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Stalking: in mancanza di specifica contestazione il termine di consumazione coincide con quello della pronuncia della sentenza

Stalking

Cassazione penale sez. V, 13/12/2018, n.6742

Nel delitto previsto dall'art. 612-bis c.p., che è reato abituale e si consuma al compimento dell'ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa della abitualità del reato, il termine finale di consumazione, in mancanza di una specifica contestazione, coincide con quello della pronuncia della sentenza di primo grado che cristallizza l'accertamento processuale, cosicché, nell'ipotesi di contestazione aperta, è possibile estendere il giudizio di penale responsabilità dell'imputato anche a fatti non espressamente indicati nel capo di imputazione e, tuttavia, accertati nel corso del giudizio sino alla sentenza di primo grado.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Catania ha integralmente confermato la condanna emessa in data 28 c.p.. Avverso la predetta sentenza ricorre l'imputato, per mezzo del suo difensore, affidando la sua impugnativa a ben cinque motivi di doglianza. 1.1 Denunzia il ricorrente, con il primo motivo, violazione di legge processuale in relazione all'art. 522 c.p.p. per aver il giudice di prime cure, per come confermato nel giudizio di appello, fondato il giudizio di penale responsabilità dell'imputato anche sulla valutazione di due episodi che non erano stati oggetto di contestazione nel capo di imputazione, e cioè l'episodio del (OMISSIS) addirittura precedente alle condotte contestate (e per le quali la pubblica accusa aveva fissato il giorno di inizio della contestazione al (OMISSIS)) e l'ulteriore episodio del (OMISSIS), anch'esso non oggetto di descrizione nel capo di imputazione. Osserva la difesa del ricorrente che la risposta fornita dalla Corte di appello siciliana alle doglianze puntualmente sollevate nei motivi di gravame era erronea giuridicamente, atteso che, quanto al primo episodio, era apodittica e non dimostrata l'affermazione secondo cui il giudice di prime cure, pur avendo fatto riferimento all'episodio in esame nel corso della motivazione, non ne aveva poi tenuto conto in sede di applicazione della pena e che, per quanto riguarda il secondo episodio, non era richiamabile quella giurisprudenza sulla cd. contestazione aperta che sarebbe, invece, applicabile al reato permanente e non già al reato in esame, che è, invece, un reato abituale. 1.2 Con un secondo e terzo motivo si declina vizio di motivazione e di violazione di legge sostanziale e processuale in relazione all'art. 612 bis c.p. e artt. 192 e 530 c.p.p., in quanto non correttamente valutata la prova dichiarativa a discarico allegata dalla difesa del ricorrente, e ciò con particolare riferimento alle dichiarazioni rese dai testi B., C. e Ca.. Sarebbe, altresì, carente la motivazione impugnata - aggiunge ancora la difesa - in riferimento al profilo della verifica della sussistenza dell'evento del reato di cui all'art. 612 bis c.p. e, comunque, sarebbe irragionevole la valutazione di colpevolezza, come tale fondata sulle sole dichiarazioni della parte civile. 1.3 Con un ulteriore motivo si denunzia violazione di legge sostanziale e vizio di motivazione in riferimento all'art. 612 bis c.p. e artt. 192 e 530 c.p.p.. Si deduce l'omessa motivazione in riferimento ad una serie di circostanze difensive allegate nei motivi di gravame, e ciò con riferimento alle dichiarazioni assunte tramite investigazioni difensive e per le quali la Corte di merito avrebbe omesso ogni valutazione ed argomentazione. 1.4 Con un ulteriore motivo si censura la sentenza impugnata per violazione di legge in riferimento agli artt. 133 e 163 c.p. e per vizio argomentativo sul medesimo punto, atteso che non era dato comprendere come le valutazioni dei due episodi sopra riferiti e considerati dal primo giudice non avessero influito sulla determinazione della pena, come, peraltro, documentalmente provato per il secondo episodio non contestato nel capo di imputazione ed invece utilizzato dal giudice di prima istanza per motivare il diniego nella richiesta applicazione della sospensione condizionale della pena. CONSIDERATO IN DIRITTO 2. Il ricorso è infondato e merita dunque rigetto. 2.1 Già il primo motivo di doglianza è infondato. 2.1.1 La parte ricorrente lamenta la violazione del sopra indicato disposto normativo di carattere processuale sotto un duplice profilo, e cioè in relazione sia ad un episodio accaduto prima del periodo oggetto di contestazione penale (iniziando le condotte contestate nel capo di imputazione il (OMISSIS)), e cioè quello di cui al (OMISSIS) e sia quello accaduto il (OMISSIS). Per quanto riguarda il primo episodio non si può che condividere la ricostruzione operata sul punto dalla Corte di merito laddove evidenziava che, in realtà, la menzione dell'episodio precedente al periodo di contestazione non era stata oggetto di valutazione da parte del giudice di primo grado per fondare il giudizio di penale responsabilità dell'imputato, di talchè nessuna violazione del diritto di difesa è comunque rintracciabile nel caso in esame. 2.1.2 Per quanto concerne, invece, il secondo episodio (quello di cui al (OMISSIS), comunque non descritto nel capo di imputazione), occorre invece affermare il principio secondo cui, nel delitto previsto dall'art. 612 bis c.p., che è reato abituale e si consuma al compimento dell'ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa della abitualità del reato, il termine finale di consumazione, in mancanza di una specifica contestazione, coincide con quello della pronuncia della sentenza di primo grado che cristallizza l'accertamento processuale, cosicchè è possibile estendere il giudizio di penale responsabilità dell'imputato, nell'ipotesi di contestazione "aperta", anche a fatti non espressamente indicati nel capo di imputazione, ma accertati nel corso del giudizio sino alla sentenza di primo grado (cfr. anche in tema di violazione del divieto di "bis in idem": Sez. 5, n. 22210 del 03/04/2017 - dep. 08/05/2017, C., Rv. 27024101). In realtà, il reato di cui all'art. 612 bis c.p., essendo un reato abituale, si consuma in occasione della realizzazione di uno degli eventi tipici descritti nel predetto disposto normativo, conseguentemente al compimento dell'ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa dell'abitualità del reato. Ne consegue che, nel caso del reato abituale, in difetto di contestazione di un termine finale di consumazione, questo non può che coincidere con quello della pronuncia della sentenza di primo grado che cristallizza l'accertamento processuale, e ciò a differenza di quanto avviene nel reato permanente ove è necessario che tutti gli atti cronologicamente succedutesi siano stati oggetto di contestazione e di specifico accertamento nel corso del processo. Ne consegue il rigetto della doglianza. 2.2 Il secondo e terzo motivo, il cui esame può essere congiunto stante la identità delle questioni prospettate, sono invece inammissibili per come formulati. 2.2.1 Sul punto è opportuno ricordare che, con riguardo proprio ai limiti del sindacato di legittimità sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per cassazione, delineati dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006, che questo non concerne nè la ricostruzione dei fatti, nè l'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: 1) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l'assenza di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Ed invero, il sindacato demandato alla Corte di Cassazione si limita al riscontro dell'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. Deve inoltre aggiungersi che il vizio della "manifesta illogicità" della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica "rispetto a sè stessa", cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della logica. 2.2.2 Ciò posto, osserva la Corte come la parte ricorrente intenda sollecitarla ad una rivalutazione diretta del compendio probatorio, senza il medio di un vizio argomentativo che sia idoneo ad intaccare la tenuta logica complessiva della motivazione impugnata. Nè è possibile rintracciare nel tessuto argomentativo della sentenza impugnata aporie ovvero evidenti illogicità. Ed invero, il giudizio di penale responsabilità dell'imputato riposa sulla corretta valutazione probatoria di una serie di elementi di prova che univocamente dimostravano la sussistenza delle ripetute condotte molestatorie in danno della persona offesa e la ricorrenza anche dell'evento del rato di cui al predetto art. 612 bis c.p. (cfr. le dichiarazioni della persona offesa, per come riscontrate dalle testimonianze degli altri testi indotti dall'accusa, dai tabulati telefonici, dal contenuto della telefonata registrata e dalla certificazione medica versata in atti). 2.3 Ma anche l'ulteriore motivo di censura legato alla critica della motivazione impugnata in punto di ricostruzione dell'elemento soggettivo del reato contestato e del profilo di credibilità della persona offesa deve ritenersi irricevibile perchè, al pari delle altre doglianze, è articolato in fatto e volto alla rivalutazione della prova. 2.4 Anche l'ultimo motivo di doglianza che "trasporta" le censure già sollevate nel primo motivo di carattere processuale anche nella impugnativa del trattamento sanzionatorio deve essere respinto in ragione delle considerazioni sopra esposti in punto di contestazione "aperta" nel reato abituale. 3. In base al principio della soccombenza, l'imputato deve essere condannato, alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese di parte civile che liquida in Euro 2000,00, oltre accessori. In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52. Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2018. Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2019
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