RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Roma ha confermato, anche agli effetti civili, la condanna di R.M., per il reato di cui all'art. 612-bis c.p., commesso ai danni di G.S., ex moglie di C.B., attuale compagno dell'imputata.
Secondo la ricostruzione dei giudici di merito l'imputata si è resa responsabile di reiterate e gravi molestie consistite nel distribuire - all'interno dei bagni di vari autogrill disseminati lungo il "(OMISSIS)" di (OMISSIS) - alcuni volantini riproducenti una fotografia scattata alla persona offesa e alla figlia, all'epoca quindicenne, ritratte, al mare, in costume da bagno, con la sovrascritta "Paghi una prendi due, prezzi speciali, massima riservatezza, si riceve a casa per app. in (OMISSIS), cell. (OMISSIS), in arte (OMISSIS)".
2. Avverso la sentenza ricorre l'imputata, tramite il difensore, articolando sette motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ex art. 173 c.p.p., comma 1, disp. Att..
2.1. Con il primo e il terzo denuncia, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), la inosservanza degli artt. 195 c.p.p., comma 4 e art. 357 c.p.p. in ragione de: la mancata acquisizione, mediante sequestro, del corpo del reato costituito dai volantini, mai stati trasmessi alla Procura della Repubblica e mai confluiti nel fascicolo processuale; la mancata acquisizione dei tabulati relativi alle telefonate ricevute dalla persona offesa; la mancata individuazione ed escussione dei soggetti che hanno effettuato le telefonate; le modalità di acquisizione delle immagini estrapolate dal sistema di videosorveglianza degli autogrill, in assenza di verbale delle operazioni compiute, di verifiche sulla autenticità e non alterazione delle immagini, di una esatta datazione; la inutilizzabilità delle dichiarazioni de relato riferite in dibattimento dal teste di P.G. isp. Ciarniello.
2.2. Con il secondo motivo si aggredisce la tenuta motivazionale della sentenza in merito alla dedotta violazione dell'art. 195 c.p.p., comma 4, nella parte in cui il giudice di secondo grado ha ritenuto che le dichiarazioni de relato del teste di P.G. non sarebbero state utilizzate quando, invece, le stesse costituiscono l'unico riscontro circa l'esistenza delle telefonate moleste e del rinvenimento dei volantini negli autogrill.
2.3. Con il quarto motivo viene denunciato vizio di travisamento della prova in ordine a: le immagini estratte dal sistema di videosorveglianza, che, contrariamente all'assunto della Corte di appello, non dimostrerebbero la presenza dell'imputata negli autogrill; gli esiti della perquisizione eseguita presso l'abitazione della coppia R.- C., che ha consentito di rinvenire non i volantini incriminati ma solo la fotografia di madre e figlia custodita in un mobile ad uso esclusivo di C. (quest'ultimo, sentito in dibattimento, ha escluso che l'imputata abbia mai avuto accesso a quella fotografia e ha spiegato di aver utilizzato quel documento, come altre fotografie custodite nello stesso posto, in una causa civile per l'affidamento della figlia minorenne); la circostanza che la fotografia applicata sui volantini, essendo stata pubblicata su Facebook, era accessibile a chiunque.
2.5. Con il quinto motivo si lamenta motivazione apparente circa le ingiurie profferite dall'imputata all'indirizzo della persona offesa.
La Corte di appello non avrebbe fornito alcuna risposta circa gli elementi di contraddizione e di inaffidabilità delle dichiarazioni testimoniali rese sul punto, nonostante la difesa li avesse analiticamente evidenziati con l'atto di appello.
2.6. Con il sesto motivo si deduce, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p., inosservanza dell'art. 125, comma 3, c.p.p. per carenza assoluta di motivazione sui nuovi motivi di appello, presentati ai sensi dell'art. 585, comma 4, c.p.p. e vertenti sulla configurabilità in diritto della fattispecie di cui all'art. 612-bis c.p. sotto il profilo della condotta e dell'evento.
Si assume che la sentenza impugnata sarebbe del tutto priva di motivazione in ordine a: la reiterazione delle condotte (poiché, al più, rileverebbe una sola azione, quella della diffusione dei volantini); la unitarietà delle stesse; la prova del nesso causale tra l'asserito stato d'ansia e le condotte attribuite all'imputata; la prova dell'evento del reato, non essendo stato accertato, in maniera adeguata, l'esistenza di uno stato ansioso in forma "grave e perdurante" che neppure traspare dalle dichiarazioni della persona offesa.
2.7. Con il settimo motivo si sostiene che la sentenza impugnata esibirebbe una motivazione apparente in punto di dosimetria della pena e di mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, in ragione della omessa considerazione di elementi positivi quali: lo stato di incensuratezza dell'imputata, il positivo giudizio prognostico espresso "dal giudice dell'impugnazione" ai fini della concessione del beneficio della sospensione condizionale; "le oggettive lacune sotto il profilo probatorio illustrate nei precedenti motivi".
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e', nel complesso, infondato, pur presentando ampi profili di inammissibilità.
2. In via generale vanno chiariti due aspetti sui vizi, più volte evocati in ricorso, di inosservanza della legge processuale e di "travisamento della prova".
2.1. Anzitutto, il motivo di ricorso previsto dall'art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p. attiene alla sola violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità, inammissibilità, inutilizzabilità, decadenza; dunque non è invocabile in relazione a qualunque violazione, reale o presunta, degli articolo del codice di rito, quando non consegua alcuna delle sanzioni indicate.
2.2. Il vizio di contraddittorietà processuale (o di travisamento della prova) chiama in causa, in linea generale, le ipotesi di infedeltà della motivazione rispetto al processo e, dunque, le distorsioni del patrimonio conoscitivo valorizzato dalla motivazione rispetto a quello effettivamente acquisito nel giudizio.
2.2.1. Il vizio di contraddittorietà processuale (o di "travisamento della prova") ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia omesso di valutare una prova decisiva (travisamento per omissione) oppure abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste (travisamento per invenzione) o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale (travisamento delle risultanze probatorie); in tal caso non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano (cfr. tra le altre Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215).
Invero il vizio di "contraddittorietà processuale" (o di travisamento della prova) vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell'esatta trasposizione nel ragionamento del giudice del dato probatorio nei termini di una "fotografia", neutra e a-valutativa, del "significante", ma non del "significato", atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell'elemento di prova (Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, Stojanovic, Rv. 234167; Sez. 5, n. 36764 del 24/05/2006, Bevilacqua, Rv. 234605).
Rilettura, invece, implicata inevitabilmente da ricorsi che, offrendo al giudice di legittimità, frammenti probatori o indiziari, sollecitino quest'ultimo a una rivalutazione o ad una diretta interpretazione degli stessi (Sez. 5, n. 44992 del 09/10/2012, Aprovitola, Rv. 253774) ovvero assumano la contraddittorietà non già rispetto ad uno o più specifici atti del giudizio, ma al fatto nella sua interezza (Sez. 3, n. 38431 del 31/01/2018, Ndoja, Rv. 273911); di qui la netta distinzione tra travisamento di una prova, suscettibile di integrare il vizio di contraddittorietà della motivazione, e la deduzione della erronea interpretazione della prova, estranea a tale vizio posto che "il compito di armonizzare e coordinare tra loro gli elementi di prova appartiene esclusivamente al giudice di merito" (Sez. 4, n. 14732 del 01/03/2011, Molinario, Rv. 250133).
2.2.2. In particolare il vizio di travisamento della prova dichiarativa, per essere deducibile in sede di legittimità, deve avere un oggetto definito e non opinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto ed è pertanto da escludere che integri il suddetto vizio un presunto errore nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 2013, Maggio, Rv. 255087; Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017 dep. 2018, Grancini, Rv. 272406), posto che non dà luogo al vizio di travisamento della prova la scelta, ad opera del giudice, di un'interpretazione delle dichiarazioni testimoniali in luogo di altra e diversa interpretazione (Sez. 3, n. 46451 del 07/10/2009, Carella, Rv. 245611).
2.2.3. In tanto il travisamento del "significante" può integrare il vizio di motivazione, in quanto il dato travisato assuma rilievo decisivo nel compendio probatorio valorizzato nella sentenza di merito e nell'apparato argomentativo sviluppato sulla base di esso.
In giurisprudenza si parla di "atti del processo, dotati di una autonoma forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o radicalmente inficiare sotto il profilo logico la motivazione" e si precisa che "il ricorrente, che intende dedurre la sussistenza di tale incompatibilità, non può limitarsi ad addurre l'esistenza di "atti del processo" non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione o non correttamente interpretati dal giudicante, ma deve invece identificare, con l'atto processuale cui intende far riferimento, l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione adottata dal provvedimento impugnato, dare la prova della verità di tali elementi o dati invocati (meglio inteso come onere di fedeltà al processo, sì da ricomprendere l'indicazione di elementi contrastanti provenienti dalla medesima fonte di prova - es. successive ritrattazioni), nonché dell'esistenza effettiva dell'atto processuale in questione, indicare le ragioni per cui quest'ultimo inficia o compromette in modo decisivo la tenuta logica e l'interna coerenza della motivazione (Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, Casula, Rv. 233708).
2.2.4. L'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. pone a carico del ricorrente l'onere di inequivoca individuazione e di specifica rappresentazione degli atti processuali che intende far valere, nelle forme di volta in volta più adeguate alla natura degli atti stessi, quali l'integrale esposizione e riproduzione nel ricorso, l'allegazione in copia, la precisa indicazione della collocazione dell'atto nel fascicolo del giudice, purché detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione a una consultazione integrale degli atti.
3. Il primo e il terzo motivo di ricorso esulano dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità quando denunciano la violazione dell'art. 357 c.p.p..
3.1. Invero, secondo il costante indirizzo della Corte di cassazione, cui questo collegio aderisce, l'obbligo di redazione degli atti indicati dall'art. 357 c.p.p. non è previsto a pena di nullità od inutilizzabilità, con la conseguenza che, da un lato, la asserita omissione non produce effetti invalidanti sul processo e dall'altro lato è pienamente ammissibile la testimonianza degli operatori della polizia giudiziaria in merito a quanto dagli stessi direttamente percepito anche se non verbalizzato (cfr. Sez. 5, n. 25799 del 12/12/2015, dep. 2016, Stasi. Rv. 267260; Sez. 1, n. 34022 del 06/10/2006, Delussu, Rv. 234884).
3.2. L'omessa acquisizione di elementi di prova (tabulati, testimonianze, ecc.) rientra non nella lettera c), ma della lettera d) dell'art. 606, c.p.p., vizio non denunciato.
Peraltro il giudice di merito ha dato ampio conto delle ragioni di superfluità della ulteriore attività istruttoria richiesta dall'imputata.
4. Il primo motivo, inoltre, è generico, come lo è il secondo motivo sul medesimo tema, laddove viene denunciata la inutilizzabilità della testimonianza de relato del teste di polizia giudiziaria e il difetto di motivazione sul punto.
4.1. Secondo ius receptum è onere della parte che eccepisce l'inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l'inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416).
4.2. Nel caso in esame la Corte di appello osserva che le dichiarazioni de relato del teste di P.G. non sono state utilizzate dal giudice di primo grado, né, del resto, vengono utilizzate nella sentenza impugnata.
La ricorrente contesta tale affermazione, ma non riesce a indicare in maniera precisa: né il punto specifico della decisione in cui vi sia la denunciata utilizzazione (non della deposizione del teste di P.G. ma delle dichiarazioni di altre persone riferite solo dal teste di P.G.); né la capacità di quelle dichiarazioni, in tesi utilizzate, a incidere sull'esito decisorio.
4.3. E' dirimente il rilievo che l'accertamento della sussistenza delle condotte criminose riposa, in maniera precipua, sulle dichiarazioni della persona offesa che, anche da sole, possono essere legittimamente poste a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, essedo inapplicabile la regola valutativa dettata per la chiamata di correo dall'art. 192, comma 3, c.p.p. (cfr. per tutte Sez. U, n. 41461 del 19/07/201, Bell'Arte, Rv. 253214).
Quindi ogni tentativo della ricorrente di elidere gli elementi di conferma esterna si scontra con il dato ineludibile per cui il nucleo centrale delle accuse rimane comunque fermo.
Del resto, come si ricava dalla sentenza impugnata, la linea difensiva dell'imputata non si è espressa nel senso di negare la materialità dei fatti (ad eccezione delle ingiurie), ma di dichiararsi estranea ai fatti incolpando la vittima di aver messo "in pericolo la privacy e l'incolumità propria e della figlia al solo scopo di calunniarla" (cfr. pag. 10 sentenza impugnata).
5. Il quarto motivo, che si appunta sul travisamento di una serie di esiti probatori, è inammissibile, perché non rispondente a nessuno dei canoni che governano il vizio dedotto, come illustrati al paragrafo 2.2.
5.1. Invero nonostante gli ampi richiami alla giurisprudenza di legittimità, la censura si risolve nella rilettura e nella prospettazione di una diversa interpretazione del materiale probatorio non consentite in sede di legittimità.
5.2. Peraltro neppure viene rispettato l'onere allegativo (cfr. sopra paragrafo 2.2.4.).
5.3. Le doglianze della ricorrente non intaccano la stringente tenuta argomentativa della c.d. "doppia conforme" di condanna che, una volta acclarate le condotte, le riferisce all'imputata sulla scorta di una valutazione globale dei singoli elementi indiziari, gravi, precisi e concordanti (pagg. 8 e 9 sentenza impugnata); in sintesi:
- la diffusione dei volantini presso i bagni dei vari autogrill risulta documentata dalle telecamere di videosorveglianza;
- la responsabile è una donna che scende da una (OMISSIS) di colore rosso, vettura che l'imputata ha riconosciuto di avere in uso; la donna si reca nei bagni, lascia dei "foglietti" ed esce senza utilizzare i servizi (il collegamento viene desunto dalla sovrapposizione tra condotta e rinvenimento dei volantini oggetto dell'odierna imputazione negli autogrill di (OMISSIS) e (OMISSIS), da parte dell'addetta alle pulizie e del responsabile dell'autogrill stesso - persone sentite come testimoni- le obiezioni in fatto mosse dalla difesa sono superate con motivazione coerente, cfr. pag. 9);
- la medesima donna indossa soprabiti che corrispondono a quelli sequestrati all'imputata;
- l'imputata ha ammesso di essersi trovata sui luoghi interessati dalla diffusione dei volantini sia pure per ragioni di lavoro;
- fotografie identiche a quelle utilizzate per realizzare i volantini, sono state rinvenute in sede di perquisizione presso l'abitazione dell'imputata e del C. (il dato non trova smentita, secondo la Corte di appello nelle dichiarazioni di C. che vengono analiticamente esaminate e disattese, pag. 9).
Si tratta di motivazione immune da vizi logici e tanto basta a esentarla da critiche, poiché la Corte di cassazione non può procedere alla "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e', in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali" (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, Scibe').
6. Il quinto motivo si auto-elide, poiché assume la "oggettiva irrilevanza" di quegli elementi che poi non esita ad attaccare, peraltro con deduzioni in fatto, inammissibili in questa sede.
La sussistenza o meno di ingiurie non si riflette, nella specie, sulla configurabilità del reato abituale di atti persecutori, che riposa su gravissime molestie idonee, già da sole, per come si dirà, ad integrare ed esaurire la fattispecie delittuosa oggetto di addebito.
7. Il sesto motivo è infondato.
7.1. Anzitutto non ha presa la doglianza circa la mancata risposta ai motivi aggiunti.
Le censure prospettate coi motivi aggiunti (che la Corte di appello menziona e analizza nelle premesse a pag. 5) erano già espresse nel secondo motivo dell'atto principale e ottengono risposta al paragrafo 2, pagina 10 della sentenza impugnata (cfr. infra paragrafo 7.2.2.).
7.2. La peculiarità della vicenda offre il destro per una più compiuta analisi degli elementi costitutivi del reato di atti persecutori.
7.2.1. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito l'imputata si è resa responsabile di reiterate e gravi molestie consistite nel distribuire - all'interno dei bagni di vari autogrill disseminati lungo il "(OMISSIS)" di (OMISSIS) alcuni volantini riproducenti una fotografia scattata alla persona offesa e alla figlia, all'epoca quindicenne, ritratte, al mare, in costume da bagno, con la sovrascritta "Paghi una prendi due, prezzi speciali, massima riservatezza, si riceve a casa per app. in (OMISSIS), celi. (OMISSIS), in arte (OMISSIS)" (indirizzo e numero di telefono effettivamente corrispondenti all'abitazione in cui la persona offesa vive da sola con la figlia e alla utenza cellulare della stessa).
A partire dal 3 novembre 2014 e sino alla metà del successivo mese di dicembre, la G. ha ricevuto telefonate da parte di diversi uomini che, facendo riferimento al volantino, si informavano in merito a prestazioni sessuali.
Ciò ha determinato nella G., anche in ragione della divulgazione dell'indirizzo della sua abitazione, una condizione di estrema ansia (insonnia curata coi sedativi) e ha provocato la modifica delle sue abitudini di vita (controllo ossessivo dei movimenti della figlia, richiesta di aiuto a una scorta alla polizia in servizio nei pressi della propria abitazione).
La Corte di appello, in piena sintonia con le conclusioni raggiunte dal Tribunale, ha ritenuto integrato il reato di atti persecutori in ragione de: la reiterazione di condotte moleste; la condizione di "estrema ansia" patita dalla vittima, che ha avuto manifestazioni somatiche curate con l'impiego di psicofarmaci; il nesso eziologico tra condotta ed evento, ricavabile da una incisività tale della prima da sortire efficienza causale rispetto all'equilibrio emotivo-psicologico della vittima (pag. 10 sentenza impugnata).
7.2.2. La decisione si conforma agli insegnamenti della Corte Costituzionale e della Corte di cassazione.
La fattispecie di cui all'art. 612-bis c.p. si configura come specificazione delle condotte di minaccia o di molestia già contemplate dal codice penale.
Molestare significa alterare in modo fastidioso o importuno l'equilibrio psichico di una persona normale (così Corte Cost. sent n. 172 del 2014).
Con lo speciale reato di cui all'art. 612-bis c.p. il legislatore ha ulteriormente connotato le condotte di minaccia e molestia, richiedendo che le stesse siano realizzate in modo reiterato e idoneo a cagionare almeno uno degli eventi indicati nel testo normativo (stato di ansia o di paura, timore per l'incolumità e cambiamento delle abitudini di vita).
Rientra nella nozione di molestia, quale elemento costitutivo del reato di atti persecutori, qualsiasi condotta che concretizzi una indebita ingerenza od interferenza, immediata o mediata, nella vita privata e di relazione della vittima, attraverso la creazione di un clima intimidatorio e ostile idoneo a comprometterne la serenità e la libertà psichica (Sez. 5 n. 1753 del 16/09/2021, dep. 2022, Q., Rv. 282426).
Il concetto di "reiterazione" conduce a ritenere che anche due sole condotte possano integrare l'elemento materiale del reato, non essendo invece necessario che gli atti persecutori si manifestino in una prolungata sequenza temporale (Sez. 5, n. 33842 del 03/04/2018, P., Rv. 273622).
E' sufficiente la reiterazione anche solo di comportamenti molesti quando questi, per le loro caratteristiche, provochino nella vittima un perdurante e grave stato d'ansia (conforme, Sez. 5, n. 31275 del 14/9/2020, non massimata; vedi anche Sez. 5, n. 45453 del 3/7/2015, M., Rv. 265506).
L'evento, consistente nell'alterazione delle abitudini di vita o nel grave stato di ansia o paura indotto nella persona offesa, deve essere il risultato della condotta illecita valutata nel suo complesso, nell'ambito della quale possono assumere rilievo anche comportamenti solo indirettamente rivolti contro la persona offesa e anche di tipo subdolo (cfr. Sez. 6, n. 8050 del 12/1/2021, G., Rv. 281081).
Nel caso in esame le molestie sono state arrecate dall'imputata con più azioni - vale a dire con condotte storicamente distinte (ripetuta diffusione di volantini nei bagni di vari autogrill) - che hanno realizzato una forma di molestia indiretta (reiterati contatti telefonici da parte di persone in cerca di prestazioni sessuali) ma subdola e particolarmente intrusiva nella vita privata e di relazione della persona offesa, che si è trovata non solo messa alla berlina (insieme alla figlia minorenne) ma improvvisamente destinataria di profferte sessuali non volute da parte di sconosciuti che conoscevano il numero telefonico e l'esatta ubicazione della abitazione.
Come osserva la Corte di appello, un simile agire ha destabilizzato la serenità psichica della vittima, provocando uno stato di ansia "estrema", contenuto solo grazie al ricorso a psicofarmaci e ha determinato un mutamento delle abitudini di vita (nei termini già ricordati al paragrafo 7.2.2.) - profilo, quest'ultimo, cui il ricorso non fa cenno, incorrendo nel vizio di genericità.
Ebbene, in una recente e condivisibile pronuncia (Sez. 5, n. 323 del 14/10/2021, dep. 2022, M., Rv. 282768), la Corte di cassazione ha ravvisato il delitto di atti persecutori in una fattispecie simile a quella in esame costituita dalla creazione di profili socia/ e account internet falsamente riconducibili alla vittima, da cui erano derivate proposte sessuali da parte di terzi sconosciuti in adesione a quanto da lei stessa, in tali account, apparentemente offerto.
Seguendo le orme della citata sentenza può osservarsi che le condotte "indirettamente" proiettate nella sfera personale della vittima - con la divulgazione sia di immagini private, ritraenti peraltro anche la figlia minorenne, sia di coordinate utili a contattare per telefono e di persona la vittima, presentata come donna disponibile a incontri sessuali - hanno fatto sì che sconosciuti la contattassero con frequenza per ottenere quanto pubblicizzato nel volantino.
"Tali condotte hanno avuto certamente, per la loro reiterazione e contenuto, un effetto complessivamente persecutorio, risoltosi nella determinazione di stati d'ansia e timore gravi nella persona offesa, che si è trovata al centro di una campagna intrusiva ed abusiva" (così in motivazione Sez. 5, n. 323 del 14/10/2021, dep. 2022, M.).
8. Il settimo motivo è inammissibile.
8.1. Il giudice di merito ha determinato l'entità della pena, ritenuta congrua ex art. 133 c.p., in anni uno di reclusione (misura che non si discosta in modo sensibile dal minimo ed è molto inferiore alla media edittale).
Al riguardo è sufficiente osservare che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p.; sicché è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione, come nella specie, non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 - 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142).
8.2. La doglianza sul mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è manifestamente infondata perché, secondo l'indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità, nel motivare il diniego delle attenuanti in parola è sufficiente un congruo riferimento, da parte del giudice di merito, agli elementi ostativi ritenuti decisivi o rilevanti, come avvenuto nella specie (gravità delle condotte, intensità del dolo, personalità criminale di non minimo spessore, pag. 11 sentenza impugnata).
9. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che, tenuto conto dell'opera prestata, possono liquidarsi, nei limiti della richiesta, in complessivi Euro 2.205,00, oltre accessori di legge.
Va evidenziato che, secondo quanto ritenuto dai giudici di merito, il reato abituale di atti persecutori si è consumato il 15 dicembre 2014 (con l'ultima condotta molesta) e dunque non è ancora maturato il relativo termine prescrizionale, che spirerebbe soltanto il 18 agosto 2022, tenuto conto di 64 giorni di sospensione c.d. Covid per rinvio udienza del 6 maggio 2020 (cfr. Sez. U, n. 5292 del 26/11/2020, dep. 2021, Sanna, Rv. 280432 - 03).
L'inerenza della vicenda a rapporti familiari impone, in caso di diffusione della presente sentenza, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, l'imputata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 2.205,00, oltre accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 12 maggio 2022.
Depositato in Cancelleria il 01 luglio 2022