RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa in data 9 novembre 2015 il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria ha rigettato la richiesta di riesame presentata da T.S. e D.D. avverso l'ordinanza di convalida di sequestro preventivo d'urgenza e contestuale decreto di sequestro preventivo emessa in data 6.10.2015 dal G.I.P. di Reggio Calabria, avente ad oggetto un autocarro Fiat Iveco trg. (OMISSIS) ed un'autovettura Opel Meriva trg. (OMISSIS) intestate a T.S. utilizzati, secondo l'accusa, per perpetrare atti persecutori ai danni di C.P. titolare dell'esercizio commerciale (OMISSIS).
2. Con atto sottoscritto dal loro difensore hanno proposto ricorso per cassazione gli indagati affidandolo ai seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione di legge in relazione agli artt. 125, 192 e 371 bis c.p.p. e art. 612 bis c.p..
Lamentano i ricorrenti che l'ordinanza impugnata ha completamente trascurato di valutare l'incidenza della documentazione difensiva depositata all'udienza camerale di riesame da cui emergeva che la persona offesa è attualmente sottoposta a procedimenti penali ed è stata condannata per il reato di cui all'art. 659 c.p. in relazione ad un risalente contenzioso che lo vede in contrasto, non solo con i ricorrenti, ma con altri condomini.
La descritta documentazione evidenziava l'indiscussa connessione probatoria tra tali procedimenti e quello in oggetto, scaturenti parimenti dall'attività gestoria del (OMISSIS) e l'assunzione da parte della persona offesa della qualità di persona indagata di reato collegato ex art. 371 c.p.p., comma 2, lett. B) per reati commessi in danno reciproco;
Gli eventi di cui all'odierna fattispecie incriminatrice derivavano quindi da una situazione di litigiosità cui aveva contributo, con pari comportamento molesto, la odierna persona offesa.
2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell'art. 110 c.p. e art. 125 c.p.p..
Lamentano i ricorrenti che l'ordinanza impugnata non ha speso una riga di motivazione sulla specifica doglianza contenuta nei motivi del riesame secondo cui dal titolo di compravendita risultava che la persona offesa aveva la disponibilità di tre posti auto non numerati nella parte sud ed uno nella parte nord del parcheggio mentre i ricorrenti avevano un posto auto nella parte nord. In ogni caso la parte sud era molto estesa e consentiva di parcheggiare anche ai condomini non aventi posti auto.
2.3. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell'art. 321 c.p.p. in relazione all'assenza di nesso di pertinenzialità e periculum in mora.
Lamentano i ricorrenti che difetta il presupposto di pertinenzialità dei beni sequestrati con il reato di cui all'art. 612 bis c.p. non essendo gli autoveicoli in esame strutturati e finalizzati esclusivamente a consentire ai ricorrenti di intralciare l'accesso al (OMISSIS), potendo tale intralcio essere provocato dai ricorrenti con altri mezzi.
Sul punto, lamentano anche una motivazione apparente del Tribunale del Riesame.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è inammissibile.
Va premesso che, come più volte ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte, anche a Sezioni unite e del resto in linea con la lettera della legge, il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692; in motivaz. Sez. 5, n. 49596 del 16/09/2014 - dep. 27/11/2014, Armento, Rv. 261677).
Nel caso di specie, le censure svolte dai ricorrenti sono palesemente inammissibili atteso che l'ordinanza impugnata non è affatto priva di motivazione, nè difetta dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità tali da far risultare la motivazione meramente apparente.
Va, in primo luogo, rimarcata la palese genericità della censura secondo cui la persona offesa avrebbe dovuto assumere la qualità di persona indagata di reato collegato, non avendo gli indagati fornito nel ricorso alcun elemento fattuale idoneo a sostegno dell'asserita pendenza, a carico della sig.ra C., di procedimenti penali per eventuali reati commessi nelle stesse circostanze di tempo e di luogo di quello per cui si procede ai danni degli indagati (Sez. 5, n. 29227 del 27/05/2014 - dep. 04/07/2014, Cavallero, Rv. 260320; Sez. 5, n. 599 del 17/12/2008 - dep. 12/01/2009, Mastroianni, Rv. 24238401), presupposto imprescindibile perchè possa solo ipotizzarsi la connessione qualificata tra i reati.
In ogni caso, la delibazione del Tribunale del Riesame in ordine alla natura persecutoria della condotta posta in essere dai ricorrenti ai danni della signora C. non si è affatto fondata sulla sola deposizione della persona offesa, essendo stato evidenziato che tutti gli episodi molesti descritti nel provvedimento impugnato sono stati debitamente documentati dalle riprese dell'impianto di video sorveglianza a suo tempo installato dalla signora C. quando era stata oggetto di angherie da parte del sig. B.G., a sua volta imputato del delitto di cui all'art. 612 bis c.p..
Alla luce di quanto osservato, la censura di omessa motivazione, formulata dai ricorrenti comunque in termini generici, è manifestamente infondata, non considerando neppure la regola generale che vale per le pronunce emesse in sede di impugnazione secondo cui il giudice non è tenuto a prendere in considerazione ogni argomentazione proposta dalle parti, essendo sufficiente che egli indichi le ragioni che sorreggono la decisione adottata, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo (Sez. 1, n. 6128 del 07/11/2013 - dep. 10/02/2014, Mancuso, Rv. 259170).
2. Il secondo motivo ed il terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente, data la stretta colleganza delle questioni trattate, sono parimenti inammissibili.
L'ordinanza impugnata, con dovizia di particolari, ha descritto una serie continua di episodi, tratti dalle immagini dell'impianto di videosorveglianza, nei quali i ricorrenti hanno reiteratamente utilizzato gli automezzi in sequestro per perpetrare molestie ai danni della signora C., parcheggiando gli autoveicoli in questione nei pressi dell'ingresso pedonale dei clienti del (OMISSIS) al fine di rendere più disagevole l'accesso, o nei pressi della rampa carrabile in prossimità del cancello di proprietà, così impedendo l'accesso di qualsivoglia veicolo sul retro dell'attività commerciale, o spostando senza alcuna apparente ragione l'automezzo dal lato nord del parcheggio (l'unico in cui i ricorrenti hanno in dotazione un posto auto) al lato sud, così occupando lo spazio in cui la persona offesa ha diritto di parcheggiare tre autovetture (circostanza quest'ultima quindi ben valutata, a differenza di quanto sostenuto dai ricorrenti, nel secondo motivo).
Il Tribunale del Riesame ha quindi puntualizzato il sistematico uso molesto che i ricorrenti hanno fatto dei loro automezzi, così dimostrando il nesso di pertinenzialità di questi ultimi con il reato ex art. 612 bis c.p., con una reiterazione delle proprie condotte nel tempo che ha determinato nella persona offesa un perdurante stato d'ansia (uno dei tre eventi richiesti in via alternativa dalla fattispecie degli atti persecutori), a nulla rilevando - come lamentato dai ricorrenti - che tali mezzi non siano oggettivamente "strutturati" esclusivamente ad intralciare l'accesso al (OMISSIS), essendo stata evidenziata dai giudici di merito la particolare relazione di asservimento degli automezzi al reato, l'oggettivo collegamento tra i medesimi non nei termini di un rapporto di mera occasionalità ma di uno stretto nesso strumentale.
Non può dunque ritenersi integrata la lamentata violazione dell'art. 321 c.p.p..
Non ignora questo Collegio che questa Corte, nel recente passato, ha ritenuto illegittimo il sequestro preventivo dell'autovettura utilizzata per commettere il reato di minaccia grave e violenza privata (vedi sez. 5 n. 11949 del 14/01/2010, Rv. 246546) sul rilievo che i diritti patrimoniali dei singoli non possano essere sacrificati in modo indiscriminato attraverso la sottrazione di cose la cui disponibilità è di per sè lecita, "a meno che non siano oggettivamente e specificamente predisposte, anche attraverso modificazioni, per l'attività criminosa".
Va, tuttavia, osservato che tale pronuncia ha trovato la propria ispirazione da quell'orientamento che si è affermato in questa Corte nei casi di autovetture utilizzate per il trasporto e l'occultamento della droga, ed in relazione ai quali è stato richiesto, per ritenere lo specifico, non occasionale e strutturale nesso strumentale tra "res" e reato, che l'autovettura fosse stata adattata con particolari accorgimenti insidiosi e/o con modifiche strutturali (sez 4, n. 13298 del 30.1.2004, Rv. 227886).
Non vi è dubbio che in dette ipotesi, la modifica "strutturale" del mezzo sia stata correttamente richiesta, per ritenere l'asservimento della "res" al reato, in relazione alla particolare natura dei delitti oggetto di contestazione (concernenti la cessione illecita di sostanza stupefacente), essendo diversamente configurabile un rapporto non funzionale e strumentale, ma solo occasionale, tra l'autovettura ed il trasporto della droga.
Tuttavia, una tale caratteristica strutturale presente nell'autovettura non può certo essere ritenuta necessaria in delitti di altra natura, quali quello per cui si procede (atti persecutori).
Va, peraltro, osservato che sempre in un'altra fattispecie di autovettura utilizzata per il trasporto di sostanza stupefacente destinata allo spaccio (sez. 6, n. 24756 del 01/03/2007, Rv. 236973), questa Corte ha ritenuto desumibile il collegamento stabile dell'automezzo con l'attività criminosa, il rapporto funzionale con essa, sia da modificazioni strutturali apportate eventualmente al veicolo, sia dal costante inserimento di esso nell'organizzazione esecutiva del reato.
Orbene, nel caso di specie, ciò che rileva, al fine di ritenere il nesso di pertinenzialità tra gli automezzi utilizzati dagli indagati ed il delitto di stalking perpetrato ai danni della persona offesa, è proprio il costante e reiterato inserimento di tali veicoli nell'organizzazione esecutiva del reato, essendo quindi del tutto ininfluenti in tale tipologia di delitti le caratteristiche strutturali degli stessi automezzi.
Tale assunto non si pone peraltro neppure in contrasto con la situazione concreta esaminata in altra sentenza (sez. 3 n. 8987 del 9/2/2011, Rv. 249610, la cui massima è apparentemente difforme con il principio che si vuole affermare), dall'esame della cui motivazione emerge che è stato ritenuto illegittimo il sequestro di autoveicolo strutturato e finalizzato esclusivamente a consentire all'autore di atti persecutori "di raggiungere la donna oggetto delle sue condotte molestie ed intimidatorie". In quella pronuncia, correttamente è stato ritenuto che l'indagato avrebbe potuto utilizzare altri mezzi di trasporto per raggiungere la persona offesa e ciò in quanto l'autovettura non era affatto funzionalmente inserita nell'organizzazione esecutiva del reato, trovandosi con questo in un rapporto solo occasionale.
E' stato invece già evidenziato, nel caso di specie, che gli indagati avevano scelto gli automezzi di loro proprietà, adottando le più disparate modalità di parcheggio dei medesimi sopra dettagliatamente descritte, come strumenti funzionali per la prolungata e sistematica perpetrazione di molestie nei confronti della sig.ra C., determinando in quest'ultima un perdurante stato d'ansia.
La circostanza che si tratti di beni la cui disponibilità è di per sè lecita non rileva se, come è stato ricostruito dai giudici di merito, proprio quegli automezzi sono stati reiteratamente e funzionalmente utilizzati per perseguire finalità illecite, essendo anche in tale ipotesi comunque configurabile l'asservimento della "res" al reato, lo stretto nesso strumentale che ne giustifica il sequestro preventivo, e ciò al fine di evitare che la perdurante disponibilità della cosa pertinente al reato possa protrarre o aggravare le conseguenze di esso.
Alla declaratoria d'inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo stabilire nella misura di 2.000,00 Euro.
A norma dell'art. 52 d.lgs. n. 196/03 deve disporsi l'oscuramento dei dati identificativi delle parti.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Dispone l'oscuramento dei dati identificativi delle parti.
Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2016.
Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2017