RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 22/2/2016 la Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del 2/4/2015 del Tribunale di Bergamo, appellata dall'imputata R.L., ha riqualificato il fatto di reato commesso ai danni di S.N., originariamente contestato e ritenuto quale delitto di atti persecutori ex art. 612 bis c.p., ai sensi degli artt. 81 e 660 c.p., riducendo la pena inflitta a mesi quattro di arresto e le somme liquidate a favore delle parti civili costituite, S.N. e B.C., a Euro 7.000,00= ciascuno, con aggravio delle spese processuali del grado in favore delle parti civili.
2. Ha proposto ricorso il Procuratore generale della Repubblica di Brescia, denunciando violazione di legge in relazione all'art. 612 bis c.p. e motivazione contraddittoria e manifestamente illogica.
La Corte, pur avendo accertato la commissione delle condotte descritte nel capo dell'imputazione, ha ritenuto che non fosse configurabile il delitto di atti persecutori in difetto di uno dei tre eventi alternativamente contemplati dalla norma incriminatrice; secondo la Corte territoriale, il mutamento delle abitudini di vita doveva attenere ad aspetti "fondamentali" e non era quindi realizzato dalla necessità per la vittima di ispezionare il ballatoio dallo spioncino prima di uscire per evitare di incontrare l'imputata, e neppure era parsa sufficiente la preoccupazione che il contenuto della buca delle lettere, invaso dalle oscenità immesse dalla R., potesse turbare il figlio minorenne.
La necessità che la modifica delle abitudini di vita attenesse ad aspetti fondamentali era stata introdotta indebitamente dalla Corte di appello ed erano sufficienti per integrare il reato le precauzioni adottate dalla persona offesa per evitare di incontrare la R. e per prevenire contatti fra essa e il figlio minore, nel timore di danni per la sua incolumità psichica.
La sentenza impugnata era inoltre contraddittoria laddove aveva ritenuto la persistenza delle condotte da parte dell'imputata e la sua incapacità di autocontrollarsi per ripristinare forme di civile convivenza fra vicini.
3. Ha proposto ricorso il difensore di fiducia dell'imputata, avv. Luigi Riccardi, svolgendo quattro motivi.
3.1. Con il primo motivo proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il ricorrente denuncia mancanza o manifesta illogicità della motivazione quanto alla commissione da parte dell'imputata di tutti i reati ad essa ascritti.
Mancava qualsiasi riscontro probatorio nella sentenza di appello, in quella di primo grado e nelle prove testimoniali delle frasi ingiuriose verso la S. e il figlio minore indicate nel capo di imputazione come pronunciate dalla R..
3.2. Con il secondo motivo proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. lett. e), il ricorrente denuncia mancanza o manifesta illogicità della motivazione quanto al travisamento della prova con riferimento a tre profili.
3.2.1. Il primo profilo attiene all'omessa considerazione degli errori circa la prova dei biglietti e delle riviste pornografiche rinvenuti nella cantina dell'imputata in sede di perquisizione.
Uno dei biglietti rinvenuti, firmato R.L., aveva un contenuto del tutto civile; un altro, anonimo, con allegate scene pornografiche di sesso esplicito, era sicuramente di provenienza delle persone offese, come risultava dall'uso del plurale da parte degli scriventi e l'insulto "poverina" rivolto alla destinataria; un altro ancora, zeppo di insulti, era redatto ancora al plurale e rivolto ad una sola destinataria, come pure quello del 21/3/2011.
Era quindi dimostrato che erano i coniugi B.- S. ad insultare la R. con messaggi inseriti in cassetta delle lettere, e non viceversa, e che l'imputata aveva conservato i messaggi a fini di prova delle condotte subite.
La Corte di appello, dopo aver riconosciuto che, a differenza di quanto ritenuto dal Giudice di prime cure, i messaggi rinvenuti in cantina non fossero messaggi preparati dalla R. e in attesa di recapito, avrebbe dovuto coerentemente escluderne il valore di prova a carico e invece aveva contraddittoriamente ritenuto che essi provassero l'invio di biglietti ingiuriosi da parte dell'imputata.
3.2.2. Il secondo profilo attiene al travisamento delle prove testimoniali.
La deposizione del teste V., caposcala e consigliere del condominio, imparziale e attendibile, era stata gravemente fraintesa; questi aveva riferito delle lamentele della R. che in alcune occasioni (2-3) gli aveva mostrato lettere di insulti ricevute; era stata quindi la R., e non i B.- S., a lamentarsi degli insulti.
Anche con riferimento all'episodio della scatola di preservativi era stata la R. a lamentarsi con il V. di averla ricevuta nella cassetta delle lettere, assumendo di volerla restituire al mittente.
Infine il V. aveva dichiarato di aver visto, una volta sola, una borsa della spesa sullo zerbino dei B.- S. ma di ignorarne il contenuto.
La Corte aveva travisato anche le deposizioni dei testi R.T. e F.L., che non solo non avevano smentito il verificarsi degli episodi in imputazione ma avevano riferito della conflittualità fra le parti, perchè esse avevano assistito al rinvenimento da parte della R. nella cassetta di un biglietto con espressioni pornografiche.
L'amministratore P. aveva riferito, anche e soprattutto, delle continue lamentele della R. nei confronti dei coniugi B..
3.2.3. Il terzo profilo attiene al travisamento delle dichiarazioni dei testi parti civili, ignorando gli elementi evidenziati con l'appello che ne dimostravano la falsità.
Le persone offese avevano riferito di due soli episodi, quello della scatola dei preservativi e quello del sacco di spazzatura con uova marce che, secondo la R., lei aveva semplicemente rimesso sullo zerbino dei B., dopo averlo rinvenuto davanti alla sua abitazione.
In sede di interrogatorio la S. si era letteralmente scatenata denunciando una serie di molestie di vario genere (due bisturi e lamette di vario genere nella cassetta delle lettere, feci e liquami sullo zerbino e sotto la porta, danneggiamenti all'auto, gomme tagliate, striature sulla carrozzeria, porta della cantina divelta) di cui non v'era traccia nella denuncia penale nè in alcuna deposizione.
3.3. Con il terzo motivo proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il ricorrente denuncia mancanza o manifesta illogicità della
motivazione quanto alla liquidazione dei danni in favore della parte civile B.C., che era stato indicato come persona offesa dal reato, al pari del figlio minore F..
Il B., come era stato chiarito con l'atto di appello, aveva richiesto il risarcimento dei danni solo quale genitore del figlio minore.
La Corte aveva reputato il danno prodotto di natura famigliare e indivisibile ma aveva contraddittoriamente escluso dal risarcimento il figlio minore.
Non era poi stato tenuto conto della derubricazione del reato in quello molto meno grave di molestie.
Inoltre nel reato contravvenzionale di molestie, a differenza del delitto di atti persecutori, il danneggiato non poteva che essere il soggetto passivo del reato, e quindi non il B., in difetto di rapporto immediato fra fatto accertato e pretesa risarcitoria.
3.4. Con il quarto motivo proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), il ricorrente denuncia violazione di legge in relazione alla configurazione del reato di molestie ex art. 660 c.p. in luogo di quello di cui all'art. 674 c.p., piuttosto ravvisabile nei due fatti di imbrattamento contestati con riferimento all'uscio di casa e alla cassetta delle lettere.
4. Con memoria ex art. 611 c.p.p. depositata il 3/1/2018 il difensore di fiducia delle parti civili S.N. e B.V., avv. Vincenzo Coppola, ha chiesto accogliersi il ricorso del Procuratore generale della Repubblica di Brescia, puntualmente condiviso.
5. Con memoria ex art. 585 c.p.p., comma 4, depositata il 4.1.2018 il difensore della ricorrente R. ha chiesto la declaratoria di inammissibilità ovvero il rigetto del ricorso del Procuratore generale della Repubblica di Brescia e ha insistito per l'accoglimento del proprio ricorso principale.
RITENUTO IN DIRITTO
1. Merita preliminare esame l'impugnazione proposta dal difensore dell'imputata che attiene all'esistenza stessa delle condotte di reato, rispetto all'impugnazione del Pubblico Ministero, che propugna una diversa e più grave qualificazione giuridica dei fatti.
Ricorso nell'interesse dell'imputata R.L..
2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia mancanza o manifesta illogicità della motivazione quanto alla commissione da parte dell'imputata di tutti i reati ad essa ascritti, in difetto di qualsiasi riscontro probatorio nella sentenza di appello (come pure in quella di primo grado e nelle prove testimoniali) circa le frasi ingiuriose verso la S. e il figlio minore indicate nel capo di imputazione come pronunciate dalla R..
La censura è palesemente priva di interesse ex art. 568 c.p.p., comma 4, poichè la R. è stata assolta dalla relativa accusa perchè il fatto non costituisce più reato.
Il reato di cui all'art. 594 c.p. è stato abrogato dal D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, art. 1 del e sostituito da un corrispondente illecito civile. L'abolitio criminis sopravvenuta alla sentenza impugnata deve essere rilevata d'ufficio a norma dell'art. 129 c.p.p. e dell'art. 2 c.p., comma 2. Ciò anche nel caso di ricorso inammissibile ed indipendentemente dall'oggetto dell'impugnazione, atteso il principio della ragionevole durata del processo, che impone di evitare una pronunzia di inammissibilità che avrebbe quale unico effetto un rinvio della soluzione alla fase esecutiva (Sez. 5, n. 44088 del 02/05/2016, Pettinaro e altri, Rv. 267751).
Il necessario annullamento della sentenza di condanna per un fatto che la legge non prevede più come reato travolge anche le statuizioni civili, alla luce sia della regola generale del collegamento necessario tra condanna e statuizioni civili da parte del giudice penale, sia della tassatività della preclusione di deroga contenuta nell'art. 578 c.p.p., sia della diversa disciplina espressamente sancita dal D.Lgs. n. 8 del 2016, art. 9 per gli illeciti oggetto di depenalizzazione, non prevista per le ipotesi di abolitio criminis dal D.Lgs. n. 7 del 2016, nè ad esso applicabile in via analogica.
In tal senso si è ormai consolidata la giurisprudenza di legittimità secondo cui l'annullamento senza rinvio della sentenza di condanna per una delle fattispecie criminose abrogate dal D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, determina la revoca delle statuizioni civili, cui potrà seguire, per effetto della eventuale azione risarcitoria davanti al giudice civile competente per valore, il giudizio civile per l'accertamento dell'illecito depenalizzato, l'irrogazione della sanzione pecuniaria ed il risarcimento del danno (Sez. U, n. 46688 del 29/09/2016, Schirru e altro, Rv. 267884).
3. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia mancanza o manifesta illogicità della motivazione quanto al travisamento della prova con riferimento a tre distinti profili.
3.1. Il primo profilo attiene all'omessa considerazione degli errori relativi alla prova dei biglietti e delle riviste pornografiche rinvenuti nella cantina dell'imputata in sede di perquisizione.
Uno dei biglietti rinvenuti, firmato R.L., aveva un contenuto del tutto civile; un altro, anonimo, con allegate scene pornografiche di sesso esplicito, era sicuramente di provenienza delle persone offese, come risultava dall'uso del plurale da parte degli scriventi e l'insulto "poverina" rivolto alla destinataria; un altro ancora, zeppo di insulti, era redatto ancora al plurale e rivolto ad una sola destinataria, come pure quello del 21/3/2011; ciò dimostrava che erano i coniugi B.- S. ad insultare l'imputata con messaggi inseriti nella cassetta delle lettere, e non viceversa, e che l'imputata aveva conservato i messaggi a fini di prova delle condotte subite.
Secondo il ricorrente, la Corte di appello, dopo aver riconosciuto che i messaggi rinvenuti in cantina non erano messaggi preparati dalla R. e in attesa di recapito, avrebbe dovuto coerentemente escluderne il valore di prova a carico e invece aveva contraddittoriamente ritenuto che essi provassero l'invio di biglietti ingiuriosi da parte dell'imputata.
3.1.1. Le recriminazioni del ricorrente circa la ricostruzione del fatto storico accolta nella sentenza impugnata e circa la sottovalutazione del narrato di altri testimoni, mirano a sollecitare inammissibilmente dalla Corte di Cassazione una non consentita rivalutazione del fatto motivatamente ricostruito dal Giudice del merito, senza passare, come impone l'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), attraverso la dimostrazione di vizi logici intrinseci della motivazione (mancanza, contraddittorietà, illogicità manifesta) o denunciarne in modo puntuale e specifico la contraddittorietà estrinseca con "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame".
I limiti che presenta nel giudizio di legittimità il sindacato sulla motivazione, si riflettono anche sul controllo in ordine alla valutazione della prova, giacchè altrimenti anzichè verificare la correttezza del percorso decisionale adottato dai Giudici del merito, alla Corte di Cassazione sarebbe riservato un compito di rivalutazione delle acquisizioni probatorie, sostituendo, in ipotesi, all'apprezzamento motivatamente svolto nella sentenza impugnata, una nuova e alternativa valutazione delle risultanze processuali che ineluttabilmente sconfinerebbe in un eccentrico terzo grado di giudizio. Da qui, il ripetuto e costante insegnamento (Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, Casula, Rv. 233708; Sez. 5, n. 44914 del 06/10/2009, Basile e altri, Rv. 245103) in forza del quale, alla luce dei precisi confini che circoscrivono, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo del vizio di motivazione, la Corte non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare, sulla base del testo del provvedimento impugnato, se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento.
3.1.2. In ogni caso la Corte ha elaborato la propria ricostruzione, chiaramente illustrata alle pagine 7-8 della sentenza impugnata, riconoscendo che alcuni messaggi, declinati al plurale e rivolti alla R., erano stati redatti dai coniugi S.- B., con repliche sferzanti o addirittura pesantemente insultanti, ma assumendo che essi erano stati vergati in calce a immagini pornografiche, da loro rinvenute nella cassetta delle lettere e ritenute un "regalo" della R., o inviati in risposta ai suoi atti di molestia.
In altri termini, la Corte territoriale, con motivazione esente da vizi logici manifesti, ha ritenuto che i reperti rinvenuti nella cantina della R. dimostrassero che gli S.- B. reagivano in modo pesante ed esasperato a molestie poste in essere con messaggi provocatori della R., e che questa aveva conservato effettivamente i reperti per valersene come prova (della reazione) senza considerare che implicitamente le reazioni indicavano la sussistenza di una precedente aggressione da parte sua.
3.2. Il secondo profilo attiene al travisamento delle prove testimoniali.
La deposizione del teste V., caposala e consigliere del condominio, imparziale e attendibile, sarebbe stata gravemente travisata; questi aveva riferito delle lamentele della R. che in alcune occasioni (2-3) gli aveva mostrato lettere di insulti ricevute; era stata quindi la R., e non i B.- S., a lamentarsi degli insulti.
Con riferimento all'episodio della scatola di preservativi, il ricorrente sottolinea che era stata la R. a lamentarsi con il V. di averla ricevuta nella cassetta delle lettere, assumendo di volerla restituire al mittente: e tuttavia la Corte ha riportato il contenuto oggettivo della deposizione che dimostrava il dichiarato intento della R. di immettere la scatola di preservativi nella buca delle lettere dei B.- S., accompagnata dall'insultante invito a usarne il contenuto "per non procreare tuoi simili", mentre non era affatto dimostrato che costoro in precedenza l'avessero immessa nella buca della R., come da lei sostenuto e ora ribadito.
Infine il V. aveva dichiarato di aver visto, una volta sola, una borsa della spesa sullo zerbino dei B.- S. ma di ignorarne il contenuto. La Corte territoriale al proposito non ha affatto travisato la deposizione del V., limitandosi ad opinare che tale dichiarazione confermava, sia pur parzialmente, la più circostanziata doglianza della S. circa il deposito di sacchetti di immondizia sul suo stuoino.
Secondo il ricorrente, la Corte aveva travisato anche le deposizioni dei testi R.T. e F.L., che non solo non avevano smentito il verificarsi degli episodi in imputazione ma avevano riferito della conflittualità fra le parti, avendo assistito al rinvenimento da parte della R. nella cassetta di un biglietto con espressioni pornografiche, che peraltro ben potrebbe essere quello rivenuto nella cantina e che la Corte ha ritenuto il frutto della restituzione corredata da insulti del precedente messaggio pornografico della R..
Quanto all'amministratore P., la Corte ha riconosciuto che costui aveva riferito le lamentele sia della R. sia dei coniugi B., con una affermazione priva di ogni valore fondante ai fini della decisione assunta.
3.3. Il terzo profilo attiene al lamentato travisamento delle dichiarazioni testimoniali delle parti civili, asseritamente commesso ignorando gli elementi evidenziati con l'appello che ne dimostravano la falsità.
Le persone offese avevano riferito di due soli episodi, quello della scatola dei preservativi e quello del sacco di spazzatura con uova marce che, secondo la R., lei aveva semplicemente rimesso sullo zerbino dei B., dopo averlo rinvenuto davanti alla sua abitazione.
In sede di interrogatorio la S. si era letteralmente scatenata denunciando una serie di molestie di vario genere (due bisturi e lamette di vario genere nella cassetta delle lettere, feci e liquami sullo zerbino e sotto la porta, danneggiamenti all'auto, gomme tagliate, striature sulla carrozzeria, porta della cantina divelta) di cui non v'era traccia nella denuncia penale nè in alcuna deposizione.
La Corte di appello, tuttavia, ha ravvisato gli atti di molestia nell'abbandono di sacchetti di spazzature dinanzi all'uscio e nell'inserzione di messaggi impropri e disturbanti nella cassetta delle lettere, ritenendo che la vicenda di bisturi e siringhe, rinvenute nella casetta delle lettere dell'ufficio del B. esulasse dal capo di imputazione e non ha fatto alcun riferimento ai vari liquami e deiezioni citati dal ricorrente e pur lamentati dalla persona offesa.
3.4. Il ricorrente inoltre non considera minimamente la deposizione del teste Z., poliziotto residente nello stabile dal 2011, che ha riferito di aver visto spesso scendendo le scale sacchetti di spazzatura, gusci d'uovo e simili sullo zerbino S., mentre quello della R. era sempre lindo e pulito, così convalidando le accuse mosse dalle parti civili, anche perchè terzi estranei non avrebbero imbrattato solamente uno dei due usci e non l'altro.
4. Con il terzo motivo proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il ricorrente denuncia mancanza o manifesta illogicità della motivazione quanto alla liquidazione dei danni in favore della parte civile B.C., che era stato indicato come persona offesa dal reato, al pari del figlio minore F..
4.1. Secondo il ricorrente, il B., come era stato chiarito con l'atto di appello, avrebbe richiesto il risarcimento dei danni solo quale genitore del figlio minore; la Corte aveva reputato il danno prodotto di natura famigliare e indivisibile ma aveva contraddittoriamente escluso dal risarcimento il figlio minore.
Tuttavia il B., diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente si era costituito parte civile, sia in proprio, sia quale genitore esercente la potestà, al pari della moglie S.N., sul figlio minore F.; del resto non si comprende l'interesse della R. a rilevare il mancato risarcimento dei danni al figlio minore.
4.2. Il ricorrente sostiene che non era poi stato tenuto conto della derubricazione del reato in quello, molto meno grave, di molestie.
Al contrario, la Corte aveva tenuto conto della derubricazione del reato, riducendo, molto significativamente, il quantum del risarcimento liquidato in primo grado da Euro 23.625,00= a Euro 7.000,00= per ciascuna delle due parti civili.
4.3. Infine il ricorrente sostiene che nel reato contravvenzionale di molestie, a differenza del delitto di atti persecutori, il danneggiato non poteva che essere il soggetto passivo del reato e quindi non lo poteva essere il B. in difetto di rapporto immediato fra fatto accertato e pretesa risarcitoria.
La Corte territoriale ha fatto puntuale applicazione del principio, pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il soggetto legittimato all'azione civile risarcimento del danno nel processo penale non è solo il soggetto passivo del reato (cioè il titolare dell'interesse protetto dalla norma incriminatrice), ma anche il danneggiato, ossia chiunque abbia riportato un danno eziologicamente riferibile all'azione od omissione del soggetto attivo del reato (Sez. 2, n. 4380 del 13/01/2015, Lauro e altro, Rv. 262371; Sez. 1, n. 13408 del 02/03/2005, confl.comp. in proc. Martini, Rv. 231336; Sez. 2, n. 3529 del 23/05/1997, Belleggia, Rv. 209425; Sez. 6, n. 2319 del 11/06/1996, Alberti ed altri, Rv. 205892).
Nè v'è ragione di opinare diversamente col mutare del titolo e della gravità del reato, poichè le stesse condotte moleste, quand'anche non assurgenti alla natura di atti persecutori in difetto in uno degli eventi considerati dall'art. 612 bis c.p. avevano, pur sempre, prodotto riportato un danno eziologicamente riferibile all'azione od omissione del soggetto attivo del reato.
La Corte ha altresì rilevato che il reato di molestie è procedibile anche d'ufficio, con la conseguente irrilevanza della proposizione della querela da parte del B., e che gli atti di molestia erano stati posti in essere in modo indivisibile nei confronti del gruppo famigliare, con la conseguente legittimazione anche del marito, costituitosi parte civile.
5. Con il quarto motivo proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) il ricorrente denuncia violazione di legge in relazione alla
configurazione del reato di molestie ex art. 660 c.p., in luogo di quello di cui all'art. 674 c.p., piuttosto ravvisabile nei due fatti di imbrattamento contestati con riferimento all'uscio di casa e alla cassetta delle lettere.
La censura è manifestamente infondata: i comportamenti contestati, posti in essere in luogo aperto al pubblico per petulanza o altri biasimevoli motivi sono idonei a provocare molestia o disturbo alle persone.
L'immissione di messaggi o immagini disturbanti nella cassetta delle lettere possiede un tipico contenuto molesto, mentre la stessa finalità era perseguita dalla collocazione di rifiuti sulla soglia di casa, intenzionalmente rivolta a molestare o disturbare, e non già solo, con azione cosciente e volontaria a imbrattare il luogo in modo oggettivamente atto a molestare le persone.
Il ricorso del Procuratore generale.
6. Il Procuratore generale di Brescia denuncia violazione di legge in relazione all'art. 612 bis c.p. e motivazione contraddittoria e manifestamente illogica.
La Corte territoriale, pur avendo accertato la commissione delle condotte descritte nel capo dell'imputazione, ha ritenuto che non fosse configurabile il delitto di atti persecutori in capo alla R., in difetto di uno dei tre eventi alternativamente contemplati dalla norma incriminatrice.
6.1. Il ricorrente osserva che, secondo la Corte territoriale, il mutamento delle abitudini di vita doveva attenere ad aspetti "fondamentali" e non era quindi realizzato dalla necessità di ispezionare il ballatoio dallo spioncino prima di uscire per evitare di incontrare l'imputata; neppure era stata reputata sufficiente la preoccupazione dei B. - S. che il contenuto della buca delle lettere, invaso dalle oscenità immesse dalla R., potesse turbare il figlio minorenne.
Il ricorrente ribatte che la necessità che la modifica delle abitudini di vita attenesse ad aspetti fondamentali era stata introdotta indebitamente dalla Corte di appello e assume che fossero sufficienti per integrare il reato le precauzioni adottate per evitare di incontrare la R. e prevenire contatti fra essa e il figlio minore, nel timore di danni per la sua incolumità psichica.
6.2. Il delitto di atti persecutori di cui all'art. 612 bis c.p. è reato abituale, a struttura causale e non di mera condotta, che si caratterizza per la produzione di un evento di danno consistente nell'alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero, alternativamente, di un evento di pericolo, consistente nel fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva (Sez. 3, n. 23485 del 07/03/2014, U., Rv. 260083).
6.3. La Corte territoriale, a pag.9, ha escluso che le pur sgradevoli condotte moleste poste in essere dalla R. potessero generare stati di ansia o paura o addirittura fondati timori per l'incolumità propria o altrui; in ordine a tale valutazione prettamente di merito il ricorrente non formula sostanziali obiezioni, tantomeno enucleando vizi logici manifesti del percorso argomentativo seguito.
La Corte di appello ha però riconosciuto l'esistenza di un cambiamento di abitudini da parte della S., ravvisato nelle precauzioni adottate di ispezionare il pianerottolo dallo spioncino prima di uscire, onde verificare l'assenza della R., e, sia pur implicitamente, e cioè accomunando le due prospettazioni nello stesso quinto paragrafo di pag.9, in quelle relative all'apertura della cassetta della posta per il timore di missive perturbatrici del figlio minorenne.
La Corte bresciana ha tuttavia escluso che tali modifiche assurgessero al livello "fondamentale", a cui ha correlato la soglia della lesione rilevante per la configurazione degli atti persecutori e non delle semplici molestie, che pur sempre producono un effetto perturbatore nel soggetto molestato.
Indubbiamente occorre dar atto al ricorrente che il riferimento al carattere "fondamentale" dell'alterazione di abitudini di vita non ha diritto di cittadinanza nella lettera della norma, anche se il mutamento deve pur sempre attingere una soglia di apprezzabile rilevanza quantitativa per attingere la soglia di offensività richiesta dalla legge.
Questa Corte, in una recente pronuncia si è soffermata su questo aspetto, affermando che in tema di atti persecutori, ai fini della individuazione del cambiamento delle abitudini di vita, quale elemento integrativo del delitto di cui all'art. 612 bis c.p., occorre considerare il significato e le conseguenze emotive della costrizione sulle abitudini di vita cui la vittima sente di essere costretta e non la valutazione, puramente quantitativa, delle variazioni apportate (Sez. 5, n. 24021 del 29/04/2014, G, Rv. 260580).
Orbene, nel caso concreto le descritte modifiche di abitudini sono sicuramente apprezzabili e anzi piuttosto significative, anche se non attinenti ad aspetti fondamentali dell'esistenza, fatto questo, come si è detto, normativamente irrilevante.
Le necessità di ispezionare preventivamente lo spazio comune condominiale antistante la propria abitazione, prima di ogni uscita, onde evitare spiacevoli incontri, determina una modifica di abitudini e un consistente tasso di disturbo, incidendo sulla normale confidente tranquillità con cui le persone usano utilizzare le aree, protette e riservate, degli spazi comuni condominiali.
Analoga valutazione può essere formulata con riferimento alle modalità di utilizzo della cassetta delle lettere, che viene normalmente aperta senza particolari cautele e che era divenuta un'attività da eseguire con particolari precauzioni finalizzate alla protezione del figlio minore.
7. La sentenza impugnata deve quindi essere annullata, in accoglimento del ricorso del Procuratore generale della Repubblica di Brescia, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Brescia per nuovo esame, limitatamente alla qualificazione giuridica del reato de quo e alle conseguenze che ne derivano. La preventiva soluzione di siffatta questione possiede evidenti ricadute anche sul tema della prescrizione del reato che si sarebbe compiuta con il decorso di 5 anni, fra il (OMISSIS), vertendosi in tema di condotte compiute fra il (OMISSIS), se il reato avesse natura meramente contravvenzionale ex art. 660 c.p. e quindi dopo la pronuncia della sentenza di secondo grado.
8. La natura del reato impone di ordinare, in caso di diffusione del presente provvedimento, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso del Procuratore generale, annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Brescia per nuovo esame.
Rigetta il ricorso di R.L..
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2018.
Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2018