RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Brescia, in riforma della sentenza emessa in data 08/01/2016 dal Tribunale di Brescia in composizione monocratica, con cui il C.D. era stato condannato a pena di giustizia in relazione al delitto di cui all'art. 612 bis c.p., commi 1 e 2, escludeva la contestata recidiva e rideterminava la pena inflitta al ricorrente.
Secondo la formulazione del capo di imputazione il C.D., con condotte reiterate minacciava e molestava Co.An., in particolare: piantonava la sua abitazione, effettuava al suo indirizzo numerose telefonate dai contenuti minacciosi ed ingiuriosi, le inviava numerosi s.m.s., la pedinava per poi minacciarla di sparare alle gambe a lei ed ai suoi congiunti, si presentava presso il luogo di lavoro minacciando il titolare del bar di dare fuoco al locale se non avesse licenziato la Co.An., si presentava presso il luogo di lavoro minacciando che avrebbe rapito il figlio, così cagionando in Co.An. un perdurante e grave stato di ansia e di paura, nonchè un fondato timore per l'incolumità propria e dei prossimi congiunti, costringendola ad alterare le proprie abitudini di vita; con l'aggravante di aver commesso il fatto in danno di persona a cui è stato legato da relazione affettiva; con la recidiva infraquinquennale; commesso in (OMISSIS).
2. C.D. ricorre, in data 15/07/2016, a mezzo del difensore di fiducia Avv.to Patrizia Scalvi, per vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e), avendo il giudice di appello richiamato la motivazione del primo giudice, affermando, inoltre, che per la sussistenza del delitto di cui all'art. 612 bis c.p., non è necessario che la condotta determini una situazione patologica, risultando che la condotta del ricorrente aveva determinato nella persona offesa un grave effetto destabilizzante, come dichiarato dai testi escussi, idoneo a determinare un grave stato di ansia e di paura nella vittima, che aveva descritto anche il mutamento delle proprie condizioni di vita; nel caso in esame, tuttavia, la motivazione avrebbe dovuto esplicitare per quale ragione lo stato di grave paura, individuato in relazione a specifici episodi, si fosse tradotto in un turbamento perdurante, alla luce anche della notevole distanza temporale tra i comportamenti persecutori descritti nel capo di imputazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
La sentenza impugnata, richiamando le motivazioni del primo giudice, ha scandito la sequenza degli episodi attraverso le successive denunce, oltre che attraverso la deposizione della persona offesa e del di lei padre, specificando che la donna aveva affermato di avere paura anche di uscire da casa da sola, avendo la necessità di essere accompagnata dal padre, e vivendo nel timore che potessero verificarsi le minacce del C.D..
La Corte ha poi rilevato che l'assenza di documentazione medica non appare rilevante, in quanto per la configurazione del reato di cui all'art. 612 bis c.p., non è necessario che sia integrata una situazione con risvolti patologici, essendo sufficiente che si sia verificato un effetto destabilizzante, come nel caso di specie, in cui è stato delineato dai testi un grave stato di turbamento e di terrore, oltre al mutamento delle condizioni di vita, da parte della Co.An..
Quanto alla distanza tra gli episodi in cui le condotte si sono concretate, proprio la loro reiterazione in un arco di tempo sensibile rende maggiormente offensiva la condotta, atteso che ai fini della configurazione del delitto di atti persecutori, che ha struttura di reato abituale, non rileva la maggiore o minore distanza cronologica tra i singoli episodi, bensì l'autonomia degli stessi e la loro sequenza, oltre alla circostanza che la loro reiterazione, non importa quanto serrata, determini uno degli eventi individuati dalla norma incriminatrice, essendo rilevante la percezione della persona offesa di essere oggetto di una condotta persecutoria nel suo complesso.
Pacificamente, inoltre, ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, è sufficiente la consumazione anche di uno solo degli eventi alternativamente previsti dall'art. 612 bis cod. pen. (Sez. 5, sentenza n. 43085 del 24/09/2015, P.M. in proc. A., Rv. 265231).
Quanto alla prova dell'evento del delitto, la causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (Sez. 6, sentenza n. 50746 del 14/10/2014, P.C. e G., Rv. 26153; Sez. 5, sentenza n. 16864 del 10/01/2011, C., Rv. 250158).
Va infine ricordato come, ai fini della integrazione del reato in esame, non si richiede l'accertamento di uno stato patologico, risultando sufficiente che gli atti abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima, considerato che la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 612 bis c.p., non costituisce una duplicazione del reato di lesioni, il cui evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia mentale e psicologica. (Sez. 5, sentenza n. 16864 del 10/01/2011, C., Rv. 250158; Sez. 5, sentenza n. 8832 del 01/12/2010, Rovasio, Rv. 250202).
Alla luce della comparazione tra la motivazione della sentenza impugnata ed i principi affermati da questa Corte di legittimità, deve, pertanto concludersi che la motivazione sia perfettamente coerente con le delineate pronunce, con sentenza del tutto immune da censure logiche.
Dall'inammissibilità del ricorso discende, ex art. 616 c.p.p., la condanna ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Oscuramento dei dati sensibili, come per legge.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Oscuramento dei dati sensibili, come per legge.
Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2017.
Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2017