RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale del riesame di Taranto, quale giudice di appello cautelare, con l'ordinanza 1-7-2016, ha annullato il provvedimento di rigetto della revoca della misura cautelare del divieto di esercitare la professione di giornalista per mesi sei, applicata ad D.G.A. per il reato di atti persecutori in danno del collega M.C., reato che, secondo la contestazione provvisoria, è integrato da frequenti articoli giornalistici e da post di contenuto diffamatorio nonchè da sms e da appostamenti nei pressi dell'abitazione.
2. Il tribunale riteneva che la condotta persecutoria fosse incentrata, ed in sostanza circoscritta, agli articoli diffamatori, essendo gli sms soltanto tre (risalenti al 2014) e i c.d. appostamenti giustificati da lecite esigenze di frequentazione dei luoghi prossimi all'abitazione della p.o., mentre non era sufficientemente verificata neppure la sussistenza di uno degli eventi della fattispecie di cui all'art. 612 bis c.p., sicchè la mera reiterazione del reato di diffamazione a mezzo stampa non era sufficiente ad integrare stalking.
3. Ricorre il Pubblico Ministero territoriale che, senza articolare in modo espresso specifici vizi di legittimità, e premesso che il provvedimento genetico della misura non era stato impugnato, assume la "non condivisibilità" degli argomenti alla base dell'ordinanza giacchè gli sms per quanto non numerosi, la presenza dell'indagato sui luoghi frequentati dalla p.o. ("occasione di affronto e di denigrazione" del M., e la reiterazione del reato di diffamazione, sono "sicuramente idonei ad integrare, in una valutazione complessiva della fattispecie concreta, il reato di stalking", essendo "evidente", sempre secondo l'organo impugnante, pure la sussistenza dell'elemento psicologico del reato e la verificazione dell'evento stante la credibilità della p.o. anche su quest'ultimo punto dati i numerosi elementi di riscontri offerti in occasione della proposizione delle numerosissime querele.
4. Il Pubblico Ministero richiama a sostegno giurisprudenza di questa Corte (Cass. 21407/2016) secondo cui la reiterazione di condotte diffamatorie va letta nell'ambito delle complessive attività persecutorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Tale è l'impugnazione che, senza articolare alcuna delle specifiche censure ex art. 606 c.p.p., la cui previsione delinea il perimetro del sindacato del giudice di legittimità, si limiti a contrapporre la propria valutazione di alcune delle risultanze, nella specie gli elementi rappresentati dagli sms e dalla presenza dell'indagato sui luoghi frequentati dalla p.o., a quella del provvedimento impugnato, ritenendo la prima maggiormente condivisibile, oltre tutto senza confrontarsi con le ragioni per le quali (rarità e risalenza dei messaggi telefonici, esigenze giustificatrici della presenza dell'indagato sui luoghi frequentati dal M.) quegli elementi erano stati sottovalutati nel provvedimento impugnato sotto il profilo della configurabilità del reato contestato.
3. A ritenere poi implicita la formulazione della censura di violazione di legge in relazione alla norma incriminatrice nel richiamo da parte del PM alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale condotte di diffamazione possono integrare atti persecutori, essa sarebbe manifestamente infondata posto che a tal fine occorre la coesistenza di altre molestie, quali, nella fattispecie richiamata nel ricorso, pedinamenti, appostamenti, messaggi pubblicati su face-book e, nel caso esaminato nella pronuncia Sez. 5^, n. 51718 del 05/11/2014 - dep. 11/12/2014, T, Rv. 262635, evocata dal tribunale del riesame, numerose altre condotte eterogenee moleste, tra cui un'aggressione fisica. Con la conseguenza, in quest'ultimo caso, che il delitto di atti persecutori, avendo oggetto giuridico diverso, concorreva con quello di diffamazione integrando la condotta diffamatoria una delle molestie costitutive del reato previsto dall'art. 612 bis c.p..
4. Nel caso in esame, invece, il tribunale ha motivatamente evidenziato che la condotta del D.G. è consistita in sostanza nella sola reiterazione di atti diffamatori, concludendo quindi coerentemente per la non configurabilità in termini di gravità indiziaria del reato contestato, oltre tutto anche in assenza di elementi a sostegno del verificarsi di uno degli eventi previsti dalla norma citata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del Pubblico Ministero.
Dispone l'oscuramento dei dati identificativi.
Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2016.
Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2016