RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte d'Appello di Genova confermava la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in data 8.7.2015, dal GUP del Tribunale di Savona, nei confronti dell'imputato P.F., confermando, altresì, la misura della pena, determinata in un anno di reclusione, per il reato di stalking nei confronti di D.G.S., poichè, dopo la fine della loro relazione sentimentale nel (OMISSIS), egli l'aveva perseguitata con telefonate continue, pedinamenti e diffamazioni sul profilo social della persona offesa.
2. Avverso tale provvedimento d'appello propone ricorso per cassazione l'imputato, tramite il suo difensore di fiducia, articolando due motivi.
2.1. Il primo motivo denuncia violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza del reato.
In sostanza, l'imputato rappresenta una diversa ricostruzione della vicenda, lamentando che non vi sarebbe prova dello stato d'ansia provocato dalla sua condotta alla persona offesa, la quale mai vi avrebbe fatto diretto riferimento nelle denunce, e contestandone la desumibilità dagli elementi di fatto e da altre dichiarazioni testimoniali.
Si elencano gli elementi posti alla base della decisione impugnata, smentendoli anche sotto il profilo dell'evento del reato costituito dal mutamento delle abitudini di vita, che non vi sarebbe stato realmente, non potendosi considerare tale nè il dover bloccare la propria utenza telefonica per evitare di ricevere telefonate da numeri sconosciuti o anonimi, nè la cancellazione del profilo facebook, peraltro contestata come mai avvenuta.
Inoltre, la sentenza impugnata non avrebbe motivato quanto alla credibilità ed attendibilità della persona offesa, le cui dichiarazioni accusatorie risultano minate dal dato incoerente che ella aveva continuato ad intrattenere rapporti con l'imputato sino a pochi giorni prima del suo arresto per stalking.
2.2. Il secondo motivo rappresenta vizio di legge e di motivazione in relazione al diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena fondato dai giudici d'appello sui precedenti penali dell'imputato e sulle circostanze della sua condotta. Si rappresenta al riguardo che, ai fini dell'esclusione del beneficio, doveva operarsi una valutazione complessiva di tutti i parametri previsti dall'art. 133 c.p., in relazione al giudizio prognostico di assenza del rischio di recidivanza previsto dall'art. 164 c.p..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Il primo motivo è inammissibile, in quanto manifestamente infondato.
Completamente versato in fatto, il ricorso, in tale parte, chiede una rivalutazione del materiale probatorio che in questa sede invece è preclusa.
Ed infatti, secondo la pacifica giurisprudenza della Corte di cassazione, non è consentita una rivalutazione di merito al giudice di legittimità: ex multis, cfr. Sez. U, n. 6402 del 30/4/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 16 del 19/6/1996, Di Francesco, Rv. 205621 e, tra le più recenti, Sez. 4, n. 47891 del 28/9/2004, Mauro, Rv. 230568; nonchè vedi Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507.
Si ripropongono, in verità, i motivi già disattesi in appello e ci si confronta solo formalmente con la motivazione impugnata, limitandosi a contestarne le deduzioni che hanno condotto all'esito di condanna.
Anche sotto questo profilo, pertanto, il ricorso si presenta inammissibile, essendo afflitto da genericità estrinseca, intesa come aspecificità per mancanza di correlazione tra le ragioni argomentative della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (Sez. 6, n. 13449 del 12/2/2014, Kasem, Rv. 259456 e, da ultimo, con riferimento all'applicabilità di tale vizio dell'impugnazione non soltanto al ricorso per cassazione ma anche all'atto di appello, cfr. Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, Galtelli, Rv. 268822).
La pronuncia impugnata, peraltro, elenca le ragioni del proprio convincimento in modo chiaro ed ineccepibile sul piano logico-motivazionale: in particolare ripercorrendo il valore delle ulteriori testimonianze che confermano quella della persona offesa, circa lo stato d'ansia indottole dall'imputato, i pedinamenti continui e le trascrizioni dei messaggi telefonici a contenuto offensivo e minaccioso, che l'avevano costretta ad un pesante mutamento delle abitudini di vita (cancellazione del proprio profilo facebook, su cui l'imputato immetteva messaggi di molestia; necessità di uscire non da sola).
Del resto, costituisce condivisibile orientamento di legittimità in tema di stalking quello secondo cui la prova dello stato d'ansia o di paura denunciato dalla vittima del reato può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante (Sez. 5, n. 24135 del 9/5/2012, G., Rv. 253764) e, più in generale, può essere desunta da elementi sintomatici di tale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 17795 del 2/3/2017, S., Rv. 269621; Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, P.C., Rv. 261535; Sez. 5, n. 14391 del 28/2/2012, S., Rv. 252314).
Appare, poi, determinante, per superare le obiezioni del ricorrente circa la mancata, specifica denuncia dello stato d'ansia da parte della persona offesa, riaffermare il condivisibile principio, espresso da Sez. 5, n. 47195 del 6/10/2015, S., Rv. 265530, secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, non è necessario che la vittima prospetti espressamente e descriva con esattezza uno o più degli eventi alternativi del delitto - tra i quali, come nel caso di specie, lo stato d'ansia provocatole dall'imputato - potendo la prova di essi desumersi dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell'agente (nella specie, la Corte ha ritenuto irrilevante il fatto che la persona offesa non avesse riferito espressamente di essere impaurita, alla luce dei certificati medici delle lesioni subite, delle annotazioni di polizia giudiziaria sul suo stato di esasperazione e spavento, e dei messaggi sms di minaccia). E' evidente come, anche nel caso oggi all'esame del Collegio, dal complesso probatorio risultante ai giudici, si ricava inequivocabilmente il grave stato d'ansia provocato alla vittima dall'imputato, al di là della qualificazione di esso fornita dalla persona offesa. Allo stesso modo, non può trovare accoglimento la doglianza riferita al mancato riscontro di un reale mutamento delle abitudini di vita della vittima, poichè di tale evento del reato non potrebbero essere considerati elementi fattuali l'aver ella dovuto cambiare utenza telefonica per evitare di ricevere telefonate da numeri sconosciuti o anonimi, o l'aver dovuto cancellare il profilo facebook a lei riferibile (peraltro, la Corte d'Appello smentisce in fatto la contestazione di non veridicità di tale circostanza, proposta dall'imputato già in quella sede e oggi reiterata nel ricorso). Tali singoli eventi, infatti, rientrano senza dubbio nel novero dei condizionamenti illeciti dell'esistenza personale dell'individuo che il reato si propone di sanzionare e compongono complessivamente il mutamento delle abitudini di vita della vittima che costituisce l'evento delittuoso indicato dalla norma.
Del resto, è stato correttamente affermato che, ai fini della individuazione del cambiamento delle abitudini di vita, quale elemento integrativo del delitto di cui all'art. 612-bis c.p., occorre considerare il significato e le conseguenze emotive della costrizione sulle abitudini di vita cui la vittima sente di essere costretta e non la valutazione, magari puramente quantitativa, delle variazioni apportate (Sez. 5, n. 24021 del 29/4/2014, G., Rv. 260580).
In tale ottica, non c'è dubbio che dover modificare la propria utenza telefonica, nel tentativo di frenare la possibilità dello stalker di porre in essere comportamenti di molestia, ovvero chiudere il proprio profilo di accesso ad un soda network di diffusissimo utilizzo qual è facebook, entrato nelle abitudini di vita quotidiane dei suoi utilizzatori, integri il verificarsi dell'evento del reato, sotto il profilo in esame.
Infine, anche la parte di motivo di ricorso che adduce dubbi sulla credibilità ed attendibilità della vittima, basandosi sul fatto che quest'ultima abbia continuato ad intrattenere rapporti con l'imputato sino a pochi giorni prima del suo arresto per stalking, deve essere rigettata, non potendosi ritenere che le dichiarazioni della persona offesa siano inficiate dalla circostanza che, all'interno del periodo di vessazione, ella abbia vissuto momenti transitori di attenuazione del malessere in cui ha ripristinato il dialogo con il persecutore.
E', infatti, indirizzo costante di questa Corte ritenere che tale circostanza non mini di per sè l'attendibilità della persona offesa del reato di cui all'art. 612-bis c.p. (Sez. 5, n. 5313 del 16/9/2014, S., Rv. 262665; Sez. 5, n. 41040 del 17/6/2014, D'A., Rv. 260395), imponendo, al più, una maggior prudenza da parte del giudice nella valutazione della sua testimonianza (Sez. 6, n. 31309 del 13/5/2015, S., Rv. 264334), del tutto osservata nel caso di specie.
3. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso attinente al diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena fondato dai giudici d'appello sui precedenti penali dell'imputato e sulle circostanze della sua condotta.
A prescindere dalla considerazione che, secondo parte consistente della giurisprudenza di legittimità, il giudice non ha l'obbligo di motivare il diniego della sospensione condizionale della pena quando essa non sia concedibile per difetto dei presupposti di legge, ai sensi dell'art. 164 c.p., comma 2 (cfr., ex multis, da ultimo, Sez. 3, n. 6573 del 22/6/2016, dep. 2017, Camorani, Rv. 268947), è stato anche detto che persino i precedenti giudiziari non definitivi possono fondare, in modo esclusivo o prevalente, il giudizio prognostico negativo circa la futura astensione del soggetto dalla commissione di nuovi reati ed essere valutati in relazione alla capacità a delinquere dell'imputato, specificandosi che ciò non contrasta con il principio della presunzione di innocenza dello stesso sino alla condanna definitiva, poichè la rilevanza di tale valutazione è esclusivamente ai sensi e per gli effetti dell'art. 133 c.p., comma 2 (Sez. 3, n. 44458 del 30/9/2015, Pomposo, Rv. 265613).
A maggior ragione, dunque, deve affermarsi la legittimità che i precedenti penali definitivi a carico dell'imputato vengano posti dal giudice alla base della motivazione per negare la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, essendo essi senza dubbio parte della valutazione sulla personalità dell'imputato e sulla prognosi sulla sua capacità a delinquere, ai sensi dell'art. 133 c.p..
Peraltro, la motivazione del diniego, nel caso di specie, è stata fornita non soltanto sotto questo profilo, ma anche analizzando congiuntamente un altro indice, rilevante ai sensi degli artt. 164 e 133 c.p., per il giudizio prognostico sulla personalità del reo e sulla sua capacità di astenersi dal commettere ulteriori reati: e cioè le circostanze della condotta.
La motivazione, pertanto, appare senza dubbio congrua ed esauriente, tenuto conto dell'orientamento, cui il Collegio aderisce, in base al quale, in tema di sospensione condizionale della pena, il giudice di merito, nel valutare la concedibilità del beneficio, non ha l'obbligo di prendere in esame tutti gli elementi richiamati nell'art. 133 c.p., potendo limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti in senso ostativo della sospensione (tra le più recenti, Sez. 2, n. 37670 del 18/6/2015, Cortopassi, Rv. 264802; Sez. 2, n. 19298 del 15/4/2015, Di Domenico, Rv. 263534; Sez. 3, n. 35852 del 11/5/2016, Camisotti, Rv. 267639; Sez. 3, n. 30562 del 19/3/2014, Avveduto, Rv. 260136).
Il Collegio non ignora l'esistenza di altro orientamento che, invece, afferma la necessità di prendere in considerazione, ai fini del giudizio sulla sospensione condizionale della pena, tutti gli elementi indicati dall'art. 133 c.p., poichè, qualora taluni di essi vengano ritenuti prevalenti in senso ostativo alla concessione del beneficio mentre altri inducano a propendere per un diverso esito, è necessario dar conto, con adeguata motivazione, di tale prevalenza, al fine di consentire un controllo sull'uso del potere discrezionale esercitato (Sez. 3, n. 42737 del 6/7/2016, R., Rv. 267906; Sez. 3, n. 38678 del 3/6/2014, Caribotti, Rv. 260660).
Tali conclusioni paiono, tuttavia, molto calate nelle fattispecie concrete sottoposte alla Corte di legittimità e mettono in evidenza un difetto di motivazione delle sentenze impugnate, in presenza di elementi contrastanti, positivi e negativi, per la prognosi sulla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena; in tal caso, evidentemente, si è dovuta richiamare l'attenzione del giudice all'obbligo di bilanciare tali elementi contrastanti, cui corrisponde un analogo dovere motivazionale.
Nel caso del ricorrente, invece, non sussiste tale esigenza e, correttamente, si è dato risalto, nella motivazione di diniego, ai due elementi più rilevanti, di per sè sufficienti a fondare la prognosi negativa sulla capacità del reo di astenersi dal commettere ulteriori reati: l'esistenza di precedenti penali e le circostanze inerenti alla condotta di reato commessa.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 14 settembre 2017.
Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2017