e dal Gip (foll. 7 e 8), senza aporie logiche e contraddizioni e in conformità alla previsione dell'art. 612-bis c.p., determinato delle notifiche ripetute di atti di precetto e comunque giudiziari, del blocco del conto corrente bancario e dalle difficoltà economiche conseguenti, nonostante i sequestri dei titoli in sede penale ottenuti dalle persone offese, oltre che comprovato da documentazione sanitaria e dalla durata della persecuzione giudiziaria per dieci anni attraverso l'istaurarsi di 23 procedimenti civili.
A fronte della corretta, in diritto, configurazione del delitto quanto al profilo oggettivo, in merito al profilo soggettivo il ricorrente lamenta che non sussista una propria volontà di persecuzione, ma esclusivamente quella di recupero del credito.
L'elemento soggettivo del delitto di atti persecutori è integrato dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualità del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte - elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa - potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l'occasione (Sez. 5, n. 43085 del 24/09/2015, A., Rv. 265230 - 01; massima conforme, N. 18999 del 2014 Rv. 260411 - 01).
Nel caso in esame il Tribunale, richiamando tale orientamento, ha ritenuto sussistente il dolo richiesto pur non diffondendosi in merito: deve però rilevarsi come la ricapitolazione dei motivi di riesame non riporti una censura specifica sul punto (cfr. fol. 10 della ordinanza impugnata) - ricapitolazione per altro non contestata da parte del difensore - cosicché l'ordinanza impugnata offre una compiuta e correlata risposta, con riferimento al richiamato principio di diritto e l'enumerazione degli elementi comprovanti la coscienza e volontà, proprie del dolo generico, quanto alla idoneità che le ripetute iniziative giudiziarie di recupero di crediti inesistenti e le plurime contraffazioni, potessero produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice.
D'altro canto assolutamente congrua risultava la motivazione del provvedimento genetico, che ben può integrare quello impugnato, versandosi in caso di doppia conforme, che valorizzava in modo puntuale, a riprova del dolo richiesto, la falsificazione dei titoli e la richiesta al cancelliere di una copia conforme della sentenza attributiva del credito a G., denunciandone lo smarrimento quando invece l'atto era stato sequestrato in sede penale.
Ne consegue la manifesta infondatezza anche del profilo di censura relativo al dolo del delitto di atti persecutori.
4. Quanto al secondo motivo di ricorso, le ragioni di attualità e concretezza del pericolo di reiterazione sono indicate nell'ordinanza impugnata al fol. 15. Concretamente pronosticabile risulta la reiterazione di analoghe condotte, in ragione delle azioni ripetute nel tempo, con assoluta pervicacia e con modalità allarmanti, in quanto connotate dal plurimo e incessante utilizzo di documentazione falsificata: il Tribunale del riesame richiama anche ai fini dell'attualità che P., nonostante il sequestro della sentenza costituente titolo esecutivo, ne abbia simulato lo smarrimento ottenendo il duplicato dal cancelliere del Tribunale di Nocera Inferiore, con la notifica di ulteriori atti fino a settembre 2022 alle persone offese. Con motivazione non manifestamente illogica viene richiamato dal Tribunale salernitano come tale sequenza risulti indicativa di personalità incapace di autocontrollo, per altro dimostrata anche dalle precedenti condanne per fatti analoghi: è di tutta evidenza la congruità della motivazione quanto al concreto e attuale pericolo di recidiva, come anche in merito alla dimostrata irrilevanza di provvedimenti giudiziari, quale il sequestro della sentenza, sull'azione criminosa del P..
Tale motivazione è del tutto in linea con gli orientamenti consolidati: il testo dell'art. 274 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), risultante dalle modifiche apportate dalla L. n. 47 del 2015, se non consente di desumere il pericolo di fuga e di recidiva esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per il quale si procede, non osta alla considerazione, ai fini cautelari, della concreta condotta perpetrata e delle circostanze che la connotano, in quanto la modalità della condotta e le circostanze di fatto in presenza delle quali essa si è svolta restano concreti elementi di valutazione imprescindibili per effettuare una prognosi di probabile ricaduta del soggetto nella commissione di ulteriori reati (Sez. 5, n. 49038 del 14/06/2017, Silvestrin, Rv. 271522 - 0; ez. Sez. 1, n. 37839 del 02/03/2016, Biondo, Rv. 267798 - 01).
Va infatti ribadito anche che, ai fini della configurabilità dell'esigenza cautelare di cui all'art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c), il concreto pericolo di reiterazione dell'attività criminosa può essere desunto anche dalla molteplicità dei fatti contestati, in quanto la stessa, considerata alla luce delle modalità della condotta concretamente tenuta, può essere indice sintomatico di una personalità proclive al delitto (ex multis Sez. 3, n. 3661/14 del 17 dicembre 2013, Tripicchio e altri, Rv. 258053).
Ne consegue la manifesta infondatezza del secondo motivo.
5. Infine gli argomenti rappresentati con la memoria difensiva in realtà risultano del tutto innovativi, cosicché dovrebbero integrare al più motivi nuovi ai sensi dell'art. 311 c.p.p., comma 4.
E bene, deve richiamarsi il consolidato principio per cui l'inammissibilità dei motivi originari del ricorso per cassazione non può essere sanata dalla proposizione di motivi nuovi, atteso che si trasmette a questi ultimi il vizio radicale che inficia i motivi originari per l'imprescindibile vincolo di connessione esistente tra gli stessi e considerato anche che deve essere evitato il surrettizio spostamento in avanti dei termini di impugnazione (Sez. 5, n. 48044 del 02/07/2019, Di Giacinto, Rv. 277850 - 01; Sez. 6, n. 9837 del 21/11/2018, dep. 2019. Montante, Rv. 275158 - 01).
Per altro, per il consolidato orientamento di questa Corte (Sez. 1, n. 46711 del 14/07/2011, Rv. 251412; Sez. 2, n. 15693 del 08/01/2016, Rv. 266441), costituisce principio generale in tema di impugnazioni la necessità che tra i motivi originariamente proposti ed i motivi di ricorso nuovi od aggiunti sussista un rapporto di connessione, non essendo consentito, con motivi definiti dalla parte proponente "nuovi" od "aggiunti", dedurre vizi non introdotti con l'impugnazione originaria, il che nel caso in esame non si verifica, in quanto con la memoria vengono introdotti temi non dedotti in ricorso, come la violazione dell'art. 292 c.p.p., comma 2-ter, in quanto il Gip non avrebbe valutato gli elementi a discarico, nonché la violazione degli artt. 483 e 479 c.p., in quanto la condotta di induzione in errore del cancelliere del Tribunale di Nocera Inferiore sarebbe da ricondurre all'art. 483 c.p. con pena massima inferiore a quella richiesta per sostenere la misura cautelare.
Invero, la facoltà conferita al ricorrente dall'art. 585 c.p.p., comma 4, deve trovare necessario riferimento nei motivi principali e rappresentare soltanto uno sviluppo o una migliore e più dettagliata esposizione dei primi, anche per ragioni eventualmente non evidenziate in precedenza, ma sempre collegabili ai capi e punti della decisione impugnata oggetto delle censure già dedotte: ne consegue che "motivi nuovi" ammissibili sono soltanto quelli con i quali, a fondamento del petitum già proposto nei motivi principali d'impugnazione, si alleghino argomentazioni (e non anche richieste) ulteriori rispetto a quelle originarie, non potendo essere ammessa l'introduzione di censure nuove in deroga ai termini tassativi entro i quali il ricorso va presentato. I motivi nuovi proposti a sostegno dell'impugnazione devono, pertanto, avere ad oggetto, a pena di inammissibilità, i medesimi capi o punti della decisione impugnata che siano stati oggetto di doglianza nell'originario atto d'impugnazione (Sez. 6, n. 73 del 21 settembre 2011, dep. 2012, Rv. 251780).
In altri termini, in materia di termini per l'impugnazione, la facoltà del ricorrente di presentare "motivi nuovi" o "aggiunti" incontra il limite del necessario riferimento ai motivi principali, dei quali i motivi ulteriori devono rappresentare mero sviluppo o migliore esposizione, anche per ragioni eventualmente non evidenziate, ma risultando sempre ricollegabili ai capi ed ai punti già censurati; ne consegue che sono ammissibili soltanto i "motivi nuovi" o "aggiunti" con i quali, a fondamento del petitum formulato nei motivi principali, si alleghino argomentazioni ulteriori rispetto a quelle già svolte, non anche quelli con i quali si intenda ampliare l'ambito del predetto petitum, introducendo censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l'impugnazione" (Sez. 2, n. 38277 del 07/06/2019, Nuzzi, Rv. 276954, in motivazione).
6. Dalla complessiva inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. 13/6/2000 n. 186).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2023.
Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2023