RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il primo marzo 2021 dalla Corte di appello di Lecce, che ha riformato parzialmente la decisione assunta in sede di rito abbreviato dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brindisi, che aveva condannato - anche a fini civili - C.F. per atti persecutori ai danni del già coniuge R.T.G.. La riforma in appello è consistita nel mitigare il trattamento sanzionatorio e nel riconoscere all'imputato la sospensione condizionale della pena, subordinata alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per mesi quattro.
2. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di C.F. consta di nove motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso denunziano, rispettivamente violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ravvisata configurabilità del delitto di atti persecutori.
La sentenza impugnata avrebbe confermato quella di primo grado senza tenere conto delle concrete modalità e circostanze del fatto, fondando esclusivamente su quanto riferito dalla persona offesa, ma trascurando la spiccata conflittualità reciproca e l'insofferenza della R. a condividere la genitorialità con l'imputato. A seguire, il ricorrente analizza partitamente le risposte della Corte distrettuale alle sue proposizioni critiche.
Non vi sarebbe alcun riscontro alla versione della persona offesa secondo cui, nei giorni in cui C. poteva prelevare i minori, aveva suonato insistentemente al citofono, salvo ritenere che costituisca reato l'attivazione del suono del citofono o del telefono. Nella querela del 10 maggio 2016 - prosegue il ricorrente - si legge chiaramente che la persona offesa aveva indicato che l'imputato si presentava "ore prima" presso l'abitazione per prelevare i figli, circostanza che il ricorrente ritiene rilevante - contrariamente alla Corte di appello, che avrebbe minimizzato il tema dei tempi di arrivo del prevenuto - e che ha condizionato le opzioni difensive quanto al rito abbreviato prescelto dall'imputato.
Il ricorso si sofferma, poi, sullo stazionamento del prevenuto fuori dalla scuola dei figli il martedì, giovedì e venerdì, contestandone la natura persecutoria, peraltro già esclusa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brindisi; ricorda il ricorrente, a quest'ultimo proposito, che la Corte di appello di Lecce in sede civile aveva concesso al C. ampia facoltà di frequentare i figli anche nei giorni non previsti. Contesta, ancora, che sia stata ritenuta persecutoria la condotta del prevenuto di prelievo dei figli a scuola il venerdì, in assenza della persona offesa e dopo avere invano cercato una composizione ragionata sul punto. In ordine ai messaggi, essi sarebbero privi di valenza vessatoria, ma tesi solo ad interloquire su questioni organizzative concernenti i figli minori.
I messaggi della R. indicati nella sentenza impugnata, invece, erano stati inviati il giorno successivo alla scoperta, da parte della donna, della denunzia presentata da C. il primo aprile 2016 nei suoi confronti e, quindi, erano dettati dal livore generato da quanto appreso. Nel medesimo arco temporale in parola -prosegue il ricorso - C. riceveva numerosi messaggi ingiuriosi dalla persona offesa, oggetto di denunzia, per i quali non si è proceduto per depenalizzazione.
In ordine al pedinamento del 9 maggio 2016, il ricorrente segnala di aver dimostrato, mediante produzione del tabulato telefonico ed altre idonee allegazioni, i diversi spostamenti della giornata, quando egli, secondo l'accusa, avrebbe pedinato la persona offesa; era stato, inoltre, comprovato che R. aveva fatto lezione l'intera mattinata e che l'imputato era arrivato a (OMISSIS) da (OMISSIS) solo alle 14.15. Quanto al pedinamento del 17 febbraio 2017, era stata la stessa R. a riferire agli agenti intervenuti che, all'uscita dalla seduta di logopedia, aveva lasciato che il figlio ritornasse a (OMISSIS) nella macchina del padre, mentre lei viaggiava sulla sua autovettura, sicché nessun pedinamento vi era stato. Questa versione diverge da quella resa in querela dalla persona offesa.
I pedinamenti del martedì e giovedì erano smentiti dalle relazioni di servizio dei poliziotti che avevano monitorato i movimenti dei due coniugi in concomitanza con l'accompagnamento dei bambini a scuola.
Contesta, quindi, il ricorrente la ritenuta sussistenza del reato di stalking e riporta alcuni passaggi delle sentenze che hanno assolto C. dal medesimo reato, ovvero dall'accusa di maltrattamenti e minacce. Mancherebbe il coefficiente soggettivo perché l'agire del ricorrente sarebbe mosso dal solo fine di esercitare il diritto di visita nei confronti dei figli minorenni.
2.2. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso lamentano violazione dell'art. 51 c.p., e vizio di motivazione quanto alla mancata applicazione della scriminante dell'esercizio dei diritti e doveri genitoriali, fine che muoveva l'azione del prevenuto, per di più in presenza del provvedimento autorizzativo della Corte di appello di Lecce del 12 luglio 2016.
2.3. Il quinto motivo di ricorso lamenta violazione degli artt. 192 e 197 bis c.p.p., e vizio di motivazione in quanto la Corte territoriale non aveva svolto un accurato vaglio di attendibilità delle dichiarazioni della R.; inoltre aveva tratto i riscontri alle accuse della persona offesa dalle stesse querele da quest'ultima sporte, ancorché esse fossero sfociate in pronunzie assolutorie. Contesta, poi, il ricorrente che la Corte territoriale abbia escluso il collegamento probatorio tra i fatti sub iudice e quelli per cui era indagata la R. nel procedimento relativo all'inadempimento del provvedimento del Tribunale di Brindisi del 6 febbraio 2016. Sarebbero stati, quindi, conseguentemente necessari gli elementi di riscontro ai sensi dell'art. 192 c.p.p., comma 3.
2.4. Il sesto ed il settimo motivo di ricorso lamentano mancata assunzione di prova decisiva in riferimento alla richiesta della difesa dell'imputato di acquisire due elenchi degli sms scambiati tra le parti, richiesta disattesa dalla Corte territoriale con ordinanza resa all'udienza del 3 luglio 2020 e poi ribadita il 23 novembre 2020. Era stata anche respinta la richiesta di acquisire i registri scolastici relativi alla attività della persona offesa in data 9 maggio 2016, per dimostrare che non vi era stato pedinamento.
Il primo elenco di sms era lo stesso allegato alla querela della persona offesa, ma se ne differenziava solo per l'evidenziazione dei messaggi inviati dall'imputato alla persona offesa e di quelli inviati da quest'ultima all'ex marito, da cui si evinceva uno scarto minimo da un punto di vista quantitativo.
Il secondo elenco vede riportati gli sms inviati dalla persona offesa all'imputato nel dicembre 2015, "tagliati" nella copia allegata alla querela. Quanto alla copia del registro di classe del 9 maggio 2016 - non acquisito dalla Corte di merito perché ritenuto oggetto di produzione intempestiva - il ritardo era motivato dagli indugi dell'istituto scolastico, a sua volta dovuti al lock down.
2.5. L'ottavo ed il nono motivo di ricorso lamentano violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla denegata prevalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alla circostanza aggravante contestata. La motivazione sarebbe deficitaria in quanto sviluppata esclusivamente per relationem. Al contrario avrebbero dovuto condurre all'invocato bilanciamento l'esistenza di un solo, nonché poco grave, precedente penale, lo spirito collaborativo dimostrato, la buona considerazione sociale goduta, la dignità lavorativa e l'ottimo rapporto del ricorrente con i figli.
3. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria scritta - ai sensi del D.L. n. 127 del 2020, art. 23, comma 8, - datate 1 febbraio 2022, alle quali si è riportato con conclusioni scritte del 13 giugno 2022, con la quale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
4. In data 2 febbraio 2022 il difensore della parte civile rassegnava le conclusioni chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso o rigettarlo, confermarsi le statuizioni civili e condannarsi l'imputato al rimborso delle spese di costituzione e giudizio in favore dello Stato, stante l'ammissione al patrocinio erariale della R.T.G..
5. Con memoria del 7 febbraio 2022 il difensore del ricorrente replicava alla requisitoria del Procuratore generale.
6. A seguito di rinvio dell'udienza del 17 febbraio 2022, il difensore del C. chiedeva la trattazione orale, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2021 per effetto del D.L. n. 105 del 2021, art. 7, comma 1.
7. Le parti hanno concluso oralmente come indicato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato per le ragioni che seguono.
2. I primi due motivi propongono una lettura alternativa del materiale probatorio e anche nel caso in cui si sollecita questa Corte alla valutazione di dedotti travisamenti, allorquando la Corte di appello avrebbe fatto riferimento alle ‘bussate al citofonò per il prelievo dei bambini, che la querelante quantificava in ‘ore di anticipò rispetto a quella prefissata e che la Corte territoriale indica in pochi minuti, non ne viene evidenziata la decisività e la capacità di disarticolare il complessivo ragionamento probatorio.
Per altro, allorché il ricorrente critica la sentenza della Corte di appello, deducendo un sostanziale travisamento, l'esame dello stralcio della querela del 10 maggio 2016 riportata al fol. 9 del ricorso dimostra come in realtà sia il ricorrente a travisarne il significato, traendo impropriamente dalla frase in querela il convincimento che R. abbia riferito che C. giungesse ‘ore primà rispetto all'orario di prelievo dei figli.
La R. riferiva, invece, come logicamente e in modo fedele al testo della querela riporta la Corte di appello, che "la querelante il 10-5-2016 non ha lamentato che l'ex marito si presentasse tutti i lunedì e mercoledì presso l'abitazione di lei per prelevare i bambini ore prima dell'orario previsto, ma semplicemente che si presentasse prima del previsto, attaccandosi alla suoneria del citofono di casa e procurando a lei (ed ai bambini) uno stato d'ansia tale da costringerla a disattivare il servizio elettrico domestico in quelle ore".
Anche la sentenza di primo grado, riportando il contenuto della querela indica che C. "sistematicamente pretendeva di prendere i bambini prima dell'orario previsto, attaccandosi alla suoneria del citofono di casa, generando ansia sia nella R. che negli stessi figli" (fol. 7).
Le motivazioni dei giudici di merito sono assolutamente congrue logiche e fedeli al contenuto della querela e non vi è alcuna discrasia fra significante e significato ("Nei due pomeriggi di lunedì e mercoledì, che è previsto il suo diritto di frequentazione, sistematicamente pretende di prendere i bambini prima dell'orario previsto attaccandosi alla suoneria del citofono di casa e mettendo me ed i bambini ogni volta in uno stato di ansia, a punto tale che sono stata costretta a disattivare l'elettricità in quelle ore").
E ciò si verifica anche per le altre prove indicate dalla Corte di appello, quali pedinamenti, messaggi, appostamenti e altro.
In sostanza l'analisi degli elementi probatori effettuata dal ricorrente non riesce a ribaltare l'esame congiunto di tutti gli elementi, attenendosi a profili non centrali, che non incidono in modo decisivo sull'analisi e sulla motivazione della Corte di appello, che ha una solida logica argomentativa.
Va qui richiamato il consolidato orientamento che rileva come il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, sia ravvisabile ed efficace solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell'elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del "devolutum" in caso di cosiddetta "doppia conforme" e l'intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, S., Rv. 277758; Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774 - 01; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, Musumeci, Rv. 237207 - 01). Il che nel caso in esame non e'.
Per altro, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre la cd. "doppia conforme", poiché la sentenza della Corte di appello di Lecce, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado del Tribunale di Brindisi, attraverso richiamo a quest'ultima e adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218).
Ciò che in sostanza propone il ricorrente è una nuova analisi del materiale probatorio, una proposta di esame alternativo a quello ritenuto dai giudici di merito che è inammissibile in sede di legittimità: esula infatti "dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali" (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, Scibe'); principio ribadito sottolineando come "l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione abbia un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o la loro rispondenza alle acquisizione processuali, se non, in quest'ultimo caso, nelle ipotesi di errore del giudice nella lettura degli atti interni del giudizio denunciabile, sempre nel rispetto della catena devolutiva, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ultima parte", (Sez. U, n. 14722 del 30/01/2020, Polito).
Nel caso in esame la motivazione resa dalla Corte di appello risulta logica e congrua, oltre che rispondente puntualmente alle censure in appello sui temi oggetto dei motivi primo e secondo di ricorso, e per altro rende conto, in uno alla sentenza del Tribunale di Brindisi, che anche in relazione al pedinamento del 17 febbraio 2017, la discrasia fra il narrato della R. alla polizia giudiziaria nell'immediato e il contenuto della successiva querela riguardi solo un episodio e non incida sul complesso delle emergenze e sulla complessiva attendibilità della R..
Per altro la sentenza impugnata, dopo l'analisi dei motivi di appello in ordine al materiale probatorio, valuta le censure in tema di sussistenza del delitto di atti persecutori (fol. 7), quanto al profilo oggettivo e soggettivo del reato, come anche delle assoluzioni del C. per il delitto di atti persecutori in ordine a periodi parzialmente diversi, assoluzioni però mai dovute all'inattendibilità della dichiarante persona offesa (fol 6).
Per altro non coglie nel segno la censura del ricorrente che attribuisce alla sentenza impugnata, anche con le conclusioni depositate in replica a quelle del Procuratore generale, una lettura soggettivistica delle emergenze, cioè rimessa quanto allo stato di ansia e al mutamento delle abitudini alla sola voce della persona offesa.
Le sentenze della Corte di appello e del Tribunale, attribuendo con motivazione congrua attendibilità alle dichiarazioni della persona offesa, corredata da enumerati riscontri, giungono all'analisi del risultato probatorio oggettivo, senza alcun soggettivismo.
Pertanto la Corte di appello fa buon governo del consolidato orientamento di questa Corte: la deposizione della persona offesa può essere assunta, anche da sola, come prova della responsabilità dell'imputato, purché sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità e senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all'art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, che richiedono la presenza di riscontri esterni; tuttavia, qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di pretese economiche, il controllo di attendibilità deve essere più rigoroso rispetto a quello generico cui si sottopongono le dichiarazioni di qualsiasi testimone e può rendere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012 - dep. 24/10/2012, Bell'Arte ed altri, Rv. 253214; fra le altre, Sez. 1, n. 29372 del 24 giugno 2010, Stefanini, Rv. 248016).
Tale delibazione viene effettuata con l'impugnata sentenza (foll. 5 e 6) richiamando quali indici di attendibilità il grado di dettaglio del narrato e la verosimiglianza della ricostruzione, da intendersi quale logicità e congruenza, in ampio arco temporale, riscontrate da plurime querele sporte, sms inviati, parziali ammissioni dello stesso imputato, oltre che da altri elementi indicati dal G.u.p. al fol. 10 e ss. della sentenza di primo grado, quali messaggi di posta elettronica e natura ossessiva dell'agire del C.. Tale ultima argomentazione è riscontrata anche dall'ispettore di Polizia del Commissariato di (OMISSIS), delegato a mediare i rapporti fra i due ex coniugi a seguito di provvedimento cautelare del G.i.p., che dava atto "delle continue richieste del C., che giungevano "l'oggi per il domani" e "ora per ora"".
Pertanto, poiché in tema di prove la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che, come tale, non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni (Sez. 2, n. 41505 del 24/09/2013 - dep. 08/10/2013, Terrusa, Rv. 257241), difettando queste ultime, nel caso in esame per quanto fin qui evidenziato, ne consegue l'inammissibilità dei motivi analizzati.
3. I motivi terzo e quarto ipotizzano l'esercizio scriminante della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli.
3.1. A riguardo va chiarito che esercizio del diritto non può significare abuso dello stesso. E' stato infatti affermato che per la configurazione dell'esimente di cui all'art. 51 c.p., il diritto - il cui esercizio può escludere la punibilità di un fatto sanzionato penalmente - deve essere un vero e proprio diritto soggettivo, protetto in modo diretto ed individuale, tale da comportare il sacrificio di tutti gli altri interessi in contrasto con esso.
E' necessario, altresì, che l'attività posta in essere costituisca una corretta estrinsecazione delle facoltà inerenti al diritto in questione, poiché - in caso contrario - si superano i confini dell'esercizio lecito e si configurano ipotesi di abuso del diritto stesso, che ricadono al di fuori della sfera di operatività dell'art. 51 c.p., (Sez. 3, n. 5889 del 08/05/1996, Saccocci, Rv. 205512 - 01, ha ritenuto che abitare un immobile anteriormente al rilascio della licenza di abitabilità significa non "esercitare" il diritto di proprietà, ma "abusare" di esso, ed a nulla rilevano l'inerzia o il ritardo della P.A).
Nel caso dell'esercizio della responsabilità genitoriale, l'art. 337 ter c.c., regola l'affidamento dei figli in caso di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio. La disposizione pone al centro la tutela dei figli e del loro interesse e benessere, cosicché l'esercizio delle facoltà genitoriali viene disciplinato dal giudice di merito.
In tal senso va il principio della bigenitorialità connesso all'affido condiviso, "secondo il quale, la frequentazione, del tutto paritaria, tra genitore e figlio che si accompagna al regime di affido condiviso, nella tutela dell'interesse morale e materiale del secondo" non ha natura assoluta, bensì " tendenziale, ben potendo il giudice del merito individuare, nell'interesse del minore, un assetto che se ne discosti, al fine di assicurare al minore stesso la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena (Cass. civ. Sez. 1, Ordinanza n. 4790 del 14/02/2022, Rv. 664019 - 01; Cass. civ. Sez. 1, Ordinanza n. 19323 del 17/09/2020, Rv. 658973 - 01; Sez. 1, Ordinanza n. 3652 del 13/02/2020, Rv. 657047 - 01).
Pertanto, l'ambito di esercizio delle facoltà genitoriali è quello predeterminato dal giudice ai sensi dell'art. 337 ter, cosicché le facoltà del ricorrente da esercitare nella qualità di genitore non possono scriminare le condotte, allorché il relativo esercizio esorbiti dal perimetro definito dal provvedimento del giudice civile, specie in un contesto di non condivisione con l'altro genitore.
In tal senso la motivazione della Corte di appello (fol. 7), che ha rilevato come non possa essere scriminato l'abuso nell'esercizio delle prerogative genitoriali, risulta oltremodo corretta, né lo stralcio di ordinanza della Corte di appello civile di Lecce riportata al fol. 24 del ricorso delinea contorni diversi, in termini di giorni e orari di visita e di accompagnamento dei figli, ma si limita a esprimere l'auspicio di una possibile maggiore partecipazione alla vita dei figli da parte del padre, che evidentemente non poteva essere rimesso a un diritto potestativo di quest'ultimo, ma richiedeva un accordo con l'altro genitore, del tutto assente, come per altro già ritenuto dal Tribunale di Brindisi al fol. 13 della relativa sentenza.
Correttamente arbitraria è stata ritenuta dai giudici di merito l'interpretazione sostenuta dal ricorrente, anche con le conclusioni scritte, in ordine al provvedimento della Corte di appello civile, che non modifica alcunché in ordine al regime di affidamento dei minori al C., per quanto fin qui osservato.
Pertanto deve affermarsi il principio per cui, in relazione al delitto di atti persecutori, in caso di separazione o divorzio, l'esercizio dei diritti e doveri genitoriali nei confronti dei figli incontra il limite nella regolamentazione disposta dai provvedimenti assunti dal giudice civile ai sensi dell'art. 337 ter c.c., cosicché, qualora il genitore esorbiti o trasgredisca la decisione del giudice civile, in assenza di consenso dell'altro genitore, ciò integra abuso del diritto non scriminato ai sensi dell'art. 51 c.p..
3.2 Dalle sentenze di merito emerge, quindi, con evidenza come vi sia un ‘abuso strumentale' delle prerogative genitoriali da parte del C. teso a creare uno stato di grave ansia nell'ex coniuge.
La circostanza che l'esercizio del diritto genitoriale avvenga nei confronti dei figli della coppia e non della persona offesa, seppur nel caso in esame con coinvolgimento diretto di quest'ultima, non esclude la configurabilità del delitto di atti persecutori, che come noto può consumarsi anche attraverso condotte ‘indirette', sia soggettivamente che oggettivamente.
Soggettivamente, nel senso che integra il delitto di atti persecutori la condotta reiterata e molesta diretta a plurimi destinatari ad essa legati da un rapporto qualificato di vicinanza, ove l'agente agisca nella ragionevole convinzione che la vittima ne venga informata e nella consapevolezza, della idoneità del proprio comportamento abituale a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice (Sez. 5, n. 8919 del 16/02/2021, F., Rv. 280497 - 01; Sez. 6, n. 8050 del 12/01/2021, G., Rv. 281081 - 01; Sez. 3, n. 1629 del 06/10/2015, dep. 18/01/2016, V., Rv. 265809 - 01).
Oggettivamente nel senso che anche l'esercizio dei diritti genitoriali può costituire molestia, quale elemento costitutivo del reato di atti persecutori, in quanto condotta che concretizzi una indebita ingerenza od interferenza, immediata o mediata, nella vita privata e di relazione della vittima, attraverso la creazione di un clima intimidatorio ed ostile idoneo a comprometterne la serenità e la libertà psichica (Sez. 5, n. 1753 del 16/09/2021, dep. 17/01/2022, Q., Rv. 282426 - 01). In tal senso risulta decisivo il criterio distintivo tra il reato di atti persecutori e quello di cui all'art. 660 c.p., che consiste nel diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta che, in entrambi i casi, può estrinsecarsi in varie forme di molestie, sicché si configura il delitto di cui all'art. 612 bis c.p., solo qualora le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l'alterazione delle proprie abitudini di vita, mentre sussiste il reato di cui all'art. 660 c.p., ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato (Sez. 5, n. 15625 del 09/02/2021, R., Rv. 281029 - 01, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva ritenuto integrato il reato di atti persecutori in un caso di condotta di reiterata ed ossessiva molestia della persona offesa, mediante appostamenti sul luogo di lavoro e nei pressi dell'abitazione, urla ed aggressioni verbali seguite all'insistente suonare al citofono ed al campanello, telefonate invadenti, minacce e tentativi di contatti fisici, tali da cagionare un grave stato d'ansia e paura nella vittima e costringerla a limitare le uscite e a farsi costantemente accompagnare da qualcuno).
A tali principi si è conformata la sentenza impugnata, evidenziando la natura decisamente e reiteratamente molesta della intrusione del C. nella vita dei figli e "di rimando della persona offesa, sua diretta interlocutrice" provocando con la sua condotta, valutata ossessiva da parte del Tribunale di Brindisi, un perdurante e grave stato di ansia "evincibile dall'esasperazione espressa in vari messaggi" inviati da quest'ultima al C., con i quali "rappresentava varie tante volte che la stava esasperando e che stava interferendo pesantemente nella sua vita ed in quella dei suoi bambini" (fol.7 della sentenza di appello). Dal tenore di tali messaggi la Corte di merito traeva il convincimento della piena consapevolezza e volontà del C. in ordine alle condotte poste in essere e allo stato di ansia grave procurato alla R..
Anche quanto al dolo, quindi, la Corte di appello si pone in sintonia con il principio per cui nel delitto di atti persecutori, che ha natura di reato abituale di evento, l'elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualità del proprio agire, pur non richiedendosi la preordinazione di tali condotte - elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa - potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l'occasione (Sez. 1, n. 28682 del 25/09/2020, S., Rv. 279726 - 01; Sez. 5, n. 43085 del 24/09/2015, A., Rv. 265230 - 01),
4. Il quinto motivo è generico e infondato.
La Corte d'appello rende congrua motivazione per escludere che la R. dovesse acquisire la qualità imputato in procedimento connesso o collegato, con conseguente applicazione dell'art. 192, comma 3, richiamato dall'art. 197 bis c.p.p., comma 6.
In sostanza la Corte ritiene che non vi sia identità del fatto o diretta rilevanza di uno degli elementi di prova acquisiti nel presente processo in relazione al reato di altro procedimento, in quanto l'ampia portata della contestazione dell'art. 612 bis c.p., esclude che vi possa essere connessione con il procedimento a carico della R. per inadempimento dell'ordinanza del tribunale civile di Brindisi del 6 febbraio 2016.
A riguardo rileva questa Corte che in tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, prescindendo da indici formali quali l'eventuale già intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato, l'attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, sicché il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità (Sez. 5, n. 39498 del 25/06/2021, Tommasi, Rv. 282030 - 01). Nel caso in esame a fronte della motivazione congrua, la censura è generica, nel senso che non si articola con riferimento alla connessione esistente, limitandosi a riferire che si tratti dello stesso contesto sociale, spaziale e temporale mentre ciò che è richiesto è la connessione ex art. 12, o il collegamento ex art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b), in ordine ai quali il ricorrente nulla deduce.
In merito alla attendibilità della dichiarante valgano le considerazioni già espresse in ordine ai primi due motivi.
Ne consegue l'infondatezza del motivo.
5. Il sesto e settimo motivo sono inammissibili.
Va premesso che si verte in tema di giudizio di appello a seguito di rito abbreviato, in relazione al quale, proprio per l'opzione per il rito speciale, le parti sono titolari di una mera facoltà di sollecitazione del potere di integrazione istruttoria, esercitabile dal giudice "ex officio" nei limiti della assoluta necessità ai sensi dell'art. 603 c.p.p., comma 3, atteso che in sede di appello non può riconoscersi alle parti la titolarità di un diritto alla raccolta della prova in termini diversi e più ampi rispetto a quelli che incidono su tale facoltà nel giudizio di primo grado (Sez. 2, n. 5629 del 30/11/2021, dep. 2022, Granato, Rv. 282585 - 01; Sez. 1, n. 37588 del 18 giugno 2014, Amaniera, Rv. 260840). Nel caso di specie, per altro, dovendo trovare applicazione l'art. 603, comma 3, l'assoluta necessità viene esclusa dalla Corte di appello con l'ordinanza del 23 novembre 2020 e con la sentenza rende conto della scelta, evidenziando come non sia tanto rilevante il numero dei messaggi inviati, " bensì il tenore assillante e volto alla continua intromissione nella vita dei bambini e necessariamente anche della p.o., loro madre convivente sua interlocutrice, nonché delle altre persone che venivano in contatto con loro". In tal senso pur non essendo configurabile un obbligo per il giudice di motivare il diniego della richiesta di attivazione dei suddetti poteri, obbligo invece sussistente qualora gli stessi poteri vengano esercitati (ex multis Sez. 2, n. 3609 del 18 gennaio 2011, Sermone e altri, Rv. 249161), nel caso in esame la Corte ha dato conto adeguatamente delle ragioni del diniego dell'esercizio dei poteri officiosi.
6. Quanto all'ottavo e nono motivo, inerenti il diniego di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, la Corte motiva congruamente con riferimento al precedente penale specifico, legato alle lesioni personali procurate dal C. alla R., oltre che richiamando alla motivazione della sentenza di primo grado che aveva valorizzato già gli elementi che il ricorrente pone a supporto dei motivi, quali la condotta processuale e la partecipazione al giudizio di merito.
Pertanto questa Corte rileva come le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggano al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. Un., n. 10713 del 25 febbraio 2010, Contaldo, Rv. 245931). Nel caso in esame la Corte di appello conferma il giudizio di equivalenza, riducendo per altro la pena e disponendo la sospensione condizionale della stessa, senza alcun difetto o illogicità di motivazione.
7. Ne consegue l'infondatezza anche di tali motivi e il complessivo rigetto del ricorso, con condanna alle spese processuali del ricorrente, che sarà tenuto anche alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Lecce, con decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato. Infatti, in tema di liquidazione, nel giudizio di legittimità, delle spese sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, compete alla Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 541 c.p.p., e D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 110, pronunciare condanna generica dell'imputato al pagamento di tali spese in favore dell'Erario, mentre è rimessa al giudice del rinvio, o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, la liquidazione delle stesse mediante l'emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83, del citato D.P.R. (Sez. U, Ordinanza n. 5464 del 26/09/2019, dep. 2020, Rv. 277760).
8. D'ufficio va disposto l'oscuramento dei dati personali, attesa la necessità prevista dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, comma 2, di predisporre tale misura a tutela dei diritti e della dignità degli interessati.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Lecce, con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
In caso di diffusione del presente provvedimento andranno omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 1 luglio 2022.
Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2022